L’interpretazione delle norme interne in senso conforme alla Convenzione di Istanbul sulla violenza domestica

19 Novembre 2025

La Suprema Corte di cassazione, con l’ordinanza del 7 settembre 2025, n. 24725, in materia di responsabilità genitoriale e protezione dei minori nei casi di violenza domestica, ha cassato e rinviato la decisione impugnata alla Corte d’Appello competente per territorio dovendo il giudice, chiamato ad assumere provvedimenti convenienti sulla base dell’art. 333 c.c., esprimersi sulla compatibilità delle misure adottate con l’esigenza di evitare situazioni di vittimizzazione secondaria.

Massima

In conformità dell'art. 117, comma 1, Cost., la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l'11 maggio 2011 e ratificata dall'Italia con la legge n. 77/2013, impone l'interpretazione delle norme interne in senso ad essa conforme. Di conseguenza, il giudice, anche con riferimento a fatti anteriori all'entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022, laddove sia chiamato a regolare l'esercizio della responsabilità genitoriale e adottare provvedimenti convenienti sulla base dell'art. 333 c.c., e venga dedotta la commissione di condotte di violenza domestica ex Convenzione di Istanbul, se non esclude l'esistenza dei fatti, è tenuto a valutare la compatibilità delle misure assunte con l'eventuale esigenza di evitare, nel caso concreto, situazioni di vittimizzazione secondaria. Nella specie, il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento può essere qualificato come violenza domestica, in particolare come violenza economica, ai sensi dell'art. 3 della Convenzione di Istanbul.

Il caso

Di.Bi., madre di tre minori, proponeva reclamo dinnanzi alla Corte d’Appello di Bologna contro la decisione del Tribunale per i minorenni che respingeva la sua richiesta di modifica delle disposizioni relative all’affidamento dei figli. Il reclamo risultava articolarsi in quattro motivi volti a censurare la motivazione della decisione, in particolare per non avere garantito una idonea protezione dei minori rispetto ad un percorso di vita del padre, Da.On., contraddistinto da fatti di violenza e da condanne penali. La ricorrente deduceva l’omessa motivazione del Tribunale per i minorenni in ordine alla mancata applicazione degli articoli 31 e 51, Convenzione di Istanbul, e dell’art. 473-bis.46 c.p.c., non valutandosi il rischio di esposizione dei minori a ulteriori condotte violente recidivanti da parte del padre.

La Corte d’Appello di Bologna ha respinto il reclamo, statuendo che il Tribunale per i minorenni aveva correttamente esaminato i fatti e, dunque, previsto misure per la sicurezza dei minori, come l’affido esclusivo e la collocazione della prole presso la madre, la prosecuzione della vigilanza sul percorso del padre presso il SERT; ed inoltre il sostegno rivolto ad entrambi i genitori nel recupero della funzione genitoriale, nonché la mediazione del servizio sociale durante gli incontri tra il padre e i figli. La Corte d’Appello, oltre ad evidenziare che le statuizioni del Tribunale per i minorenni garantiscono la correttezza degli incontri e prevengono situazioni critiche per i minori, ha chiarito che non sono intervenuti fatti nuovi significativi volti a giustificare una modifica delle modalità di visita, non assumendo rilievo in tal senso il mancato pagamento da parte del padre del contributo al mantenimento dei figli, e che i servizi sociali hanno dato riscontro dell’andamento positivo degli incontri tra i minori e il padre.

Pertanto, la Corte d’Appello di Bologna, con decreto n. 24/2024, ha confermato la decisione del Tribunale per i minorenni di non modificare le prescrizioni relative alla frequentazione tra padre e minori.

Avverso tale decreto la ricorrente Di.Bi. ha proposto ricorso per Cassazione.

La questione

Il d.lgs. n. 149/2022 recante la riforma del processo civile prevede specifiche disposizioni processuali (artt. 473-bis.40 e ss. c.p.c.) che perseguono lo scopo di irrobustire l’impianto normativo dettato dalla Convenzione di Istanbul, ad esempio cercando di prevenire, nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, aventi ad oggetto l’affidamento dei figli minori, i fenomeni c.d. di vittimizzazione secondaria, che si realizza quando le autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni delle violenze stesse. Il decreto, tuttavia, non è applicabile ratione temporis alla causa all’esame.

Alla luce della ratifica della Convenzione di Istanbul da parte dell’Italia, è possibile, tuttavia, interpretare le norme interne in senso ad essa conforme al fine in particolare di valutare il rischio di esposizione dei minori a ulteriori condotte violente da parte del padre?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte di cassazione, con l'ordinanza del 7 settembre 2025, n. 24725, accogliendo il secondo e il quarto motivo di ricorso, ha cassato e rinviato la decisione impugnata alla Corte d'Appello di Bologna, in diversa composizione.

Sebbene infatti le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 149/2022 non siano applicabili ratione temporis alla controversia in esame, occorre considerare l'intervenuta ratifica della Convenzione di Istanbul, da parte dell'Italia, ai fini dell'interpretazione delle norme interne in senso ad essa conforme (in questo senso già Corte di cassazione, sez. I, ordinanza del 30 aprile 2024, n. 11631).

In particolare occorre richiamare l'art. 3 della Convenzione di Istanbul che definisce la violenza domestica come atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica all'interno della famiglia o tra partner; l'art. 18 che obbliga gli Stati ad adottare misure per proteggere le vittime da nuovi atti di violenza; l'art. 31 che, nella determinazione dei diritti di custodia e visita dei figli, richiede di considerare gli episodi di violenza, garantendo che questi ultimi non compromettano la sicurezza della vittima o dei minori; nonché l'art. 51 che impone alle autorità di valutare il rischio di letalità, gravità e reiterazione dei comportamenti violenti.

La Suprema Corte ha chiarito, in particolare, che, in presenza di episodi di violenza domestica, il giudice svolge un ruolo cruciale nel regolare l'esercizio della responsabilità genitoriale sui figli minori dovendo egli adottare le misure necessarie ad impedire che le statuizioni relative all'affidamento e al diritto di visita rappresentino occasioni per la violenza di un genitore nei confronti dell'altro o dei minori.

Ne consegue che, dovendosi interpretare le norme interne in senso conforme a quelle convenzionali il giudice, anche con riferimento a fatti anteriori all'entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022, qualora sia chiamato a adottare i provvedimenti convenienti sulla responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c., e venga dedotta, ai sensi dell'art. 3 Convenzione di Istanbul, la commissione di condotte di violenza domestica che ritiene di non potere escludere, è tenuto a valutare la compatibilità delle misure assunte con l'eventuale esigenza di evitare, nel caso concreto, situazioni di vittimizzazione secondaria. Le accuse di violenza domestica e violenza assistita non possono essere trattate superficialmente; se provate, esse permettono di giustificare la sospensione o la limitazione dei contatti tra genitore violento e figli oppure di imporre che gli incontri avvengano in modalità protetta o assistita.

Invero, la Corte d'Appello di Bologna ha operato un generico riferimento all'assenza di fatti significativi nuovi, senza motivare adeguatamente le ragioni della non considerazione delle questioni dedotte dalla ricorrente, ed ha richiamato rapporti dei servizi sociali riferiti a situazioni pregresse non vagliando la relazione di aggiornamento richiesta.

La Corte d'Appello, soprattutto, non si è preoccupata di poter qualificare il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento quale forma di violenza economica ai sensi dell'art. 3 della Convenzione di Istanbul. La motivazione della Corte d'Appello di Bologna, secondo il giudizio della Corte di cassazione, è dunque meramente apparente e non consente di comprendere le ragioni concrete per cui i fatti dedotti non siano stati ritenuti sufficienti per modificare la disciplina del diritto di visita.

Osservazioni

La pronunzia della Corte di cassazione in commento affronta diverse questioni che possono essere così sintetizzate: 1. il ruolo delle convenzioni internazionali all'interno degli ordinamenti nazionali; 2. l'applicazione dell'art. 3 Convenzione di Istanbul al fine di verificare l'adeguatezza delle misure assunte rispetto alla prevenzione della vittimizzazione secondaria; 3. l'inquadramento del mancato pagamento del contributo al mantenimento dei figli nella nozione di violenza domestica – più esattamente di violenza economica – ex art. 3 Convenzione di Istanbul onde sostenere fatti nuovi e dunque modificare le condizioni di visita.

La prima questione si inserisce nel rapporto tra ordinamenti. In particolare, la Suprema Corte ha ribadito il ruolo di norma interposta tenuto dalle disposizioni convenzionali e la capacità di queste di fungere da parametro interpretativo rispetto alle norme interne. L'Italia ha firmato la Convenzione di Istanbul il 27 settembre 2012; con la legge del 27 giugno 2013 n. 774 ha autorizzato alla ratifica, mentre il 10 settembre 2013 ha depositato lo strumento di ratifica determinandone l'entrata in vigore, anche per l'Italia, il 1° agosto 2014.

Per adeguare l'ordinamento italiano alle disposizioni della Convenzione è stato utilizzato un procedimento speciale di adattamento attraverso un ordine di esecuzione che introduce nell'ordinamento interno, senza riformulazione, la norma internazionale applicandola in questo ordinamento con lo stesso significato e la stessa efficacia che possiede a livello internazionale.

L'obbligo assunto dallo Stato italiano sul piano internazionale si traduce per l'interprete nazionale nell'obbligo di ricostruire il contenuto precettivo della norma internazionale nell'ordinamento di provenienza garantendo, per un verso, l'applicazione uniforme che è propria di tali norme, per un altro verso, la totale conformità della regola interna a quella posta nel diritto internazionale e di coordinare il precetto così formatosi con le altre norme del medesimo ordinamento interno.

La necessità di utilizzare il canone ermeneutico dell'interpretazione conforme si esplica nell'obbligo di scegliere, tra le varie opzioni interpretative possibili di una disposizione normativa, quella più fedele al dettato costituzionale.

Oltre al principio di interpretazione conforme, l'interprete deve considerare anche gli articoli 10 e 117, comma 1, Cost., il quale ultimo introduce un vincolo all'esercizio della potestà legislativa che si sostanzia nell'affermazione di un obbligo di generale conformità dell'ordinamento nazionale agli obblighi internazionali e di un primato generale del diritto internazionale sul diritto interno reso effettivo dalla Corte costituzionale attraverso lo strumento delle norme interposte.

Nell'ambito della violenza domestica, assume fondamentale rilievo il compito del giudice, chiamato a regolare l'esercizio della responsabilità genitoriale sui figli minori, al fine di evitare che le statuizioni relative all'affidamento e all'esercizio dei diritti di visita favoriscano occasioni per la perpetrazione delle violenze. Sicché, dovendosi operare una interpretazione delle norme interne in senso conforme a quelle convenzionali, il giudice, anche con riferimento a fatti anteriori all'entrata in vigore del d.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022 c.d. Riforma Cartabia, – che ha inserito nel codice di procedura civile disposizioni speciali volte a prevedere che, nei casi in cui abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere siano allegati al procedimento di separazione, divorzio, affidamento del minore o cessazione della convivenza, si possa fare ricorso diretto al giudice (il quale può abbreviare i termini fino alla metà e disporre di poteri istruttori ampliati) al fine di ottenere tutela attraverso l'adozione di provvedimenti, tra cui gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, – qualora sia chiamato ad adottare i provvedimenti convenienti a sensi dell'art. 333 c.c., se non esclude l'esistenza di condotte di violenza domestica, è tenuto a verificare la compatibilità delle misure assunte con l'eventuale esigenza di prevenire situazioni di vittimizzazione secondaria (si veda Camilla Filauro, Procedimento: le norme speciali in materia di violenza, in Ius Famiglie).

La Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio (https://www.camera.it/leg19/99?shadow_organo_parlamentare=3941), nella sua relazione del maggio 2022, ha documentato come le donne e i loro figli siano vittime di “vittimizzazione secondaria” nei procedimenti giudiziari di affido e responsabilità genitoriale, specialmente quando è presente una violenza di genere. Il fenomeno si manifesta quando le donne e i loro figli si trovino ad affrontare un sistema giudiziario che, talvolta, non riconosce adeguatamente la dinamica della violenza (già subita).

Molto interessante infine è la parte dell'ordinanza in cui la Corte segnala che il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento avrebbe dovuto essere valutato dal giudice di merito ai fini della ricorrenza della tipologia di violenza domestica che si connota come violenza economica. Va segnalato infatti che la violenza domestica rappresenta la manifestazione più comune di violenza a livello globale proprio perché si verifica quotidianamente in tutti i paesi e in tutte le culture. Spesso non si tratta di un evento isolato ma di un abuso continuo caratterizzato dall'uso della forza fisica o psicologica, o dalla minaccia di tale forza, allo scopo di intimidire, manipolare o tormentare la vittima. E la violenza domestica può consistere anche in violenza economica che comprende il negare l'accesso e il controllo delle proprie risorse.

La violenza domestica, che in passato era considerata una questione privata, solo in tempi relativamente recenti è stata riconosciuta quale violazione dei diritti umani internazionalmente tutelati grazie, dunque, alla Convenzione di Istanbul, che garantisce, in base ad un approccio integrato che coinvolge tutti gli attori della società, la prevenzione della violenza, la protezione e il supporto delle vittime.

Va segnalato anche che la lotta alla violenza domestica è una delle priorità della Strategia per la parità di genere 2020-2025 dell'Unione europea. Sempre in ambito UE, è stata recentemente approvata la direttiva del 14 maggio 2024 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica che impone a tutti i paesi dell'UE di configurare come reato le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati e la violenza online, come la condivisione non consensuale di immagini intime, evidenziandosi ancora una volta che, rispetto ad un passato in cui è stata considerata una questione riguardante la “sfera privata”, la violenza domestica rappresenta oggi una violazione di diversi diritti umani fondamentali.

Riferimenti

G. Pizzolante, Alcune riflessioni in tema di violenza domestica correlata alla libera circolazione e al diritto di soggiorno dei coniugi o dei partner extra UE, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2024, 322 ss.

L. Garofalo, Alcune considerazioni sulle norme self-executing contenute nella Convenzione di Istanbul del 2011, in Ordine internazionale e diritti umani, 2018, 536 ss.

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