L’ex coniuge non ha diritto alla quota del TFR versato in un fondo di previdenza complementare prima della domanda di divorzio
25 Settembre 2025
Massima In tema di divorzio, il disposto dell'art. 12-bis l. n. 898/1970, nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto dell'altro coniuge, non si applica agli atti di disposizione del TFR consentiti dall'ordinamento, quali sono i conferimenti in un Fondo di Previdenza Complementare del TFR già maturato, ove siano eseguiti prima della proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio , fermo restando che le eventuali prestazioni di previdenza complementare successivamente conseguite per effetto di tali conferimenti, in presenza degli altri requisiti di legge, possono incidere sulla quantificazione o sulla modifica dell'assegno divorzile. Il caso La vicenda trae origine da un giudizio di divorzio all'esito del quale il Tribunale adito ha dichiarato con sentenza non definitiva la cessazione degli effetti civili del matrimonio, disposto a favore dell'ex moglie un assegno divorzile di € 800 mensili e rimesso sul ruolo la causa per la decisione in merito alla richiesta avanzata da quest'ultima ai sensi dell'art. 12-bis l. n. 898/1970 di condanna dell'ex marito al pagamento del 40% del suo TFR in quanto andato in pensione in pendenza del giudizio. In corso di causa era stato accertato che il marito aveva versato, prima dell'instaurazione del giudizio divorzile, tutto l'importo maturato del TFR in un fondo previdenziale così contribuendo a determinare la propria pensione complementare. Il Tribunale ha accolto la domanda della ex moglie condannandolo a versare € 98.515, oltre interessi legali, a titolo di quota. La Corte d'Appello, investita dell'impugnazione, ha riformato la sentenza ritenendo non dovuta alla ex moglie alcuna quota sul TFR percepito dall'ex marito in quanto conferito legittimamente in un fondo pensione complementare. I giudici della Corte hanno motivato l'accoglimento del gravame argomentando che: - il TFR, una volta conferito in un fondo di previdenza, perde la sua natura “retributiva” e assume invece diversa natura previdenziale. - il diritto dell'ex coniuge a una quota del TFR riguarda solo le somme effettivamente percepite dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Le somme confluite nel Fondo pensionistico vengono invece erogate quando sussistono i presupposti per la percezione della pensione. Avverso tale sentenza la ex moglie ha proposto ricorso per Cassazione per violazione di legge lamentando che il versamento del TFR nel fondo pensione, un mese prima dell'instaurazione del giudizio di divorzio, costituisse di fatto un comportamento antigiuridico di aggiramento degli obblighi derivanti dall'art. 12-bis l. 898/1970. Con il controricorso l'ex marito deduceva, invece, che il versamento del TFR era avvenuto in maniera assolutamente lecita senza alcun intento elusivo. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della ex moglie rilevando che l'art. 12-bis l. n. 898/1970, nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare di assegno divorzile che non abbia contratto nuove nozze il diritto a una quota del TFR dell'altro coniuge, non si applica agli atti di disposizione del TFR consentiti dall'ordinamento – come i conferimenti al fondo di previdenza complementare – se effettuati prima della proposizione della domanda di divorzio. Tuttavia, la prestazione previdenziale integrativa percepita a seguito del conferimento, pur non facendo sorgere un credito sulla quota del TFR, può comunque incidere sull'ammontare dell'assegno divorzile. La questione Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione, attraverso un’articolata motivazione, ha affrontato un tema di particolare rilevanza e attualità nell’ambito del diritto di famiglia: il rapporto tra assegno divorzile e diritto dell’ex coniuge a una quota del trattamento di fine rapporto (TFR) percepito dall’altro coniuge, quando quest’ultimo abbia destinato anticipatamente il TFR a un fondo di previdenza complementare Le soluzioni giuridiche a) La natura del TFR L'art. 2120 c.c. introdotto dalla l. n. 297/1982 disciplina il trattamento di fine rapporto, indennità che spetta al lavoratore in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro a prescindere dalle ragioni che lo hanno determinato. La giurisprudenza ha evidenziato la natura retributiva del TFR, qualificandolo come un istituto di retribuzione differita che matura anno per anno durante lo svolgimento del rapporto attraverso il meccanismo dell'accantonamento e della rivalutazione (Cass. n. 16549/2005; Cass. n. 96/2003; Cass. ord. 6333/2019) La Corte di cassazione nella sentenza in commento chiarisce altresì che il TFR rappresenta un compenso ancorato allo sviluppo economico che ha avuto la carriera del lavoratore e costituisce “un credito del lavoratore certo e liquido, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina l'esigibilità”. Il TFR costituisce quindi una parte fondamentale della retribuzione differita, che matura annualmente e si accumula con una determinata modalità di calcolo. Ai sensi dell'art. 2120 c.c., tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. Ogni anno, l'importo viene aggiornato in base a un coefficiente che tiene conto dell'inflazione. Al termine del rapporto di lavoro, il lavoratore ha diritto a ricevere l'importo accumulato, comprensivo di eventuali rivalutazioni annuali. b) Il diritto dell'ex coniuge a una quota del TFR. Presupposti normativi e finalità dell'istituto. Fra gli effetti patrimoniali del divorzio si annovera il diritto del coniuge divorziato ad ottenere una parte dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge. L'art. 12-bis primo comma della l. 898/1970 prevede infatti che “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza”. La norma citata non attribuisce un diritto incondizionato ma solo in presenza congiunta di alcuni presupposti, positivi e negativi. Presupposti positivi:
Presupposto negativi:
Pertanto, solo in presenza di tutti i presupposti menzionati sorgerà il diritto del coniuge divorziato ad una quota del Trattamento di Fine Rapporto dell'ex coniuge. Anche la fattispecie in esame trova fondamento nel principio di solidarietà post-coniugale, nella duplice veste assistenziale e compensativa. Dal punto di vista assistenziale, il diritto all'indennità di fine rapporto presuppone la titolarità dell'assegno divorzile, mentre in prospettiva compensativa, il riconoscimento di tale diritto si pone in connessione con il contributo personale ed economico fornito dall'ex coniuge nella formazione del patrimonio familiare. I Giudici di legittimità nella sentenza in commento chiariscono infatti che alla base della disposizione normativa in esame si rinvengono profilo assistenziali e criteri di carattere compensativo (Cass. S.U. n. 6229/2024) e che l'obiettivo dell'istituto in esame è quello di “attuare una partecipazione dell'ex coniuge titolare di assegno divorzile alle fortune economiche dell'altro ex coniuge costruite insieme finché il matrimonio è durato”. In ordine al momento in cui nasce il diritto all'ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante all'ex coniuge è consolidata l'opinione della giurisprudenza, secondo la quale tale diritto sorge, e può essere azionato, quando cessa il rapporto di lavoro (v. tra le tante Cass. civ., sez. lav., 6 febbraio 2018, n. 2827 e Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 2020, n. 5376; cfr. Cass. civ., sez. I, 12 novembre 2021, n. 34050). In sintesi, insieme al diritto del lavoratore a tale trattamento, sorge anche il diritto dell'ex coniuge a percepire una sua quota, in presenza degli altri presupposti dall'art. 12-bis, l. n. 898/1970 e il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto, che matura con l'insorgenza del diritto a tale trattamento da parte dell'altro coniuge, diviene esigibile quando quest'ultimo percepisce il relativo trattamento (cfr. Cass. civ., sez. I, 14 novembre 2008, n. 27233 e Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5719). Non è, però, necessario che l'importo su cui calcolare la quota di spettanza sia già incassato al momento della proposizione della relativa domanda, essendo sufficiente che sia esistente al momento della decisione (Cass. civ. 24403/2022). c) I casi di esclusione di operatività dell'art. 12-bis l. 898/1970 La Corte di cassazione nella sentenza in commento, richiamando la giurisprudenza consolidata in materia, chiarisce altresì che il diritto alla quota del TRF da parte dell'ex coniuge sorge soltanto sugli importi effettivamente corrisposti all'altro ex coniuge dopo la sentenza di divorzio o al più dopo la formulazione della domanda di divorzio. Non si deve quindi tener conto ai fini dell'operatività dell'art. 12-bis l. 898/1970 del TFR eventualmente percepito dal coniuge durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale. Trattasi di una specifica ipotesi di esclusione che riguarda il momento in cui il TFR è maturato o percepito. Se il diritto a ricevere il TFR è sorto prima della domanda di divorzio — ad esempio durante la vita matrimoniale o in costanza di separazione — la quota non spetta. Lo stesso vale quando il lavoratore ha incassato il TFR in anticipo, attraverso un'anticipazione o un acconto, prima dell'avvio del procedimento di divorzio: in questi casi, le somme sono entrate definitivamente nel suo patrimonio e non sono più soggette a divisione. Nella sentenza in commento viene evidenziato infatti che “il diritto alla quota dell'indennità di fine rapporto di lavoro sorge anche se il diritto all'indennità di fine rapporto sorge per il lavoratore prima della sentenza di divorzio, ma l'insorgenza del diritto deve essere collocata in un momento in cui la sentenza può produrre i suoi effetti, ovvero, al più presto, al momento della proposizione della domanda. Da ciò consegue che, se l'indennità di fine rapporto diventa esigibile per il lavoratore prima di tale momento, essa non dà diritto ad alcuna quota, perché vengono in rilievo, nel rispetto dei canoni fissati dall'ordinamento, i diversi principi che regolano la situazione esistente al momento in cui sorge il diritto e, segnatamente, quello della piena disponibilità delle attribuzioni patrimoniali da parte del destinatario dello stesso, quale coniuge ancora unito in matrimonio o solo separato, ma non divorziato (v. in particolare Cass., sez. I, sent. 7 giugno 1999, n. 5553 e Cass., sez. I, sent. 18 dicembre 2003, n. 19427)”. È importante ricordare che la riscossione del TFR durante la convivenza matrimoniale o la separazione, pur escludendo la sussistenza del diritto previsto dall'art. 12-bis l. 898/1970, rappresenta un quid novi che incide sulla condizione economica del coniuge tenuto a versare l'assegno e può legittimare una modifica delle condizioni di separazione. d) Il caso dell'accantonamento del TFR in un fondo pensionistico complementare In forza della normativa in vigore, ciascun lavoratore dipendente può scegliere di destinare il proprio TFR alle forme pensionistiche complementari anziché mantenerlo presso il datore di lavoro. La destinazione a un fondo pensione permette una gestione più professionale del risparmio, con possibilità di rendimenti superiori e vantaggi fiscali, ma implica anche conseguenze di grande rilevanza sotto il profilo dell'operatività della normativa di cui all'art. 12-bis l. 808/1970. La Corte di cassazione nella sentenza in commento, dopo aver evidenziato che è espressamente prevista la possibilità di conferire nel Fondo il TFR pregresso accantonato in azienda per i periodi precedenti all'iscrizione nel Fondo, chiarisce che laddove tale conferimento sia anteriore all'introduzione del giudizio di divorzio, il coniuge avente diritto all'assegno divorzile successivamente riconosciuto non può vantare alcun diritto sul TFR versato. I Giudici di legittimità sostengono che il diritto il diritto alla quota dell'indennità di fine rapporto prevista dall'art. 12-bis l. n. 898/1970 non può essere esteso alla prestazione di previdenza complementare, erogata a seguito della cessazione del rapporto di lavoro e alla ricorrenza degli altri presupposti di legge e di contratto, anche quando viene corrisposta in forma capitale una tantum, “poiché si tratta di un credito del tutto diverso, vantato nei confronti di un soggetto diverso e in virtù di un titolo negoziale diverso, che prevede condizioni del tutto diverse ”. Nello specifico la Corte giunge a tale conclusione mettendo in risalto le profonde differenze esistenti tra le vicende relative al rapporto di lavoro e quello previdenziale.
e) Gli orientamenti della giurisprudenza La questione relativa al diritto previsto dall'art. 12-bis l. 898/1970 in relazione all'accantonamento del TFR nel fondo pensione è stata affrontata più volte dalla giurisprudenza ma gli orientamenti non sono mai stati unanimi.
- la differente natura (previdenziale e non retributiva); - le diverse finalità (garantire un trattamento integrativo e non fornire un immediato vantaggio al lavoratore); - l'obbligo nei confronti del Fondo e non del lavoratore; - il fatto che quanto accantonato sul Fondo non potesse essere ritenuto una forma differita di pagamento della retribuzione (così la dottrina definisce il TFR), ma esclusivamente una pensione integrativa, che viene erogata - in forma di rendita o di capitale - e che costituisce solo una forma di risparmio.
La Corte di cassazione con la sentenza n. 20132/2025 ha aderito al primo orientamento. f) L'incidenza della prestazione di previdenza complementare sulla quantificazione dell'assegno divorzile Il mancato percepimento da parte dell'ex coniuge della quota del TFR versato dall'altro ex coniuge in un Fondo pensionistico non esclude, tuttavia, che il Giudice, valuti l'erogazione della pensione complementare come circostanza idonea ad incidere sul riequilibrio economico tra le parti e quindi a giustificare un aumento dell'assegno divorzile. I Giudici della Corte di Cassazione richiamano infatti l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui “nella determinazione dell'assegno divorzile, ed anche nella sua eventuale modifica, occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti grava l'obbligo di corresponsione dell'assegno, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio (Cass., sez. I, sent. 5 marzo 2014, n. 5132; Cass., sez. I, sent. 6 ottobre 2005, n. 19446; Cass. sez. I, sent. 28 gennaio 2004, n. 1487)”. Osservazioni La sentenza della Suprema Corte è certamente importante in quanto affronta, con chiarezza sistematica e ampia rassegna giurisprudenziale, una tematica molto attuale posto che accade di frequente che durante il matrimonio il coniuge destini integralmente il TFR maturato (o parte di esso) in un fondo di previdenza complementare. Tale determinazione ha ricadute significative e impattanti sul diritto alla quota del TFR previsto dall'art. 12-bis l. n. 898/1970 che di fatto viene escluso se il conferimento del TFR nel fondo è avvenuto prima del giudizio di divorzio. La Corte di Cassazione nel proprio ragionamento mette in risalto due concetti fondamentali: 1) la differenza tra il TFR e il fondo di Previdenza complementare: il primo ha natura retributiva differita, mentre una volta conferito in un fondo pensione, cambia natura, divenendo credito previdenziale soggetto a regole autonome. La Corte di cassazione ha ritenuto preferibile, sulla scorta delle motivazioni esplicitate, l'esegesi che ritiene prevalente la destinazione: la funzione della somma confluita nel fondo previdenziale o complementare è di tipo pensionistico e non retributivo. Le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare - quale che sia il soggetto tenuto alla erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli accantonamenti - non si computano, quindi, nel trattamento di fine rapporto, di talché la loro destinazione fa perdere loro natura retributiva e impedisce al coniuge destinatario di assegno di divorzio di vedere riconosciuto il diritto alla quota parte, in quanto non rientranti nel TFR. Il punto nodale del ragionamento fatto dalla Corte circa la decisione impugnata è che l'art. 12-bis, l. n. 898/1970, riconosce al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile la quota di TFR percepito alla cessazione del rapporto di lavoro. Mentre nel caso in cui il TFR sia conferito a un Fondo di previdenza complementare, la liquidazione avviene alla maturazione dei requisiti per la pensione. Per questo motivo, al TFR è stata riconosciuta natura retributiva, mentre se conferito nel Fondo e successivamente erogato dal lavoratore, avrebbe natura previdenziale. In quest'ultimo caso, la disciplina rientrerebbe nella previsione di cui all'art. 2123 c.c. quale forma di previdenza integrativa, e non nella previsione di cui all'art. 2120 c.c., al quale, in effetti, l'art. 12-bis, l. n. 898/1970, fa riferimento menzionando la nozione di “indennità di fine rapporto”. 2) il dato temporale: il diritto alla quota del TFR prevista dall'art. 12 l. 898/1970 spetta solo se l'indennità è percepita dopo la proposizione del giudizio di divorzio. Se il TFR è stato conferito in un fondo prima di detto giudizio, l'ex coniuge non ha più titolo a rivendicarne una quota. Dunque, ai fini del riconoscimento all'ex coniuge titolare di assegno divorzile della quota di TFR, risulta anche essere di fondamentale importanza il momento in cui viene instaurato il giudizio divorzile: il diritto alla quota TFR viene riconosciuto, infatti, solo se l'importo del TFR è ancora disponibile al momento della proposizione della domanda di divorzio. Nella vicenda in esame il versamento del TFR nel fondo pensionistico complementare era stato compiuto quando i coniugi erano ancora separati e anche il possibile effetto retroattivo delle statuizioni economiche conseguenti alla pronuncia di divorzio non avrebbero mai potuto riguardare il periodo antecedente alla relativa domanda. La decisione della Suprema Corte attribuisce al tempismo l'elemento cruciale e discriminante. Tutta la questione ruota infatti attorno a un unico spartiacque temporale: la data di proposizione della domanda di divorzio. Se il TFR viene versato in un fondo pensione prima della domanda di divorzio, l'operazione è considerata un legittimo atto di gestione del proprio risparmio previdenziale. L'ex coniuge non avrà diritto a nulla sulla somma trasferita. Questo principio crea ovviamente un enorme vantaggio per il coniuge che ha la possibilità di gestire il controllo del proprio TFR e quindi di “blindare” una parte significativa del patrimonio accumulato durante il matrimonio, rendendolo inattaccabile. Al momento della determinazione della quota spettante all'ex coniuge, la base di calcolo è costituita da importi sensibilmente inferiori alle aspettative dell'avente diritto, a seguito di eventuali anticipazioni e/o destinazioni delle somme alla previdenza complementare. Nonostante le prestazioni pensionistiche - che il coniuge tenuto a versare l'assegnazione divorzile riceverà grazie al TFR versato nel fondo complementare - potranno essere prese in considerazione ai fini della quantificazione ed eventuale revisione dell'assegno divorzile, è evidente che tale situazione rappresenti una “tutela” molto più debole e incerta rispetto a quella garantita dal riconoscimento del diritto alla quota del TFR exart. 12-bis l. 898/1970. |