I presupposti per l’integrazione della responsabilità per danni cagionati da cose in custodia

04 Novembre 2025

Ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno cagionato da cose in custodia, il Tribunale di Milano, con sentenza dello scorso 11 luglio 2025, n. 5767, (G.I. Spera) mette in evidenza alcuni punti-cardine per la delineazione (e perimetrazione) della fattispecie regolata dall'art. 2051 c.c.

Massima

A fronte di una cosa in custodia connotata da pericolosità nota, manifesta, visibile, agevolmente evitabile, l’utente che venga in contatto con la res è tenuto a rispettare l’obbligo generale di prudenza e diligenza, prestando la dovuta attenzione per evitare rischi evidenti e facilmente evitabili, in difetto della quale il nesso eziologico tra l’evento dannoso e la cosa è escluso.

Il caso 

La vicenda riguarda il caso di un incidente occorso alla vittima allorché, mentre percorreva con un monopattino elettrico un vialetto interno di un parco comunale, cadeva a causa della presenza di una copertura passacavi.

La copertura passacavi era ben visibile (di colore grigio e con strisce gialle) e il sinistro si era verificato di giorno, in condizioni di piena illuminazione.

La questione

La questione centrale affrontata dal Tribunale concerne i termini entro cui è configurabile il nesso eziologico tra l’evento dannoso e la cosa, in ragione del suo intrinseco dinamismo ovvero quale mera res inerte e statica, previa determinazione delle ragioni interruttive di siffatto nesso causale, con precipuo riguardo al ruolo assunto dalla condotta del danneggiato.

Le soluzioni giuridiche

Anzitutto, in sintonia con quanto statuito dalla Cassazione nelle ordinanze n. 17625 del 2016 e n. 11526 del 2017, il giudice evidenzia che, affinché il caso rientri nell'ambito applicativo dell'art. 2051 c.c. – che configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in cui il custode risponde del danno provocato dalla cosa che ha in custodia, indipendentemente da ogni valutazione circa la propria condotta colposa –, è necessario che l'evento dannoso sia stato cagionato direttamente dalla cosa e non dal suo mero utilizzo.

Ne consegue che l'applicabilità della norma è esclusa nelle ipotesi in cui il danno non derivi dalla cosa in quanto tale, ma dall'uso che ne sia stato fatto, in particolare da parte dello stesso danneggiato.

Alla luce di quanto appena esposto, incombe preliminarmente sull'attore, che voglia invocare l'applicabilità dell'art. 2051 c.c., l'onere di allegare, in maniera precisa e circostanziata, il nesso causale tra la cosa oggetto di custodia e l'evento dannoso.

Tale onere di allegazione, che precede logicamente e cronologicamente quello probatorio, nella prassi si articola differentemente a seconda che il danno sia stato cagionato da una cosa dotata di un intrinseco dinamismo (come ad esempio: scoppio della caldaia, scarica elettrica o simili) oppure da un cosa di per sé inerte e statica (come ad esempio: marciapiedi, scale, strade, pavimenti, e simili).

Per l'effetto, solo nell'ipotesi in cui il danneggiato abbia allegato e dimostrato il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, sarà il custode della res a dover fornire, successivamente e consequenzialmente, la prova liberatoria.

Ritiene, in proposito, il Tribunale che, non integrando la colpa del custode un elemento costitutivo della sua responsabilità ex art. 2051 c.c., la prova liberatoria non può avere ad oggetto l'assenza di colpa (ovverosia, la dimostrazione di avere posto in essere, da parte sua, una condotta conforme al modello di comportamento esigibile dall'homo eiusdem condicionis et professionis e allo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso concreto), ma deve, per converso, avere ad oggetto la sussistenza di un fatto (fortuito in senso stretto) o di un atto (del danneggiato o del terzo) che si pone esso stesso in relazione causale con l'evento di danno, caratterizzandosi, ai sensi dell'art. 41, secondo comma, primo periodo, c.p., come causa esclusiva di tale evento (Cass. n. 26142 del 2023).

Quindi, sul convenuto grava la prova liberatoria del caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato (Cass. n. 2477 del 2018).

In particolare:

  • il fatto naturale si configura quale accadimento eccezionale, imprevedibile e inevitabile, riconducibile a forze della natura, come nubifragi, trombe d'aria o eventi sismici, tali da integrare una causa esterna, atta ad interrompere il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno;
  • il fatto del terzo attiene a condotte autonome poste in essere da soggetti diversi dal custode e dal danneggiato, come, ad esempio, atti vandalici o manomissioni o comportamenti dolosi o colposi che si pongano come causa esclusiva del danno;
  • il fatto del danneggiato consiste in un comportamento della stessa vittima, connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento lesivo.

La giurisprudenza di legittimità più recente ha ricondotto le tre fattispecie anzidette a due macrocategorie consistenti, da un lato, nel “fortuito in senso stretto” comprendente gli eventi naturali e, dall'altro, nel fatto del terzo e nel fatto del danneggiato, accomunati dalla natura di condotte umane.

Seguendo questo percorso sistematico, come corroborato dall'analisi nomofilattica svolta, il Tribunale osserva che, al di là delle esposte differenze, tanto il fatto giuridico integrante il “caso fortuito” in senso stretto, quanto l'atto giuridico integrante il fatto colposo (concorrente od esclusivo) del danneggiato o del terzo, attengono entrambi al profilo oggettivo dell'illecito, incidendo sull'elemento della causalità materiale (Cass. n. 11152 del 2023 e n. 14228 del 2023).

Nella prospettiva innanzi esposta, allo scopo di discernere le ipotesi in cui la condotta del danneggiato, entrando in interazione con la cosa, assuma rilievo causale esclusivo oppure rilievo causale concorrente, deve effettuarsi una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione, da parte del danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass. n. 2376 del 2024 e n. 8450 del 2025).

Sulla base delle considerazioni esposte, il giudice di merito rileva che, a fronte di una cosa in custodia connotata da pericolosità nota, manifesta, visibile, agevolmente evitabile, l'utente che venga in contatto con la res medesima è tenuto a rispettare l'obbligo generale di prudenza e diligenza, prestando la dovuta attenzione per evitare rischi evidenti e facilmente evitabili. Siffatto obbligo di diligenza deve essere contemperato con il dovere di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., con la conseguenza che non può essere imposto un onere eccessivo o irragionevole a carico dell'utente, ma è invece esigibile una soglia minima di attenzione e cautela, proporzionata alla situazione concreta. Pertanto, in presenza di pericoli manifesti – come una pavimentazione disconnessa o una buca di grandi dimensioni – è ragionevole attendersi che il soggetto adotti misure di autotutela adeguate al caso concreto (a titolo esemplificativo: prestare attenzione a dove si poggiano i piedi, rallentare l'andatura, evitare la zona pericolosa, seguendo, ove possibile, un percorso alternativo) – Trib. Milano n. 5886 del 2021.

In coerente applicazione delle predette direttrici orientative, il Tribunale deduce che la canalina passacavi di specie fosse chiaramente visibile e oggettivamente evitabile (la canalina passacavi corrispondeva a quella raffigurata nella foto prodotta, di colore grigio e con strisce gialle), tenuto conto altresì del fatto che il sinistro si era verificato intorno alle ore 12:30, come confermato dallo stesso attore, in condizioni di piena illuminazione diurna, sicché, ove la vittima avesse adottato un comportamento improntato alla normale cautela – in relazione a una situazione di rischio percepibile con l'ordinaria diligenza –, avrebbe potuto agevolmente notarla, ridurre la velocità del velocipede ed eventualmente arrestarsi prima di raggiungerla, senza alcuna difficoltà. Ne ha desunto il giudice di merito che la verificazione del danno fosse imputabile esclusivamente alla condotta colposa del danneggiato, con conseguente esclusione di ogni profilo di responsabilità in capo all'ente comunale.

Osservazioni

L'arresto giurisprudenziale in commento analizza, in conformità all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, le condizioni affinché sia integrata la responsabilità oggettiva cagionata da cose in custodia ex art. 2051 c.c. sulla scorta del riferimento a tre linee-guida:

  1. i termini di identificazione della responsabilità da cosa in custodia, quanto al quomodo di estrinsecazione del nesso eziologico tra evento dannoso e cosa;
  2. il ruolo che esercita la condotta del danneggiato sulla dinamica di tale rapporto causale;
  3. gli oneri allegatori e probatori gravanti sull'attore.

Alla luce dei rilievi esposti, e alla stregua dei logici passaggi compiuti, la pronuncia evocata giunge coerentemente alla conclusione dell'insussistenza del nesso causale nel caso esaminato, in ragione del ruolo assorbente assunto dal comportamento del danneggiato nella causazione dell'evento lesivo.

Sotto il primo profilo, la responsabilità ex art. 2051 c.c., per danni cagionati da cose in custodia, prescinde dalla prova della ricorrenza di una situazione di insidia, essendo sufficiente che il danneggiato dimostri il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso e può essere esclusa grazie alla dimostrazione, di cui è onerato il custode, della rilevanza causale – esclusiva o concorrente alla produzione del danno – delle condotte, anche solo colpose, del danneggiato o di quelle, imprevedibili, di un terzo (Cass. n. 8450 del 2025, n. 12663 del 2024).

Assume un peso pregnante, perciò, il ruolo rivestito in sé dalla cosa custodita nel caso di specie e non già l'utilizzo che di essa sia compiuto.

Quanto al rilievo assunto dal contegno del danneggiato, nella responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. – in cui il nesso causale non si identifica nel rapporto eziologico tra l'evento e la condotta di un agente, bensì, tramite una concatenazione di fatti, di altra natura, tra res in custodia ed evento – il tema della colpa del danneggiato, intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia sé stesso non compie un atto illecito di cui all'art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato, non è estraneo alla verifica della causalità che il giudice è chiamato a svolgere, potendo la sua condotta avere, quale effetto, l'esclusione della responsabilità del custode, ove costituisca l'unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, relegando al rango di mera occasione la relazione con la res (Cass. n. 8449 del 2025, n. 26142 del 2023 e S.U. n. 20943 del 2022).

Da tanto deriva che il comportamento del danneggiato non deve essere ponderato sotto la visuale subiettiva della colpa, ma in termini obiettivi come fattore idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Per l'effetto, quanto al terzo aspetto, grava sull'attore l'onere di dimostrare il nesso eziologico anzidetto tra evento dannoso e res. Sicché, in tema di responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c., l'incertezza in ordine ad una circostanza incidente sull'imputabilità eziologica (oggettiva) dell'evento dannoso impedisce di ritenere integrata la prova – gravante sull'attore – del nesso causale tra la cosa e il danno, con conseguente esclusione della responsabilità del custode (Cass. n. 33129 del 2024 e n. 20986 del 2023).

Ne discende che, in tema di responsabilità da cose in custodia, la mancata individuazione della causa del danno perde rilevanza laddove la condotta del danneggiato assurga, per l'intensità del rapporto con la produzione dell'evento, al rango di causa autonomamente sopravvenuta avente efficacia causale esclusiva (e assorbente) nella produzione del pregiudizio, così facendo venire meno il nesso eziologico con la res (Cass. n. 32546 del 2024 e n. 7789 del 2024).

Nella vicenda esaminata dal Tribunale la possibilità concreta che la vittima – quale conducente di un monopattino elettrico – potesse percepire, sul manto stradale delle vie del parco che stava affrontando, la presenza di una copertura passacavi ben visibile e di chiara evidenza, in condizioni di piena luminosità, evitando così la caduta, ha indotto a ritenere, sulla scorta dei principi espressi, che la condotta della vittima sia stata determinante nella causazione dell'evento dannoso, tanto da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso.

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