Lavori per bonus edilizi: chi deve pagare i tecnici?
20 Novembre 2025
Massima Spetta al professionista l'onere della prova in merito al ricevimento di un incarico professionale; il cliente della prestazione non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d'opera intellettuale, ma colui che ha stipulato il relativo contratto e ha dato l'incarico al professionista; l'onere di pagamento del lavoro del professionista, infine, spetta unicamente al cliente-contraente. Il caso Un condominio aveva sottoscritto un contratto con una impresa edilizia per realizzare lavori di ristrutturazione nello stabile e nelle parti private nell'ambito del bonus edilizio c.d. “Superbonus 110%”. Tali lavori, secondo il contratto, avrebbero dovuto essere preceduti da alcuni accertamenti tecnici e studi di fattibilità realizzati da un architetto incaricato dall'azienda e “senza esborso alcuno da parte del condominio”. L'architetto incaricato era, incidentalmente, legale rappresentante della società edile. Al fine di concludere l'accordo, quindi, il condominio indiceva un'assemblea straordinaria dando incarico all'amministratore di ratificare il contratto con l'impresa edile. A tale assemblea partecipava anche l'architetto, ma in veste di legale rappresentante dell'impresa. A seguito di alcune problematiche sorte nella fase preliminare degli accertamenti, quindi, il condominio ed i condomini decidevano di usufruire di una clausola risolutiva prevista nel contratto e scioglievano così l'accordo preso. Tale comunicazione di risoluzione veniva comunicata a mezzo Pec all'impresa, ma non anche ai professionisti incaricati da questa. L'architetto, quindi, ritenendo di avere già realizzato gli studi di fattibilità per i lavori e di avere quindi prestato la propria opera inutilmente, stante la risoluzione del contratto e la certezza di non prosecuzione del rapporto commerciale con l'impresa edile da parte del condominio, decideva di agire in giudizio. Il professionista adiva, quindi, il Tribunale di Ancona evocando in giudizio tanto il condominio, quanto i condomini, per ottenere dagli stessi il pagamento dell'opera prestata. Si costituivano in giudizio i convenuti, contestando in nuce la domanda attorea e affermando la propria carenza di legittimazione passiva, per non avere essi mai intrattenuto alcun rapporto commerciale diretto con il professionista in ragione del fatto che il contratto per il Superbonus era stato sottoscritto con la società edile. La questione La questione giuridica sottesa al processo è più sfuggente di quanto potrebbe apparire. La sentenza - peraltro, ben scritta e argomentata (v. par. 5) - affronta svariati aspetti della vicenda in modo da esaurirli, ma qual è il punto centrale della questione? A parere di chi scrive, il focus della questione riguarda il diritto commerciale e contrattuale. Appare di centrale importanza, infatti, non tanto se i lavori non siano stati eseguiti e se gli studi di fattibilità fossero stati correttamente realizzati. Tali fatti si daranno per accertati nel presente giudizio. L'interesse della vicenda riguarda chi debba corrispondere l'opera di un professionista. Dovrà provvedere chi, con pragmatismo sostanziale, si sia giovato dell'opera? Dovrà, invece, provvedervi chi abbia formalmente sottoscritto gli accordi che hanno previsto il suo intervento? La sentenza spiega bene questa parte e parte dall'analisi di due diverse fattispecie contrattuali, che possono concludere le parti nell'ambito dei lavori Superbonus 110%, ma in generale di qualsiasi intervento di carattere edilizio. Le soluzioni giuridiche Per comprendere il ragionamento del giudice appare corretto principiare da pagina 11 della decisione. In detta parte della trattazione, il giudice, esaurita la narrazione dei fatti antecedenti al giudizio, comincia un'analisi delle fattispecie giuridiche. Avendo correttamente identificato che il contratto in questione, ossia quello dell'architetto, afferisse alla fattispecie tipica dei contratti di prestazione d'opera intellettuale nell'ambito di un contratto di appalto edile, il Decidente evidenziava due diverse possibilità teoriche per la realizzazione di lavori edilizi in condominio. Esiste, infatti, in prima battuta la possibilità che l'incarico sia affidato direttamente dallo stabile e dai condomini stessi al professionista. In tal caso è necessaria una delibera assembleare con la quale si effettui la proposta contrattuale e una accettazione da parte del professionista (nel classico schema proposta/accettazione che è tipico dei contratti sinallagmatici). Sussiste, però, un'altra possibilità. Esiste infatti la possibilità, invero molto praticata negli ultimi anni, che per evitare la frammentazione di incarichi, la committenza affidi l'intero incarico ad un c.d. General Contractor. Tale figura, mutuata dagli appalti di diritto pubblico, costituisce un unico appaltatore che si occupa di coordinare tanto l'impresa, quanto i professionisti e consegna il progetto “chiavi in mano” al committente. Tale affidamento, ovviamente, presuppone che nel prezzo pagato al general contractor non vi sia solo il corrispettivo per la realizzazione delle opere, ma anche per la retribuzione dei professionisti. La tesi della parte attrice era, chiaramente, che in questo caso ci si trovasse di fronte al primo dei due schemi contrattuali e che il professionista avesse ricevuto direttamente un incarico dalla committenza. Tale incarico era stato svolto e si era esaurito e quindi l'architetto avrebbe maturato il diritto a percepire degli emolumenti, essendo irrilevante sia la circostanza della risoluzione contrattuale con l'impresa, sia la mancata realizzazione delle opere. Di parere opposto era il condominio, che, invece, affermava come nel presente caso lo schema contrattuale fosse riferibile al secondo tipo e che quindi nulla fosse dovuto al professionista, che avrebbe dovuto essere pagato dal General Contractor. Il giudice, rigettando la domanda attorea, dimostrava di essere di questo secondo avviso. Secondo la decisione in commento, infatti, dalla delibera assembleare sarebbe chiaramente emersa la volontà di incaricare il General Contractor e non direttamente il professionista. L'architetto, infatti, non figurava come appaltatore ed era presente all'assemblea unicamente in quanto legale rappresentante dell'impresa edile che aveva ruolo di General Contractor. In generale, sarebbe ai sensi dell'art. 2697 c.c., spettato al professionista l'onere di fornire la prova sul ricevimento dell'incarico. Per la Cassazione, infatti, “nel caso in cui sia dedotta da un professionista l'esecuzione di un rapporto di prestazione d'opera professionale come titolo del diritto al proprio compenso, necessita provare l'avvenuto conferimento dell'incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inconfondibilmente la volontà di ricorrere della sua attività ed opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso” (Cass. civ., sez. II, 18 luglio 2023, n. 20902). Il contratto prevedeva inoltre che gli studi di fattibilità sarebbero stati realizzati “senza esborso alcuno da parte del condominio”. Ulteriore elemento a conferma di questa tesi: la comunicazione di risoluzione contrattuale era stata inviata unicamente alla società edile, e non anche al professionista, a riprova che questi non avesse alcun rapporto contrattuale da risolvere con la committenza. Secondo il giudice, quindi, l'architetto aveva sì lavorato per il condominio, ma egli non aveva maturato alcun diritto agli onorari, essendo stato incaricato dalla General Contractor e non avendo alcun rapporto contrattuale diretto o incarico con il condominio e i suoi condomini. Secondo la giurisprudenza, infatti, “il rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l'avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso; ciò comporta che il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d'opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo” (Cass. civ., sez. VI, 12 marzo 2020, n. 7037; Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2016, n. 16261; Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2004, n. 19596). Alla luce di quanto sopra esposto, la domanda dell'architetto veniva rigettata ed egli veniva condannato al risarcimento delle spese di lite dei convenuti. Osservazioni Chi scrive condivide la decisione del Tribunale. La causa era, invero, complessa e il giudice ha saputo correttamente individuare le fattispecie e fare chiarezza nella propria decisione. Appare corretto il focus della decisione sull'aspetto del contratto e dei suoi obblighi, piuttosto che sulla effettiva realizzazione della prestazione intellettuale e del vantaggio per il condominio. Se, infatti, il contratto era stato sottoscritto con il General Contractor, allora i professionisti da essi incaricati non avrebbero avuto alcun diritto verso la committente. Si sottolinea che, in generale, il contratto di appalto è definito dal Codice civile come quel contratto “con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro” (art. 1655 c.c.). Appare, quindi, insito nello schema contrattuale dell'appalto che i rischi del mancato compimento dell'opera siano in capo all'appaltatore, che ha legittimo affidamento ed aspettativa di essere pagato anche per lavori parziali solo in caso di indebita risoluzione da parte del committente. Nel presente caso, probabilmente per invogliare il condominio alla sottoscrizione, il contratto conteneva un mix “letale” per l'appaltatore. In primo luogo, esso stabiliva che i preliminari studi di fattibilità sarebbero stati fatti “senza esborso alcuno per il condominio” e, in secondo luogo, esso prevedeva la possibilità di recesso anticipato con soli 14 giorni di preavviso. Avendo il condominio usufruito di tale facoltà, il contratto era stato risolto e le opere edili non erano state realizzate. Viene da chiedersi, anche se è aldilà dello scopo del presente commento, cosa sarebbe stato della decisione laddove ad agire in giudizio non fosse stato l'architetto, che non aveva legittimazione ad agire, ma l'impresa. In caso di illegittima risoluzione, infatti, l'impresa avrebbe forse potuto vantare un diritto al risarcimento del danno consistente nelle parcelle pagate ai professionisti per la realizzazione degli studi di fattibilità. Non si può dare una risposta certa senza leggere l'intero contratto e valutare anche la situazione globale del General Contractor. In generale, la sentenza sottintende un insegnamento importante: è fondamentale verificare la situazione di fatto per addivenire ad una decisione, ma anche quanto formalizzato nei contratti costituisce diritto vivente e coercibile e non può essere sottovalutato. Riferimenti Albanese, Il più moderno tra i contratti più antichi: le nuove sfide dell'appalto, in Giur. comm., 1° agosto 2023, 688; Albanese, Il bonus facciate e la responsabilità dell'impresa appaltatrice: risoluzione e risarcimento secondo il Tribunale di Roma, in Resp. civ. e prev., 2025, fasc. 1, 221; Cioni, Caduta dell'interesse alla prestazione e risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in Giust. civ., 1° marzo 2024, 553; Musolino, Il recesso ad nutum nel contratto di appalto, in Riv. giur. edil., 2002, fasc. 6, 387; Villani, Nessun compenso è dovuto all'avvocato se non prova il conferimento dell'incarico da parte del cliente, in Dir. & giust., 2019, fasc. 195. |