Diffamazione e diritto di cronaca giudiziaria: il punto delle Sezioni Unite

24 Ottobre 2025

Nel caso di specie, nell'edizione on-line di un noto settimanale si riferiva la notizia di una truffa a danni di un soggetto terzo al quale era stata carpita la fiducia da parte del preteso diffamato (attore in giudizio) che veniva indicato come imputato del reato di truffa. L'attore lamentava la circostanza che all'epoca della pubblicazione dell'articolo, egli era solo indagato e, per di più, in relazione al diverso reato di tentata truffa.

Massima

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di imputato, anziché di indagato (anche per essere riferita un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p.) e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato), salvo che il giudice del merito accerti che il contesto della pubblicazione sia tale da mutare, in modo affatto chiaro ed inequivoco, il significato di quegli addebiti altrimenti diffamatori.

Il caso 

Il Tribunale di Roma, tuttavia, rigettava la domanda attorea, sul presupposto che gli errori presenti nell'articolo non avevano scalfito l'aderenza al vero della ricostruzione complessiva dei fatti.

Di contrario avviso, invece, la Corte d'Appello di Roma, la quale in accoglimento della domanda dell'attore condannava solidalmente i convenuti (giornalista, direttore responsabile ed editore), al risarcimento del danno non patrimoniale quantificato in € 25.000,00 e condannava altresì il solo giornalista al pagamento della sanzione pecuniaria, ex art. 12 L. 47/1948, per € 5.000,00; il tutto oltre alla pubblicazione dell'estratto della sentenza per due settimane consecutive nell'edizione on-line del periodico. In particolare, secondo la Corte d'Appello il falso addebito della posizione giuridica di imputato, non poteva ritenersi “sfumata e assorbita dall'essere effettivamente l'appellante indagato per un altro episodio meramente tentato”.

Avverso tale decisione, le parti convenute appellate proponevano ricorso in Cassazione, assegnato alla prima sezione civile, la quale - con ordinanza interlocutoria n. 12239/2024 - disponeva la trasmissione degli atti, ex art. 374 c.p.c., alla Prima Presidente ritenendo che con il primo motivo di ricorso fosse stata posta una questione di particolare importanza e oggetto di contrasto tra giurisprudenza civile e penale della Corte di Cassazione, con riguardo alla scriminate del diritto di cronaca, nei casi di addebito della qualità di imputato invece che indagato e della commissione di un reato consumato piuttosto che tentato. La Prima Presidente rimetteva la decisione del ricorso alle Sezioni Unite, le quali – con la sentenza qui in esame - rigettavano il ricorso compensando integralmente le spese di lite.

La questione

Il diritto di cronaca, tutelato dall'art. 21 Cost e dall'art. 10CEDU, assume una fisionomia peculiare quando il suo contenuto è rappresentato dalla narrazione di vicende giudiziarie. In quest'ambito il ruolo fondamentale dell'attività giornalistica deve bilanciarsi non solo con gli artt. 2 e 3 Cost., ma anche con il principio di presunzione di non colpevolezza, sancito dall'art. 27 Cost.  Ne segue che ai fini dell'applicabilità dell'esimente è indispensabile che il giornalista verifichi – con cura e diligenza – l'attendibilità della fonte e l'aggiornamento della notizia. Inoltre, nel caso di notizie mutuate da provvedimenti giudiziari il presupposto della verità dev'essere restrittivamente inteso, dovendo la notizia esser fedele al contenuto del provvedimento ed eventuali inesattezze dei fatti oggetto della notizia devono aver carattere secondario ossia non devono alterare, l'informazione complessiva dell'articolo. In questo contesto, le Sezioni Unite sono state chiamate a dirimere il contrasto insorto sulla portata, o meno, della diffamatorietà di una notizia nel caso in cui vi sia una difformità tra l'effettivo stato del procedimento penale e la diversa informazione diffusa dagli organi di stampa, nonché nei casi di diversa indicazione del reato riferito dalla stampa rispetto a quello per cui indaga l'autorità giudiziaria. In proposito la sezione remittente aveva evidenziato posizioni non armoniche tra la giurisprudenza di legittimità civile e quella penale, osservando che, mentre per quest'ultima «non è irrilevante per la reputazione di un soggetto l'attribuzione di un fatto illecito diverso da quello su cui effettivamente si indaga, tale essendo - alla luce degli elementi costitutivi - la fattispecie del reato tentato, rispetto a quella del reato consumato». La giurisprudenza civile - è, invece, orientata a valutare le "imprecisioni", al fine dell'accertamento dell'offensività, in funzione «del loro peso sull'intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo "falso" e, oltre che tale, diffamatorio».

Le soluzioni giuridiche

La libertà di manifestazione del pensiero v. diritti della personalità

La c.d. “libertà di stampa”, nelle sue forme di diritto di cronaca e diritto di critica, è una fattispecie qualificata della libertà di manifestazione del pensiero, costituendone la massima espressione del suo esercizio in forma collettiva. Per tale ragione la Corte Costituzionale l'ha più volte definita «pietra angolare dell'ordine democratico» (Corte cost., 17.04.1969, n. 84 e  Corte cost., 12.07.2021, n. 150) ed è tutelata a livello nazionale dall'art. 21 Cost. e, a livello sovranazionale, dall'art. 10 CEDU. Strettamente connaturata a tale libertà è la sua interferenza e collisione con altri diritti di pari rilevanza costituzionale, posti a presidio della dignità umana del singolo destinatario della narrazione cronachistica (o del giudizio critico). Si tratta dei c.d. “diritti della personalità” (quali l'onore, la reputazione, l'identità personale, la riservatezza, l'immagine, etc.) corollari impliciti della dignità umana ed evolutivamente desumibili dalle clausole generali di cui agli artt. 2 e 3 Cost. (nonché dall'art. 8 CEDU). Tali diritti osservano le Sezioni Unite nella sentenza qui in commento «costituiscono limiti che comprimono ab extrinseco lo spazio in cui può validamente esplicarsi la libertà di manifestazione del pensiero attraverso il diritto di cronaca (e di critica)».

Ne segue che in tutti in casi in cui il contenuto di un'informazione leda la reputazione altrui integrando una fattispecie diffamatoria, questa può essere sanzionata in ambito penale, mediante la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 595 c.p., mentre in ambito civile è fonte di responsabilità ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c. se causa di un danno ingiusto, di natura patrimoniale (quando incide in via immediata e diretta su aspetti economici e professionali) e/o non patrimoniale (quando compromette il valore sociale e personale della reputazione altrui). Ovviamente non ogni informazione che lede gli altrui diritti della personalità è soggetta a sanzione, altrimenti si avrebbe un'inammissibile compromissione della libertà tutelata dall'art. 21 Cost. Da qui, dunque, come ricordato dalle Sezioni Unite, l'esigenza – di cui alla storica sentenza del “decalogo del giornalista” (Cass. civ., sez. I, 18.08.1984, n. 5259) - di «individuare il perimetro entro il quale si esplica l'efficacia esimente del diritto di cronaca (e di critica), individuandone i limiti interni, al fine di filtrare le condotte suscettibili di essere attratte in quell'orbita» e consistenti in  a) verità oggettiva (o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), b) interesse pubblico all'informazione (c.d. pertinenza); c) forma civile dell'esposizione e della valutazione dei fatti, c.d. continenza (cfr. ex multis, tra le più recenti  oltre alla sentenza in commento, Cass. civ., sez. III, 27.01.2023, n. 2511).

Il diritto di cronaca e la verità della notizia

È noto che il diritto di cronaca si distingue per una narrazione (tendenzialmente) oggettiva di eventi realmente accaduti, veicolati attraverso i mezzi di informazione per rispondere all'interesse del pubblico alla conoscenza dei fatti. Diversamente dal diritto di critica, che include una componente valutativa e soggettiva, la cronaca si configura come una rappresentazione neutrale e fedele della realtà, con l'obiettivo di fornire ai cittadini un'informazione chiara e trasparente su fatti di rilievo sociale, politico o economico.

Negli articoli di cronaca il requisito della verità della notizia è certamente rilevante ma non viene interpretato in termini assoluti di necessaria corrispondenza tra la notizia narrata e il fatto accaduto nella realtà storica, potendo venire in rilievo – ai fini della scriminante - anche una verità meramente “putativa” (tra le più recenti si veda: Cass. civ. sez. III, 27.04.2025, n.11080). Tuttavia, per ritenere legittima la propalazione di una notizia putativamente conforme al vero, non è sufficiente una mera verosimiglianza tra il narrato e l'accaduto. Il giornalista deve difatti osservare uno standard professionale improntato a diligenza che gli impone di verificare in modo completo e specifico, mediante un necessario aggiornamento temporale, la veridicità della notizia al momento della sua divulgazione (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. III, 10.03.2025, n. 6368).

In merito al dovere di accertamento diligente della verità della notizia, si ritiene comunque che la presenza di imprecisioni, che non influenzano la percezione complessiva del fatto narrato, non diano luogo a forme di responsabilità in capo al giornalista. Al fine di individuare concretamente la marginalità delle inesattezze, va però individuato un parametro di riferimento, che permetta di misurare la portata di esse in relazione ai destinatari dell'informazione. Il che implica l'identificazione di un paradigma di lettore, individuato dalla giurisprudenza civile, nella figura, statisticamente prevalente, del lettore c.d. “frettoloso”, ossia sprovvisto di tendenze all'approfondimento (Cass. civ., sez. III, 13.05.2024, Cass. pen., sez. V, 21.02.2019, n. 12800) e che «si sofferma sulle parti che graficamente sono in grado di catalizzare maggiormente la sua attenzione», come ad esempio il titolo o l'occhiello. Mentre, secondo la prevalente giurisprudenza penale andrebbe, invece individuato nel c.d. “lettore medio”, ossia quel lettore la cui attenzione si estende ad una lettura, pur non approfondita, del contenuto integrale dell'articolo, sebbene senza particolare sforzo o arguzia (Cass. pen., sez. V, 14.11.2019, n. 10967).

In proposito, la sentenza in commento ha constatato che la distanza tra tali orientamenti è «più apparente che reale, giacché la diversità di paradigma impiegato per ponderare il significato diffamatorio di un articolo si correla piuttosto al diverso contesto comunicativo in cui l'informazione viene veicolata. Va, infatti, considerato che, diversamente dalla dimensione dell'informazione cartacea, nella dimensione dell'informazione digitale le dinamiche dell'informazione sono trasformate e la presentazione del dato informativo si ispira alla ricerca di essenzialità e speditezza, nell'obiettivo di abbinare sintesi e profondità comunicativa. E non si può, dunque, trascurare il fatto che un tale fenomeno investa entrambi i terminali del rapporto informativo: sia quello attivo, dal quale l'informazione promana, sia quello passivo, che viene dall'informazione raggiunto».

La cronaca giudiziaria

Il diritto di cronaca assume una fisionomia peculiare – soprattutto sotto il profilo della verità della notizia - tutte le volte in cui riguarda la divulgazione di vicende giudiziarie.

In quest'ambito, osservano le Sezioni Unite, vengono in rilievo altri due valori-principi della Costituzione. Anzitutto quello sancito dall'art. 101, comma 2, Cost., in virtù del quale la “giustizia è amministrata in nome del popolo”: l'attività giornalistica, difatti, come rimarcato dalla decisione in commento, «stimola la formazione dell'opinione pubblica non solo sulla legge come emanata, ma anche su come essa viene applicata, consentendosi alla collettività una partecipazione attiva, informata e consapevole al complessivo processo democratico».

In secondo luogo, il principio della presunzione di non colpevolezza sancito dall'art. 27 Cost., che deve valere anche per l'esercizio dell'attività giornalistica. In proposito la sentenza in commento, rimarca che il giornalista dovrebbe evitare rielaborazioni e reinterpretazioni manipolatorie delle informazioni tratte da atti/provvedimenti giudiziari e dovrebbe, altresì verificare l'informazione anche alla «luce degli sviluppi investigativi e istruttori intercorsi tra il momento dell'atto/provvedimento al quale si fa riferimento e quello della divulgazione della notizia».

La cronaca giudiziaria e le inesattezze secondarie

Secondo giurisprudenza consolidata quando un giornalista quando redige un “pezzo di giudiziaria”, deve riportare fedelmente il contenuto del provvedimento, senza alterazioni o travisamenti (tra le tante si vedano: Cass. civ., sez. III, 07.07.2023, n. 19250; Cass. pen., sez. V, 11.05.2012, n. 39503), fermo restando che sono tollerate eventuali inesattezze di carattere secondario.

Le Sezioni Unite ribadiscono così il principio che «una soglia di tolleranza delle infedeltà narrative debba trovare spazio inevitabilmente anche nell'ambito della cronaca giudiziaria», con la conseguenza che quanto, «nonostante l'inesattezza, la notizia risulti autenticamente vera sotto il profilo strutturale e fattuale, non vi è ragione per addebitare la responsabilità civile per diffamazione all'autore della pubblicazione, che abbia errato nella rappresentazione di alcuni elementi», da considerarsi secondati in quanti, trattasi di  imprecisioni marginali che non mutano in peggio l'offensività della narrazione.

La soluzione del contrasto offerta dalle Sezioni Unite

Stante l'evidente differenza giuridica tra l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, inoltrato dal pubblico ministero, ai sensi dell'art. 415-bis c.p.p., e il rinvio a giudizio da parte del Giudice per le indagini preliminari; la rappresentazione dello status giuridico di imputato ascritto ad una persona sottoposta alle indagini sortisce effetti pregiudizievoli sulla sua reputazione nel momento in cui la notizia viene diffusa. Presso l'opinione pubblica, difatti, matura un convincimento errato sullo stato di avanzamento della vicenda giudiziaria, che tende ad alimentare il convincimento di un effettivo coinvolgimento della persona sottoposta alle indagini, nei reati sui quali la magistratura inquirente.

Per tali ragioni le SS.UU. ha enunciato il seguente principio di diritto «in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di imputato, anziché di indagato (anche per essere riferita un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p.) e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato), salvo che il giudice del merito accerti che il contesto della pubblicazione sia tale da mutare, in modo affatto chiaro ed inequivoco, il significato di quegli addebiti altrimenti diffamatori».

In proposito le SS.UU. sottolineano che le ragioni del contrasto investono non tanto l'attribuzione di un reato diverso e più grave rispetto a quello oggetto di indagine, bensì, l'erronea rappresentazione della falsa posizione di imputato anziché di indagato, attraverso l'evocazione della richiesta di rinvio a giudizio piuttosto che dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, da cui traspare la carica diffamatoria della notizia, che risulta distorta nel suo contenuto informativo essenziale. Difatti, La differenza, in termini giuridici, che sussiste tra i due status è significativa, riverberandosi sulla percezione sociale del grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto che ne è titolare nel reato che gli viene addebitato.

Osservazioni

La cronaca giudiziaria è il genere giornalistico che si occupa di seguire gli eventi di cronaca, in particolare la "nera", nel loro percorso all'interno delle aule di giustizia. In quest'ambito, di particolare rilievo è correttezza dei fatti che vengono portati a conoscenza dei cittadini, interessati a conoscere la vicenda giudiziaria e il suo evolversi, soprattutto per i casi nei quali vi è stato un coinvolgimento emotivo collettivo. Tuttavia, l'interesse pubblico e mediatico raggiunge il suo apice soprattutto durante la fase delle indagini, per poi diminuire, salvo i casi in cui l'importanza e l'attesa del processo giustificano un resoconto quasi giornaliero degli avvenimenti. Al riguardo la giurisprudenza è sempre stata ferma nel sottolineare il particolare rigore con cui deve valutarsi la condizione della verità della notizia, intesa come “fedeltà” al contenuto di un provvedimento giudiziario, evitandone alterazioni o travisamenti, stante la necessità di non sacrificare sull'altare del “processo mediatico” il principio della presunzione di non colpevolezza. Per tale ragione, non vengono ammesse come valide scriminanti: la mera verosimiglianza della notizia; il riferire mere voci e illazioni; l'anticipare il contenuto di provvedimenti del giudice e/o del pubblico ministero, attribuendogli una valenza superiore a quella reale; errori nel riportare la qualità di imputato in luogo di quella di indagato o errori nel riferire all'addebito di un reato diverso rispetto a quello oggetto delle indagini. Sostanzialmente, ciò che si vorrebbe (e dovrebbe) evitare è una narrazione giudiziaria che - per le motivazioni più disparate – si presenti come  pregiudizialmente colpevolista e idonea a fondare inammissibili “gogne mediatiche” presso l'opinione pubblica, soprattutto in un momento storico in cui la facilità, la rapidità e l'ampiezza della diffusione delle notizie on-line, comporta una facile manipolazione di una parte dell'opinione pubblica, che recepisce e commenta le notizie in maniera superficiale ed in modo altrettanto facile e superficiale le diffonde tramite social-network.

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