Il calcolo dell’indennità risarcitoria del dipendente pubblico illegittimamente licenziato soggetto al regime IPS
19 Novembre 2025
Massima Non viola l'art. 3 Cost. l'art. 63, comma 2, terzo periodo, d.lgs. n. 165/2001, come modificato dall'art. 21, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 75/2017, in quanto la previsione di commisurare l'indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto costituisce un parametro unico e astratto, applicabile a tutti i dipendenti pubblici indipendentemente dal regime (TFR o IPS) cui sono soggetti. Tale scelta legislativa, volta ad assicurare uniformità di tutela e semplificazione del meccanismo risarcitorio, non determina un'ingiustificata disparità di trattamento tra categorie di lavoratori pubblici. Il caso Un dirigente medico impugna il licenziamento disciplinare intimato dall'Azienda provinciale per i servizi sanitari della Provincia autonoma di Trento. Il ricorrente, assunto in data antecedente al 31.12.1995, non ha esercitato l'opzione per la previdenza complementare e non ha mai aderito al fondo pensione Laborfonds previsto dalla contrattazione collettiva provinciale quale presupposto per la cessazione del regime dell'indennità premio di servizio (IPS), ovverosia del trattamento di fine servizio previsto per il personale sanitario, delle regioni e degli enti locali. Il ricorrente, pertanto, non risulta soggetto al regime del t.f.r. ma al regime dell'IPS, che è pari a un quindicesimo dell'80% della retribuzione contributiva utile lorda percepita negli ultimi dodici mesi di servizio moltiplicato per il numero degli anni di servizio. La retribuzione contributiva inoltre, ai sensi dell'elencazione tassativa di cui all'art. 11 l. 152/1968, comprende lo “stipendio o salario comprensivo degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura, spettanti per legge o regolamento e formanti parte integrante ed essenziale dello stipendio stesso”. Trattasi, perciò, di una base di calcolo più ristretta rispetto a quella del t.f.r. che, invece, in virtù del principio di omnicomprensività, include tutti gli emolumenti corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, escluso quanto riconosciuto a titolo di rimborso spese (art. 2120 c.c.). Il Tribunale di Trento, accertata l'illegittimità del recesso, dispone la reintegrazione del lavoratore con sentenza parziale, sollevando questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., circa le modalità di calcolo dell'indennità risarcitoria dovuta in caso di recesso previste dall'art. 63, comma 2, terzo periodo, d.lgs. n. 165/2001 come modificato da dall'art. 21, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 75/2017. Tale disposizione di legge prevede che il giudice, nel disporre la reintegrazione del dipendente, condanna l'amministrazione al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per altre attività lavorative. Secondo il ricorrente, dunque, seguendo la lettera della legge, l'indennità dovrebbe essere calcolata in base alla retribuzione utile ai fini del t.f.r., mentre la datrice di lavoro ritiene che la base di calcolo debba essere quella dell'indennità premio di servizio, proprio in quanto il dipendente non aveva optato per il passaggio al t.f.r. Un'interpretazione sistematica della norma, secondo il giudice di primo grado, imporrebbe l'accoglimento della tesi datoriale, ma il Tribunale di Trento ritiene che tale soluzione potrebbe integrare una disparità nel trattamento fra pubblici dipendenti, in violazione dunque dell'art. 3 Cost., giacché un lavoratore assoggettato al regime IPS percepirebbe un'indennità risarcitoria di importo più contenuto rispetto a colui che è sottoposto al regime del t.f.r.. La tesi proposta dal lavoratore, tuttavia, imporrebbe di applicare al caso concreto una norma (art. 2110 c.c.) alla quale il dirigente “risulta estraneo”. Essendo controversa, perciò, la base di calcolo dell'indennità, il Tribunale di Trento rimette la questione alla Corte Costituzionale. Il Presidente del Consiglio dei Ministri chiede la declaratoria di inammissibilità, o comunque di non fondatezza, sostenendo che il solo fatto che il tribunale rimettente si sia discostato dalla lettera della norma per favorire un'interpretazione sistematica per poi avanzare questione di illegittimità costituzionale renderebbe la questione manifestamente inammissibile in base alla giurisprudenza che prescrive il dovere di interpretazione conforme della legge da parte del giudice. La Corte Costituzionale respinge la questione di illegittimità costituzionale. La questione È costituzionalmente legittimo, ai sensi dell'art. 3 Cost., commisurare l'indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo dei dipendenti pubblici alla retribuzione utile ai fini del t.f.r. anche per coloro che non sono assoggettati a tale regime, ma a quello dell'IPS? Le soluzioni giuridiche In primo luogo, la Corte respinge l'eccezione di inammissibilità. Ai fini dell'accesso al merito, è sufficiente che il giudice rimettente esponga in modo non implausibile le ragioni dell'impraticabilità di una interpretazione conforme: nel caso di specie, il Tribunale di Trento ha motivato adeguatamente la propria scelta di non applicare la lettera della norma, ritenendola inconferente rispetto a rapporti in regime di IPS. Nel ricostruire l'evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha caratterizzato la disciplina relativa al licenziamento del dipendente pubblico (dalla l. 92/2012 al d.lgs. n. 75/2017), la Corte osserva che il terzo periodo dell'art. 63, comma 2 in esame è volto ad armonizzare il regime dei licenziamenti nel pubblico impiego contrattualizzato, costituendo un modello unitario di tutela a fronte dell'illegittimità del recesso datoriale: reintegrazione e indennità commisurata all'ultima retribuzione utile per il t.f.r. La Corte riconosce che il modello risarcitorio introdotto con le novella del 2017 costituisce un regime “terzo” rispetto sia alla tutela reintegratoria piena (art. 18 commi 2-3 St. lav. e art. 2 d.lgs. 23/2015) sia alla tutela reintegratoria attenuata (art. 18 comma 4 St. lav. e art. 3 comma 2 d.lgs. 23/2015), dunque costruito ad hoc proprio per la categoria dei dipendenti pubblici. La questione di legittimità non è fondata per erroneità del presupposto interpretativo: la Corte ritiene errato differenziare il parametro di calcolo dell'indennità in base all'emolumento spettante all'atto di cessazione del rapporto. Il t.f.r. e l'IPS. svolgono una funzione previdenziale, mentre l'indennità in esame una funzione risarcitoria: il richiamo al t.f.r., dunque, opera come criterio astratto, scelto esclusivamente per garantire omogeneità applicativa e per evitare divergenze legate alle differenti basi previdenziali (TFR o TFS-IPS). L'indennità di cui all'art. 63, comma 2, è una misura risarcitoria forfettaria che non richiede prova analitica del danno, ed è peraltro soggetta al tetto massimo di 24 mensilità oltre a prevedere la detrazione del solo aliunde perceptum. La scelta di standardizzarla è volta a compensare il pregiudizio da illegittima estromissione dal rapporto di lavoro: la base previdenziale individuale prescelta dal singolo dipendente è del tutto irrilevante, in quanto attiene a diversa fase del rapporto. La determinazione dell'indennità in questione, chiarisce la Corte, riguarda una fase patologica del rapporto (il recesso illegittimo), mentre la scelta del lavoratore di permanere assoggettato al regime IPS ovvero di passare al regime del t.f.r. riguarda la fase fisiologica di cessazione del rapporto, che nulla rileva ai fini del calcolo della predetta indennità. Osservazioni La sentenza n. 144/2025 si colloca nel solco dell’indirizzo legislativo e giurisprudenziale volto a uniformare le tutele dei dipendenti pubblici, evitando frammentazioni e contraddizioni derivanti dalla compresenza di diversi regimi di fine servizio. La Corte risalta l’esigenza di coerenza e uniformità del sistema del pubblico impiego contrattualizzato: la scelta di un parametro unico è idonea a tutelare indistintamente tutti i dipendenti pubblici e non incide sui diritti previdenziali, che permangono regolati dalle discipline del t.f.r. o del t.f.s./i.p.s. In conclusione, la modifica attuata dal legislatore del 2017 non produce alcuna disparità, ma anzi assicura parità di trattamento all’interno della categoria dei dipendenti pubblici nell’eventualità dell’illegittimo recesso del datore di lavoro pubblico. |