È illegittima la somministrazione di lavoro in assenza di idoneo DVR
30 Ottobre 2025
Massima È illegittimo il contratto di somministrazione di lavoro nell’ambito del quale non sia stato predisposto, dall’utilizzatore, adeguato documento di valutazione dei rischi (DVR), che tenga conto anche della particolare condizione lavorativa in cui si troverà ad operare il lavoratore somministrato. La violazione comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, tra il lavoratore somministrato e l’utilizzatore, con decorrenza dell’inizio della somministrazione. Il caso Un lavoratore in somministrazione agiva in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo, Sezione Lavoro, convenendo in giudizio la società di somministrazione propria datrice di lavoro e la società utilizzatrice della propria prestazione lavorativa, allegando di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze della agenzia per il lavoro, in forza di due contratti di lavoro a tempo determinato, più volte prorogati, senza soluzione di continuità, nonché di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, rendendo la propria attività lavorativa in favore sempre della medesima società utilizzatrice. Eccepiva l'illegittimità dei rapporti di lavoro per difetto del requisito della temporaneità e contestava alla utilizzatrice la mancata predisposizione di idoneo documento di valutazione dei rischi, in violazione dell'art. 32, comma 1 lett. d), d.lgs. n. 81/2015. Conseguentemente, chiedeva, tra l'altro, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, in proprio favore, alle dipendenze della società utilizzatrice. Il Tribunale di Bergamo decideva la causa sulla base del principio della c.d. ragione più liquida, pronunciandosi nello specifico sulla domanda avente ad oggetto l'accertamento della violazione della succitata norma e la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, alle dipendenze della utilizzatrice. Il Tribunale accertava la violazione della disciplina di cui all'art. 32, comma 1 lett. d), d.lgs. n. 81/2015, non ritenendo il DVR prodotto in giudizio dalla utilizzatrice sufficiente a dare conto del rispetto delle condizioni per il ricorso al lavoro somministrato di cui alla predetta norma. All'esito di un'articolata analisi della fattispecie, il Tribunale adìto accoglieva il ricorso del lavoratore e, in applicazione dell'art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015, che sancisce l'apparato sanzionatorio in caso di irregolare somministrazione, costituiva un rapporto di lavoro subordinato tra il lavoratore somministrato e la società utilizzatrice, con decorrenza dalla data dell'inizio della prestazione, con condanna della stessa al pagamento di un'indennità risarcitoria, determinata in base alla durata del rapporto e al periodo intercorso tra la cessazione del rapporto di lavoro e la decisione. La questione La questione giuridica sottesa alla vicenda in esame attiene alla portata interpretativa ed applicativa della disposizione di cui all’art. 32, comma 1 lett. d), d.lgs. n. 81/2015, ai sensi della quale il contratto di somministrazione di lavoro è vietato da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi, in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. La questione investe, anche, il tema dell’apparato sanzionatorio applicabile, in caso di violazione della suddetta norma, trovando applicazione alla fattispecie il disposto di cui all’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, in base al quale, quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 31 commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1 lett. a) e d), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatrice, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultima, con effetto dall’inizio della somministrazione. Le soluzioni giuridiche All'esito di una puntuale analisi delle norme di riferimento, il Tribunale di Bergamo, con la pronuncia in commento, ha ribadito il suo orientamento in materia, già più volte in precedenza affermato, in base al quale il disposto di cui all'art. 32, comma 1 lett. d), d.lgs. n. 81/2015, richiede, nell'ambito di un contratto di somministrazione di lavoratori, la predisposizione, da parte dell'utilizzatore, di un documento di valutazione dei rischi, che sia adeguato in rapporto alla particolare condizione che andrà a ricoprire il somministrato nell'ambito dell'organizzazione aziendale e in riferimento all'attività che sarà tenuto a prestare. È richiesto un documento che tenga conto cioè della specifica situazione del lavoratore, connotata da inserimenti brevi e saltuari in una realtà lavorativa poco conosciuta nelle proprie dinamiche organizzative e produttive, affinché la tutela da garantirgli sia effettiva e non solo formale. Il Tribunale, nel pervenire alla propria decisione, ha evidenziato come tala disciplina abbia una derivazione comunitaria, risalente alla Direttiva 91/383/CEE del Consiglio del 25 giugno 1991, che ha saldamente orientato il legislatore nazionale nel recepimento interno dei principi da essa sanciti. Tale direttiva, richiamata significativamente dal Giudice del lavoro di Bergamo, ha stabilito che, in caso di somministrazione di lavoro (“rapporti di lavoro interinale”), i lavoratori in somministrazione, che prestino attività in favore dell'utilizzatore, debbano beneficiare “in materia di salute e sicurezza, dello stesso livello di protezione di cui beneficiano gli altri lavoratori dell'impresa e/o stabilimento utilizzatori” (art. 2). A tal fine, la direttiva ha stabilito che: il lavoratore “venga informato dall'impresa e/o dallo stabilimento utilizzatori sui rischi che corre”, in particolare in relazione alla “esigenza di qualifiche o attitudini professionali particolari o di una sorveglianza medica speciale” o agli “eventuali rischi aggravati specifici connessi con il posto di lavoro da occupare” (art. 3); “il lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche proprie del suo posto di Il Giudice ha evidenziato come tali previsioni siano state trasfuse, da ultimo, nella norma in commento, ossia nell'art. 32, comma 1 lett. d), d.lgs. n. 81/2015, rispondendo ad un'esigenza di tutela che nasce proprio dalla specifica condizione ricoperta del lavoratore in somministrazione, nell'ambito del contesto aziendale della società utilizzatrice, che lo espone ad una dimensione lavorativa particolare, unica e, in quanto tale, di potenziale o concreta debolezza. Questa categoria di lavoratori è, infatti, inserita, spesso per periodi brevi e frammentati, in organizzazione imprenditoriale a cui sono estranei sotto tutti i profili, ovvero in ordine ai luoghi di lavoro dove viene esercitata l'attività aziendale; al personale impiegato, alle dipendenze dirette della utilizzatrice; ai macchinari e ai beni aziendali; alle procedure produttive e ai protocolli aziendali Data questa condizione personale e lavorativa difforme rispetto alle altre categorie di lavoratori, è evidente – secondo le argomentazioni elaborate in sentenza - che, per garantire ai lavoratori in somministrazione lo stesso livello di protezione di cui beneficiano gli altri lavoratori dell'utilizzatore, gli obblighi di informazione, formazione e valutazione dei rischi non si possano ridurre ad una mera formalità, che tradirebbe la funzione della legge, ma devono tenere adeguatamente conto delle esigenze di adeguata integrazione del lavoratore somministrato nel livello di tutela della salute e sicurezza generale dell'impresa. L'ottimizzazione dei meccanismi e delle norme di tutela dei lavoratori con minor familiarità con l'ambiente di lavoro è del resto in linea con gli obiettivi di protezione sottesi agli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori meno esperti e in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, i quali sono preordinati ad impedire l'insorgere di pericoli, anche eventuali e remoti, in qualsiasi fase del lavoro, e ciò a tutela del lavoratore anche contro incidenti derivanti da un suo comportamento colposo, imprevidente o negligente, e dei quali il datore di lavoro è comunque chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato apprestamento delle idonee misure protettive. Questa è del resto la ratio, ben messa in rilievo dalla sentenza in commento, dalle norme sulla sicurezza del lavoro aventi ad oggetto il documento di valutazione dei rischi, giacché, in base all'art. 28, c. 2 lett. a) ed f), del d.lgs. n. 81/2008, che lo prevede e lo disciplina, esso deve contenere la “valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa” e Coerentemente e in linea con questa disposizione, in caso di ricorso al lavoro somministrato, il documento di valutazione dei rischi deve prevedere le condizioni nelle quali il personale somministrato si troverà operare, i possibili rischi nascenti da tale inserimento, in relazione alla possibile diversa formazione personale dei somministrati, sia nel generale contesto aziendale, sia nelle specifiche mansioni in cui si troveranno ad operare, in modo coerente con l'obiettivo previsto dall'art. 6 della direttiva 91/383/CEE. Il documento, in ogni ambito lavorativo, deve rappresentare uno strumento di tutela concreto e non formale, ragion per cui – come evidenziato dalla sentenza in commento- nella somministrazione deve rivestire i requisiti sopra descritti. La violazione di queste disposizioni determina un'ipotesi di somministrazione irregolare, ponendosi al di fuori delle previsioni normative che regolano l'istituto, fortemente contrastata dall'Ordinamento, con meccanismi sanzionatori che conducono alla possibile costituzione di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti dell'utilizzatrice, con effetto dall'inizio della somministrazione, così com'accaduto nel caso di specie. Infatti, il Giudice del lavoro di Bergamo, accertata la violazione dell'art. 32, comma 1 lett. d), d.lgs. n. 81/2015, ossia la mancata predisposizione, da parte dell'utilizzatrice, di un adeguato DVR, ha applicato, in accoglimento della domanda del ricorrente, il disposto di cui all'art. 38, c. 2, d.lgs. n. 81/2015, che prevede che “quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni” di cui all'art. 31 commi 1 e 2, all'art. 32 e 33 comma 1 lett. a) – d), “il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell'utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione”. Osservazioni La pronuncia in commento si pone in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, che vede nella predisposizione del DVR, nell'ambito del rapporto di somministrazione, un adempimento da assolvere in maniera concreta e non formale, attraverso una sua elaborazione che tenga conto della precipua condizione lavorativa del somministrato, all'interno di una realtà imprenditoriale a cui è estraneo, com'è quella dell'utilizzatore, in cui è inserito per brevi periodi e in maniera frammentata, al fine di garantirgli specifica e piena protezione. Un orientamento al cui consolidamento ha contribuito con più sentenze proprio il Tribunale di Bergamo, nonché la Corte di Appello di Brescia, chiamata a pronunciarsi più volte sulle sentenze emesse dai giudici bergamaschi (App. Brescia, sez. lav., sent. n. 372/2023; App. Brescia, sez. lav., sent n. 248/2020; Trib. Bergamo, sez. lav., sent. n. 17/2023; Trib. Bergamo, sez. lav., sent. n. 108/2020). La sentenza offre una prospettiva interpretativa ed applicativa dell'art. 32, comma 1 lett. d), d.lgs. n. 81/2015, assolutamente apprezzabile. I principi che vi sono sottesi, enunciati dal Giudice in motivazione, sono pienamente condivisibili, così come lo sono le conclusioni cui perviene. Tale norma va interpretata, infatti, nel rispetto delle disposizioni di cui all'art. 28, comma 2 lett. a) ed f), d.lgs. n. 81/2008, che assegnano funzione ben specifica al documento di valutazione dei rischi, affinchè rappresenti presidio di tutela e di protezione del lavoratore. Per cui, sulla base del combinato disposto delle due succitate norme, non si può che giungere alla conclusione che, in caso di lavoro in somministrazione, il DVR dell'utilizzatore debba prevedere le condizioni in cui i lavoratori in missione si verranno a trovare nello svolgimento delle propria attività, i possibili rischi derivanti dal loro inserimento in seno all'utilizzatrice, sia nel suo generale contesto organizzativo e produttivo aziendale, sia nell'ambito dei compiti e delle specifiche mansioni che gli verranno assegnate, tenendo conto della loro conoscenza pregressa di tale realtà, della loro formazione e della loro esperienza. Come evidenziato nella sentenza in analisi, in ogni caso, l'adempimento della preventiva valutazione degli specifici rischi non può essere soddisfatto con la sola adeguata informazione e formazione del lavoratore: è chiaro che le dovute informazioni e la formazione possono realizzare il loro fine di tutela della salute e sicurezza del lavoratore solo una volta che la valutazione ex ante dei rischi sia stata compiuta e tradotta nello specifico documento. In coerenza con queste tesi e nel rigorso rispetto della ratio sottesa alla disciplina in analisi, che ha cardini precisi anche nella trasparenza informativa e nel principio di effettività, vi è un ulteriore doppio approdo applicativo da considerare e da affermare. Da un lato, l'effettiva o ritenuta assenza di rischi non può esimere l'utilizzatore dalla predispozione del DVR, giacché la mancanza di rischi non deve precedere l'adozione del DVR, ma costituire, semmai, frutto della valutazione di cui deve darsi conto nella redazione del documento (cfr. Corte di Cass., III sez. pen., n. 38487/2024); dall'altro, il DVR deve essere inteso come un documento dinamico, non statico, ossia presuppone un aggiornamento correlato ad adeguamenti necessari derivanti dai cambiamenti dell'organizzazione aziendale, che anche l'utilizzatore deve tener in conto nella predisposizione del documento, nel rispetto dell'art. 29, comma 3, d.lgs. 81/2008, ai sensi del quale “la valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata, nel rispetto delle modalità di cui ai comma 1 e 2, in occasione di modifiche del processo produttivo o delle organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità”. Tale principio è stato espresso di recente anche da Tribunale di Firenze, sent. n. 314 del 27 aprile 2021, che è intervenuta anche sul tema della ripartizione dell'onere della prova, citando Cass. civ. n. 16835/2019, che ha affermato che “avvenuta la produzione del DVR da parte del datore di lavoro […] e pur gravando sul datore l'onere probatorio dell'effettuato aggiornamento, è onere del lavoratore allegare, in primo grado anche in replica alla produzione avversaria, che gli elementi da cui desumere l'inadeguatezza di tale documento, a fronte di modifiche rilevanti nell'organizzazione lavorativa, costituendo l'inesistenza o l'inadeguatezza del DVR fatto costitutivo della domanda”. Anche questi obblighi sono funzionali agli obiettivi che la norma intende perseguire, tesi e rendere effettiva la protezione del lavoratore con minore familiarità con l'ambiente di lavoro, pretendendosi una valutazione della specifica e concreta situazione di lavoro, non ammettendosi analisi basate su parametri astratti o su elementi teorici. Ciò vale, comunque, per ogni categoria di lavoratore, in quanto il DVR deve essere predisposto dal datore di lavoro tenendo conto – appunto – dei rischi specifici che sussistono nel proprio contesto aziendale, per ogni attività lavorativa da svolgere, così che esso deve considerare i rischi sottesi ad ogni tipologia contrattuale applicata in azienda. |