Nullità del lodo, compenso degli arbitri e del segretario dell’arbitrato
02 Ottobre 2025
Massima In materia di arbitrato, laddove gli arbitri siano stati validamente nominati e abbiano redatto il lodo, essi maturano il diritto al compenso ai sensi dell'art. 814 c.p.c., anche nella ipotesi in cui il lodo dovesse essere dichiarato nullo. Il caso Tre persone operano come arbitri in un contenzioso che vede come parte una azienda sanitaria locale. Terminato il procedimento arbitrale, gli arbitri chiedono il compenso che ammonta a 15.000 euro per ciascun arbitro (e dunque complessivamente a 45.000 euro), cui vanno aggiunti gli oneri per la segretaria dell'arbitrato nella misura di 4.500 euro. L'azienda sanitaria non paga alla richiesta stragiudiziale degli arbitri, cosicché questi si rivolgono all'autorità giudiziaria. Il Tribunale di Vibo Valentia condanna l'azienda sanitaria a pagare il compenso dovuto ai componenti del collegio arbitrale. La Corte di appello di Catanzaro conferma la sentenza di primo grado, e dunque il diritto degli arbitri a ottenere il pagamento del compenso. La questione giunge infine davanti alla Corte di cassazione. La questione Il contenzioso tra le parti si trascina fino davanti alla Corte di cassazione, in quanto il lodo arbitrale era stato dichiarato nullo in primo e secondo grado in un separato procedimento concernente la nomina degli arbitri, che – secondo la tesi dell’azienda sanitaria locale – non era avvenuta correttamente. Il tema allora è se gli arbitri abbiano diritto lo stesso al compenso, nonostante il fatto che il lodo sia stato dichiarato nullo. Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione conferma le decisioni di primo e secondo grado: gli arbitri hanno diritto al compenso. La nullità del lodo non fa venire meno il diritto degli arbitri di ottenere il pagamento del compenso. Nel caso di specie, peraltro, nel separato procedimento avente a oggetto la validità della nomina degli arbitri, la Suprema Corte decide che gli arbitri sono stati validamente nominati, cosicché deve escludersi che il lodo sia nullo. Osservazioni L'ordinanza della Corte di cassazione in commento tratta il tema del compenso spettante alle persone che svolgono la funzione di arbitro. La base normativa da cui partire è l'art. 814 c.p.c., rubricato “diritti”. Questo termine si riferisce in realtà ai solo diritti di natura economica spettanti agli arbitri. Si prevede che “gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all'onorario per l'opera prestata, se non vi hanno rinunciato al momento dell'accettazione o con atto scritto successivo. Le parti sono tenute solidalmente al pagamento, salvo rivalsa tra loro” (comma 1). La circostanza che la disposizione si riferisca agli “arbitri” al plurale è del tutto irrilevante. Se l'arbitro è unico, anche egli/ella ha diritto al compenso. Il tema del rimborso delle spese degli arbitri non è di solito particolarmente importante nella prassi. In primo luogo si consideri difatti che, oggi, negli arbitrati è frequente il collegamento telematico, circostanza che riduce i costi di trasferimento degli arbitri. Inoltre, se vi è una segreteria dell'arbitrato, i costi di gestione del procedimento vengono rimborsati mediante l'importo che viene pagato al segretario. A ciò si aggiunga che, se gli arbitri sono avvocati, possono applicare il rimborso forfettario delle spese nella misura del 15%. Premesso dunque che il rimborso delle spese agli arbitri nella prassi gioca generalmente un ruolo secondario, essi comunque – in forza di legge – ne hanno diritto. Altro presupposto affinché gli arbitri possano essere pagati, ci stiamo ora riferendo al compenso vero e proprio, è “l'opera prestata”. Cosa si intende con “opera” degli arbitri? Sarebbe riduttivo ritenere che gli arbitri abbiano diritto di essere pagati solo per il risultato finale della loro attività, ossia per il lodo. Prima del lodo si tratta difatti di gestire il procedimento arbitrale, il che implica – ad esempio – lo studio degli atti delle parti, la redazione di ordinanze e talvolta l'assunzione di mezzi di prova. “Opera” va dunque inteso in senso lato: l'attività degli arbitri deve essere remunerata, qualunque essa sia, e in relazione ai suoi contenuti che possono variare da caso a caso, a seconda che il procedimento giunga o meno al termine. L'art. 814, comma 1, c.p.c. prevede poi che gli arbitri possano rinunciare al loro compenso. La disposizione, in questa ottica, è pressoché ovvia, dal momento che nessuno può obbligare l'arbitro ad accettare un compenso, se egli/ella non lo vuole. Il senso della disposizione è duplice: affermare da un lato l'onerosità dell'incarico (come regola), ma dall'altro chiarire che l'arbitro può anche rinunciare al compenso (come eccezione). La rinuncia al compenso è rara nella prassi, ma può capitare. La rinuncia può in particolare essere parziale. Ad esempio: gli arbitri hanno percepito un acconto, ma il procedimento si chiude anticipatamente (per transazione tra le parti o altri motivi), cosicché gli arbitri rinunciano a chiedere un saldo. La prescrizione risultante dal testo legislativo è che la rinuncia deve essere scritta. In questa prospettiva, la norma non è affatto superflua. La disposizione ribadisce l'onerosità dell'incarico, che solo in via eccezionale (con espressa manifestazione di volontà per iscritto dell'arbitro) può divenire gratuito. Nel dubbio, e comunque in assenza di dichiarazione scritta, gli arbitri hanno diritto al compenso. La legge chiarisce infine la responsabilità solidale delle parti in merito al pagamento dell'onorario. L'incarico deve ritenersi conferito congiuntamente e addirittura, a ben vedere, si tratta di un unico incarico. L'incarico congiunto delle parti agli arbitri è quello di risolvere la controversia. Anche ipotizzando una perfetta soccombenza reciproca e dunque una divisione tra le parti dei compensi, il loro pagamento fa carico ad ambedue in via solidale per l'intero. Nei rapporti interni poi, la parte che ha anticipato quanto dovuto dall'altra, può rivalersi sulla parte che non ha pagato per la quota di spettanza di quest'ultima. Passando ora a esaminare in dettaglio quanto statuito dall'ordinanza della Corte di cassazione in commento, bisogna chiedersi anzitutto per quali ragioni la azienda sanitaria locale si sia rifiutata di pagare la sua quota di compenso degli arbitri. L'azienda sanitaria si era rifiutata di pagare in quanto il lodo era stato dichiarato nullo (ma solo in primo e in secondo grado) in un separato procedimento giudiziario. Il tema dunque è il seguente: gli arbitri hanno diritto di essere pagati solo nel caso in cui il lodo divenga definitivo e intangibile? Oppure, se il lodo viene dichiarato nullo, devono restituire il compenso nelle more incassato? Questi quesiti sono connessi al tema della eccezione di inadempimento. A mente dell'art. 1460, comma 1, c.c. “nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altra non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria”. Per rispondere alle domande appena formulate, ne va posta un'altra, preliminare: il rapporto tra gli arbitri e le parti è un rapporto contrattuale? La risposta è affermativa, e si tratta di un mandato. Gli arbitri vengono incaricati, congiuntamente dalle parti, di seguire lo svolgimento del procedimento arbitrale e di pronunciare il lodo finale. Se sono inadempienti rispetto a queste attività, potrebbe essere eccepito il loro inadempimento. La tesi sostenuta dalla azienda sanitaria locale era che il lodo arbitrale era stato annullato in un separato procedimento giudiziario (ma solo in primo e secondo grado), in quanto gli arbitri non erano stati validamente nominati: ciò implicherebbe il diritto per la parte di non pagare il corrispettivo a un soggetto privo del potere di decidere. Se non vi è valido conferimento di incarico, non vi è contratto di mandato, con la conseguenza che non sorge l'obbligazione di pagare il corrispettivo agli arbitri. Nel caso di specie era successo quanto segue. Il Tribunale di Vibo Valentia in primo grado e la Corte di appello di Catanzaro in secondo grado avevano annullato – come detto: in un separato procedimento - il lodo e dichiarato che gli arbitri non avevano il potere di decidere la controversia. Il caso era però infine giunto all'attenzione della Corte di cassazione, la quale aveva cassato la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, statuendo che gli arbitri erano stati validamente nominati e avevano conseguentemente diritto al compenso. La precedente ordinanza della Corte di cassazione (Cass. 27 luglio 2022, n. 23438) non concerneva direttamente il compenso degli arbitri, bensì la validità del lodo. Era successo che l'arbitro che avrebbe dovuto essere nominato dall'azienda sanitaria locale era stato nominato dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 810 c.p.c. L'azienda sanitaria aveva nominato in tempo il proprio arbitro, ma non era riuscita a notificare la nomina alla controparte. Per questa ragione si era giunti alla nomina dell'arbitro da parte del presidente del tribunale, in sostituzione di quello non nominato tempestivamente dall'azienda sanitaria. Secondo il Tribunale di Vibo Valentia prima e la Corte di appello di Catanzaro poi queste circostanze determinano la nullità del lodo arbitrale, pronunciato da un arbitro non legittimamente nominato. La Suprema Corte invece cassa la sentenza di secondo grado, in quanto è vero che l'arbitro era stato nominato dal presidente del tribunale, tuttavia questa nomina da parte del presidente era intervenuta a causa dei ritardi dell'azienda sanitaria. L'azienda sanitaria, una volta appresa la notizia che il procedimento notificatorio con cui avrebbe dovuto rendere conoscibile alla controparte la nomina del proprio arbitro non si era perfezionato, ha atteso il pronunciamento presidenziale per rioccuparsi della vicenda. Secondo la Cassazione questo iato temporale rende colpevole la condotta dell'azienda sanitaria e giustifica la nomina da parte del presidente del tribunale. In conclusione, la Corte di cassazione - nel precedente del luglio 2022 - esclude che ci siano stati vizi procedimentali nella nomina degli arbitri ed esclude dunque che il lodo sia nullo. Ne consegue che gli arbitri erano legittimati a pronunciare il lodo. Essi hanno pronunciato il lodo e hanno dunque svolto il loro incarico. Non ci sono ragioni per negare il compenso agli arbitri. La Corte di cassazione, nell'ordinanza dell'agosto 2025 in commento, ricorda che costituisce un dovere istituzionale della medesima Corte di cassazione avere conoscenza dei propri precedenti. La sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, che aveva originariamente annullato il lodo non ha acquisito la valenza di giudicato. Inoltre, anche la sentenza della Corte di appello di Catanzaro è stata travolta dal precedente del luglio 2022 della Cassazione con una motivazione che vale a disattendere la tesi in ordine alla nullità della procedura di nomina del collegio arbitrale. In conclusione, il ricorso per cassazione presentato dall'azienda sanitaria locale contro i tre arbitri viene rigettato (salvo per il profilo del compenso del segretario, cui accenneremo sotto). La Suprema Corte ritiene che gli arbitri siano stati validamente nominati, abbiamo svolto l'opera richiesta e dunque abbiamo diritto a essere pagati dalle parti del procedimento arbitrale. La Corte di cassazione nell'ordinanza in commento segue questo ordine logico: gli arbitri sono stati validamente nominati, dunque il lodo è valido, pertanto essi hanno diritto al compenso. Così facendo, non viene trattata un'altra questione: se il lodo viene dichiarato nullo, gli arbitri possono pretendere il compenso? Questo tema è stato trattato da alcuni precedenti della Suprema Corte, che hanno affermato che il compenso spetta anche in caso di nullità del lodo. Più precisamente, Cass. 13 giugno 2018, n. 15420, ha statuito che il diritto degli arbitri di ricevere il pagamento dell'onorario sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico conferito, nell'ambito del rapporto di mandato intercorrente con le parti, e prescinde dalla validità ed efficacia del lodo, non venendo meno - di conseguenza - il diritto di ricevere il compenso per l'esecuzione del mandato nell'ipotesi d'invalidità del lodo stesso. Questo principio si può ormai considerare consolidato e implica che non vi sia pregiudizialità tra il giudizio di impugnazione del lodo e quello concernente il compenso degli arbitri. Cass., 24 ottobre 2013, n. 24072, ha chiarito che il diritto dell'arbitro di ricevere il pagamento sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e prescinde dalla validità ed efficacia del lodo; non sussistono, pertanto, i presupposti della sospensione del procedimento instaurato dall'arbitro per ottenere il residuo compenso, già liquidato, in attesa della definizione del giudizio di impugnazione del lodo, la cui eventuale nullità può giustificare solo un'azione di responsabilità. Il quadro è completato da un ultimo intervento della Corte di cassazione, che distingue tra nullità e (addirittura) inesistenza del lodo. Secondo Cass., 28 aprile 2010, n. 10221, il principio, secondo cui il diritto dell'arbitro al compenso sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e non viene meno quando il lodo sia stato caducato dal giudice perché affetto da uno dei vizi di cui all'art. 829 c.p.c., trova un limite nell'avvenuta effettiva pronuncia di un lodo avente i requisiti minimi previsti dall'art. 823 c.p.c.: esso resta inapplicabile, pertanto, in tutte le ipotesi in cui un provvedimento di tal natura sia mancato del tutto. Per terminare e per completezza di esposizione, segnaliamo un aspetto secondario della vicenda oggetto dell'ordinanza della Corte di cassazione in commento. Si ricorderà che gli arbitri chiedevano il pagamento del loro compenso (nella misura di 45.000 euro), ma anche il pagamento dell'ufficio di segreteria (nella misura di 4.500 euro). Il tema del segretario dell'arbitrato non è trattato per nulla dalla legge e molto poco in giurisprudenza. La prassi arbitrale prevede che gli arbitri nominino una persona che si occupa degli aspetti organizzativi, procedurali e burocratici dell'arbitrato. Il segretario, ad esempio, redige i verbali delle udienze, trasmette alle parti le ordinanze adottate dagli arbitri e si occupa di tutti gli ulteriori adempimenti di tipo pratico. Il ricorso dell'azienda sanitaria locale viene accolto per quanto riguarda il profilo del compenso del segretario dell'arbitro. Gli arbitri avevano chiesto il rimborso del compenso del segretario, ma la Corte di appello di Catanzaro si era dimenticata di decidere al riguardo. Più precisamente, l'azienda sanitaria aveva contestato davanti al giudice di appello anche la liquidazione del segretario dell'arbitrato. La Corte di cassazione accoglie il ricorso sotto questo profilo a causa dell'omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado. |