Confermata l’esenzione IMU anche in caso di doppia residenza in abitazioni separate per ciascun coniuge

Gabriele Scuffi
18 Novembre 2025

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 15 ottobre 2024, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 Cost.

Massima

È stata dichiarata l'illegittimità della norma che richiede per non pagare l'ICI, che non solo il possessore dell'immobile, ma anche i suoi familiari, vi dimorino abitualmente. La norma viola i principi di uguaglianza fiscale e tutela della famiglia, penalizzando ingiustamente i contribuenti coniugati ma non conviventi. La definizione di abitazione principale deve quindi riferirsi unicamente alla dimora abituale del titolare del diritto reale sull'immobile, senza coinvolgere altri componenti del nucleo familiare.

Il caso

Con la sentenza n. 112 del 18 luglio 2025, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità dell'art. 8, comma 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nella parte in cui subordinava il riconoscimento dell'agevolazione abitazione principale IMU non soltanto alla residenza e dimora abituale del contribuente, ma anche alla dimora abituale dei suoi familiari, limitando di fatto la possibilità di riconoscere l'esenzione a più membri dello stesso nucleo familiare in caso di dimora abituale altrove, salvo rigorosa prova contraria.

La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale previsione, ribadendo che il diritto all'esenzione per abitazione principale deve basarsi esclusivamente sulla residenza anagrafica e sulla dimora abituale del soggetto passivo IMU, senza estensioni automatiche al nucleo familiare.

La questione

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla Corte di Cassazione in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione. I Giudici di legittimità avevano in particolare evidenziato come la norma (art. 8 c. 2 D.Lgs. 504/92, modificato dalla L. 296/2006) imponesse, per l'esenzione, la dimora abituale nell'immobile sia del contribuente che dei suoi familiari dettando così una condizione ritenuta in contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), capacità contributiva (art. 53 Cost.), nonché con le tutele della famiglia (artt. 29 e 31 Cost.).

La soluzione giuridica

I presupposti dell'esenzione e la normativa di riferimento

L'abitazione principale è definita come l'unità immobiliare in cui il soggetto passivo e i componenti del suo nucleo familiare risiedono anagraficamente e dimorano abitualmente [art. 1, comma 741, lett. b), primo e secondo periodo, della legge n. 160 del 2019].

A partire dal 2008 l'abitazione principale e le relative pertinenze non pagano l'ICI. Sono escluse dall'agevolazione le ville, i castelli e le abitazioni di lusso.

Con il d. l. n. 93 del 27 maggio 2008, poi convertito con la legge 24 luglio 2008, n. 126, è stata disposta l'abolizione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) per l'abitazione principale, con esclusione delle abitazioni di categoria catastale A/1, A/8 e A/9, per le quali continuano ad applicarsi le vecchie detrazioni previste dall'art. 8, commi 2 e 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.

La ratio della norma consiste proprio nel rilanciare il potere d'acquisto delle famiglie, che non si spiegherebbe invece nel caso delle categorie catastali A/1, con cui sono indicate le abitazioni di tipo signorile, A/8 con cui sono indicate le ville e A/9 con cui sono indicati i castelli ed i palazzi eminenti.

Al riguardo va ricordato che l'agevolazione prevista dall'art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992 (sia in termini di detrazione che di esenzione) è relativa all'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del contribuente, intendendosi per tale “quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”.

Con l'art. 1, comma 173, lett. b), Legge n. 296/2006, a partire dall'anno di imposta 2007 si è poi specificato che per abitazione principale deve intendersi, “salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica”.

L'esenzione dal pagamento ICI per l'abitazione principale e le sue pertinenze si applica a condizione che il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari vi dimorano abitualmente intendendosi per tale quella di residenza anagrafica.

La disposizione censurata (art. 8, c. 2 D.Lgs. 504/1992, in materia di Ici) richiedeva infatti che, ai fini dell'esenzione, nell'immobile dimorassero abitualmente sia il proprietario sia i suoi familiari. Quindi messi insieme tali riferimenti, i Comuni, verificata la residenza del contribuente, la costanza di matrimonio,  la residenza dell'altro coniuge, hanno con facilità tratto la conclusione per cui ogni volta che un contribuente regolarmente sposato abbia un coniuge altrove residente l'agevolazione non spetti. Ciò creava un'ingiustificata disparità di trattamento: il contribuente sposato, ma residente da solo, veniva tassato come se la sua abitazione fosse “seconda casa”, mentre un contribuente non coniugato, nella medesima situazione, godeva dell'esenzione.

La decisione della Corte costituzionale sull'esenzione ICI

La Consulta ha ritenuto irragionevole tale differenza, in contrasto con l'art. 3 Cost. (uguaglianza davanti alla legge tributaria) e lesiva degli artt. 29 e 31 Cost. (che impongono di non penalizzare la famiglia).

Inoltre, la Corte ha osservato che Ici e Imu sono imposte “reali” sugli immobili, fondate sul possesso dell'abitazione, e non su condizioni personali del contribuente. Ciò che rileva è l'elemento oggettivo – l'utilizzo dell'immobile come dimora abituale del possessore – e non lo status soggettivo (sposato o meno, convivente o separato) di chi richiede il beneficio.

Con la sentenza in commento la Corte Costituzionale ha quindi dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. 504/1992, nella parte in cui subordinava l'esenzione dall'Imposta comunale sugli immobili (ICI) all'abituale dimora non solo del contribuente, ma anche dei suoi familiari nell'abitazione principale.

Per i Giudici della Corte tale requisito eccede i limiti della razionalità fiscale, comprimendo indebitamente la posizione del contribuente, in violazione degli articoli 3 e 31 della Costituzione.

L'esenzione per l'abitazione principale si fonda su un criterio oggettivo, ovvero sull'utilizzo effettivo dell'immobile come dimora abituale del contribuente stesso. La norma impugnata andava invece oltre imponendo anche la dimora abituale dei familiari, configurando una condizione non coerente con la natura dell'imposta e risolvendosi in una penalizzazione del contribuente coniugato non convivente, in violazione dei principi di eguaglianza davanti al Fisco e di tutela della famiglia.

Osservazioni

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8 comma 2 del D.Lgs. 504/92 nella parte in cui lega l'agevolazione prima casa ai fini ICI alla residenza non solo del proprietario o usufruttuario ma anche a quella dei propri familiari.

La decisione si inserisce nel solco tracciato dalla sentenza n. 209 del 12 settembre 2022 con la quale la Corte aveva già affermato l'illegittimità di una disciplina che, vincolando l'agevolazione fiscale alla “unitarietà familiare” dell'abitazione, finiva per penalizzare irragionevolmente situazioni familiari legittime in cui i coniugi o i membri dell'unione civile risiedevano stabilmente in immobili diversi, discriminando il contribuente coniugato non convivente.

Nella sentenza del 2022, infatti, si è precisato che l'abitazione principale coincide con quella in cui il contribuente risiede e dimora abitualmente, rendendo possibile il riconoscimento dell'esenzione IMU a ciascun coniuge o partner, purché ricorrano i requisiti richiesti dalla norma.

Con la pronuncia n. 112/2025, la Corte costituzionale consolida e rafforza tale indirizzo, riaffermando il principio della neutralità fiscale rispetto alle scelte abitative dei componenti del nucleo familiare.

In tal modo, viene ulteriormente valorizzato il principio di eguaglianza e di tutela della famiglia, evitando trattamenti discriminatori in presenza di residenze separate fondate su ragioni legittime.

Non è ammissibile che nel nostro sistema fiscale i cittadini sposati subiscano un trattamento più oneroso rispetto a chi non formalizza la propria unione. Di qui l'esigenza di eliminare ogni riferimento al “nucleo familiare” nelle norme sull'esenzione della prima casa.

La Corte Costituzionale ha ribadito che l'Ici, in quanto imposta reale, si fonda sulle caratteristiche dell'immobile, prescindendo dalle condizioni personali dei familiari del contribuente. Risulta dunque incostituzionale negare l'esenzione qualora, ad esempio, uno dei coniugi dimori altrove, anche per esigenze lavorative o personali.

La sentenza della Corte Costituzionale è certamente importante e rappresenta un importante traguardo nella tutela dei diritti dei contribuenti e nella semplificazione delle regole per l'accesso alle esenzioni fiscali sulle abitazioni principali.

Con tale sentenza viene elisa una discriminazione che impediva ai coniugi non conviventi di godere dell'agevolazione, estendendo il beneficio anche a chi, pur legalmente sposato, non risiede con la famiglia per ragioni indipendenti dalla propria volontà.

In tal modo viene garantito il rispetto del principio di parità di trattamento e si favorisce l'accesso alla proprietà dell'abitazione senza penalizzazioni legate allo status personale o familiare.

La decisione della Corte Costituzionale inciderà sui contenziosi ancora pendenti, contribuendo anche a uniformare l'interpretazione delle norme agevolative in materia di imposte immobiliari.

La stessa sentenza n. 112/2025 precisa infatti che la nuova interpretazione della norma si applica ai giudizi pendenti, cancellando con effetto retroattivo la clausola incostituzionale. In pratica, gli avvisi di accertamento impugnati in tempo dovranno essere annullati, mentre chi ha già versato l'imposta potrà ottenerne il rimborso, se ha agito entro i termini di legge.

In conclusione, viene eliminata un'anomalia normativa che colpiva proprio chi – per ragioni familiari o professionali – si trovava in una situazione diversa dallo standard, imponendo un aggravio fiscale paradossale.

D'ora in poi, ai fini delle imposte comunali sugli immobili, ciò che conta è dove e come si vive davvero, non lo stato di famiglia risultante all'anagrafe.

I contribuenti coniugati ma “a distanza” vedono finalmente riconosciuto lo stesso trattamento dei non sposati, in linea con i valori costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva.

Allo stesso tempo, le Amministrazioni locali potranno concentrare gli sforzi sul controllo delle situazioni concrete – individuando i veri casi di evasione o finte prime case – anziché impugnarsi in battaglie legali fondate su meri formalismi.

La tutela della famiglia e la neutralità fiscale rispetto alle scelte di vita personali escono rafforzate: un segnale chiaro che il diritto tributario può (e deve) evolversi per riflettere la realtà sociale, senza per questo rinunciare al rigore contro gli abusi.

La Corte Costituzionale riconosce dunque che, specie nella società contemporanea, la coabitazione tra coniugi o familiari non è più la regola: ragioni di lavoro, studio, assistenza agli anziani o separazioni non conflittuali sono ormai frequenti e pienamente legittime.

Pretendere una “convivenza fiscale” per ottenere l'esenzione si traduce in una disparità di trattamento non giustificabile.

Del resto la prassi sempre più diffusa di avere residenze distinte all'interno della stessa famiglia è perfettamente compatibile con le esigenze abitative moderne e non può essere penalizzata con una tassazione più gravosa.

Il principio stabilito dalla sentenza n. 112/2025 si allinea anche con la più recente giurisprudenza in materia IMU, che da tempo invita a distinguere le situazioni soggettive legate al nucleo familiare da quelle oggettive legate all'immobile.

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