Anamnesi, omissioni del paziente e responsabilità medica: una decisione (dubbia) destinata ad essere superata dal fascicolo sanitario elettronico (F.S.E.).

23 Settembre 2025

La controversia in questione riguarda la richiesta di risarcimento danni nei confronti del medico e della struttura sanitaria a causa dell'emorragia insorta durante un'operazione di artrodesi, cui ne seguì un nuovo intervento il giorno seguente.

Massima

In tema di responsabilità medica, il paziente che - anche in assenza di specifiche richieste del medico - ometta di riferire spontaneamente ai sanitari, in fase preoperatoria di raccolta dei dati anamnestici, le più gravi patologie di cui abbia sofferto, che abbiano poi determinato la mancata predisposizione di adeguate misure di contrasto dell'evento imprevedibile verificatosi, deve ritenersi esclusivo responsabile delle conseguenze di quelle carenze informative. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha escluso la responsabilità dei sanitari, avendo accertato che il paziente aveva taciuto la prolungata assunzione di farmaci anticoagulanti per oltre un decennio, agevolando per questa via il verificarsi dell'emorragia nel cavo operatorio.

Il caso

A seguito dell’emorragia il danneggiato riportava postumi invalidanti, avendo subito lesioni gravi, con difficoltà alla minzione e alla funzione erettile, accertati in seguito dall'INPS nell'invalidità civile al cento per cento (100%).

La causa del danno veniva ascritta al mancato posizionamento di un sistema di drenaggio attivo durante il primo intervento, che venne invece predisposto per la seconda operazione.

Durante la raccolta dei dati anamnestici non era stato chiesto al paziente se aveva utilizzato farmaci anticoagulanti e segnatamente la cardioaspirina, che egli, invece, usualmente prendeva per avere subito, in precedenza, nell'anno 2000, un'ischemia cerebrale.

Da qui la richiesta di risarcimento danni, in quanto la corretta raccolta anamensitca avrebbe dovuto apprestare le cautele necessarie sin dal primo intervento.

Tribunale e Corte di appello rigettarono la domanda.

La questione

La questione attiene all’esistenza o meno di un obbligo per il paziente di riferire situazioni cliniche note.

In particolare, la mancata predisposizione di strumentazione di drenaggio per l’intervento originariamente programmato è ascrivibile ad una malaccorta programmazione dell'operazione, oppure alla circostanza dell'avere il paziente taciuto la prolungata assunzione di farmaci anticoagulanti, il che aveva agevolato il verificarsi dell'emorragia?

Il medico ha un dovere di fare precise richieste in sede di anamnesi?

Il paziente, di converso, ha un dovere di riferire informazioni?

Le soluzioni giuridiche

Come segnalato in epigrafe, alcune decisioni della Suprema Corte sembrano andare di diverso avviso rispetto alla sentenza annotata:

  • da una parte, vi è un principio generale affermato in giurisprudenza di merito e di legittimità: in tema di responsabilità medica, il paziente che ometta di fornire alcune notizie nel corso dell'anamnesi, senza ricevere specifiche richieste dal medico, non può ritenersi corresponsabile delle carenze informative, verificatesi in quella sede, che hanno poi determinato l'errore diagnostico, perché non rientra tra i suoi obblighi né avere specifiche cognizioni di scienza medica, né sopperire a mancanze investigative del professionista. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, accertata la responsabilità dei sanitari per omessa diagnosi della condizione di portatrice sana di talassemia in capo ad una donna in stato di gravidanza, divenuta madre di due gemelle affette da talassemia "maior", aveva affermato la concorrente responsabilità di quest'ultima e del di lei marito perché, consapevoli della condizione di portatore sano in capo a quest'ultimo, si erano rivolti ai medici per assicurarsi che non fosse tale anche lei ma, pur essendo a conoscenza di una patologia ematica, definita microcitemia, tra i collaterali della donna, non ne avevano parlato durante l'anamnesi - Cassazione civile sez. III - 20/11/2020, n. 26426).

Si veda in generale anche Cassazione civile sez. III - 12/09/2013, n. 20904 nonché Tribunale sez. III - Pavia, 13/11/2018, n. 1776 e Tribunale - Arezzo, 11/01/2017, n. 35, che in generale afferma in motivazione che l'attribuire rilievo ad una mancata collaborazione o imprecisione del paziente nel fornire le indicazioni in sede di anamnesi è singolare, atteso che, una volta iniziato il rapporto curativo, la ricerca della situazione effettivamente esistente in capo al paziente, almeno per quanto attiene alle evidenze del suo stato psico-fisico, è affidata al sanitario, che deve condurla in modo pieno e senza fidarsi dell'indirizzo che può avergli suggerito la dichiarazione resa in sede di anamnesi dal paziente, integrando un diverso operare una mancanza palese di diligenza, con la conseguenza che deve escludersi che l'incompletezza o reticenza sotto il profilo indicato delle informazioni sulle sue condizioni psico-fisiche, se queste sono accertabili dal sanitario e/o dalla struttura attraverso l'esecuzione accurata secondo la lex artis della prestazione iniziale del rapporto curativo, non può essere considerata ragione giustificativa per l'applicazione della limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c.;

  • dall'altra vi è la sentenza in esame della Cassazione che pare rivedere questo orientamento, in quanto sostanzialmente si limita ad affermare che, al fine di realizzare compiutamente e al meglio il rapporto tra medico e paziente, l'indagine preoperatoria deve essere orientata nel senso che il paziente è tenuto almeno a non omettere, ma a riferire, le più gravi patologie di cui abbia sofferto. Dunque effettua una distinzione con le patologie di carattere minore.

Le due soluzioni possono apparire incompatibili, ma non è così. Tuttavia, come vedremo di seguito, è opportuno valutare la decisione in esame con riferimento alla specificità del caso concreto, non potendo assurgere a principio generale incondizionato.

Nella sua assolutezza la sentenza in esame deve essere approfondita e non può essere condivisa.

Osservazioni

Da quanto esposto pare esserci un mal motivato cambiamento di orientamento, ovvero (meglio) una mal motivata non contraddittorietà.

Infatti, la stessa sentenza annotata dichiara che la censura del ricorrente “apparentemente si poggia su due precedenti di questa Corte” (Cass. n. 26426/2020 e n. 20904/2013cit.).

Tuttavia, la sentenza non spiega le ragioni di “questo apparente fondamento” che viene disatteso.

Lo si intuisce solo andando a leggere le decisioni: nel 2020 si trattava di visita ematologica condotta proprio per escludere la patologia; nel 2013 l'attenzione di focalizzava sul generale obbligo di autonomia del medico.

Nel caso concreto, invece, siamo in presenza dell'omissione in sede di anamnesi di una patologia molto grave.

Da qui si può ritenere che effettivamente si tratti di un caso peculiare, dove il dovere del paziente di riferire può trovare un suo particolare spazio.

Tuttavia, la sentenza in esame si limita ad affermare che per realizzare al meglio il rapporto medico-paziente, quest'ultimo è tenuto almeno a non omettere, ma a riferire le più gravi patologie.

Non segue, però, una motivazione sul punto, che appare così apodittica.

In questo senso, la sentenza annotata è condivisibile nella parte in cui pone l'accento sul rapporto medico-paziente per dirimere la questione e a patto di integrarne il percorso argomentativo: il paziente è tenuto a non omettere, ma a riferire le patologie più gravi, mentre può genericamente riferire di non avere avuto patologie di carattere minore.

La motivazione doveva essere argomentata, perché nella sua assolutezza la soluzione presenta delle criticità:

  1. in generale rischia di demandare al paziente la valutazione circa la gravità o meno di una patologia, peraltro rispetto ad un particolare intervento medico;
  2. soprattutto rischia di annichilire il principio di autonomia e responsabilità del medico, ove derivasse un'interpretazione estensiva della decisione in esame;
  3. verosimilmente per il futuro la decisione è già superata con l'avvento del c.d. Fascicolo Sanitario Elettronico.

La decisione è condivisibile a condizione di fissare condizioni e limiti della questione.

Ma procediamo con ordine.

I primi due profili possono essere esaminati congiuntamente, perché sono due facce della stessa medaglia.

È del tutto indiscutibile che il medico svolge la propria professione in autonomia e sotto la sua responsabilità. La Corte Costituzionale ha chiaramente affermato l'autonomia del medico nelle sue scelte professionali e l'obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali, sotto la propria responsabilità e che non è il legislatore a stabilire, di norma, le pratiche terapeutiche ammesse. Il consenso informato è senz'altro centrale: la regola di fondo di uno Stato democratico, in questa materia, è costituita dall'autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso informato del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione, sicché «autonomia del medico nelle sue scelte professionali e obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali, sotto la propria responsabilità, configurano dunque un altro punto di incontro dei principi in questa materia» (v., per tutte, Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282, ma v. anche Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151 e, più di recente, Corte cost., 12 luglio 2017, n. 169).

D'altra parte, anche in base all'art. 5 l. n. 24/2017 c.d L. Bianco-Gelli sulla responsabilità medica, si sancisce che gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida.

In questa sede rinviamo a tutta la giurisprudenza che ritiene che il medico debba appunto valutare in autonomia le linee guida, che non sono vincolanti.

Da qui, nel rapporto di cura il medico deve procedere in autonomia, come sancito dalla giurisprudenza sopra richiamata (Cass. n. 26426/2020; Cass. 20904/2013; Trib. Arezzo n. 35/2017; Trib. Pavia n. 1776/2018), con la conseguenza che deve escludersi che l'incompletezza o la reticenza del paziente sotto il profilo delle informazioni sulle sue condizioni psico-fisiche, se queste sono accertabili dal sanitario e/o dalla struttura attraverso l'esecuzione accurata secondo la lex artis della prestazione iniziale del rapporto curativo.

Altro profilo è il rapporto medico-paziente, ossia la c.d. alleanza terapeutica o consenso informato.

Qui la decisione in esame non è pienamente condivisibile o, almeno, deve essere approfondita.

Infatti, il rapporto medico-paziente e il consenso informato tengono uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno (Cassazione civile sez. I, 16/10/2007, n. 21748). Ma, appunto, nel rispetto dell'autonomia di ciascuno.

Detto diversamente, sotto un altro profilo, un conto è il consenso informato o diritto all'autodeterminazione terapeutica, altro conto è il diritto alla salute, per cui è indubbia l'unitarietà del rapporto medico-paziente, ma non si può escludere una capacità plurioffensiva dell'omissione del medico, potenzialmente idonea a ledere due distinti interessi sostanziali, entrambi suscettibili di risarcimento (Cassazione civile sez. III, 05/09/2022, n. 26104).

Traslando il principio nel nostro ambito, bisogna tener presente che, a fronte dell'omissione del paziente, occorre indagare, per affermare o meno la responsabilità del medico, non solo l'eventuale concorso di colpa o colpa esclusiva del paziente, ma anche il nesso di causa rispetto a quanto accertabile secondo la lex artis dal medico in autonomia e sotto la sua responsabilità, a prescindere dalle omissioni del paziente.

In tema di responsabilità professionale del medico chirurgo, una accurata ricognizione del complesso rapporto intercorrente tra la fattispecie del nesso causale e quella della colpa, con specifico riferimento ai rispettivi, peculiari profili probatori, consente la enunciazione dei seguenti principi: 1) il nesso di causalità è elemento strutturale dell'illecito, che corre - su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico - tra un comportamento (dell'autore del fatto) astrattamente considerato (e non ancora utilmente qualificabile in termini di damnum iniuria datum) e l'evento; 2) nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, si prescinde, in prima istanza, da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto oggettivata, da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto logico di previsione insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo dell'aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie dell'illecito); 3) il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, tale obbiettiva relazione col fatto deve considerarsi causa dell'evento stesso; 4) il nesso di causalità giuridica è, per converso, relazione eziologica per cui i fatti sopravvenuti, di per sè soli idonei a determinare l'evento, interrompono il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti; 5) la valutazione del nesso di causalità giuridica, tanto sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, quanto sotto l'aspetto della individuazione del novus actus interveniens, va compiuta secondo criteri a) di probabilità scientifica, ove questi risultino esaustivi; b) di logica, se appare non praticabile (o insufficientemente praticabile) il ricorso a leggi scientifiche di copertura; con l'ulteriore precisazione che, nell'illecito omissivo, l'analisi morfologica della fattispecie segue un percorso affatto speculare - quanto al profilo probabilistico - rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento/comportamento omissivo in termini di probabilità inversa, onde inferire che l'incidenza del comportamento omesso si pone in relazione non/probabilistica con l'evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente avverato anche se il comportamento fosse stato posto in essere), a prescindere, ancora, dall'esame di ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione dell'evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell'agente" (Cassazione civile sez. III, 18/04/2005, n.7997).

Sul diverso ed ulteriore piano della liquidazione del c.d. danno biologico differenziale, poi, occorre dare conto che, se la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale (ad esempio uno stato patologico non riferibile alla prima), l'autore del fatto illecito risponde in toto, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, dell'evento di danno eziologicamente riconducibile alla sua condotta, a nulla rilevando l'eventuale efficienza concausale anche dei suddetti eventi naturali, che possono invece rilevare, sul piano della causalità giuridica, exarticolo 1223 del Cc, ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all'autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece, all'autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato, non eziologicamente riferibile, cioè, a negligenza, imprudenza o imperizia del sanitario (Cassazione civile sez. III, 04/02/2025, n.2635; Cassazione civile sez. III, 19/09/2023, n.26851; Cassazione civile sez. VI, 29/09/2022, n.28327); in sostanza, convertendo la percentuale di invalidità ascritta all'agente sul piano della causalità materiale e quella non imputabile all'errore medico in somme di denaro, per poi procedere a sottrarre dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto (Cassazione civile sez. III, 22/02/2025, n.4680; Cassazione civile sez. III, 26/07/2024, n.20894).

Ai fini che interessano sono gli elementi dell'illecito civile da indagare:

  1. la colpevolezza (dolo o colpa); si pensi al caso del paziente che riferisce l'operazione, ma non la conseguente terapia associata, che il medico dovrebbe conoscere, di tal chè non può ritenersi esente da colpa;
  2. il nesso di causa tra l'omissione del paziente quale fatto autonomo ed esclusivo nel cagionare il danno. Sul piano eziologico bisogna valutare l'eventuale concausa.

Così sul primo aspetto (quello che sostanzialmente ci interessa in questa sede), se il paziente può aver violato un dovere di riferire e non tacere nel rapporto medico-paziente (influente sul consenso informato), nulla toglie all'autonoma responsabilità del medico nel condurre le ricerche e le valutazioni in autonomia e responsabilità, se accertabili attraverso l'esecuzione accurata secondo la lex artis della prestazione iniziale del rapporto curativo.

Sostanzialmente, se anche il paziente omette una grave patologia in sede anamnestica, ma le linee guida pre-operatorie indicano esami di laboratorio specifici per valutare anche il rischio emorragico e il medico non li esegue oppure non li valuta correttamente, allora la sua responsabilità rimane, versando almeno in colpa.

In questo senso, la sentenza annotata non convince: certamente siamo in presenza di un caso particolare, di omissione di una grave patologia. Tuttavia, non indaga espressamente un aspetto fondamentale: se l'omissione del paziente abbia una rilevanza in termini di colpa e di causa rispetto al dovere del medico di procedere in autonomia secondo la lex artis richiesta nel caso concreto.

Sarebbe più corretto indagare se e che in termini l'omissione abbia inciso sulla colpa del medico e sul nesso di causa. Probabilmente questo è sotteso alla ratio decidendi della sentenza annotata, ma non espresso, che solo in questi termini è condivisibile.

In questo modo si “salva” sia il rapporto medico-paziente, sia l'autonomia e la responsabilità del medico.

In realtà, poi, per il futuro la sentenza, anche nella sua portata assoluta, è destinata ad essere già superata, con l'avvento del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) che è un punto unico di accesso che raccoglie dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario generati da eventi clinici riguardanti l'assistito, riferiti a prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale - SSN e, a partire dal 19 maggio 2020, anche da strutture sanitarie private, entro cinque giorni dalla prestazione.

Il FSE ha finalità di:

  • prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione
  • profilassi internazionale
  • studio e ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico
  • programmazione sanitaria, verifica delle qualità delle cure e valutazione dell'assistenza sanitaria
  • valutazioni e accertamenti sanitari per il riconoscimento di prestazioni assistenziali e previdenziali.

Il FSE svolge diverse funzioni e, per quanto ci interessa, costituisce:

  • un ecosistema di servizi basati sui dati per consentire ai professionisti sanitari la diagnosi e la cura dei propri assistiti e per fornire un'assistenza sempre più personalizzata del paziente
  • uno strumento per le strutture e le istituzioni sanitarie che potranno utilizzare le informazioni cliniche per effettuare analisi di dati clinici e migliorare l'erogazione dei servizi sanitari.

È evidente che il paziente non potrà più omettere patologie gravi e, se anche lo facesse, il medico in ogni fase del percorso di cura ha uno strumento agevole di verifica. Pertanto, nel caso di omissioni e di mancata verifica in autonomia del FSE, difficilmente si potrà sostenere una assenza di colpa del medico.

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