«Quota 100», violazione del divieto di cumulo con redditi da lavoro subordinato: inammissibili le censure di illegittimità costituzionale della sospensione annuale della pensione

La Redazione
05 Novembre 2025

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Ravenna, riguardo all’articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 4 del 2019 (convertito nella legge n. 26 del 2019).

Il dubbio era relativo all'interpretazione, sostenuta dalla Corte di Cassazione (sezione lavoro, sentenza n. 30992 del 2024), secondo cui, in caso di violazione del divieto di cumulo tra la pensione anticipata cosiddetta «quota 100» e redditi da lavoro subordinato, la sanzione sarebbe la sospensione dell'intero trattamento previdenziale per un anno, anche se il lavoro svolto riguarda periodi molto brevi e compensi esigui.

La Corte Costituzionale ha osservato che il giudice rimettente, pur non rilevando ostacoli testuali o di principio a un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma (che, peraltro, non stabilisce espressamente le conseguenze della violazione del divieto di cumulo), non l'ha seguita, senza fornire motivazioni convincenti.

Il Tribunale ha ritenuto preclusiva l'unica pronuncia della Cassazione in materia, ma la Consulta ha sottolineato che tale sentenza, oltre ad essere recente, non rappresenta un indirizzo consolidato e univoco nella giurisprudenza di legittimità, essendo stata seguita solo da alcune decisioni di merito e disattesa da altre, espressive di un diverso indirizzo.

Di conseguenza, la Corte Costituzionale ha stabilito che non sussistono i requisiti di reiterazione e stabilità necessari perché un orientamento interpretativo possa essere considerato “diritto vivente” e, dunque, richiedere un intervento della Corte stessa in caso di sospetto contrasto con la Costituzione. Il giudice rimettente, quindi, avrebbe potuto - e dovuto - procedere a un'interpretazione della norma oggetto di censura, valutando criticamente il precedente giurisprudenziale, che non costituisce ancora “diritto vivente”.

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