Permanenza dello stato di disoccupazione e ripetibilità dei trattamenti di sostegno al reddito erogati dall’INPS
29 Settembre 2025
Massima La permanenza dello stato di disoccupazione, presupposto necessario della irripetibilità della prestazione di sostegno al reddito erogata dall’INPS in caso di disoccupazione involontaria, non è esclusa dalla sentenza di reintegrazione nel posto di lavoro e di condanna al pagamento delle retribuzioni maturate medio tempore, se definitivamente non eseguita. Solo la effettiva riattivazione del rapporto e la corresponsione delle retribuzioni determinano il venir meno dello stato di disoccupazione involontaria, legittimando la pretesa restitutoria dell’INPS. Il caso Alcuni lavoratori, percepita l'indennità di mobilità ai sensi dell'art. 7 della legge n. 223/1991, erano stati licenziati a seguito del fallimento della società datrice di lavoro. Successivamente, con sentenza passata in giudicato, è stata riconosciuta ex art. 2112 c.c. la continuità del rapporto di lavoro con altra società, che, dopo essersi resa cessionaria dell'azienda presso la quale prestavano attività i lavoratori interessati, aveva riattivato lo stabilimento. Anche tale cessionaria era poi fallita e i lavoratori erano stati licenziati collettivamente, beneficiando nuovamente dell'indennità di mobilità. L'INPS ha chiesto la restituzione delle somme erogate a titolo di indennità di mobilità e di disoccupazione, sostenendo che lo stato di disoccupazione dei lavoratori era venuto meno per effetto dell'accertamento giudiziale della permanenza dei rapporti di lavoro e della illegittimità dei licenziamenti, con effetto ex tunc, e consequenziale condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione dei lavoratori nel posto di lavoro. Uno dei lavoratori aveva agito in giudizio per l'accertamento dell'insussistenza del credito vantato dall'Inps a titolo di restituzione di quanto erogato per l'indennità di mobilità e il Tribunale aveva rigettato la domanda. Un gruppo di altri lavoratori si era visto accogliere analoga domanda da altro tribunale. Entrambe le sentenze erano sono state appellate. Riunite le impugnazioni, trattandosi di cause connesse, la corte territoriale ha accolto l'impugnazione del lavoratore rimasto soccombente e rigettato quella dell'INPS, negando quindi l'obbligo di restituzione delle somme percepite dai lavoratori. Avverso la pronuncia d'appello, l'Inps ha proposto ricorso affidato ad un motivo, con il quale ha dedotto la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt.7, comma12, l.n.223/1991 e 45, comma 3 r.d.l. n.1827/1935 convertito in legge n.1155/1936, vigenti ratione temporis, con riferimento agli artt.18 l. n. 300/70 e art. 2033 c.c. Con ordinanza interlocutoria Cass. n. 25399/2024, la Sezione lavoro ha rimesso gli atti alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, delineando la presenza di orientamenti di legittimità non uniformi sulla interpretazione da attribuire allo stato di disoccupazione ed alla sua cessazione in caso di sentenza di condanna alla reintegrazione rimasta ineseguita. Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, hanno rigettato il ricorso. La questione Una volta erogata dall’INPS a lavoratori in attuale stato di disoccupazione involontaria, l’indennità di mobilità ovvero altro trattamento di disoccupazione, tale erogazione è ripetibile dall’INPS nell’ipotesi in cui, pur accertata giudizialmente l’illegittimità del licenziamento con effetti ripristinatori del rapporto di lavoro ex tunc, la sentenza, anche per inerzia del lavoratore, non venga eseguita dal datore di lavoro, che non reintegra i lavoratori illegittimamente licenziati, né corrisponde loro le retribuzioni medio tempore maturate? Le soluzioni giuridiche
Le Sezioni Unite hanno prescelto l'indirizzo espresso dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui solo la effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro e la percezione delle retribuzioni maturate determinano il venir meno del permanere dello stato di disoccupazione involontario che giustifica l'erogazione della prestazione di sostegno al reddito. In particolare, tale orientamento ritiene essenziale, per far venir meno lo stato di disoccupazione involontaria, che la situazione di bisogno protetta dalla legge sia de facto venuta meno. L'opinione si è sviluppata nel corso del tempo in occasione della disamina di talune fattispecie in cui l'INPS aveva agito ai sensi dell'art. 2033 c.c., prospettando l'indebita percezione da parte del lavoratore della prestazione di sostegno al reddito erogata dall'Istituto al cessare, per fatti non riconducibili alla volontà del dipendente, dell'attività di lavoro e quindi della retribuzione. Si è trattato di fattispecie non del tutto coincidenti, in occasione delle quali la giurisprudenza di legittimità si è espressa con varie sfumature argomentative. Si annoverano nell'alveo in esame, Cass. n. 9418/2007, Cass. n. 28295/2019, Cass. n. 17793/2020, Cass. n. 24950/2021, Cass. n. 22850/2022; Cass. n. 30553/2022, Cass. n. 848/2024. In particolare, Cass. n. 9418/2007 ha esaminato una fattispecie di positivo espletamento dell'azione di reintegra nel posto di lavoro, seguita da fallimento della datrice di lavoro. È stata ritenuta ripetibile l'indennità di disoccupazione erogata alla lavoratrice in quanto, pur non essendo sufficiente l'accertamento giudiziale della illegittimità del licenziamento a far venir meno lo stato di disoccupazione, si è ritenuto necessario accertare che la lavoratrice licenziata avesse avuto la concreta possibilità di realizzare gli effetti di tale sentenza. Nel caso di specie, la lavoratrice non aveva sfruttato la possibilità di far eseguire la sentenza, né l'inerzia della lavoratrice poteva farsi ricadere sull'INPS, né si potevano invocare le situazioni di impedimento definitivo che sì erano solo successivamente verificate. Dunque, la ripetibilità è stata fatta discendere dall'accertamento in fatto dell'inerzia colposa del lavoratore nel pretendere l'esecuzione dell'obbligo datoriale, qualora ciò sia possibile nell'arco temporale rilevante in cui la prestazione è stata erogata. In sostanza l'attribuzione patrimoniale è divenuta indebita perché lo stato di privazione del reddito, causa dell'attribuzione della prestazione, è stato mantenuto dalla lavoratrice non involontariamente. La soluzione è stata resa, senza intaccare la ratio delle prestazioni sostitutive del reddito o la nozione di disoccupazione involontaria coperta dal trattamento, facendo applicazione dei principi regolatori dell'azione di indebito oggettivo, secondo i quali incombe sul solvens l'onere di dimostrare i fatti costitutivi del preteso diritto alla restituzione di quanto prestato, vale a dire l'avvenuto pagamento e la originaria o sopravvenuta mancanza del titolo giuridico idoneo a giustificare la solutio ( vd. Cass. n. 30713/2018; Cass. n. 1557/1998, Cass.n. 1557/1998). In coerenza con la dottrina in tema di azione di ripetizione fondata sull'inesistenza di una valida causa dell'attribuzione patrimoniale eseguita dal solvens a favore dell'accipiens (Sacco, La presunzione di buona fede, in Riv. Dir. Civ., 1959, I, 255, nota 98; Moscati, voce «Indebito (pagamento dell')», cit., 85-86; Id., Pagamento dell'indebito, artt. 2033-2040, in Commentario del cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Libro IV, Obbligazioni (artt. 2028-2042), Bologna-Roma, 1981, 61-580; Breccia, La ripetizione dell'indebito, Milano, 1974, 400; Torrente-P. Schlesinger, Manuale del diritto privato, 1994, 623; Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, 34ª ed., Padova, 1998, 697). Nel caso di specie, l'onere probatorio gravante sull'INPS era stato soddisfatto, mentre la lavoratrice, rimasta inerte rispetto alla concreta possibilità di ottenere l'adempimento del dovuto dal datore d lavoro, non aveva opposto valide eccezioni. L'affermazione che la mera pronuncia di reintegrazione non è sufficiente a far venir meno lo stato di disoccupazione non è decisiva, assumendo la valenza di obiter dictum. È con Cass. n. 28295/2019 che si effettua l'effettiva svolta verso una interpretazione dei presupposti dell'azione di ripetizione dell'indebito che si intreccia con la nozione strutturale di permanenza dello stato di disoccupazione involontaria. La Corte di legittimità, in questo caso, ha esaminato una fattispecie in cui era stata dichiarata nulla la clausola di apposizione del termine ad un rapporto di lavoro, con conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e conseguente prosecuzione del medesimo senza soluzione di continuità, con condanna della datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni dalla data della costituzione in mora. Successivamente, il lavoratore aveva stipulato una transazione con la società già datrice di lavoro nella quale, a fronte della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in pari data, la società si impegnava a regolarizzare la sua posizione previdenziale ed a pagare una somma a definizione della controversia. Una volta intervenuta la regolarizzazione contributiva per l'intero periodo lavorativo, l'INPS aveva contestato l'indebito di quanto percepito a titolo di indennità di disoccupazione nel periodo intercorrente tra la scadenza del termine e l'accertamento della nullità dello stesso. La Corte, in questo caso, ha affermato che non può ritenersi idonea ad escludere l'indennità di disoccupazione la mera ricostituzione de iure del rapporto, sia pure con sentenza esecutiva, essendo necessario per garantire l'effettività della tutela che a detta reintegra sia data effettiva attuazione, con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege. Si è affermato che «[...] L'impugnazione giudiziale della legittimità del recesso datoriale costituisce un diritto, ma non un obbligo del lavoratore, […] l'intervenuta disoccupazione involontaria deve valutarsi alla stregua e al momento dell'atto risolutivo». In dichiarato dissenso rispetto agli arresti n. 9109 e 9418 del 2007, si è affermata la irrilevanza di un'eventuale inerzia del lavoratore nel portare ad esecuzione una sentenza favorevole, non richiesta esplicitamente dalla legge per configurare l'evento protetto. Neppure sarebbe conferente il richiamo all'art. 1227 c.c., che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si discute del fatto genetico d'una prestazione prevista per legge. Del tutto sovrapponibile, in quanto relativo alla medesima fattispecie originaria, è il contenuto di Cass. n. 17793/2020. Con Cass. n. 24950/2021, si è, in sintesi, affermato che «[…] elemento ostativo alla percezione dell'indennità di disoccupazione è da ravvisarsi nell'effettiva ricostituzione del rapporto, nei suoi aspetti giuridici ed economici, in conformità alla ratio dell'istituto. In sostanza essa va restituita se nel medesimo periodo il lavoratore ha percepito la retribuzione». Confermando l'orientamento in esame, la decisione ha disatteso la tesi sostenuta dall'Inps, che, a conferma della sufficienza della ricostituzione de iure del rapporto di lavoro, aveva invocato la giurisprudenza di legittimità (Cass nn. 21439/2021 e Cass. n. 552/2021) secondo cui "nell'ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo le somme medio tempore percepite dal lavoratore a titolo di trattamento previdenziale (pensione, indennità di mobilità o trattamento CICS) si sottraggono alla regola della compensatio lucro cum damno e quindi non vanno sottratte dal risarcimento danni conseguente all'annullamento commisurato alle retribuzioni perdute in quanto tali somme perdono il loro titolo giustificativo con l'annullamento del licenziamento e devono pertanto essere restituite su richiesta all'ente previdenziale", in ragione dell'autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello esistente tra lavoratore e datore di lavoro e del fatto che il diritto al trattamento di disoccupazione discende dal verificarsi dei requisiti stabiliti dalla legge. Ancora, Cass. n. 22850/2022, trattando una ipotesi di ripetizione di anticipazione dell'indennità di mobilità azionata quando il lavoratore, seppure vittorioso nel giudizio di impugnazione del licenziamento e parte attiva nell'esecuzione della sentenza, non era mai stato reintegrato né aveva percepito le relative retribuzioni, ha confermato che la causa dell'attribuzione non era venuta meno, con conseguente irripetibilità della prestazione sostitutiva del reddito, perché la privazione del medesimo reddito era rimasta inalterata per ragioni non volute dal lavoratore. Nel medesimo senso, si sono espresse anche Cass. n. 30553/2022, nonché Cass. n. 848/2024. Per l'altro orientamento, in ragione del quale si è formato il contrasto (Cass. n.11994/2024; Cass. n. 31344/2024; Cass.n.2716/2012; Cass. n. 18353/2014; Cass. n. 7794/2017), l'indennità di mobilità corrisposta durante il periodo in cui è intervenuta sentenza che accerta ex tunc la continuità del rapporto di lavoro, configura a tutti gli effetti un indebito previdenziale, ripetibile - ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. - entro il limite temporale della prescrizione. È stato richiamato il principio, secondo il quale nell'ipotesi di nullità della cessione di azienda o di ramo di essa, le somme percepite dal lavoratore a titolo d'indennità di mobilità non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente, indipendentemente dalla qualificazione - risarcitoria o retributiva - del trattamento economico dovuto al lavoratore illegittimamente trasferito, poiché l'indennità opera su un piano diverso rispetto agli incrementi patrimoniali derivanti al lavoratore dall'essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall'obbligo di prestare la sua attività, dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile nei limiti di legge (fra le altre, Cass. n. 24645/2023 ed ivi ulteriori precedenti). Si è ribadito che il diritto al beneficio previdenziale, lungi dal costituire una conseguenza della liberazione delle energie lavorative mediante l'illegittimo recesso dal rapporto di lavoro, scaturisce dalla scelta, a monte del sistema di sicurezza sociale, rivolta ad assicurare misure sostitutive del reddito in favore del lavoratore privato della retribuzione e tale logica permea la ripetibilità dell'indennità di mobilità nel caso di rifiuto della prestazione da parte del datore di lavoro, giudizialmente dichiarato tale, onerato della controprestazione retributiva sia che la prestazione lavorativa sia effettivamente eseguita, sia nel caso di rifiuto di effettiva utilizzazione delle energie lavorative messe a disposizione dal lavoratore. Secondo Cass. n. 854/2024, la sentenza che accerta l'illegittimità del licenziamento determina il venir meno della disoccupazione e quindi la natura indebita delle somme inizialmente dovute (c.d. condictio ob causam finitam), ribadendo (Cass. n. 22850 del 2022), che lo stato di involontaria disoccupazione sussiste o meno per il sol fatto che sia stato ricostituito o meno il rapporto di lavoro, mentre è irrilevante l'ammontare dell'indennità risarcitoria che, in ipotesi, non copra l'intero periodo. Si è esclusa alcuna contrarietà rispetto all'art.38 Cost., poiché la lamentata perdita di provvidenza economica attiene non al rapporto previdenziale – insensibile come detto al quantum dell'indennità risarcitoria e dipendente solo dalla sussistenza o meno della disoccupazione, la quale non può essere solo in parte, nei limiti in cui l'indennità risarcitoria sia risultata inferiore al montante delle retribuzioni perse – ma, attiene al rapporto di lavoro, proprio con riguardo al fatto che la tutela compensativa non è stata voluta dal legislatore in forma piena ma solo attenuata.
Il percorso logico seguito dalle Sezioni Unite con la sentenza in commento si incentra sul rilievo attribuito all'art. 38 Cost., secondo comma, che tutela i lavoratori in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, eventi che li privano dei mezzi di sostentamento adeguati alle proprie esigenze di vita. La decisione, accolta la prospettiva unificante delle diverse misure di sostegno al reddito in conseguenza dell'intervenuta disoNASPI die, ricondotte al più ampio genus degli ammortizzatori sociali contro lo stato di bisogno dovuto alla disoccupazione succedutisi nel tempo (legge n.223/1991, art 7 co.8, sovrapposto al preesistente trattamento per la disoccupazione involontaria, sostituito dall'ASPI ex lege n. 92/2012 e successivamente della NASPI di cui alla l. n. 22/2015), ha posto al centro del ragionamento la centralità del principio di solidarietà sociale che informa il sistema normativo di previdenza ed assistenza e ne direziona l'operatività, concludendo che la finalità da realizzare è quella della garanzia effettiva di misure economiche adeguate in situazioni oggettive di bisogno. L'indennità di mobilità, peraltro, deve fornire, per il tempo della disoccupazione involontaria, mezzi di adeguato sostentamento e l'art. 3 del r.d. n. 1827 del 1935, dichiara espressamente che l'assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l'assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro. Tali principi inducono a ritenere che il requisito della disoccupazione involontaria debba essere inteso quale condizione di fatto priva di ulteriori connotazioni, e soltanto caratterizzata dalla situazione di bisogno cui apprestare rimedio in quanto il lavoratore privato della possibilità di svolgere la prestazione di lavoro è, di conseguenza, privato della retribuzione. A ciò consegue che, ai fini della erogazione della indennità di mobilità/disoccupazione, (come anche della Naspi), è più corretto considerare la situazione de facto che, determinata dalla decisione giudiziale di reintegrazione, sia poi seguita dalla sua effettiva ottemperanza ed invece ritenere non rispondente ai principi costituzionali di solidarietà e sostegno la considerazione della situazione de iure, non potendo, quest'ultima, assicurare il concreto ripristino funzionale del rapporto di lavoro, ben potendo, il datore di lavoro, lasciare insoddisfatto l'ordine giudiziale. La giurisprudenza costituzionale, ad avviso delle Sezioni Unite, conferma tale impostazione, come emerge dalle pronunce relative alla Naspi (Corte Cost. n.90/2024 e Corte Cost. n. 194/2021). Il Giudice delle leggi ha infatti ritenuto la disposizione non rispondente ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 4 Cost. in quanto l'obbligo restitutorio doveva essere proporzionato alla durata del rapporto di lavoro coperto da Naspi, poiché solo per esso l'indennità risultava priva di causa e quindi indebita. Il Giudice delle leggi ha quindi, con sguardo diretto alla effettività della tutela, ritenuto illegittimamente percepita solo la somma che, sovrapponendosi alla retribuzione percepita per il rapporto di lavoro subordinato instaurato, determinava un effettivo indebito, non avendo, in tale circostanza, il lavoratore, necessità di sostegno, in quanto occupato. Per il precedente periodo, diversamente, l'indennità era dovuta e non poteva essere oggetto di restituzione all'Inps. L'attenzione al dato concreto del bisogno di sostegno, continua la sentenza in commento, è stata peraltro esplicitata nell'intero assetto normativo contenuto nella legge n. 223/1991, allorché, nell'art. 8 commi 6 e 7, è stata prevista la conservazione dell'iscrizione nelle liste di mobilità, con sospensione dell'indennità di mobilità, in caso in cui il lavoratore accetti un lavoro subordinato a tempo parziale o determinato. Dunque, la presenza di una occupazione temporanea accompagnata dalla relativa retribuzione non determina il venir meno dell'intera situazione di assoggettamento del lavoratore alla tutela, in quanto, l'erogazione dell'indennità è sospesa per il solo tempo della temporanea occupazione, restando operativa per il successivo stato di cessazione del rapporto di lavoro. L'opzione interpretativa adottata non è smentita dalla presenza di altre tutele che l'ordinamento appresta per i casi di insolvenza del datore di lavoro, quale ad esempio il Fondo di garanzia di cui al d.lgs n.80/1992, istituito presso l'Inps in caso di datore di lavoro assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa amministrazione straordinaria…), perché si tratta di procedure onerose per il lavoratore (preventiva aggressione dei beni, accertata incapienza ed alle quali può sostituirsi con surroga e con insinuazione nel fallimento, anche l'ente previdenziale al fine di recuperare, in parte, quanto erogato) che operano con una logica differente, di tutela del credito (peraltro in forma parziale solo con il possibile riconoscimento di tre mensilità). Quanto poi al comportamento richiesto al lavoratore in circostanze quali quelle in esame, (questione posta nell'ordinanza interlocutoria), è stata richiamata, condividendola, la statuizione sul punto assunta dal Cass. n. 28295/2019 secondo cui “neppure rileva in senso ostativo alla percezione dell'indennità in discussione un'eventuale inerzia del lavoratore nel portare ad esecuzione una sentenza favorevole. Difetta allo scopo un'esplicita previsione di legge tale da escludere in tale ipotesi la ricorrenza dell'evento protetto, né sarebbe conferente il richiamo all'art. 1227 c.c., che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si discute del fatto genetico d'una prestazione assistenziale prevista per legge. Non vi è luogo, dunque, ad indagare (con tutte le difficoltà che ciò comporterebbe) circa le ragioni e l'imputabilità o meno di tale eventuale inerzia, collegate anche ad una sempre difficile prognosi circa l'esito positivo delle necessarie iniziative, giudiziali e stragiudiziali. Osservazioni In tema di presupposti di legittimità dell'azione, proposta dall'INPS, al fine della ripetizione delle misure di sostegno al reddito derivanti da disoccupazione involontaria, le decisioni relative ad entrambi gli orientamenti di legittimità convergono nel ritenere che le indennità a sostegno del reddito derivanti dalla disoccupazione involontaria operano su piani diversi rispetto agli incrementi patrimoniali derivanti al lavoratore dall'essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall'obbligo di prestare la sua attività, dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile nei limiti di legge (Cass. n. 11994/2024; Cass. n. 24645/2023; Cass. n. 23306/2019; Cass. 28295/2019). In particolare, è stata ripetutamente condivisa la tesi che la domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione "non presuppone neppure la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo", mentre "l'effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dell'atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento". Cass. n. 5850/1998, aveva affermato che la domanda presentata dai lavoratori licenziati per ottenere lo speciale trattamento previsto non presuppone neppure la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo (Cass. 27 giugno 1980 n. 4040); l'effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dall'atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento., Cass. n. 4040/1980). Solo "una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione" le indennità di disoccupazione "potranno e dovranno essere chieste in restituzione dall'Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti", così non potendo, peraltro, le stesse "essere detratte dalle somme cui il datore di lavoro è stato condannato ai sensi della l. n. 300/1970, art. 18" (v. Cass n. 6265/2000, Cass. n. 3904/2002, Cass. n. 9109/2007, Cass. n. 9418/2007). Il punto di divaricazione tra le diverse tesi attiene alla individuazione delle condizioni richieste per la cessazione dello stato di disoccupazione che funge da presupposto della erogazione della prestazione previdenziale. L'orientamento prescelto dalle Sezioni Unite, infatti, non ha disconosciuto l'assetto appena descritto, ha però condiviso l'ulteriore assunto, esplicitato in termini inequivoci da Cass. n. 28295/2019, che, pur affermando di voler dare continuità alla giurisprudenza precedente sui punti sopra indicati, ha ritenuto che non può ritenersi idonea ad escludere l'indennità di disoccupazione la mera ricostituzione de iure del rapporto, sia pure con sentenza esecutiva, essendo necessario per garantire l'effettività della tutela che a detta reintegra sia data concreta attuazione, con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege. In coerenza con tali premesse, ha esplicitato dissenso rispetto alla soluzione adottata da Cass. n. 9109/2007 e Cass. 9418/2007, in cui era stata esclusa la spettanza dell'indennità speciale di disoccupazione prevista dalla l. n. 1115/1968 per alcuni lavoratori che avevano ottenuto la declaratoria d' invalidità del licenziamento e l'ordine di reintegra ex art. 18 della l. n. 300/1970, neppure rilevando in senso ostativo alla percezione dell'indennità in discussione, un'eventuale inerzia del lavoratore nel portare ad esecuzione una sentenza favorevole. Difetta allo scopo, secondo Cass. n. 28295/2019, condivisa dalle Sezioni Unite, un'esplicita previsione di legge tale da escludere in tale ipotesi la ricorrenza dell'evento protetto, né sarebbe conferente il richiamo all'art. 1227 c.c., che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si discute del fatto genetico d'una prestazione assistenziale prevista per legge. Non sarebbe legittimo, dunque, indagare (con tutte le difficoltà che ciò comporterebbe) circa le ragioni e l'imputabilità o meno di tale eventuale inerzia, collegate anche ad una sempre difficile prognosi circa l'esito positivo delle necessarie iniziative, giudiziali e stragiudiziali. Le Sezioni Unite, in definitiva, hanno affermato che la ripetibilità della prestazione a sostegno del reddito da parte dell'INPS, postulando il venir meno dello stato di disoccupazione involontaria, risulta condizionata dall'effettiva riattivazione del rapporto lavorativo illegittimamente cessato e dall'effettiva percezione da parte del lavoratore delle retribuzioni maturate nel frattempo. Non fa venir meno il presupposto della disoccupazione involontaria la sola pronuncia giudiziaria di accoglimento della domanda di ripristino del rapporto di lavoro, se alla stessa non segue l'effettiva esecuzione oppure il soddisfacimento dell'obbligo retributivo alla pronuncia correlato, a prescindere dalla idoneità della condotta del lavoratore finalizzata a rendere effettiva la pronuncia. La decisione, per quanto chiara nel prendere posizione sulla questione sollevata, non contiene indicazioni circa le ineliminabili conseguenze dell'opzione prescelta, per cui pare opportuno sviluppare in profondità il percorso logico seguito per saggiarne l'impatto sul quadro applicativo di sistema preesistente. In primo luogo, occorre dare contenuti giuridicamente rilevanti alla definizione di ricostituzione de facto del rapporto di lavoro, dopo il licenziamento. Di certo non può infatti ritenersi che la definizione possa esaurire la propria funzione in prospettiva puramente naturalistica e materiale, perché si tratta necessariamente di impostare una definizione giuridicamente rilevante. La prima conseguenza della decisione, infatti, è quella di innovare, come fonte di diritto vivente, sulla nozione di “disoccupazione involontaria”, seppure in relazione ad una fattispecie di ripetizione d'indebito. Non sfugge infatti, che le Sezioni Unite hanno affermato che lo stato di disoccupazione involontaria non cessa; dunque, non viene meno la causa dell'attribuzione di sostegno al reddito, se in concreto il rapporto di lavoro non è stato effettivamente ripristinato, dunque, la decisione impone una meditazione più ampia rispetto all'angolo visuale della concreta fattispecie di ripetizione d'indebito che ha originato la decisione. Si esamineranno, in primo luogo, le ricadute della pronuncia nel quadro del rapporto intercorrente tra INPS e lavoratore rimasto privo di lavoro non per propria volontà, che l'azione di ripetizione presuppone, anche rispetto ad altre forme di copertura del rischio della perdita del credito contributivo, in primis quella prestata dal Fondo di garanzia ex d.lgs. n. 80/1992, posto che occorre individuare la linea di demarcazione tra le due prestazioni. Separatamente, si valuterà il verosimile impatto della decisione sul versante delle interferenze sul rapporto lavorativo, intercorrente cioè tra datore di lavoro e lavoratore a seguito della pronuncia di reintegrazione nel posto di lavoro. Con l'interpretazione adottata, viene introdotta, nella struttura della fattispecie astratta di indebito oggettivo su prestazione previdenziale non pensionistica, regolata dall'art. 2033 c.c., la positiva condizione del realizzarsi della effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro e della percezione della retribuzione dopo la sentenza di reintegrazione nel posto di lavoro. Tale scelta comporta la dilatazione della nozione di disoccupazione involontaria, ai fini della disciplina della ripetibilità degli ammortizzatori sociali, dal momento che si ritiene permanente tale stato anche laddove il rapporto di lavoro inciso dal licenziamento venga ripristinato con sentenza definitiva, qualora la stessa resti ineseguita anche per l'inerzia del lavoratore. Se ciò che rileva è “il fatto” oggettivo del permanere della mancata percezione della retribuzione, a nulla rilevando che “in diritto” sia stata riconosciuta l'illegittimità del licenziamento, rimane irrilevante l'inerzia del lavoratore. La efficacia della tutela giudiziale, nonostante la sua esecutività, non ha peso sulla nozione di disoccupazione involontaria, che rimane tale anche in presenza di un valido rapporto di lavoro e di una obbligazione retributiva pienamente azionabile dal creditore. Le Sezioni Unite, dunque, in nome dell'effettività della protezione sociale garantita a chi rimane non per sua colpa privo di occupazione, blinda tout court tale iniziale condizione. La presa di posizione non si confronta, per dimostrare la compatibilità della nozione accolta con il sistema al cui interno è destinata a operare, con la nozione normativa di “stato di disoccupazione”. In particolare, è noto che l'effetto della perdita involontaria del lavoro è individuato mediante il rinvio operato dall'art. 19 d.lgs. n. 150 del 2015 all'abrogato art. 1 d.lgs. n. 181/2000. Gli sforzi interpretativi sono stati orientati all'ampliamento della nozione di involontarietà della perdita del lavoro (a partire da Corte Cost. n. 269/2002), con attenzione rivolta al fatto costitutivo originario determinato da dimissioni non attribuibili alla libera scelta del lavoratore, ma indotte soprattutto da comportamenti del datore di lavoro. La tesi abbracciata dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento, posto l'accento sul diverso problema della incidenza della condotta del datore di lavoro dopo la ricostituzione de iure del rapporto di lavoro, avrebbe dovuto affrontare il tema della condizionalità prevista dalla normativa perché il presupposto fattuale della cessazione del rapporto legittimi l'erogazione della prestazione. Si tratta, come è noto, degli obblighi di dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva concordate con il Centro per l'impiego. Ora, se è vero che lo stato di disoccupazione rilevante ai fini dell'ottenimento della prestazione non equivale alla totale mancanza di attività lavorativa (vd. Cass. n. 20027/2018), lo stesso non può di certo affermarsi in ipotesi di situazione giuridica di piena riattivazione del rapporto di lavoro, per di più ritenendo irrilevante il comportamento inerte del lavoratore al fine di ottenere l'effettiva esecuzione della sentenza di reintegrazione. Il lavoratore disoccupato, secondo le previsioni del d.lgs. n. 150/2015, dopo aver sottoscritto un patto di servizio personalizzato, viene indirizzato alla frequenza di iniziative formative o di rafforzamento delle competenze ed assume l'obbligo di accettare le offerte di lavoro congrue. Si tratta di attività pubbliche che comportano spese e che si rivolgono a tutti i soggetti disoccupati. Se, tra questi, però, vi sono soggetti che per mera inerzia non curano l'esecuzione della sentenza che ha accertato la persistenza del rapporto di lavoro interrotto dal licenziamento, aumentando il numero degli aspiranti occupati, si potrebbe creare una oggettiva limitazione delle offerte di lavoro in favore di chi si trova in una situazione di disoccupazione de facto e anche de iure. Le risorse pubbliche non sono illimitate, né tanto meno, lo sono le offerte di lavoro. Viene tralasciata, senza neanche considerarla, l'altra via di tutela che la giurisprudenza ha ripetutamente battuto per attenuare il rigore del meccanismo restitutorio generale, costituita dai limiti alla ripetibilità delle prestazioni pubbliche non pensionistiche divenute indebite, laddove le stesse interferiscano con bisogni essenziali della persona. Nel presupposto dell'obbligo generale di restituzione, a fronte della caducazione della causa di attribuzione della prestazione, l'attenzione si è concentrata sulla individuazione di possibili effetti contrastanti con principi costituzionali o sovranazionali, posti a tutela di diritti da bilanciare con la pretesa restitutoria dell'INPS, considerando l'atteggiamento soggettivo del fruitore della prestazione. Corte cost., n. 8 del 27/01/2023, ad esempio, ha ricordato che è stato lo stesso legislatore a disciplinare l'irripetibilità nei casi di prestazioni previdenziali, pensionistiche e assicurative, con la sola eccezione dell'ipotesi in cui l'accipiens fosse consapevole di percepire un indebito e, dunque, fosse in uno stato soggettivo di dolo (art. 52, comma 2, della l. 9 marzo 1989, n. 88, come modificato dall'art. 13 della L. 30 dicembre 1991, n. 412, nonché l'art. 55, comma 5, l. n. 88/1989, che estende la disciplina alle prestazioni non dovute erogate dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - INAIL - in caso di infortuni sul lavoro e malattie professionali). La Corte Costituzionale ha rilevato che, in tali casi, non è richiesta alcuna prova dell'affidamento, sicché quest'ultimo, più che rilevare quale interesse protetto, si configura - unitamente al rilievo costituzionale riconosciuto, ai sensi dell'art. 38 Cost., al tipo di prestazioni erogate - quale ratio ispiratrice di fondo della disciplina, che si connota in termini di previsione eccezionale, frutto di una valutazione che la stessa Corte Costituzionale ha più volte ritenuto rimessa alla discrezionalità del legislatore (Corte cost., sent. n. 148/2017 e Corte cost. n. 431/1993). La giurisprudenza costituzionale, pur ribadendo tale discrezionalità, non ha mancato di rilevare, in specifiche ipotesi, i limiti del meccanismo restitutorio nell'ipotesi del venir meno della causa dell'attribuzione. Proprio Corte costituzionale n. 90/2024, che richiama Corte Cost. n. 8/2023, entrambe chiamate a supporto dalle Sezioni Unite in commento, a conferma dell'affermazione della centralità dell'effettività della tutela del reddito in ragione della disoccupazione involontaria, più che a tale amplissimo e generale principio, ha guardato alla disciplina della ripetizione e non a quella della disoccupazione per risolvere il dubbio di costituzionalità esaminato. Così, Corte cost. n. 90/2024 ha puntato sul necessario rispetto della clausola generale di cui all'art. 1175 c.c., che impone alle parti del rapporto obbligatorio di comportarsi secondo correttezza, per affermare la immanenza di un vincolo per il creditore a esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione, in rapporto alle circostanze concrete, la sfera di interessi che fa riferimento al debitore. Per tale ragione, ha ravvisato la lesione dei parametri costituzionali di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all'art. 3 Cost. e all'art. 4, primo comma, Cost., laddove l'obbligo restitutorio integrale dell'anticipazione dell'indennità di mobilità, quando la prosecuzione dell'attività di impresa sia divenuta impossibile o di oggettiva insuperabile difficoltà, per causa sopravvenuta non imputabile al lavoratore, finisce con il violare anche il diritto al lavoro, dal momento che ai percettori dell'indennità anticipata, che senza colpa abbiano rinunciato a proseguire l'attività imprenditoriale, è sostanzialmente preclusa la possibilità di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il successivo periodo in cui sarebbe dovuta la NASpI. Il rigore della regola di restituzione integrale con riferimento alla fattispecie generale è stato così temperato da una clausola di flessibilità che tiene conto delle ipotesi particolari. Sempre sul versante del rapporto previdenziale, seppure le Sezioni Unite abbiano negato in radice, senza però affrontare la questione delle reciproche relazioni, la rilevanza della questione, va approfondito il tema della distinzione tra la copertura offerta dai trattamenti di disoccupazione involontaria, che si connettono al bisogno di supplire al venir meno del reddito a causa della cessazione del rapporto di lavoro, e le prestazioni offerte dal Fondo di garanzia per l'ipotesi di inadempimento del datore di lavoro per le ultime tre mensilità ex d.lgs. n. 80 del 1992. La concreta fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite, come pure la maggior parte di quelle relative ai precedenti sopra indicati, è riconducibile ad ipotesi in cui la riattivazione del rapporto di lavoro era rimasta ineseguita a causa della soggezione delle imprese datrici di lavoro a procedure concorsuali, con sussistenza pacifica dello stato di insolvenza del datore di lavoro. Da ciò discende l'ulteriore aspetto sul quale occorre interrogarsi in maniera sistematica: quello della interferenza del principio ora affermato dalle Sezioni Unite sul sistema della gestione pubblica di tutela dei crediti di lavoro a seguito dell'insolvenza del datore di lavoro, pure affidato all'INPS attraverso il Fondo di garanzia, alimentato da contributi a carico dei soli datori di lavoro (art. 2, comma 8, l. n. 297 del 1982). In effetti, le aspettative retributive dei lavoratori avrebbero comunque trovato tutela nel sistema della previdenza pubblica, come dimostra la stessa giurisprudenza di legittimità. Si veda Cass. n. 8523/2023, secondo cui, in caso di licenziamento del lavoratore, con atto dichiarato giudizialmente inefficace con sentenza reintegratoria intervenuta successivamente all'apertura del fallimento del datore, le ultime mensilità retributive oggetto di intervento del Fondo di garanzia dell'INPS, ex art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 80/1992, vanno individuate tra quelle cui il lavoratore ha diritto per effetto del ripristino giudiziale "de jure" del rapporto, non essendo a ciò di ostacolo né la ricomprensione delle dette mensilità nell'indennità risarcitoria da licenziamento illegittimo, né il mancato svolgimento fattuale del rapporto a causa del fallimento del datore. Paralizzando l'azione di ripetizione degli importi ricevuti dall'INPS a titolo di indennità sostitutive del reddito al momento del licenziamento, si assegna loro in sostanza la diversa finalità di garantire il lavoratore dall'inadempimento del datore di lavoro insolvente. Si potrebbero porre le basi per eludere l'articolato sistema normativo che disciplina l'accesso al Fondo di garanzia di cui al d.lgs. n. 80 del 1992, di matrice euro unitaria, caratterizzato da procedimenti imperativi e decadenze. Inoltre, ai sensi del comma 6 dell'art. 2, il Fondo è surrogato di diritto al lavoratore o ai suoi aventi causa nel privilegio spettante sul patrimonio dei datori di lavoro ai sensi degli articoli 2751-bis e 2776 del Codice civile per le somme da esso pagate. Uno sviamento funzionale delle misure di sostegno al reddito, con virata palese verso forme di garanzia del pagamento di retribuzioni non corrisposte da datori di lavoro insolventi, espone il sistema al rischio di generare forme occulte di interventi statali sostitutivi dell'obbligo del datore di lavoro, debitore originario ed effettivo, che devono tener conto della disciplina degli aiuti di Stato. Secondo quanto indicato dall'art. 107 TFUE, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza della CGUE (vd. ad es. Sez. II, Sent., 29/07/2019, n. 659/17), la nozione di aiuto di Stato è integrata da quelle misure che implicano un trasferimento di risorse statali, intese nel senso ampio di strumenti finanziari selettivi, in favore, cioè, di precise realtà imprenditoriali, che siano nella disponibilità delle autorità pubbliche per essere destinate a sostenere le imprese (incluse le risorse di autorità nazionali, regionali o locali ecc.) e devono essere imputabili allo Stato nel senso di costituire un onere per lo Stato o per organismi (anche privati) da questo designati o creati allo scopo. Anche le ricadute sulla ricostituzione de jure del rapporto di lavoro per effetto della sentenza di reintegrazione ex art. 18 l. n. 300/1970 vengono lambite dalla decisione. Il punto critico è quello del cd. aliunde perceptum, costituito dalla percezione del trattamento sostitutivo del reddito da detrarre dall'importo (risarcitorio o retributivo che dir si voglia) conseguente alla ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro ad opera della sentenza che dichiara illegittimo il licenziamento. Nell'interpretazione non prescelta dalle Sezioni Unite, la mera pronuncia di ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro, frutto del positivo esito dell'azione giudiziaria del lavoratore, inevitabilmente comporta il venir meno dello stato di disoccupazione involontaria e assoggetta il lavoratore all'obbligo di restituzione del trattamento (Cass. n. 6265/2000; Cass. n. 3904/2002; Cass. n. 3597/2011). Tale impostazione facilita la soluzione della questione mediante l'esclusione della incidenza degli importi ricevuti a titolo di ammortizzatore sociale sul risarcimento o indennizzo dovuto e su tale punto la giurisprudenza si è mostrata sufficientemente compatta, nascendo la soluzione dal principio di autonomia tra rapporto previdenziale e rapporto di lavoro e sul carattere non definitivo dell'attribuzione dell'indennità di disoccupazione. È legittimo immaginare che su queste problematiche si concentreranno le difese datoriali, per cui il giudice, accertata l'illegittimità del licenziamento, dovrà provvedere a determinare l'indennità consequenziale tenendo conto che l'importo percepito dall'INPS a titolo di ammortizzatore sociale non dovrà essere necessariamente restituito. Di contro, dovrebbe operare pienamente il principio della compensatio lucri cum damno, essendo consolidato il principio secondo cui la c.d. "compensatio lucri cum damno" opera, nell'ambito della struttura dell'illecito (anche) contrattuale, sul piano della causalità giuridica, come strumento di selezione delle conseguenze dannose dell'illecito, determinando la compensazione dei vantaggi e dei danni derivanti dal medesimo fatto illecito, stante la funzione eminentemente compensativa della responsabilità civile, basata sulla c.d. teoria differenziale, in virtù della quale il danno risarcibile deve essere quantificato in ragione della differenza tra l'entità del patrimonio attuale del danneggiato e la consistenza che esso avrebbe avuto in mancanza dell'illecito (Cass. sez. 3, n. 23123/2023 (Rv. 668609 - 01) Altro aspetto critico è dato dall'eventualità in cui il datore di lavoro, disponga la reintegra del lavoratore licenziato e corrisponda solo una parte della retribuzione. Come si regolerà l'obbligo di restituzione all'INPS? In definitiva, nonostante l'apparente linearità del ragionamento giustificativo prescelto con la dichiarata finalità di rafforzare la posizione del fruitore dell'ammortizzatore sociale, è lecito ritenere che anche ai fini del risarcimento del danno determinato dal licenziamento illegittimo, il nuovo quadro potrebbe non favorire la posizione del lavoratore. E' verosimile che il risultato, pienamente legittimo, di attenuazione del rigore del meccanismo restitutorio delineato dall'art. 2033 c.c., si sarebbe raggiunto in modo più efficace e coerente con la ratio degli istituti interessati, senza dilatare la nozione di disoccupazione ricomprendendovi situazioni radicalmente diverse, operando all'interno dell'azione di ripetizione, saggiando la possibilità di percorrere la strada dell'incidente di costituzionalità nelle ipotesi in cui l'esperienza applicativa restituisca ipotesi di incompatibilità con la salvaguardia dei diritti del lavoratore costituzionalmente protetti. Riferimenti A. Sgroi, La tutela della disoccupazione, in Previdenza, Assistenza e Sicurezza sociale, Le Fonti del diritto italiano, Giuffrè 2024, 853-883. |