Sottrazione internazionale di minori e condizioni ostative al rimpatrio

12 Novembre 2025

Nei ranghi della sottrazione internazionale di minore, qualora venga accertata l’illegittimità del trasferimento da parte di uno dei due genitori, il Giudice può negare il rimpatrio del minore nel paese di provenienza unicamente in presenza di un fondato rischio fisico o psichico, o di un’oggettiva intollerabilità.

Massima

In materia di sottrazione internazionale di minore, il Giudice deve attenersi ad un criterio di rigorosa interpretazione della portata della condizione ostativa al rimpatrio prevista dall’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1980, nella valorizzazione della complessiva valutazione del preminente interesse del minore. Ponendosi la causa ostativa in un regime eccezionale rispetto al rimpatrio, qualificato come regola generale, per il venire in essere della clausola prevista dall’art. 13, comma 1, lettera b), il Giudicante non può dare peso al mero disagio psicologico o alla semplice sofferenza psicologica per il distacco dal genitore autore della sottrazione, a meno che i suddetti raggiungano un grado di pericolo effettivo e concreto o un’effettiva intollerabilità.

Il caso

La vicenda in questione nasce dal trasferimento di due minori dalla Spagna all’Italia, rivelatosi controverso ed illecito in quanto deciso, ed attuato, unilateralmente dalla madre, senza il previo consenso paterno.

Nel mese di giugno 2023, i due genitori concludevano una convivenza, iniziata e finita su territorio spagnolo, sottoscrivendo, contestualmente, un accordo avente ad oggetto l’affidamento condiviso dei figli con collocazione alternata. Al netto di detto patto e nonostante i tempestivi e quotidiani adempimenti da parte della figura paterna, nel mese di novembre 2023, la madre si trasferiva con i figli minorenni in Italia, senza preventiva informativa, né autorizzazione alcuna dell’altra figura genitoriale.

Il padre presentava istanza di rimpatrio e il contenzioso di primo grado, così deciso dal Tribunale dei Minorenni di Napoli, si concludeva con l’accertamento positivo dell’illiceità del trasferimento ma il rigetto della domanda di rientro, sulla base delle cause ostative contenute all’interno dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1980, ritenute applicabili al caso concreto.

Il genitore soccombente proponeva ricorso per Cassazione.

La questione

Nell’ambito della sottrazione internazionale di minore, si interpella la Suprema Corte al fine di chiarire, ulteriormente, il rapporto sussistente tra rimpatrio e cause ostative, nella consapevolezza del delicato mondo che gravita attorno alla materia e dei principi che attraversano la medesima, inclini a bilanciamenti e fragili equilibri.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità intervengono nella sensibile materia della sottrazione internazionale dei minori, ricostruendo la ratio dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 1980 (in particolare del comma 1, lettera b)), il regime di applicabilità ed i suoi confini.

In primo luogo, la Suprema Corte richiama l'oggettivo campo in cui opera la sottrazione internazionale dei minori che, in base all'art. 3 della Convenzione dell'Aja del 1980, viene in essere alla coesistenza di tre elementi:

  1. l'allontanamento del minore dalla residenza abituale senza il consenso dell'altro genitore;
  2. il trasferimento o il mancato rientro;
  3. la titolarità e l'esercizio effettivo del diritto di custodia da parte del denunciante l'avvenuta sottrazione (v. in merito Cass. civ., sent., n. 12035/2025).

Qualora venga acclarata l'illegittimità del trasferimento, l'art. 12 della Convenzione, integrato dalle disposizioni del Regolamento (UE) n. 1111/2019, impone alle Autorità Giudiziarie dello Stato interessato, l'ordine di rientro immediato del minore sottratto come regola generale.

Una volta illustrato l'ambito applicativo in cui agisce tale fattispecie e il regime comune da applicarsi nelle ipotesi di accertamento positivo, la Cassazione si sposta sull'esame specifico dell'art. 13 della stessa Convenzione, oggetto della domanda e disciplinata eccezione del descritto sistema generale.

Difatti, la citata norma regolamenta le cause ostative al rientro, che si definiscono come situazioni eccezionali, in cui viene negata quella che sarebbe la generale conseguenza al verificarsi di episodi di sottrazione internazionale (ossia il rimpatrio). Tanto detto, si motiva ai sensi del preminente interesse del minore, pilastro portante della disciplina che sta attorno e tutela il medesimo.

In deroga, l'art. 13 individua delle limitate circostanze ostative al rientro dei minori sottratti, definite come clausole di salvaguardia, che assolvono ad una funzione di protezione del minore e della sua volontà.

Segnatamente, al comma 1, lettera b), la Convenzione vieta il rientro, nei casi in cui sia accertato e sussistente, un fondato rischio per il minorenne ad essere esposto a pericoli fisici o psichici o a trovarsi in una situazione intollerabile in caso di rimpatrio (cd. “grave risk exception”).

Tale condizione ostativa, come detto, rappresenta una deroga al rimpatrio, inquadrato come regola generale e, sulla scorta di tale qualifica, è logica conseguenza la necessità di un concreto e fondato sostegno probatorio nelle ipotesi in cui venga invocata.

La Prima sezione civile ribadisce il valore oggettivo del “rischio grave” regolamentato dall'art. 13, comma 1, lettera b), che deve essere interpretato in maniera rigorosa, senza che possano essere tenuti in considerazione elementi come il mero disagio psicologico o la semplice sofferenza psicologica per il distacco dal genitore sottraente. Per il venir in essere della causa ostativa, infatti, deve unicamente valutarsi l'esistenza, provata e concreta, di un fondato pericolo fisico/psichico o dell'intollerabilità in caso di rientro (v. Cass. civ., ord., n. 2873/2024)

La suddetta scelta si giustifica anche in considerazione del principio di bigenitorialità, sancito nel nostro ordinamento dall'art. 337 ter c.c., che consente al minore la sana coltivazione dei rapporti con entrambe le parti genitoriali, in valorizzazione dell'equilibrio che merita il figlio e dei diritti e doveri reciproci che legano e compongono il rapporto genitore-figlio.

In conformità con l'interesse superiore del minore, è lo stesso art. 13 della Convenzione dell'Aja, anche alla luce dell'art. 8 CEDU, che prescrive l'obbligatorio ascolto del minore dotato di capacità di discernimento nei procedimenti di sottrazione internazionale di minore. Anche in tale materia, questo strumento si riconferma di centrale importanza, dal momento che permette al minore di esprimere la propria opinione nel merito ed, eventualmente, la propria volontà ostativa al rientro, che deve essere necessariamente tenuta in considerazione dal Giudice.

Il “best interest of the child”, inteso come preminente e concreto interesse del minore, in conformità con la sua età, la sua indole, le sue inclinazioni ed aspirazioni, ancora una volta rimarcato dalla giurisprudenza, deve bilanciarsi con l'interesse dello stesso a mantenere un contatto con la sua terra e con il suo ambiente d'origine, al fine di evitare sradicamenti immotivati e, ulteriormente, traumatici.

È proprio in funzione di tale ultimo scopo che agisce la regola generale del rimpatrio immediato, che tutela il minore sulla base dell'automatico e sotteso pregiudizio che conseguirebbe ad un ingiustificato sradicamento dal centro territoriale dei propri interessi ed affetti.

Una volta chiarito il contesto, appare naturale comprendere come la causa ostativa si ponga in funzione di eccezione, richiedendo una prova concreta del raggiungimento del fondato grado di pericolo o di effettiva intollerabilità.

Anche sulla base dell'orientamento della Corte EDU, apparirà superfluo rammentare che l'accertamento per il venir in essere delle condizioni ostative, deve essere compiuto tramite una concreta valutazione caso per caso, che tenga, quindi, conto della specificità del minore e della sua effettiva ed oggettiva situazione.

Gli Ermellini, pertanto, accoglievano il ricorso del padre, rinviando al Tribunale dei Minorenni per il riesame, dichiarando l'inesistenza di qualsivoglia accertamento concreto circa il fondato rischio per i minori e, quindi, l'insussistenza della causa ostativa, contrariamente rispetto a quanto sostenuto in primo grado.

Nel giudizio di legittimità emerge come il Tribunale abbia colpevolmente omesso di valutare in maniera compiuta le dichiarazioni di uno dei figli minori, dimostrative dell'integrazione nel contesto spagnolo e dell'attaccamento allo stesso, al padre e alla famiglia d'origine. Ulteriore mancanza è stata registrata nell'errata interpretazione dell'art. 13, comma 1, lettera b) della Convenzione, dal momento che non è stato compiuto il dovuto accertamento in concreto del grave rischio, ritenuto, poi, inesistente dalla Cassazione, in quanto meramente ipotizzato.

Osservazioni

Con la pronuncia in analisi, la Corte di cassazione coglie l’occasione per ribadire alcuni concetti che si muovono simultaneamente al mondo del minore, in funzione della sua tutela e protezione, nel rispetto del fondamentale principio del superiore interesse dello stesso.

L’orientamento cammina nel senso di garantire il minor trauma possibile al minorenne, evitando costrizioni che aggraverebbero, ancora di più, la sua posizione e la sua emotività ed avendo cura del suo singolo caso.

È proprio alla stregua di quanto detto che, anche in materia di sottrazione internazionale, per quanto già sfera delicata e pregna di naturale sofferenza, la scelta del rimpatrio come regola generale risponde all’esigenza di preservare il legame con l’ambiente, le modalità e gli affetti quotidiani del medesimo. In conformità di ciò, quindi, appare comprensibile riflesso lo specifico accertamento in concreto richiesto in materia e la rigidità del previsto sistema derogatorio, invocabile unicamente allorquando vi sia un pericolo oggettivo per il minore, senza che possano subentrare meri e soggettivi condizionamenti psicologici.

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