Modello di produzione a catena, valutazione dei rischi e “obbligazione di mezzi” in capo alla società-committente
07 Novembre 2025
Massima La mancata adozione di modelli di prevenzione del rischio e l'effettuazione di controlli meramente formali sulla catena produttiva da parte della società-committente non esclude la natura colposa della condotta di agevolazione addebitabile alla stessa, anche se con il soggetto agevolato esiste solo un rapporto indiretto, con conseguente integrazione dei presupposti richiesti dall'art. 34 d.lgs. n. 159/2011. Il caso La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano chiedeva l'amministrazione giudiziaria nei confronti di una S.p.A, ai sensi dell'art. 34 d.lgs. n. 159/2011, come modificato dalla d. n. 161/2017. In particolare, il P.M. rappresentava che, a seguito di attività di controllo ispettive presso opifici a conduzione cinese, erano state riscontrate considerevoli violazioni della legge in materia di tutela del lavoro. Nello specifico, era emerso: l'utilizzo e lo sfruttamento di manodopera irregolare e clandestina; il transito degli stessi soggetti irregolari da un opificio all'altro; la presenza del medesimo committente della produzione in subappalto. Il P.M. precisava che la società con la quale la S.p.A. aveva stipulato un contratto di appalto disponeva soltanto nominalmente di un'adeguata capacità produttiva, potendo operare sul mercato solo mediante l'esternalizzazione delle commesse ai suddetti opifici cinesi, abbattendo i costi grazie all'impiego della manodopera irregolare. Il P.M. dichiarava, pertanto, che la S.p.A. si avvaleva di soggetti dediti allo sfruttamento lavorativo, integrando la condotta di agevolazione di cui all'art. 34 d.lgs. n. 159/2011. Si evidenziava, inoltre, che il meccanismo operativo non era riconducibile a iniziative isolate di singoli, bensì a una illecita politica di impresa. L'attività di controllo delle filiere produttive indicava, inoltre, la completa esternalizzazione dei processi di produzione industriale, con il fine esclusivo di abbattere i costi da lavoro dipendente e le responsabilità per la sicurezza dei lavoratori. Considerati gli accertamenti emersi nel corso delle indagini, svolte anche presso le sedi delle società coinvolte, ad avviso del P.M. la S.p.A., nell'affidare l'appalto per il confezionamento di alcuni capi di vestiario all'appaltatore, non poteva non sapere, sia da semplici riscontri camerali che dalle successive attività di audit, che il predetto non aveva la pur minima capacità di produzione e che lo stesso avrebbe dovuto esternalizzare i processi produttivi a società terze. Sebbene ciò non potesse significare che la S.p.A. avesse avuto la piena consapevolezza del grave sfruttamento dei lavoratori, ad avviso del P.M. doveva quantomeno ritenersi certa la consapevolezza del deficit organizzativo e strutturale dell'appaltatore, determinante l'instaurazione di rapporti commerciali con i soggetti indagati per il reato di caporalato. La questione L’amministrazione giudiziaria può essere disposta qualora l’asserita agevolazione colposa interessi il subappaltatore inserito nella catena produttiva ma avente solo rapporti indiretti con la società committente? Le soluzioni giuridiche Tenuto conto delle risultanze probatorie, il Tribunale ha valutato la ricorrenza nel caso di specie dei presupposti applicativi dell'art. 34 d.lgs. n. 159/2011. In particolare, con riferimento agli opifici cinesi, il quadro probatorio è stato ritenuto sufficiente a sostenere la contestazione del reato di cui all'art. 603-bis c.p., sussistendo diversi indici di rivelazione dello sfruttamento dei lavoratori, nonché lo stato di bisogno di questi ultimi. In merito all'attività di agevolazione da parte della S.p.A., il Tribunale ha evidenziato che la stessa aveva affidato la produzione dei capi di abbigliamento in via diretta a un soggetto (i.e. appaltatore), ma l'effettiva realizzazione di tali beni era stata operata da altri. L'appaltatore, infatti, non aveva un idoneo reparto produttivo, come risultante dalla documentazione della stessa società e dalle visure camerali, oltre che dalla Banca dati INPS (i.e. riduzione del personale a n. 7 dipendenti). Pertanto, la commessa era stata subappaltata a un'altra società, anch'essa priva di un'adeguata capacità produttiva, la quale faceva a sua volta ricorso agli opifici cinesi, operanti con modalità tali da determinare lo sfruttamento dei lavoratori. Tenuto conto del complessivo quadro probatorio, il Tribunale ha ritenuto che il meccanismo fosse stato colposamente alimentato dalla S.p.A, la quale non aveva verificato la reale capacità imprenditoriale dell'appaltatore e dei subappaltatori, né aveva nel corso degli anni eseguito efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto l'operatività della catena produttiva e le effettive condizioni lavorative. Il Tribunale ha affermato che la condotta di agevolazione della S.p.A. appariva connessa in modo strutturale ed endemico all'organizzazione della produzione da parte dell'appaltatore, nonché funzionale a realizzare una massimizzazione dei profitti, presentandosi, altresì, stabile e perdurante nel tempo. Infatti, non era stata effettivamente controllata la catena produttiva, né verificata la reale capacità imprenditoriale delle società coinvolte nei rapporti commerciali, né, ancora, accertate le concrete modalità di produzione delle stesse. Inoltre, il giudice meneghino ha escluso che gli audit e i controlli svolti potessero ritenersi sufficienti in quanto operati di fatto solo formalmente. Analogamente, non idonea ad escludere l'agevolazione è stata ritenuta la risoluzione del contratto di appalto, essendo essa intervenuta intempestivamente e solo dopo i controlli delle autorità competenti. È stato, pertanto, ritenuto integrato il presupposto della condotta agevolatrice indicato dall'art. 34 d.lgs. n. 159/2011. Sul punto è stato precisato che, sebbene la S.p.A. non avesse la piena consapevolezza delle condizioni in cui versavano i lavoratori presso gli opifici cinesi, certamente essa colposamente non omesso di implementare una struttura organizzativa adeguata per impedire il sorgere e il consolidarsi di rapporti commerciali (mediante la catena di sub-appalti) con soggetti operanti in regime di sfruttamento dei lavoratori. Il Tribunale ha, quindi, disposto l'amministrazione giudiziaria della S.p.A., modulando tale misura in applicazione del principio di proporzionalità, con il fine di evitare, anche pro futuro, che la filiera produttiva si articoli attraverso appalti e subappalti con realtà imprenditoriali adottanti condizioni di sfruttamento dei lavoratori, rimuovendo, ove necessario, i rapporti contrattuali in essere con soggetti direttamente o indirettamente collegati alle suddette imprese. Osservazioni L'amministrazione giudiziaria ha una funzione preventiva che si sostanzia nel contrastare la contaminazione di imprese “sane” mediante interventi che consentano alle stesse di continuare ad operare nel mercato. Nel caso esaminato dal Tribunale di Milano il presupposto giustificante l'applicazione della misura è stato individuato nella colposa agevolazione di soggetti sottoposti a procedimento penale per il reato di cui all'art. 603-bis c.p. Il fattore psicologico - da indagare a partire dai comportamenti posti in essere dalle persone fisiche dotate di potere decisionale, di rappresentanza o di controllo - acquista un valore determinante nello stabilire la riconducibilità e, dunque, la rimproverabilità della condotta di agevolazione. Quest'ultima, infatti, deve necessariamente avere una connotazione colposa, considerato che la stessa condotta potrebbe avere rilevanza penale a titolo di favoreggiamento ovvero di concorso nel reato principale, con conseguente possibilità di sottoporre anche l'agevolatore a un procedimento penale. Pertanto, proprio al fine di distinguere le ipotesi di responsabilità penale da quella di agevolazione rilevante ai fini dell'art. 34 d.lgs. n. 159/2011, il criterio discretivo viene imperniato sul titolo soggettivo della rimproverabilità della condotta di agevolazione. Tuttavia, leggendo il provvedimento in commento, sembrerebbe emergere una contraddizione: i deficit di compliance rilevati durante le indagini segnalavano una sorta di “adesione consapevole” della S.p.A., cui condotta, stabile e perdurante nel tempo, appariva “connessa in modo strutturale ed endemico” all' organizzazione della produzione da parte della società a valle, “nonché funzionale a realizzare una massimizzazione dei profitti, anche a costo di instaurare colposamente stabili rapporti con soggetti dediti allo sfruttamento dei lavoratori”. Nonostante ciò, lo stesso giudice esclude possano ritenersi sussistenti elementi tali da dimostrare la piena consapevolezza della situazione illecita. Ci si chiede allora se possa configurare una sorta di “accettazione del rischio” l'individuazione di una società appaltatrice di fatto non in grado di rispettare le commesse in quanto priva delle necessarie capacità produttive, con conseguente inserimento nella catena produttiva di soggetti terzi (i.e. anche gli opifici cinesi indagati per il reato di cui all'art. 603-bis c.p.) a seguito della stipula di contratti di subappalto. Tale “accettazione del rischio” troverebbe conferma anche nella mancata adozione di idonei modelli di organizzazione e gestione ex l. n. 231/2001 e, dunque, di misure atte a ridurre, se non eliminare, i rischi collegati al coinvolgimento di più soggetti nella filiera produttiva. Tuttavia, escludendosi la configurabilità di un dolo eventuale, non necessario ai fini dell'amministrazione giudiziaria, si dovrebbe parlare di una colpa di organizzazione grave, manifestatasi nell'assenza di un sostanziale controllo sull'operato dei soggetti in concreto coinvolti nella catena di produzione, con esposizione a rischi che la società committente, per ragioni legate alla “volontà di massimizzazione del profitto”, negligentemente non ha considerato e governato (recte commissione di reati da parte dei diversi operatori economici a diverso titolo coinvolti nella produzione). Fermo quanto sopra, acquista una certa rilevanza stabilire i confini entro i quali l'agevolazione può ritenersi colposa e, dunque, giustificare l'amministrazione giudiziaria. Infatti, la realtà delle attuali relazioni economiche e commerciali restituisce spesso un quadro abbastanza complesso, con esposizione dei singoli operatori del mercato a rischi non sempre agevolmente prevedibili, ma da valutare proprio in ragione delle responsabilità che da essi possono scaturire, in particolar modo qualora il modello produttivo sia basato su una catena di appalti. Si è consapevoli, infatti, che per il committente la frammentazione tra diversi soggetti della realizzazione di un determinato prodotto/servizio può trovare fondamento in diverse esigenze, consentendo una certa flessibilità organizzativa oltre che l'abbattimento dei costi operativi. Tale realtà, la quale coinvolge inevitabilmente anche il mondo del lavoro e la tutela dei lavoratori, impone, dunque, un'indagine sui confini entro i quali al committente può essere addebitata un'agevolazione colposa. Quest'ultima può essere inferita da una serie di omissioni negligenti, qualora non siano state effettuate opportune valutazione circa i requisiti tecnico-professionali delle società appaltatrici, ovvero siano mancati controlli sulla filiera produttiva anche rispetto agli eventuali subappaltatori. La predisposizione - ed effettiva attuazione - di un modello idoneo a gestire e controllare la filiera produttiva e l'affidabilità dei fornitori ben potrebbe allora escludere un addebito nei termini sopra esposti. Analogamente l'esclusione della facoltà di subappaltare l'opera o il servizio, sebbene tale limitazione debba risultare coerente con le effettive capacità produttive dell'appaltatore. Al fine di orientare la valutazione del singolo caso, un ausilio potrebbe essere individuato anche nella Direttiva UE n. 2024/1760 (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), la quale, sebbene con riferimento alle “grandi società” europee e di Paesi terzi (con una presenza significativa nell'U.E.), mira alla promozione di comportamenti aziendali sostenibili e responsabili lungo tutte le catene di attività, in coerenza con gli obiettivi ESG (Environment, Social e Governance) dell'Unione Europea. In particolare, il considerando n. 19 chiarisce che le società dovrebbero adottare iniziative opportune per istituire e attuare misure, in adempimento del dovere di diligenza, interessanti le proprie attività, quelle delle loro filiazioni nonché quelle dei loro partner commerciali, diretti e indiretti, lungo l'intera catena di attività, facendo sorgere, tuttavia, un'obbligazione di mezzi e non di risultato. Conseguentemente, in contesti imprenditoriali particolarmente complessi per dimensioni e rapporti commerciali, la diligenza richiesta agli operatori economici involge una valutazione dei rischi più ampia. Su tale ultimo punto, tuttavia, qualche perplessità potrebbe sorgere relativamente alla possibilità di configurare un'agevolazione colposa (i.e. una condotta rimproverabile) in forma mediata, ossia in assenza di un rapporto diretto tra l'agevolatore e l'agevolato. Tuttavia, un'interpretazione dell'art. 34 d.lgs. n. 159/2011 in tale direzione, pur consentendo di applicare una misura idonea a incidere sulla libertà d'impresa, sarebbe bilanciata dal principio di proporzionalità, potendo la disciplina dell'amministrazione giudiziaria essere mitigata, come avvenuto nel caso oggetto del presente commento, incidendo solo sui profili organizzativi e strutturali interessati dalle criticità accertate. In conclusione, considerati gli orientamenti nazionali e sovranazionali, sorge quasi spontanea una domanda: in contesti di produzione complessi, la doverosa diligenza e prudenza richiesta potrebbe implicare anche la predisposizione di modelli sostanzialmente diretti a scongiurare il rischio che soggetti terzi, con i quali l'impresa non ha rapporti diretti, commettano fatti illeciti? Le catene di fornitura della moda, così come altre realtà imprenditoriali, sono caratterizzate da una notevole frammentazione e non si dubita delle considerevoli difficoltà che può comportare un monitoraggio, tra le altre cose, delle condizioni dei lavoratori coinvolti in ogni fase. Nondimeno, proprio in un'ottica orientata all'idoneità del mezzo piuttosto che al raggiungimento del risultato, l'implementazione di procedure per la preventiva verifica dei requisiti di affidabilità degli operatori economici a diverso titolo inseriti nella catena di produzione, l'effettuazione di controlli sostanziali in corso d'opera e l'adozione di misure adeguate e tempestive in caso di accertamenti negativi, possono essere valutate positivamente dall'organo giudicante al fine di escludere una colposa agevolazione. Riferimenti M. Colacurci, Evoluzioni e divergenze della compliance riparatoria nel sistema di responsabilità da reato degli enti, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., n. 1-2, 1° gennaio 2025, pp. 202 ss. F. Pisconti, Idoneità dei modelli aziendali 231 e Due Diligence nei processi di Outsourcing. Riflessioni sulle recenti applicazioni dell’amministrazione giudiziaria per sfruttamento di manodopera nel sistema di supply chain dell’alta moda, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., n. 1-2, 1° gennaio 2025, pp. 380 ss. G. Civello, Agevolazione colposa del “caporalato” e misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria, in Lav. giur. n. 8-9, 1° agosto 2024, pp. 822 ss. E. Nagni, Violazione colposa dell’impresa operante negli appalti di opere e/o servizi: legittima l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria del Codice Antimafia, IUS, 5 giugno 2024 E. Nagni, Misure di prevenzione e agevolazione colposa dell’impresa operante negli appalti di opere e/o servizi: legittima l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria, IUS, 30 luglio 2024 L. Bin, l'azienda che sfrutta a sua insaputa: il paradosso dell'amministrazione giudiziaria, in Riv. It. Dir. Lav., fasc.3, 2024, pp. 484 ss. M. Di Lello Finuoli, Fashion industry e “lavoro povero”: l'amministrazione giudiziaria delle aziende di moda per la prevenzione del caporalato, in Sistema 231, fasc.1, 1° aprile 2024, pp. 19 ss. |