Invalidità degli atti in caso di rappresentanza processuale volontaria senza rappresentanza sostanziale
13 Ottobre 2025
Massima Il potere di rappresentare la parte in giudizio, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e di conferimento di procura alla lite, spetta unicamente a colui che è investito del potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio e pertanto il ricorrente per cassazione che, in veste di parte formale, propone il ricorso in qualità di procuratore della parte sostanziale, deve produrre, con il ricorso ovvero ai sensi dell'art. 372 c.p.c., i documenti che dimostrano la sua qualità. Il difetto della rappresentanza sostanziale è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e rende inammissibile il ricorso ai sensi dell'art. 77 c.p.c. Il caso Nella vicenda di specie la procura speciale per proporre il ricorso per cassazione fu conferita al legale da un soggetto munito di un mandato ad agire a nome e per conto di alcuni congiunti. Tale soggetto aveva consegnato al legale, a prova della sua legittimazione a conferirgli la procura speciale occorrente per l'impugnazione, un atto di conferimento di incarico così concepito: i sigg….. “hanno, con la presente, costituito loro mandatario speciale il signor….., al quale danno potere per lui e a suo nome, all'effetto di rappresentarli davanti ai Tribunali italiani per tutti i litigi e conflitti relativi alla loro filiazione, difenderli e riabilitare i loro diritti di successione dei loro defunti padre e marito …… deceduti nell'incidente…. a tale effetto, passare e firmare gli atti, scegliere domicilio, sostituire in tutto o in parte i presenti poteri, revocare i mandatari sostituiti, sostituirne degli altri e fare tutto il necessario in generale…”. Conferivano questo mandato gli eredi di vittime di un incidente mortale cui era stato riconosciuto il diritto ad ottenere il risarcimento in un ammontare che essi non avevano accettato. La questione Il ricorso propose diversi motivi di gravame. Parte controricorrente, oltre a resistere nel merito dell'impugnazione, eccepì in via preliminare l'inammissibilità del ricorso determinata dall'invalidità della procura rilasciata al legale dall'asserito rappresentante. Questi assumeva la propria legittimazione processuale in forza di un mandato a provvedere alla tutela giudiziaria dei diritti di terze persone: e il resistente deduceva l'esistenza di vizi formali nell'atto di investitura che ne cagionavano la nullità, con il conseguente difetto dello ius postulandi del difensore. La questione che la Corte ha dovuto esaminare in via prioritaria si è rivelata decisiva, anche se per ragioni diverse da quelle argomentate dalla parte controricorrente. Le soluzioni giuridiche La Corte ha ripreso nella sua pronuncia il consolidato orientamento secondo cui il potere di rappresentare la parte in giudizio e di conferire ad un legale la necessaria procura ad agire può essere riconosciuto soltanto a colui che è investito di un potere sostanziale con riguardo al rapporto oggetto di contestazione. Questo orientamento, ha affermato il Collegio, meritava continuità in quanto fondato su basi esegetiche solide e convergenti: l'art. 77 c.p.c. richiede chiaramente, per dar luogo alla rappresentanza processuale volontaria, l'espresso conferimento del potere sostanziale, posto che la norma citata non consente l'attribuzione di una siffatta rappresentanza a un qualunque soggetto ma ne indica quali destinatari il procuratore generale e il procuratore preposto a determinati affari per conto del preponente; l'art. 100 c.p.c. legittima a proporre la domanda soltanto chi vi ha interesse, circostanza escludente i soggetti privi di interesse sostanziale e motivati unicamente a proporre una lite fine a se stessa; sin dai lavori preparatori del codice vigente e dai progetti normativi che lo hanno preceduto risultano l'intento del legislatore di evitare la rappresentanza volontaria limitata al compimento di meri atti processuali, la volontà di costruire il processo come strumento di interesse pubblicistico per la tutela di chi ha un reale interesse alla controversia e lo scopo perseguito di impedire possibili e pericolosi abusi attraverso l'uso distorto del processo. Nel caso di specie doveva escludersi che fosse stata conferita anche una rappresentanza di natura sostanziale con l'atto prodotto dal ricorrente. Il mandato a lui rilasciato gli affidava il potere di rappresentare e difendere i mandanti dinanzi ai tribunali italiani; per lo scopo di difenderne e riabilitarne i diritti derivanti dall'incidente mortale; ma senza attribuirgli compiti di gestire il rapporto risarcitorio né come loro procuratore generale né come addetto ad uno specifico affare. Da qui la conseguenza: il ricorrente non aveva la legittimazione richiesta ai sensi dell'art. 77 c.p.c. per conferire la procura speciale all'avvocato e il ricorso da questi presentato, senza una valida investitura, doveva essere dichiarato inammissibile. Osservazioni La pronuncia della Suprema Corte si adegua a principi noti da tempo, sui quali concordava la dottrina e sulla cui applicazione la giurisprudenza non ha manifestato divergenze interpretative. Così possono essere sintetizzati i termini entro i quali è tradizionalmente stata risolta la questione della rappresentanza processuale di parti in giudizio: la rappresentanza processuale volontaria può essere conferita soltanto a chi sia investito di un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, come si evince dall'art. 77 c.p.c., il quale menziona, come possibili destinatari dell'investitura processuale, soltanto il "procuratore generale e quello preposto a determinati affari", sul fondamento del principio dell'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) inteso non soltanto come obbiettiva presenza o probabilità della lite, ma altresì come "appartenenza" della stessa a chi agisce (nel senso che la relazione della lite con l'agente debba consistere in ciò che l'interesse in lite sia suo): più precisamente, l'art. 100 c.p.c., letto in combinazione con l'art. 77 c.p.c., indica la necessita che chi agisce abbia rispetto alla lite una posizione particolare che la norma stessa non definisce, ma che può desumersi dalle ipotesi individuate dall'altra norma, sì da condurre all'affermazione di una regola generale per cui il diritto di agire spetta a chi abbia il potere di rappresentare l'interessato o nella totalità dei suoi affari (procuratore generale) o in un gruppo omogeneo di questi, paragonabile ad un'azienda commerciale o ad un suo settore (institore). In questo senso da Cass., sez. un., 8 maggio 1998, n. 4666 a Cass. 18 gennaio 2022, n. 1334. Le regole ermeneutiche per tal modo ribadite hanno fornito la soluzione della questione proposta nella vicenda di specie. La Corte ha interpretato il mandato conferito dalle parti in giudizio scendendo all'esame del relativo documento prodotto agli atti (e che avrebbe potuto esservi allegato ex art. 372 c.p.c.). Le improprietà riscontrabili nel testo dell'atto e denunciate dal controricorrente sono state considerate irrilevanti rispetto a quanto doveva desumersi dal suo effettivo contenuto. Il compito affidato mediante il documento consisteva nel rappresentare davanti ai tribunali italiani i mandanti e di difenderli per tutti i litigi e i conflitti relativi alla loro condizione di aventi diritto al risarcimento quali eredi delle vittime di un incidente mortale; di passare e firmare gli atti processuali; di scegliere un domicilio, evidentemente per quanto occorresse a ricevere le comunicazioni e le notifiche; sostituire, da sé, o revocare i poteri conferiti; revocare i mandatari, sostituirli con altri; e fare tutto quanto risultasse necessario. Alcune delle indicazioni di mansioni così descritte sono imprecise e suscettibili di fondare qualche perplessità. Dubbi potrebbero sorgere a proposito del riferimento a “tutto quanto necessario”, che potrebbe essere interpretato come il conferimento di tutti i poteri indispensabili a perseguire il fine: se non che, tale fine resta delimitato alla rappresentanza davanti ai tribunali e alla gestione degli atti del processo. Ciò che comunque risulta sufficientemente chiaro è la mancanza di ogni riferimento nel mandato alla gestione nel merito del diritto al risarcimento da far valere nel giudizio: se con quell'atto il mandatario viene abilitato a compiere tutti gli atti del processo nulla è specificato in ordine ai suoi poteri di disporre dei diritti dei mandanti: transigere la causa, rifiutare le offerte di indennizzo, accettarne l'importo, eccetera. |