“Caregiver familiare” e discriminazione indiretta nell’ordinamento multilivello
05 Novembre 2025
Massima La direttiva 2000/78 e, in particolare, il suo articolo 1 e il suo articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera b), letti alla luce degli articoli 21, 24 e 26 della Carta nonché degli articoli 2, 5 e 7 della Convenzione dell'ONU, devono essere interpretati nel senso che il divieto di discriminazione indiretta fondata sulla disabilità si applica a un lavoratore che non sia egli stesso disabile, ma che sia oggetto di una siffatta discriminazione a causa dell'assistenza che fornisce al figlio affetto da una disabilità che consente a quest'ultimo di ricevere la parte essenziale delle cure che le sue condizioni richiedono. Un datore di lavoro è tenuto a prevedere accomodamenti ragionevoli, ai sensi dell'articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce degli articoli 24 e 26 della Carta nonché dell'articolo 2 e dell'articolo 7, paragrafo 1, della Convenzione dell'ONU, nei confronti del “caregiver familiare”, purché non implichi per il datore di lavoro un onere sproporzionato. Il caso La Corte suprema di Cassazione italiana, con ordinanza del 17 gennaio 2024, ha proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, avente ad oggetto l’interpretazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia in merito al rifiuto della società datrice di lavoro di concedere ad una dipendente una modifica non provvisoria delle sue condizioni di lavoro (nella specie l’assegnazione ad un posto di lavoro con orari fissi la mattina) che le consentisse di occuparsi del figlio disabile, soggetto all’osservanza di un piano terapeutico essenziale, non differibile e a orario fisso pomeridiano. La ricorrente chiedeva di accertare il carattere discriminatorio del mancato accoglimento della domanda di adeguamento permanente delle sue condizioni di lavoro. La questione Le questioni pregiudiziali collegate sono le seguenti: un lavoratore che si occupa del figlio minore disabile è legittimato a far valere in giudizio la tutela contro la discriminazione indiretta fondata sulla disabilità di cui beneficerebbe la persona disabile ai sensi della direttiva 2000/78? Nell’ipotesi di risposta affermativa alla prima questione, il diritto dell’Unione europea va interpretato nel senso che grava sul datore di lavoro del caregiver di cui sopra l’obbligo di adottare soluzioni ragionevoli per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento nei confronti degli altri lavoratori? Nell’ipotesi di risposta affermativa alla prima e/o alla seconda questione, il diritto dell’Unione va interpretato nel senso che per caregiver rilevante ai fini dell’applicazione della direttiva 2000/78 si deve intendere qualunque soggetto, appartenente alla cerchia familiare o convivente di fatto, che si prenda cura in un ambito domestico, pure informalmente, in via gratuita, quantitativamente significativa, esclusiva, continuativa e di lunga durata di una persona che, in ragione della propria grave disabilità, non sia assolutamente autosufficiente nello svolgimento degli atti quotidiani della vita? Le soluzioni giuridiche Quanto alla prima questione pregiudiziale, la Corte ricorda che ha già dichiarato in precedenza che una situazione di discriminazione diretta «per associazione», fondata sull'handicap, è vietata dalla direttiva 2000/78. Infatti, il divieto di discriminazione diretta di cui all'articolo 1 e all'articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili, ma si estende ove sia provato che il trattamento sfavorevole di cui il lavoratore è vittima è causato dalla disabilità del figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest'ultimo ha bisogno (sentenza del 17 luglio 2008, Coleman, C‑303/06, punto 56). Conformemente all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, si osserva che il principio della parità di trattamento è inteso come l'assenza di «qualsiasi discriminazione», diretta o indiretta, basata su uno dei motivi di cui all'articolo 1 di tale direttiva (così in conformità anche della giurisprudenza della Corte EDU. V. Corte EDU, 22 marzo 2016, Guberina c. Croazia, CE:ECHR:2016:0322JUD002368213). Il principio della parità di trattamento sancito da detta direttiva in quest'ambito si applica non in relazione ad una determinata categoria di persone, bensì in funzione dei motivi indicati al suo articolo 1. Rispetto alla seconda questione pregiudiziale, rilevano: a) l'art. 5 della direttiva 2000/78: per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili sono previste soluzioni ragionevoli, ossia l'adozione da parte del datore di lavoro di provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, purché tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario proporzionato; b) l'art. 2, terzo comma, Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006: la nozione di discriminazione fondata sulla disabilità comprende tutte le forme di discriminazione, «compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole»; c) l'art.7, par. 1, Convenzione ONU 2006: gli Stati parti di quest'ultima adottano tutte le misure necessarie per garantire ai minori con disabilità «il pieno godimento» di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali, su base di uguaglianza con gli altri minori. A tal riguardo, il punto x) del preambolo di detta Convenzione si riferisce esplicitamente alla necessità di aiutare le famiglie delle persone con disabilità affinché possano contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità. Alla luce delle suddette disposizioni, la CGUE fa conseguire l'obbligo, per il datore di lavoro, di adeguare le condizioni di lavoro del “caregiver familiare”, in assenza del quale il divieto di discriminazione indiretta «per associazione» sarebbe privato di una parte importante del suo effetto utile. La Corte raccomanda una definizione ampia della nozione di «accomodamento ragionevole», ricomprendendovi anche la riduzione dell'orario di lavoro, sottolineando però che la misura non deve implicare per il datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato da valutare tenendo conto, in particolare, dei costi finanziari della misura, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell'organizzazione o dell'impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni. L'ultima questione pregiudiziale è dichiarata irricevibile dalla Corte dal momento in cui: a) il giudice del rinvio interroga la Corte sull'interpretazione della nozione di caregiver che non è prevista dalla direttiva 2000/78 ma che, come chiarito dal giudice del rinvio nella sua domanda, sembra emergere dal diritto nazionale; b) l'ordinanza di rinvio non fornisce alcuna spiegazione quanto al nesso che essa stabilisce tra le precisazioni che chiede alla Corte nell'ambito della sua terza questione riguardo a tale nozione di caregiver e la controversia di cui al procedimento principale. Osservazioni Vi è da evidenziare la portata sistematica della pronuncia della Corte di Giustizia sia sul piano sovranazionale sia sul piano nazionale. Rispetto al diritto europeo, la Corte ha completato l'opera di estensione del campo applicativo soggettivo della tutela antidiscriminatoria, come iniziata nella sentenza Coleman, andando ad aumentare il livello di protezione nel caso di discriminazione per associazione e a ridurre il rischio di un mancato riconoscimento della tutela per il caregiver a seconda della qualificazione della fattispecie discriminatoria come diretta o indiretta. La scelta ermeneutica del giudice europeo è dettata anche dalla volontà di allinearsi con il diritto internazionale, che non fa distinzione tra le forme di discriminazione. Questa ratio di equiparazione delle tutele, nonché lo stesso ancoraggio al diritto internazionale, ha condotto ad una coraggiosa estensione della portata dell'obbligo di adozione di accomodamenti ragionevoli. La soluzione non era scontata, potendo, infatti, la Corte optare – come sostenuto in dottrina - per una graduazione delle tutele dipendente dall'allontanamento del fattore protetto dal soggetto leso. Si ravvisa, tuttavia, che nelle argomentazioni di tale soluzione non è stata valorizzata un'altra base giuridica, che avrebbe sollevato meno perplessità rispetto all'uso del principio dell'effetto utile; ci si riferisce alla direttiva n. 1158/2019 UE relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza. Sul piano nazionale, si sottolinea che il legislatore italiano ha istituito una tutela di tipo antidiscriminatorio specifica per i prestatori di assistenza delle persone con disabilità, proprio in attuazione della direttiva n. 1158/2019 UE. La norma in questione, che tuttavia non ha trovato applicazione ratione temporis ai fatti di causa, è l'art. 25, comma 2-bis, del d.lgs. n. 198 del 2006 (cd. Codice delle pari opportunità), introdotto dall'art. 2, comma 1, della l. n. 162 del 2021, secondo cui: «costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo [discriminazione diretta e indiretta], ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che in ragione […] delle esigenze di cura personale o familiare, pone o può porre il lavoratore in una posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori». La regolazione multilivello dimostra, dunque, una comune tendenza verso l'innalzamento della tutela antidiscriminatoria anche per il caregiver, ma non è da sottovalutare la necessità di una valutazione ponderata sullo strumento giuridico specifico da azionare per tenere insieme lo scopo di tutela della persona e il rigore ermeneutico dell'interprete. Riferimenti O. Bonardi, Il diritto di assistere. L’implementazione nazionale delle previsioni a favore dei caregivers della Direttiva 2019/1158 in materia di conciliazione, in Quaderno della Rivista Diritti Lavori Mercati, n. 14/2023, 103 ss. G. Zampieri, Discriminazione indiretta e soluzioni ragionevoli per il "caregiver" della persona con disabilità?, in La Nuova Giurisprudenza Civile commentata, 4/2024, 799 ss. |