Appalto non genuino. Costituzione di rapporto di lavoro privato

06 Ottobre 2025

Il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, all'art. 29, ha disciplinato la figura dell'appalto, distinto dalla somministrazione di lavoro, ancorandosi ai criteri dell'autonomia organizzativa e funzionale dell'attività dell'appaltatore che si assume così il rischio di impresa. Nello specifico caso in cui l'attività appaltata si risolva prevalentemente nelle prestazioni di lavoro (appalto c.d. “leggero”), per la sua liceità, è indispensabile verificare che sussista in capo all'appaltatore il profilo relativo all'organizzazione del lavoro, inteso come l'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati nell'appalto.

In sintesi, anche per la genuinità dell'appalto “leggero” è richiesta un'autonoma organizzazione in capo all'appaltatore con assunzione del relativo rischio d'impresa.

Massima

Affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell'art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, è necessario verificare, specie nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive), che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa.

Il caso

Un importante gruppo bancario italiano aveva esternalizzato il settore del recupero dei crediti ad una delle tante società che si erano costituite per l’occasione.

I lavoratori dell’Istituto di credito addetti al comparto erano passati, ex art. 2112 c.c., alle dipendenze della cessionaria del ramo di azienda inerente all’attività di sollecito e recupero del credito e, quasi contestualmente, era stato appaltato il servizio della gestione e riscossione dei crediti deteriorati e dei crediti classificati come “sofferenze” dalla cedente alla cessionaria.

Le domande dei lavoratori volte alla ricostituzione del rapporto in capo all’Istituto bancario in virtù di un contratto di appalto ritenuto non genuino non venivano accolte né in primo né in secondo grado ma approdavano in cassazione nella cui sede veniva reso un provvedimento di rinvio alla Corte di appello per una più approfondita analisi della genuinità dell’appalto, da compiersi secondo i criteri indicati dalla medesima Corte di cassazione.

La questione

Quando un appalto c.d. “leggero” può dirsi comunque genuino e non integrare una interposizione di manodopera vietata?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 29, comma 1, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 disciplina l'appalto di opere e servizi distinguendolo dalla somministrazione di lavoro per l'organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.” (art. 29 cit.).

In particolare, la sentenza in commento si occupa dell'appalto cosiddetto "leggero" la cui attività si risolve prevalentemente nelle prestazioni di lavoro.

Quando si tratta di tali appalti, che sono definiti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive), occorre effettuare un accertamento complesso mirato alla fattispecie concreta attraverso un'attenta verifica dell'organizzazione aziendale e delle modalità di esecuzione dell'attività lavorativa; nella predetta verifica si devono tenere presente tutte le condizioni (servizio autonomo, organizzazione autonoma, esercizio potere direttivo, rischio d'impresa) richieste ai fini della legittimità dell'appalto dall'art. 29, d.lgs. n. 276/2003 e dall'art. 1655 c.c.

Per ritenere sussistente un appalto “leggero” occorre che i lavoratori ceduti costituiscano un gruppo coeso per professionalità, con precisi legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know-how tali da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una sommatoria di dipendenti (Cass. n. 6256/2019). Inoltre, è necessario che, in capo all'appaltatore, sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti (Cass. n. 18455/2023).

I Giudici della sentenza in commento hanno ritenuto che il solo elevato numero dei dipendenti e la elevata professionalità degli stessi non potessero essere presupposti idonei e sufficienti a far considerare l'appalto come “leggero”.

Comunque, anche nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive), affinché l'appalto possa configurarsi come “genuino”, è necessario verificare, che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione del rischio d'impresa.

Alcuna giurisprudenza di legittimità ha però meglio precisato che, nell'appalto “leggero”, non è indizio decisivo di illiceità il fatto che il personale dipendente dell'appaltatore utilizzi mezzi ed attrezzature messe a disposizione dal committente "a condizione che comunque sussista l'apporto organizzativo dell'appaltatore, vale a dire quel quid pluris che fa della combinazione dei beni un complesso finalizzato al perseguimento del risultato oggetto dell'appalto" (Cass. civ., sez. lav., 3 giugno 2024, n. 15405; Cass. n. 31128/2021).

Osservazioni

Nel caso in cui il potere direttivo o organizzativo sia interamente affidato al formale committente si possono ravvisare i presupposti dell'interposizione illecita di manodopera.

Ciò è vero anche quando manchi, in capo al committente, l'intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l'elemento fiduciario caratterizzi l'intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro (così Cass. civ., sez. VI, 25 giugno 2020, n. 12551).

Indici di interposizione fittizia di manodopera e quindi di non autenticità dell'appalto:

- le indicazioni ai lavoratori sui compiti da svolgere sono in concreto fornite dal committente (potere di direzione e di controllo);

- in capo all'appaltatore rimangono i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione);

- i beni e le attrezzature utilizzate per il lavoro sono del committente;

- l'appaltatore non ha presso la sede del committente alcun referente organizzativo ovvero un preposto responsabile con il compito di sovraintendere i lavori e dirigere i lavoratori.

In sintesi, per individuare la linea di demarcazione tra la fattispecie vietata dell'esistenza di una interposizione illecita di manodopera e quella lecita dell'appalto di opere o servizi, è necessario che il giudice accerti che all'appaltatore sia stato affidato un servizio ed un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso la reale organizzazione e gestione autonoma della prestazione, con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo, con l'impiego di propri mezzi da parte dell'appaltatore e sempre che sussista un rischio di impresa in capo all'appaltatore (Cass. civ., sez. lav., 3 novembre 2020, n. 24386; Cass. civ., sez. lav., 13 febbraio 2020, n. 3631).

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