Il patrigno non convivente ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale per la morte della figliastra?

Michele Liguori
30 Settembre 2025

La S.C. torna a occuparsi del diritto del patrigno al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale per la morte della figliastra in assenza di convivenza.

Massima

Ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale non è necessario il vincolo di sangue ma è sufficiente una stabile relazione affettiva, di consuetudine di vita e di abitudini, analoga a quella che lega soggetti consanguinei.

Il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale, dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito nel rapporto padre figlio.

Il caso 

Una bambina di soli quattro anni viene investita in Italia da un veicolo immatricolato in un paese membro della Comunità Economica Europea e muore a causa delle gravi lesioni subite.

La mamma e il patrigno della vittima primaria richiedono il risarcimento del danno all’Ufficio Centrale Italiano (e da qui in poi, per brevità, UCI) che, in sede stragiudiziale, riconosciuta la responsabilità del conducente, offre e versa alla sola madre l’importo di € 270.000,00 che viene dalla stessa accettato in acconto.

La mamma e il patrigno della vittima primaria agiscono in giudizio innanzi al Tribunale di Bolzano nei confronti dell’UCI e dei responsabili al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Radicatasi così la lite si costituisce la sola UCI che:

  • non contesta la responsabilità del conducente;
  • rileva l’avvenuto pagamento dell’importo di € 270.000,00 in favore della mamma della vittima primaria;
  • contesta la domanda della mamma della vittima primaria in punto quantum debeatur;
  • contesta la domanda del patrigno della vittima primaria in punto an debeatur.

Nel corso della fase istruttoria vengono ammesse ed espletate:

  • C.T.U. medico legale sugli attori;
  • prova orale per testi sul tipo di rapporto instauratosi tra patrigno e vittima primaria.

Il Tribunale di Bolzano.

  • rileva l’avvenuto pagamento ante causam da parte dell’UCI dell’importo di € 270.000,00 in favore della mamma della vittima primaria;
  • condanna in solido l’UCI e i responsabili al pagamento in favore della stessa:
  • dell’ulteriore importo di € 298.464,50 a titolo di danno parentale (sulla scorta del massimo previsto dalle Tabelle del Tribunale di Roma) e di danno biologico (sulla scorta delle tabelle del Tribunale di Milano, con la massima personalizzazione ivi contemplata) oltre rivalutazione e interessi dall’evento;
  • dell’importo di € 63.229,87 a titolo di rimborso delle spese funerarie, mediche e di assistenza legale nella fase stragiudiziale;
  • rigetta le domande proposte dal patrigno della vittima primaria relative al danno da perdita del rapporto parentale e al danno biologico.

La mamma e il patrigno della vittima primaria propongono appello avverso detta sentenza.

La prima lamenta l’incongrua liquidazione dei danni e il secondo l’errato rigetto delle sue domande relative al danno da perdita del rapporto parentale e al danno biologico.

Radicatasi così la lite in sede di appello si costituisce la sola UCI che resiste.

La Corte di Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, con sentenza 9/3/2023 n. n. 31:

  • accoglie parzialmente entrambi gli appelli dei danneggiati;
  • provvede a una nuova liquidazione del danno in favore della mamma della vittima primaria e ridetermina:
  • il danno non patrimoniale sulla scorta delle Tabelle Milanesi 2021;
  • il danno parentale sulla scorta delle Tabelle Milanesi a punti del 2022;
  • liquida in favore della mamma della vittima primaria anche il danno per la sofferta inabilità temporanea (della durata di circa tre anni);
  • ridimensiona dal 41 al 30 percento la personalizzazione del danno biologico patito dalla stessa;
  • conferma che non le sia dovuto il danno per la perduta capacità reddituale;
  • accoglie la domanda di risarcimento del patrigno della vittima primaria relativa al danno da perdita del rapporto parentale (ma non quella relativa al danno biologico) e liquida in suo favore l’importo di € 249.047,00.

La Corte di Appello, a quest’ultimo riguardo, ritiene che “...sia le assunte deposizioni testimoniali, sia l’indagine medico legale convergono, dunque, nel confermare l’allegata connotazione che ha contraddistinto il rapporto intercorso tra l’appellante e la vittima primaria del sinistro…Si è trattato, cioè, del ruolo di padre vicario assunto dal primo nei confronti della seconda in sostituzione del genitore biologico del tutto eclissatosi dalla breve esistenza della figlia...”.

L’UCI propone ricorso per cassazione avverso detta sentenza affidato a tre motivi.

Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione apparente, ex art. 360 n. 4 c.p.c. e/o violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 cost., nonché degli artt. 1226, 2043 e 2056 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Il ricorrente, con tale motivo, sostanzialmente lamenta, nei confronti della mamma della vittima primaria, l’eccessiva personalizzazione della componente biologica del danno in misura pari al 30% in mancanza di conseguenze anomale o del tutto peculiari.

Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 1223,1226,2043 e 2056 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in materia di valutazione delle prove.

Il ricorrente, con tale motivo, sostanzialmente contesta, nei confronti della mamma della vittima primaria, l’avvenuto riconoscimento e la relativa liquidazione delle spese affrontate per l’assistenza stragiudiziale prestata in suo favore da alcuni legali.

Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione apparente, ex art 360 n. 4 c.p.c. e/o violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360. n. 3 c.p.c.: violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., artt. 115-116 c.p.c., art. 2697, art. 2729 e artt. 2043- 2056 c.c.

Il ricorrente, con tale motivo, sostanzialmente contesta, nei confronti del patrigno della vittima primaria, la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale in assenza di convivenza e della prova della effettiva assunzione del “ruolo morale e materiale di genitore”.

Radicatasi così la lite in sede di legittimità resistono entrambi i danneggiati con controricorso, successivamente illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c.

La Suprema Corte con la decisione in commento (Cass. 6/3/2025 n. 5984):

  • accoglie il primo motivo;
  • rigetta il secondo motivo;
  • dichiara inammissibile il terzo motivo;
  • cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto;
  • rinvia la causa alla Corte di Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

La questione

Le questioni giuridiche affrontate dal giudice di legittimità sono varie ma quella oggetto del presente commento è relativa alla sussistenza o meno in favore del patrigno del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale per la morte della figliastra in mancanza di convivenza.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte - dopo aver accolto il primo motivo e rigettato il secondo motivo - dichiara inammissibile il terzo motivo in quanto:

  • consiste in una critica all’idoneità e sufficienza delle prove acquisite;
  • si traduce in una richiesta di rivalutazione del materiale istruttorio inibita al giudice di legittimità.

La Suprema Corte, allo specifico riguardo, rileva che:

  • il motivo tende ad una nuova valutazione delle espletate prove testimoniali e di quanto emerso in sede di c.t.u., relativamente alle quali la Corte d’Appello ha reso una motivazione ragionevole e giuridicamente coerente, affermando che “...sia le assunte deposizioni testimoniali, sia l’indagine medicolegale convergono, dunque, nel confermare l’allegata connotazione che ha contraddistinto il rapporto intercorso tra l’appellante e la vittima primaria del sinistro”;
  • il giudice di appello “ha accertato cioè, sulla base delle evidenze processuali raccolte, che il signor…aveva assunto un vero e proprio ruolo di “padre vicario” nei confronti della piccola, venendo in tutto e per tutto a ricoprire questo ruolo in sostituzione del genitore biologico del tutto eclissatosi dalla breve esistenza della figlia...venendo di conseguenza a subire, per la morte della bambina, un danno da perdita del rapporto parentale”.

La Suprema Corte, in ogni caso, pur non essendo a tanto tenuta avendo dichiarato inammissibile il motivo, affronta il merito della questione e a sostegno della decisione presa dal giudice di appello:

  • da un lato, rileva che “La statuizione si pone sul solco del principio giurisprudenziale secondo cui la convivenza more uxorio non è da sola sufficiente a dimostrare il pregiudizio subito, “dovendosi rinvenire, al fine di liquidare il danno parentale, quegli indici che il controricorrente…ha allegato e la Corte ha ritenuto provati e cioè la sua dedizione e l’assistenza morale e materiale alla piccola…per oltre 3 dei 4 anni. Dedizione ed assistenza da padre putativo, considerata l’assenza di quello biologico”;
  • dall’altro lato, indica una sua recente decisione relativa a un caso simile ove ha già affermato che “il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale, dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito nel rapporto padre figlio” (Cass. 15/11/2023 n. 31867).

Osservazioni

La decisione della Suprema Corte, in relazione al terzo motivo di ricorso, appare senz'altro corretta sia un punto di vista processuale che sostanziale.

Queste le ragioni.

Da un punto di vista processuale in quanto la decisione è perfettamente in linea:

  • con il disposto di cui all'art. 360 c.p.c.;
  • con la giurisprudenza consolidata di legittimità.

È ius receptum, infatti, che il motivo è inammissibile in sede di legittimità quando:

  • richiede una rivisitazione di fatti e circostanze, già definitivamente accertati in sede di merito e una diversa interpretazione dell'oggetto del contendere” atteso “che tanto l'accertamento dei fatti, quanto l'apprezzamento - ad esso funzionale - delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi” (Cass. 20/5/2025 n. 13414; conf., tra le tante, Cass. 25/3/2025 n. 7884; Cass. 28/12/2024 n. 34787; Cass. 24/12/2024 n. 34308);
  • si risolve “nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito” (Sez. Un. 16/10/2017 n. 24298; conf., tra le tante, Sez. Un. 5/7/2021 n. 14650; Sez. Un. 6/7/2017 n. 16691; Sez. Un. 6/7/2017 n. 16690; Sez. Un. 17/3/2017 n. 6955; Sez. Un. 30/9/2016 n. 19470; Sez. Un. 12/10/2015 n. 20412; Sez. Un. 12/12/2014 n. 26242; Sez. Un. 16/6/2014 n. 13674; Sez. Un. 20/2/2013 n. 4210; Sez. Un. 5/7/2011 n. 14650);

Da un punto di vista sostanziale in quanto è il condivisibile punto di arrivo di un lungo percorso evolutivo iniziato circa trent'anni fa.

Le Sezioni Unite, infatti, con due decisioni epocali del 1999, hanno compiuto una rilettura dell'art. 2043 c.c.

Con tali decisioni le Sezioni Unite hanno scardinato uno degli ultimi baluardi di immunità per la Pubblica Amministrazione e hanno affermato l'importante e rivoluzionario principio della risarcibilità della lesione di un interesse legittimo.

Le Sezioni Unite hanno così motivato il loro revirement: “posto che ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana in capo all'autore di un fatto lesivo di interessi giuridicamente rilevanti non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto danneggiato, va affermata la risarcibilità degli interessi legittimi, quante volte risulti leso, per effetto dell'attività illegittima e colpevole della Pubblica Amministrazione” (Sez. Un. 22/7/1999 n. 500; conf. Sez. Un. 22/7/1999 n. 501)

Con tali decisioni le Sezioni Unite hanno sostanzialmente e sinteticamente affermato che:

  • l'art. 2043 c.c. non è norma secondaria (una sanzione, cioè, in cerca di precetto, da rinvenire di volta in volta in altre norme dell'ordinamento), ma è norma primaria, una norma compiuta, che contiene in sé precetto e sanzione;
  • il requisito dell'”ingiustizia” va riferito al danno, non alla condotta, ed è ingiusto quel danno che lede qualsiasi interesse, non solo un diritto soggettivo, meritevole di tutela alla stregua dell'ordinamento;
  • sono interessi meritevoli di tutela quelli in qualche modo “presi in considerazione” dalle norme positive.

Le Sezioni Unite, a quest'ultimo riguardo, hanno osservato, in un rilevante passo della motivazione, che “compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse siffatto può dare luogo ad un “danno ingiusto”, ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione dei contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza. Comparazione e valutazione che, è bene precisarlo, non sono rimesse alla discrezionalità dei giudice, ma che vanno condotte alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensità, l'ordinamento assicura tutela all'interesse del danneggiato, con disposizioni specifiche (così risolvendo in radice il conflitto, come avviene nel caso di interesse protetto nella forma del diritto soggettivo, soprattutto quando si tratta di diritti costituzionalmente garantiti o di diritti della personalità) ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili (diversi dalla tutela risarcitoria), manifestando così una esigenza di protezione (nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse è affidata alla decisione del giudice, che dovrà stabilire se si sia verificata una rottura del “giusto” equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo mediante il risarcimento)” (Sez. Un. 22/7/99 n. 500; conf. Sez. Un. 22/7/99 n. 501).

La Suprema Corte, successivamente, con due sentenze gemelle del 2003:

  • ha ridefinito, rispetto alle opinioni tradizionali, presupposti e contenuti del risarcimento del danno non patrimoniale;
  • ha fornito una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.;
  • ha autorevolmente e condivisibilmente affermato che “il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente ne esige la tutelal'art. 2 Cost. configura un caso (ex art. 2059 c.c.) determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale” (Cass. 31/5/2003 n. 8827; conf. Cass. 31/5/2003 n. 8828).

Tale lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. è stata successivamente non solo condivisa e fatta propria ma addirittura completata dalle Sezioni Unite che con le sentenze gemelle di San Martino del 2008, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, hanno esteso la tutela ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione e, per effetto di tale estensione, hanno ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 cc., anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2,29 e 30 Cost.), precisando che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, neppure potendo condividersi la tesi che trattasi di danno in re ipsa, sicché dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e, soprattutto, presuntiva (Sez. Un. 11/11/08 n. 26972 e succ. conformi).

Da questo momento la giurisprudenza di legittimità ha autorevolmente, costantemente e condivisibilmente ritenuto che il danno conseguente alla lesione e/o perdita del rapporto parentale può essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale.

A tal fine il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà, escludendoli automaticamente in caso di sua mancanza atteso che deve esserci comunque un'incidenza sull'intimità della relazione, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà.

È ius receptum, infatti, che:

  • il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale , dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito nel rapporto padre figlio” (Cass. 15/11/2023 n. 31867; conf. 5/11/2020 n. 24689);
  • il danno derivante dalla sofferenza per la morte ex delicto del congiunto non è rigorosamente circoscritto ai familiari con lui conviventi al momento del decesso …la cessazione della convivenza non è elemento indiziario a sorreggere da solo la congettura di un automatico allentamento della comunione spirituale tra congiunti…con conseguente riduzione della sofferenza dei superstiti a livelli immeritevoli di apprezzamento giuridico…il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, escludendoli automaticamente, in caso di insussistenza dello stesso” (Cass. 5/11/2020 n. 24689; conf. Cass. 26/6/2025 n. 17208 che è successiva alla decisione in commento; Cass. 15/11/2023 n. 31867; Cass. 29/9/2023 n. 27658; Cass. 5/11/2020 n. 24689; Cass. 26/5/2020 n. 9696; Cass. 8/4/2020 n. 7743);
  • il danno conseguente alla lesione del rapporto parentale (e non soltanto alla sua perdita) deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale , ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito, riferendosi alla presente fattispecie, nel rapporto padre figlio. Il danno deve, in particolare, essere riconosciuto in relazione a qualsiasi causa interrompa questo rapporto, che non deve essere necessariamente la morte del padreil danno da perdita del rapporto parentale spetta quando vi sia la rottura di tale rapporto anche con un soggetto non consanguineo, ma che rappresenti per il danneggiato la identica figura del padre, e che la lesione del rapporto parentale può essere determinata anche da un evento diverso dalla morte” (Cass. 21/8/2018 n. 20835; conf. Cass. 5/11/2020 n. 24689);
  • il rapporto affettivo tra il figlio del partner e il compagno del suo genitore può dirsi rilevante per il diritto quando si inserisca in quella rete di rapporti che sinteticamente viene qualificata come famiglia di fatto . Solo in questo caso, infatti, può dirsi costituita una “formazione sociale” ai sensi dell'art. 2 Cost., come tale meritevole di tutela anche sotto il profilo risarcitorio. Una famiglia di fatto, ovviamente, non sussiste sol perché delle persone convivano. La sussistenza di essa può desumersi solo da una serie cospicua di indici presuntivi: la risalenza della convivenza, la diuturnitas delle frequentazioni, il mutuum adiutorium, l'assunzione concreta, da parte del genitore de facto, di tutti gli oneri, i doveri e le potestà incombenti sul genitore de iure” (Cass. 21/4/2016 n. 8037; conf. Cass. 15/6/2018 n. 15766);

-   “il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale , come il convivente “more uxorio” ed il figlio naturale non riconosciuto, a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima assimilabile al rapporto coniugale” (Cass. 7/6/2011 n. 12278); conf. Cass. 13/4/2018 n. 9178; Cass. 30/3/2018 n. 8053; Cass. 21/4/2016 n. 8037; Cass. 16/6/2014 n. 13654).

Rilievi di ordine sistematico confortano tale assunto e tale orientamento pietrificato della giurisprudenza di legittimità.

La giurisprudenza comunitaria (oggi eurounitaria), infatti, chiamata a stabilire come dovesse interpretarsi la nozione di diritto alla vita familiare di cui all'art. 8 CEDU:

  • da un lato, ha chiarito che in tale nozione rientrano anche i rapporti di fatto e, in particolare, quelli tra il transessuale, il compagno convivente ed il figlio di quest'ultimo (Corte EDU, sez. grande chambre, 19/2/13 n. 19010, n.n./Rep. Austria), finanche se nato da inseminazione artificiale (Corte EDU 22/4/97 n. 21830, n.n./Regno Unito);
  • dall'altro lato, ha soggiunto che “l'esistenza di una “vita familiare” ai sensi dell'articolo 8 CEDU non si limita però ai rapporti fondati sul matrimonio e sulla filiazione legittima ma può comprendere altre relazioni familiari de facto, purché - oltre all'affetto generico - sussistano altri indici di stabilità, attuale o potenziale, quale potrebbe essere quello di filiazione naturale o di un affidamento pre-adottivo. Da questo punto di vista, la determinazione del carattere familiare delle relazioni di fatto deve tener conto di un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, così come il ruolo assunto dall'adulto nei confronti del bambino” (Corte EDU 27/4/10, ricorso n. 16318/07, Moretti e Benedetti/Italia).

Deve ritenersi, pertanto, che la Suprema corte ha correttamente e condivisibilmente confermato il suo orientamento che impone di riconoscere al patrigno il risarcimento del danno non patrimoniale subito per la morte della figliastra, in presenza di una stabile relazione affettiva e una costante dedizione e assistenza morale e materiale del primo quale padre putativo in favore della seconda e ciò a prescindere il requisito della convivenza.

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