Convalida delle dimissioni anche durante il periodo di prova ex art. 55, co.4, del d.lgs. n. 151/2001
30 Ottobre 2025
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la risposta a interpello n. 14744 del 13/10/2025, ha fornito un chiarimento circa la necessità di convalida delle dimissioni presentate durante il periodo di prova da parte dei genitori lavoratori, tutelati dall'art. 55, comma 4, d.lgs. n. n. 151/2001. L'Amministrazione ha innanzitutto posto in rilievo l'evoluzione normativa in materia e, segnatamente, le modifiche introdotte a seguito della riforma Fornero, la quale ha ampliato l'ambito di applicazione della prefata convalida estendendola ai primi tre anni – e non più al solo primo anno- di vita del bambino, con conseguente acquisizione di una certa autonomia giuridica rispetto al divieto legale di licenziamento (art. 54 d.lgs. 151/2001), con il quale condivide la finalità di prevenire comportamenti vessatori, discriminatori e coercitivi del datore di lavoro, garantendo la genuinità della volontà espressa dalla lavoratrice o dal lavoratore durante delicati momenti della vita familiare. Tenuto fermo quanto sopra, l'interpretazione ministeriale è stata orientata nel senso di ritenere che l'obbligo di convalida delle dimissioni debba trovare applicazione anche nel caso in cui queste siano presentate durante il periodo di prova. Tale posizione ermeneutica ha trovato fondamento prioritario nell'art. 12 disp. prel. c.c., in forza del quale le disposizioni legislative devono essere interpretate facendo ricorso al criterio letterale e a quello teleologico. Sotto il profilo letterale, l'art. 55, comma 4 del d.lgs. n. 151/2001 non esclude espressamente la necessità della convalida durante il periodo di prova. Dal punto di vista teleologico, inoltre, l'istituto risponde alla necessità di assicurare, in coerenza con la ratio propria della convalida, un'ampia operatività della tutela che da esso deriva, posto che le dimissioni presentate durante il periodo protetto potrebbero essere indotte dal datore di lavoro e mascherare, quindi, un licenziamento sostenuto da motivazioni discriminatorie e, come tale, sempre nullo, anche durante il periodo di prova. In conclusione, il Ministero ha ritenuto che anche le dimissioni presentate durante il periodo di prova debbano essere convalidate dall'Ispettorato del lavoro o dall'Ufficio ispettivo del lavoro territorialmente competente. La posizione ermeneutica espressa dal Ministero consente alcune brevi riflessioni. Nonostante la evidenziata autonomia rispetto al divieto di licenziamento di cui all'art. 54 del medesimo testo legislativo, non può pretermettersi che proprio la tutela garantita da tale preclusione non opera in caso di esito negativo del periodo di prova (art. 54, comma 3, lett. d). In termini generali, infatti, durante tale arco temporale, sia il datore di lavoro che il lavoratore sono liberi di recedere, potendo le stesse, nella fase di avvio della vicenda lavorativa, verificare la reciproca convenienza alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Pertanto, nel tutelare la genitorialità, il legislatore non ha posto limiti al licenziamento (legittimamente) giustificato dall'esito negativo della prova, così positivizzando – unitamente alle altre ipotesi di non operatività del mentovato divieto - il bilanciamento operato tra i contrapposti interessi in gioco. Qualora, però, sia il lavoratore a non considerare conveniente la prosecuzione del rapporto, qualora il periodo di prova coincida temporalmente con quello considerato dalla normativa in esame, applicando le coordinate interpretative dettate dal Ministero, le dimissioni sarebbero sospensivamente condizionate alla convalida rilasciata dagli uffici ispettivi competenti. In questo modo è operata una sostanziale estensione della presunzione - fondante lo stesso istituto di cui all'art. 55, comma 4, d.lgs. n. 151/2001 – di ingerenza della parte datoriale nelle scelte della lavoratrice/del lavoratore, con la correlata esigenza di saggiare la genuinità e la spontaneità delle dimissioni. Conseguentemente, in ipotesi di esito negativo della prova, ove vi sia coincidenza con il periodo protetto dalla legge citata, il datore potrebbe legittimamente intimare il licenziamento, mentre qualora la scelta di interrompere il rapporto venga presa dalla lavoratrice/dal lavoratore sarebbe richiesto un “intervento esterno”, con conseguente sospensione degli effetti del recesso sino alla effettiva convalida delle dimissioni. Ci si potrebbe domandare, però, per quale ragione, piuttosto che procedere al recesso nei limiti consentiti dal citato art. 54, comma 3, lett. d), il datore di lavoro dovrebbe “compulsare” in tal senso il lavoratore, sottoponendosi alla condizione sospensiva della convalida. Una risposta, rintracciabile anche nel testo ministeriale, sarebbe da individuare nelle ipotesi in cui le dimissioni presentate durante il periodo protetto siano indotte dal datore che non intenda intimare il licenziamento in quanto sostenuto da motivazioni discriminatorie e, come tale, sempre nullo. Tuttavia, non può ignorarsi che, avendo natura discrezionale, il recesso nel corso o al termine del periodo di prova non soggiace all'obbligo di motivazione, sicché graverebbe in capo al lavoratore interessato, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito (i.e. ragioni connesse alla genitorialità) e, quindi, estraneo alla funzione tipica del patto di prova (cfr. Cass. sez. lav., 15 maggio 2024, n. 13514; Cass., sez. lav., 22 ottobre 2018, n. 26679). |