Il disastro di Pioltello: differenza tra sicurezza ferroviaria e sicurezza sul lavoro e ratio della “multi-datorialità” prevenzionistica
03 Ottobre 2025
Massima Il disastro ferroviario rappresenta un rischio tipico imprenditoriale che attiene alla sicurezza della circolazione ferroviaria che va tenuto distinto dal rischio “lavorativo” di modo che, al verificarsi di un tale evento, rileva anzitutto la violazione delle norme sulla sicurezza della circolazione e non necessariamente quella della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Di fronte a organizzazioni complesse dotate di modelli multi-datoriali, il datore di lavoro prevenzionistico è colui che detiene il potere decisionale e di spesa in ciascuna unità produttiva (alias, datore di lavoro “periferico”), non coincidendo necessariamente con il datore di lavoro “al vertice”. Il caso La mattina del 25 gennaio 2018, il treno regionale 10452 di proprietà di Trenord, partiva dalla stazione di Cremona alle ore 05.30, con destinazione Milano Porta Garibaldi. Poco dopo aver superato la stazione di Pioltello, con a bordo circa 350 persone, il treno deragliava per effetto della rottura del Giunto Isolante Incollato collocato sulla linea, sino a che una delle carrozze, intraversando sulla massicciata e impattando con dei pali di elettrificazione, si ripiegava quasi a 90°. Perdevano la vita tre passeggeri, a seguito dei gravissimi traumi subiti. Più di 100 persone riportavano lesioni personali, anche gravi e gravissime. Si contestavano i reati di disastro colposo (artt. 40 cpv., 41 comma 1, 449, 430 c.p.) e di omicidio e di lesioni colpose (artt. 40 cpv., 41 cpv., 589, comma 1, 2 e 5, 590, comma 1, 2, 3 e 5, 586 c.p.). Reati, in ipotesi, commessi con violazione delle norme di salute e sicurezza sul lavoro. Inoltre, si contestava l'ulteriore reato di rimozione o omissione dolosa di cautele contro disastri o infortuni sul lavoro (art. 437 c.p. , comma 1 e 2 c.p.). Infine, la Pubblica Accusa elevava contestazione nei confronti della persona giuridica RFI spa, in relazione all'illecito amministrativo previsto dall'art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001. A seguito della fase istruttoria, il Tribunale di Milano si pronuncia in primo grado di giudizio. La questione In ipotesi di disastro ferroviario sussiste la violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro o rileva la sola violazione delle norme in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria? In via residuale e di riflesso alla predetta questione, sussiste l’illecito amministrativo “231” contestato alla persona giuridica RFI spa? In secondo luogo, in presenza di organizzazioni aziendali complesse e di modelli multi-datoriali, come si configura la responsabilità datoriale in materia di salute e sicurezza sul lavoro qualora esistente? Le soluzioni giuridiche Dichiarato il fatto indiscutibilmente sussumibile nella fattispecie del disastro ferroviario, il Collegio ha escluso la riconducibilità del disastro alla materia della salute e sicurezza sul lavoro. Aderendo espressamente alla tesi sostenuta nella nota sentenza Viareggio (Cass., sez. IV, sent., 8 gennaio 2021, n. 32899), il Tribunale asserisce che la prevenzione del rischio “lavorativo” presuppone la sua identificazione come tale, da ciò derivando l'applicazione delle regole modali prescritte dalla disciplina prevenzionistica. In particolare, non è possibile qualificare un incidente come infortunio sul lavoro per il mero fatto di essersi verificato in occasione ovvero a causa dello svolgimento di una prestazione lavorativa; profilo, quest'ultimo, necessario ma non sufficiente ad identificare il rischio lavorativo. Piuttosto, in questo caso, il rischio tipico dell'imprenditore riguarda la sicurezza della circolazione ferroviaria che, pur concretizzandosi a danno dei lavoratori, non per questo si identifica con il rischio lavorativo. Si ricorda infatti che la disciplina a presidio della sicurezza sul lavoro (art. 2087 c.c.; d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i.) e quella relativa alla sicurezza ferroviaria (l. n. 191/1974 e s.m.i.) sono eterogenee in ragione dell'autonomia delle due aree di rischio da prevenire e mitigare nonché delle diverse finalità di tutela, pur sovente convergenti. E difatti, ciascuna disciplina individua specifici soggetti responsabili e specifiche regole modali che, seppur integrabili nelle prassi attuative, non coincidono sul piano giuridico. In relazione al fatto in esame, il rischio di deragliamento del treno insiste, innanzitutto, su tutti gli utenti del servizio ferroviario, e non sui lavoratori in quanto tali. Esso è infatti contemplato dalle norme sulla sicurezza della circolazione ferroviaria e tecnicamente gestito per mezzo di procedure adottate dall'impresa in adempimento agli obiettivi e ai principi stabiliti da tali disposizioni. Dalla esclusione dell'aggravante relativa alla violazione della disciplina prevenzionistica, deriva allora l'insussistenza del reato presupposto di cui all'art. 25-septies d.lgs. n. 231 /2001, su cui si fonderebbe la responsabilità amministrativa dell'ente. Pur ragionando diversamente, tra l'altro, il Collegio puntualizza la mancanza di prove circa il vantaggio ottenuto dall'ente, dal momento che la sostituzione del giunto rotto - che avrebbe scongiurato il disastro - rappresentava un'attività di manutenzione ordinaria senza significativo aggravio economico ed organizzativo per l'impresa. In seconda battuta, corroborando la decisione di assoluzione per l'Amministratore Delegato e per altri soggetti apicali della società, il Collegio esamina la questione relativa alla posizione di garanzia del datore di lavoro in materia di sicurezza sul lavoro nelle organizzazioni complesse. La figura del datore di lavoro “prevenzionistico”, sancita dall'art. 2, lett. b) del d.lgs. n. 81/2008, è definita come colui che «ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa», anche in assenza di una regolare investitura (art. 299 d.lgs. n. 81/2008). Tale figura, pertanto, non corrisponde inevitabilmente alla posizione apicale di un'organizzazione aziendale complessa, dove il ruolo del vertice è quello di assumere scelte gestionali di ampio respiro e di alta vigilanza. L'attribuzione di una responsabilità penale in capo a tali soggetti presuppone allora la prova che la violazione degli obblighi prevenzionistici derivi dalla assenza o dalla inefficacia dei modelli gestionali da essi adottati. Nel caso in esame, RFI adotta un modello “multi-datoriale” funzionale alla complessità della propria organizzazione, connotato da più Direzioni Territoriali di Produzione (DTP) facenti capo a un soggetto dirigenziale con autonomi poteri di spesa e di gestione propri della figura datoriale. Di contro, l'A.D. aveva il compito – adeguatamente eseguito – di organizzare e definire i ruoli dei soggetti prevenzionistici di ciascuna DTP e di gestire gli investimenti sulla sicurezza ferroviaria, e non certo quello di validare e vigilare sulle procedure e sulle attività manutentive e contenitive, di prerogativa delle singole DTP. La medesima linea argomentativa, che ha condotto alla decisione assolutiva, è stata adottata dal Collegio anche nei riguardi del Direttore di Direzione Produzione di RFI e del responsabile della competente DTP, le cui responsabilità vertevano sulla garanzia delle procedure operative a presidio della sicurezza, risultate adeguate ed espletate. Non sussiste, in aggiunta, l'ulteriore reato ex art. 437 c.p., contestato all'A.D. e ad altri soggetti apicali – e il conseguente reato ex art. 586 c.p. – per non aver adottato specifici dispositivi volti a coadiuvare le attività manutentive in quanto, oltre a non rappresentare strumenti di lavoro, essi non sono a causazione dell'incidente. Ad ogni modo, per il ruolo apicale ricoperto e a mancato fondamento del dolo, gli imputati non potevano avere consapevolezza del pericolo. In linea con tali argomentazioni, l'unico imputato dichiarato colpevole per i reati di disastro ferroviario colposo e di omicidio e lesioni colpose, in concorso tra loro ed escluse le aggravanti di cui all'art. 589, comma 2 c.p. e all'art. 590, comma 3 c.p., è stato il Capo della competente Unità Manutentiva che, avendo avuto effettiva conoscenza delle condizioni del giunto dietro segnalazioni orali e documentali, aveva la responsabilità di provvedere alla tempestiva – ma mancata – sostituzione dello stesso. Osservazioni La sentenza in parola offre importanti delucidazioni in merito alla eterogeneità dei fini esistente tra la disciplina in materia di sicurezza sul lavoro e la disciplina sulla sicurezza ferroviaria, caratterizzate da autonome sfere di rischio e da differenti destinatari di tutela (i lavoratori la prima, tutti gli utenti la seconda), per tale ragione presidiate da distinte regole modali e posizioni soggettive di garanzia ai fini penalistici. Tale chiarimento risulta ancor più rimarchevole, e di non facile intendimento, nell'ambito del settore ferroviario in cui persiste l'esigenza di armonizzare la disciplina prevenzionistica generale (d.lgs. n. 81/2008) – specialmente le disposizioni tecniche (Titoli dal II al XII ivi contenute) – con la risalente disciplina del trasporto ferroviario (l. n. 91/1974 e decreti attuativi). Nondimeno, bisogna evidenziare che tale incompleto raccordo non consente di considerare esaustive ed autosufficienti le disposizioni tecniche della l. n. 91/1974, dovendo comunque applicarsi le regole prevenzionistiche generali e particolari che in essa non trovano corrispondenza. Ciò detto, nel caso in esame, secondo i giudici la questione neppure si pone giacché il rischio di disastro ferroviario è contrastato per mezzo delle regole che attengono ad un'altra disciplina prevenzionistica, quella relativa alla sicurezza della circolazione ferroviaria. Ciononostante, il caso offre ai giudici l'occasione di affrontare una questione assai dibattuta in merito alla responsabilità datoriale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L'esatta individuazione della posizione di garanzia datoriale in materia, infatti, può risultare assai problematica nelle organizzazioni aziendali complesse che adottano modelli gestionali multi-datoriali. La predetta nozione di datore di lavoro ai fini prevenzionistici (art. 2, lett. b), d.lgs. n. 81/2008) valorizza il principio di effettività - rafforzato dal successivo art. 299 - che governa l'intera disciplina settoriale. Si rende perciò necessario indagare la conformazione aziendale per identificare l'identità soggettiva – individuale e pluripersonale – della datorialità, fondata sui poteri decisionali e di spesa, individuando in tal modo i reali centri d'imputazione delle decisioni e, quindi, delle responsabilità. Pertanto, l'accezione sostanziale-funzionale di datore di lavoro, ben evidenziata in sede istruttoria dalla C.T.P. lavoristica depositata agli atti in difesa dell'A.D., prevale come criterio interpretativo preminente nelle ipotesi di dissociazione tra datore di lavoro, titolare formale del rapporto, e datore di lavoro sostanziale, responsabile dell'organizzazione. Altro elemento dirimente è rappresentato dal fatto che, in ipotesi di frammentazione organizzativa, tale potestà decisionale e di spesa debba riferirsi alle singole unità produttive, tra loro a vario titolo legate, gestite da altrettanti datori di lavoro dotati di tale potestà. È tale compresenza di plurimi datori di lavoro prevenzionistici nelle organizzazioni complesse, pertanto, a determinare la “multi-datorialità” emersa in sede di giudizio. È dunque chiarita la distinzione tra il datore di lavoro “di vertice”, titolare dell'azienda ampiamente intesa, e i datori di lavoro “periferici”, che hanno la disponibilità giuridica dei beni materiali attraverso cui la stessa realizza l'oggetto sociale. Tale approdo interpretativo, tuttavia, non è scontato. Anzi, la stessa tecnica funzionalista, adottata per la imputazione degli obblighi datoriali a partire dall'art. 2087 c.c., è stata spesso impiegata dalla giurisprudenza per estendere progressivamente i margini della responsabilità penale e identificare posizioni di garanzia prevenzionistiche plurime, concorrenti e diffuse, più che funzionalmente determinate. In altre parole, la responsabilità penale è sovente ricondotta ai parametri civilistici valutativi dell'esatto adempimento contrattuale, che risultano indeterminati per effetto della formulazione ampia dell'art. 2087 c.c. Aderendo alla sentenza del caso di Viareggio, invece, la sentenza in commento intende la multi-datorialità prevenzionistica in modo funzionale allo scopo di garantire l'esatta perimetrazione dei compiti e delle responsabilità attribuiti ai singoli componenti dell'organizzazione, evitando la diffusione inter-soggettiva del debito di sicurezza sul crinale della responsabilità oggettiva. Ciò a presidio della certezza del diritto e in applicazione dei rigorosi canoni di determinatezza e personalità della responsabilità penale. Riferimenti M. Giovannone, Responsabilità datoriale e prospettive regolative della sicurezza sul lavoro. Una proposta di ricomposizione, Torino, 2024. C. Lazzari, L’individuazione del datore di lavoro per la sicurezza e i suoi riflessi sul piano sistematico, DSL, 1, 2020, 35-48. P. Pascucci, Il ruolo dell’Alta Direzione nell’organizzazione della sicurezza sul lavoro, in D. Fondaroli, C. Zoli (a cura di), Modelli organizzativi ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 e tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Torino, 2014, pp. 42-51. P. Pascucci, La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nel settore ferroviario, tra norme generali e norme speciali, DSL, 1, 2023, 44-61. |