Il processo per reati puniti con l’ergastolo

13 Novembre 2025

Indubbiamente al legislatore spetta di definire il regime sanzionatorio dei vari reati nonché i profili procedurali legati sia in relazione ai reati ed alla loro gravità, sia con riferimento all'entità delle pene. Fra le tante situazioni che potrebbero essere oggetto di una verifica, vorrei richiamare l'attenzione sul processo per il quale è prevista la pena dell'ergastolo.

Va, tuttavia, sottolineato che questa “libertà” deve misurarsi con vari elementi del sistema regolato da regole che ne suggeriscano l'omogeneità, la variabilità, la proporzionabilità, il rispetto dei diritti fondamentali nazionali e sovranazionali, evitando pericolose e ingiustificate discrasie, non giustificabili sotto vari profili sistematici.

Fra le tante situazioni che potrebbero essere oggetto di una verifica, vorrei richiamare l'attenzione sul processo per il quale è prevista la pena dell'ergastolo.

Indubbiamente sono molti gli elementi che la previsione dell'ergastolo determina in tutti i casi nei quali l'entità della pena nei suoi limiti massimi o minimi consente o esclude l'operatività di molti meccanismi processuali e anche sostanziali ex plurimus: durata della indagine, misure cautelari, intercettazioni, soglie per l'accesso ai riti premiali o a definizione anticipata.

Sotto quest'ultimo aspetto, com'è noto, con la l. n. 33 del 2019 il legislatore è intervenuto escludendo per questi reati il ricorso al rito abbreviato. La questione era stata oggetto in passato di plurimi e reiterati ripensamenti da parte del legislatore (codice 1988; l. n. 479 del 1999; l. n. 4 del 2002).

Quest'ultima modifica è stata sollecitata dalle associazioni delle vittime di violenza di genere e di omicidio, in considerazione del fatto che con il rito abbreviato, la prima applicazione di pena e il conseguente abbattimento della stessa, determina la possibilità per il condannato di avere condanne a pene ritenute non rispondenti alla gravità del reato.

La questione è stata reiteratamente rimessa (con motivazioni diverse) alla Corte costituzionale che l'ha sempre dichiarata manifestamente infondata o inammissibile (v. di seguito).

In particolare, con la sentenza n. 260 del 2020 i giudici costituzionali hanno dichiarato:

  1. inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, c.p.p., sollevate – in riferimento agli artt. 3 e 111, comma 2, della Costituzione – dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario della Spezia con l'ordinanza indicata in epigrafe;
  2. non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, c.p.p., sollevate – in riferimento agli artt. 3, 24 “anche in relazione agli artt. 2, 3 e 27”, e 111, comma 1, Cost. – dalla Corte di assise di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe;
  3. non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, c.p.p. nonché dell'art. 3 della legge n. 22 del 2019, sollevate – in riferimento agli artt. 3,27, comma 2, e 111, comma 2, Cost. – dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Piacenza con l'ordinanza indicata in epigrafe;
  4. manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, c.p.p., sollevata – in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) – dalla Corte di assise di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe:
  5. non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo), sollevata – in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 7 CEDU – dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale della Spezia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

    

Analoghe considerazioni nel segno della manifesta infondatezza sono state riprese da C. cost, n. 208 del 2021 e da C. cost. n. 207 del 2022, in relazione alle altre più specifiche situazioni sollevate.

La (ritenuta) legittimità di questa scelta ha specificative ricadute su più piani.

Il primo profilo interessato è quello, naturalmente, della pena. Nel rito contratto, anche le pene definite con la valutazione delle circostanze sono abbattute nonché a seguito della riforma Cartabia, se la sentenza di condanna non è appellata dall'imputato, sono ulteriormente ridotte.

Inoltre, la sentenza di condanna del rito contratto non può essere appellata dal p.m., fatta salva l'eventualità in cui si tratta di modifica del titolo del reato.

Nel rito ordinario, invece, l'imputato non gode di nessuna premialità, non può avvalersi dello sconto della pena nell'eventualità in cui non appelli e il P.M. può proporre appello qualora ritenga che la pena applicata debba essere aggravata, potendo l'imputato se, del caso, proporre appello (perdendo l'automatico abbattimento) per ottenere una decisione più favorevole ovvero proporre un concordato che dovrà trovare P.M. e giudice consenzienti.

I due diversi risultati sanzionatori naturalmente si ripercuotono nella fase di esecuzione della pena.

Il secondo aspetto attiene alla modalità di celebrazione del rito sia nella fase dell'udienza preliminare, sia nel giudizio di appello, che si svolgerà con rito camerale evitando all'imputato la pubblicità e quindi l'impatto mediatico, a differenza di come si celebrerà sia il giudizio (ordinario) di primo grado, sia d'appello, ribadendo che mentre l'imputato non appellante dovrà valutare se aspettare e ottenere lo sconto automatico, il condannato con rito ordinario, sia che speri di ottenere  un riconoscimento più favorevole nel merito sia che intenda attivare il concordato dovrà affrontare la pubblicità dell'abbattimento.

Il dato è rilevante proprio per la natura spesso mediatica dei fatti di reato a questione.

Il terzo aspetto che significativamente differenzia i due percorsi. Mentre, infatti, ai sensi dell'art. 438, comma 6-bis, c.p.p., nel giudizio abbreviato il giudice potrà porre a fondamento della sua decisione anche materiale patologicamente non invalido, stante il consenso dell'imputato, i suddetti limiti di invalidità non operano per il giudizio. Alla luce della l. n. 103 del 2017 inoltre il p.m. avrà diritto a termine per produrre materiale a prova contraria in caso di indagini difensive introdotte dall'imputato in limine al rito.

I riferiti limiti probatori non opereranno nel dibattimento che si celebrerà nella fase ordinaria del giudizio.

Quest'ultimo dato, unito alla accelerazione processuale – ispirata dalla logica dell'economia processuale – sorretta anche dalla monocraticità dell'organo giudicante – unita all'accettazione del materiale dell'accusa è sicuramente quello che il legislatore pone a fondamento della specialità – in generale – del rito che trova ulteriore temperamento nella richiesta dell'imputato della domanda di integrazione probatoria.

L'insieme di questi elementi pone – comunque – una questione di compatibilità, di proporzionalità dei due percorsi, anche in relazione ad altre situazioni di pari gravità ed allarme sociale. In altri termini, anche se singolarmente considerati, i vari elementi possono – potrebbero – essere giustificati, è il quadro d'insieme che va considerato – o ripensato –.

Il tema si inserisce in un quadro più ampio connesso al farraginoso modo di procedere del legislatore, ovvero dei legislatori, spesso ispirati da logiche culturali e politiche differenziate.

La materia è governata da percorsi differenziati (binari) che trovano i loro capisaldi nell'art. 51, comma 3-bis, per il processo, e nell'art. 4-bis ord. penit., nonché nei sottopercorsi, disegnati per un verso dalla Cartabia, per un altro nelle iniziative (v. spazza corrotti) dei governi.

Non credo sia necessaria una riforma, ma un restayling che nell'ordine un sistema cresciuto disordinatamente, tra spinte e controspinte, secondo una logica di razionalizzazione.

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