Valida la separazione dei beni se la sposa straniera conosce la lingua italiana
14 Novembre 2025
Massima È valido l’atto di matrimonio e la scelta del regime patrimoniale della separazione dei beni quando uno degli sposi è straniero, pur in assenza di un interprete, se viene dimostrato che la donna, al momento delle nozze, aveva una discreta conoscenza dell’italiano, tale da consentirle di comprendere la formula prevista nella celebrazione del matrimonio. Il caso La vicenda prende origine da un matrimonio tra una donna spagnola e un italiano celebrato nel 2009. La signora si rivolgeva al tribunale per sentir dichiarare la falsità e per l'effetto la nullità dell'atto di matrimonio nella parte in cui era prevista la scelta del regime di separazione dei beni, ai sensi dell'articolo 161 c.c. La donna affermava di non parlare italiano al momento delle nozze e sottolineava di essersi sposata senza l'assistenza di un'interprete di lingua spagnola che l'affiancasse durante la celebrazione. La signora sosteneva in particolare di aver firmato l'atto di matrimonio in un momento di assoluta confusione e in mancanza di una traduzione, e che, dunque, la scelta del regime patrimoniale della separazione dei beni, sarebbe affetta da insanabile nullità. In primo grado in ricorso veniva respinto e lo stesso accadeva in Corte d'Appello. La corte di merito in particolare sottolineava la mancanza di prove relative all'incapacità dell'appellante di comprendere l'italiano al momento del matrimonio. Sussistevano, al contrario, sottolineano i giudici di merito prove documentali (e-mail, curriculum vitae, domande di lavoro del 2008) tali da dimostrare una conoscenza “fluente” della lingua italiana, ben prima della data delle nozze. Non sarebbe stata necessaria, pertanto, secondo la sentenza della Corte d'Appello la presenza di un interprete. La donna ricorreva in Cassazione. La questione La vicenda ruota intorno alla validità dell’atto di matrimonio e in particolare alla validità della scelta della separazione dei beni nel caso in cui uno dei due coniugi sia straniero. Fino a che punto, ci si chiede è necessaria la conoscenza della lingua italiana per comprendere il significato della scelta del regime patrimoniale tra i coniugi. Le soluzioni giuridiche Preliminarmente va specificato che ai sensi dell'art. 13 del Dpr 396/2001 la dichiarazione resa da persona che non conosce la lingua italiana deve essere ricevuta con l'ausilio di un interprete che abbia prestato giuramento, mentre l'art. 66 stabilisce che nell' ipotesi in cui lo sposo non conosce la lingua italiana, nonché in quelle in cui è sordo, muto, o comunque impedito a comunicare, l'ufficiale dello stato civile celebra il matrimonio o con l'ausilio di un interprete o avvalendosi di mezzi idonei per rivolgere allo sposo le domande, riceverne le risposte e dargli comunicazione delle disposizioni contenute negli artt. 143,144,147 del Codice civile e della dichiarazione di unione degli sposi in matrimonio. Nella specie la donna dichiarava di non conoscere la lingua italiana e che peraltro non le era stato affiancato un interprete. Per tale motivo chiedeva di dichiarare la nullità dell'atto di matrimonio nella parte in cui prevede la scelta del regime di separazione dei beni. La Cassazione si sofferma sulla prova della mancata conoscenza della lingua. In particolare, gli Ermellini evidenziano come la sentenza della Corte d'Appello si fondi sull'insieme dei documenti prodotti in giudizio, tra cui la corrispondenza, anche anteriore al matrimonio, intercorsa tra la donna e terze persone, nonché il suo curriculum vitae (anch'esso precedente al matrimonio) e ritenga provato esattamente il contrario dell'assunto fondante la domanda attorea, vale a dire la conoscenza della lingua italiana da parte della donna al momento del matrimonio. Inoltre, sottolinea ancora l'ordinanza in esame, la ricorrente non aveva dimostrato che alla data del matrimonio non parlava e non era in condizione di comprendere la lingua italiana. Si sottolinea pertanto che, anche nell'ipotesi in cui i fatti come narrati dalla ricorrente fossero stati veri e provati, ossia che durante la celebrazione mancasse un interprete, l'azione dalla stessa richiesta sarebbe stata comunque inammissibile, posta la sussistenza della prova della sufficiente conoscenza della lingua italiana. In conclusione, la Cassazione conferma che la ricorrente aveva conoscenze linguistiche sufficienti a comprendere le formule contenute nell'atto di matrimonio al momento delle nozze per cui la questione relativa alla mancanza dell'interprete è stata considerata irrilevante. L'azione giudiziaria viene ritenuta inammissibile sotto più profili: sia per inesistenza del travisamento della prova, sia per erronea impostazione giuridica della domanda. Il ricorso viene quindi rigettato, con condanna alle spese. Osservazioni Com'è ben noto il regime patrimoniale legale è la comunione dei beni fra coniugi che si instaura automaticamente al momento delle nozze se non diversamente stabilito. I coniugi infatti possono, di comune accordo, scegliere un diverso regime, tra cui quello della separazione dei beni. L'accordo può essere inserito nell'atto di celebrazione del matrimonio (come nel caso in esame) oppure redatto come atto pubblico a pena di nullità (art. 162 c.c.). La rigidità formale con cui avviene l'atto pubblico fanno sì che i coniugi riflettano ponderatamente sulla scelta del regime patrimoniale. La scelta deve pertanto essere consapevole anche se attuata nel momento della celebrazione del matrimonio. In questo contesto la disposizione che richiede che il nubendo, se non conosce la lingua italiana o se è sordo, muto o comunque impedito a comunicare sia affiancato da un interprete tutela la purezza del consenso matrimoniale (art. 66 d.P.R. 396 /2000), sia per quanto riguarda il vincolo matrimoniale che in relazione a un'eventuale scelta di regime patrimoniale. Si evidenzia che il comma 1 bis del citato art. 66 estende tale disposizione, ossia la necessità della presenza di un interprete, al caso della costituzione di un'unione civile (comma inserito dall'art. 1 d.lgs. 5/2017). L'interprete funge nel matrimonio da ponte linguistico tra l'ufficiale di stato civile (se si tratta di una celebrazione civile) o il celebrante (in caso di matrimonio religioso) e gli sposi. In concreto, l'interprete deve tradurre le parole del celebrante o dell'ufficiale di stato civile in una lingua compresa dagli sposi, permettendo loro di capire i passaggi chiave della cerimonia, inclusi i momenti più solenni, come lo scambio delle promesse e la lettura degli articoli di legge relativi al matrimonio. Deve inoltre tradurre le risposte degli sposi affinché il loro consenso sia espresso chiaramente, senza equivoci e udito da tutti i partecipanti, e affiancare i due nella firma dell'atto di matrimonio, certificando di aver svolto correttamente la traduzione durante tutta la cerimonia. Un importante ruolo è attribuito all'interprete anche nella fase precedente le nozze, tra cui le pubblicazioni e, come nella specie, in relazione alla scelta del regime patrimoniale. Si evidenzia che la mancanza dell'interprete in generale in giurisprudenza, è stata ritenuta non sufficiente a determinare automaticamente la nullità o inutilizzabilità degli atti a meno che sia dimostrata la non conoscenza dell'italiano da parte del soggetto, o che l'assenza di traduzione abbia comportato un pregiudizio al diritto di difesa (Cass. pen. 8 marzo 2023, n. 29291). E ancora si precisa, in materia penale, che il riconoscimento del diritto all'assistenza dell'interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero "status" di straniero o apolide, ma richiede l'ulteriore presupposto, in capo a quest'ultimo, dell'accertata ignoranza della lingua italiana (Cass. 6 settembre 2019, n.37010). L'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana spetta al giudice di merito, costituendo un'indagine di mero fatto non censurabile in sede di legittimità, se motivato in termini corretti ed esaustivi. |