Squilibrio economico/patrimoniale tra le parti nel divorzio: la funzione compensativa e perequativa dell’assegno divorzile
20 Novembre 2025
Massima Il riconoscimento dell’assegno divorzile presuppone l’accertamento, di fatto, di uno squilibrio economico/patrimoniale tra le parti, a seguito della cessazione del vincolo matrimoniale, verificato il quale il coniuge in situazione di svantaggio avrà diritto a conseguire l’assegno, non solo in funzione assistenziale, per il perseguimento di un’autosufficienza economica, ma anche in funzione compensativa/perequativa, quale ristoro per il contributo fornito alla formazione del patrimonio familiare e/o personale dell’altro coniuge. Occorre, pertanto, indagare se tale squilibrio sia conseguenza di scelte di vita condivise dai coniugi, durante il matrimonio, a seguito delle quali il richiedente abbia sacrificato proprie aspettative professionali e reddituali, per dedicarsi alla cura della famiglia, così contribuendo alla formazione del patrimonio comune e di ciascuno. Il caso Nell'ambito di una procedura divorzile, il Tribunale di Vicenza, oltre alle statuizioni relative all'affidamento e mantenimento del figlio minore - per il quale il padre veniva obbligato a versare un assegno mensile di € 200 e a corrispondere il 30% delle spese straordinarie – prevedeva, in favore del ricorrente, un assegno divorzile di € 1.000 mensili, con rivalutazione Istat. Tale determinazione si basava su un accertato squilibrio economico tra le parti e sul contributo fornito dal marito al mantenimento ed incremento del cospicuo patrimonio della moglie, insegnante part-time, proveniente da diversi lasciti testamentari risalenti al 2008 e costituito da svariati immobili commerciali, depositi titoli e polizze, per cui il ricorrente aveva abbandonato il proprio lavoro di operaio falegname, con retribuzione mensile di € 1.300, dal 2008 al 2015. Peraltro, veniva valorizzata la durata del matrimonio, quasi ventennale. La Corte d'appello di Venezia, su ricorso della donna, confermava la pronuncia di primo grado in merito alla sussistenza dell'an debeatur, ai fini dell'attribuzione dell'assegno divorzile in favore dell'uomo, riducendo tuttavia il quantum ad € 450,00 mensili ed aumentando il contributo al mantenimento del figlio, divenuto nel frattempo maggiorenne, ad € 300 mensili. L'ex marito proponeva ricorso per Cassazione denunciando, tra gli altri motivi, la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 5 comma 6, l. n. 898/1970, assumendo che il giudice del gravame avesse attribuito alla locuzione “formazione del patrimonio”, ivi contenuta, un significato non conforme alla ratio legis, pervenendo in tal modo ad un'erronea applicazione dell'intera disposizione normativa. Il ricorrente lamentava, altresì, che la Corte d'appello non avesse tenuto conto, in sede di valutazione, degli accertamenti precedentemente compiuti nel giudizio di primo grado, riportati nella sentenza separativa passata in giudicato prima di quella impugnata. La Cassazione rigettava il ricorso con condanna alle spese di giudizio. La questione Nell’ambito della cessazione del vincolo coniugale, il riconoscimento dell’assegno divorzile al richiedente in condizioni di svantaggio può fondarsi soltanto sullo squilibrio economico/patrimoniale tra le parti verificatosi, di fatto, a causa del divorzio o necessita di una ulteriore verifica sul contributo fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e/o personale dell’altro coniuge? Le soluzioni giuridiche Con la pronuncia in esame la Corte di cassazione, preliminarmente, ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ormai consolidato, secondo il quale il riconoscimento dell’assegno divorzile presuppone l’accertamento, in fatto, di uno squilibrio economico-patrimoniale tra le parti, a seguito della cessazione del vincolo matrimoniale. Verificato tale presupposto, il coniuge richiedente, in situazione di svantaggio, avrà diritto a conseguire l’assegno non solo in funzione assistenziale, per perseguire un’autosufficienza economica, ma anche in funzione compensativa/perequativa, quale ristoro per il contributo fornito alla formazione del patrimonio familiare e/o personale dell’altro coniuge. È stato ribadito come, ai fini dell’accertamento di detta funzione compensativa e perequativa, sia necessario indagare se tale squilibrio sia conseguenza di scelte di vita condivise dai coniugi durante il matrimonio, a seguito delle quali il richiedente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali, per dedicarsi alla cura della famiglia, così contribuendo alla formazione del patrimonio comune e di ciascuno. Nel contesto di tale valutazione, viene ricordato, assumono rilievo la durata del matrimonio, l’età e la complessiva condizione esistenziale del richiedente al momento del divorzio. La Corte territoriale, secondo gli Ermellini, ha dunque applicato adeguatamente i predetti principi evidenziando, correttamente, che la rinuncia all’attività lavorativa compiuta dall’ex marito, seppure temporanea, abbia comportato per lo stesso un sacrificio in termini di redditività, anzianità contributiva e trattamento pensionistico, benché l’età e la formazione del richiedente non siano tali da configurare un indebito sacrificio delle successive prospettive lavorative. Peraltro, la Corte ha sottolineato come, dalle risultanze istruttorie, sia emerso che l’uomo abbia effettivamente impiegato il proprio tempo nella gestione del patrimonio della ex moglie, non solo in funzione meramente conservativa, ma contribuendo, seppure in maniera limitata, alla conservazione, se non all’incremento, del valore dello stesso ritenendo, dunque, integrati i presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione perequativa e compensativa. Tuttavia, sulla scorta dei suddetti criteri e in ragione del tempo limitato in cui l’ex marito si è dedicato alla formazione del patrimonio dell’allora coniuge (per sette anni), nonché, del modesto sacrificio alle sue aspettative professionali e reddituali, in ragione dell’età e della conseguente capacità lavorativa, la Cassazione ha condiviso la scelta di quantificare l’assegno in misura più contenuta, ratificando la riduzione dell’importo. Quanto alla doglianza del ricorrente, secondo cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, in sede di valutazione, degli accertamenti compiuti nel giudizio separativo riportati nella sentenza passata in giudicato prima di quella impugnata, la Cassazione ha ribadito il principio consolidato dell’autonomia sostanziale e processuale tra i due giudizi. Pertanto, i due provvedimenti, emessi all’esito della procedura di separazione e di quella divorzile, non sono tra loro automaticamente vincolanti. E dunque, anche i relativi contributi economici hanno differenti funzioni e presupposti: l’assegno di mantenimento si fonda sull’esigenza di garantire un sostegno al coniuge economicamente più debole, in relazione alla permanenza del vincolo matrimoniale e dei doveri che ne discendono; l’assegno divorzile ha natura assistenziale e compensativa/perequativa in un contesto di cessazione definitiva del vincolo e si fonda, appunto, su presupposti valutativi del tutto differenti. Osservazioni La pronuncia in esame si colloca nel più ampio dibattito sulla natura e sui criteri per il riconoscimento e la quantificazione dell'assegno divorzile. Un tema, questo, sempre attuale e particolarmente delicato per i risvolti pratici che comporta sulla posizione economica delle persone, all'indomani dello scioglimento del vincolo matrimoniale. Sul punto, la norma (art. 5 comma 6, l. 898/1970 e ss. modifiche) statuisce che, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale disponga l'obbligo per un coniuge di corrispondere periodicamente, a favore dell'altro, un assegno qualora quest'ultimo non abbia mezzi adeguati, o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive, tenendo in considerazione le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare, nonché alla formazione patrimoniale (individuale o comune), il reddito di entrambi e la durata del matrimonio. Per lungo tempo, ovvero, dalle pronunce della Cassazione a Sezioni Unite del 1990 sino al 2018, è prevalsa un'interpretazione volta a valorizzare il ruolo assistenziale dell'assegno divorzile il cui riconoscimento si basava, sostanzialmente, sulla verifica della mancanza dei mezzi adeguati del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Stabilita, dunque, la sussistenza del presupposto per il riconoscimento dell'assegno, questo veniva quantificato in riferimento ai parametri dettati dallo stesso art. 5, ovvero, “le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e la durata del matrimonio”. Anni dopo la Cassazione, con la sentenza Cass. n. 11504/2017 (cd. Sent. Grilli), pur confermando la natura prettamente assistenziale dell'assegno divorzile e la struttura bifasica dell'indagine, ha valorizzato il tema dell'autoresponsabilità economica di ciascun ex coniuge, quale persona singola inserita in un determinato contesto storico e sociale, ritenendo che l'inadeguatezza economica (presupposto per il riconoscimento dell'assegno) dovesse essere valutata alla luce del mancato raggiungimento dell'indipendenza economica del coniuge richiedente. Tale pronuncia, sin da subito, è apparsa da un lato innovativa (per aver preso le distanze dal tenore di vita della coppia durante il matrimonio), dall'altro estremamente rigida, comportando il rischio di violare il diritto di quanti avevano sacrificato le proprie ambizioni lavorative e professionali per avere cura della famiglia. L'intervento a Sezioni Unite della Corte di cassazione si è reso necessario rispetto ad un dibattito molto acceso, portatore delle esigenze concrete ed urgenti di una società in evoluzione. La nota pronuncia n. 18287/2018 ha consentito di abbandonare la visione dicotomica del testo normativo, in favore di una nuova unitaria esegesi dell'art. 5 comma 6, l. 898/1970 sottolineando come, per l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici dell'ex istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive sia necessaria una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione di tutti i criteri di cui al dato normativo, essendo questi i parametri per decidere sia sull'attribuzione sia sulla quantificazione. Superando l'approccio precedente (natura prettamente assistenziale dell'assegno divorzile), gli Ermellini hanno proposto una interpretazione nella quale il concetto di “adeguatezza” presenta un carattere di “intrinseca relatività” che, necessariamente, richiede una valutazione equiordinata di tutti gli elementi richiamati nella norma. Così è stata ridefinita la natura composita dell'assegno divorzile che conserva sì una funzione assistenziale, ma ha anche una componente compensativa/perequativa di fondamentale importanza, per cui solo l'applicazione equilibrata dei suddetti criteri può rispondere alla varietà delle situazioni concrete e ai diversi modelli familiari esistenti. E dunque, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, non si dovrà tener conto soltanto del raggiungimento di un grado di autosufficienza economica, ma (in concreto) di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare, alla luce delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente. Ecco che il divario tra le condizioni economiche delle parti, nel divorzio, non giustifica, da solo, la corresponsione dell'assegno divorzile, ma è presupposto sulla base del quale si instaura la verifica delle ragioni dello squilibrio economico/patrimoniale, accertando se questo sia conseguenza di scelte di vita condivise dai coniugi durante il matrimonio, a seguito delle quali il richiedente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi alla cura della famiglia, così contribuendo alla formazione del patrimonio comune e di ciascuno. Dunque, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, lo squilibrio reddituale tra le parti costituisce solo una “precondizione fattuale” per l'applicazione dei parametri normativi. Occorre, piuttosto, indagare sulle ragioni e conseguenze della scelta di uno dei coniugi, seppure condivisa con l'altro, di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui abbia comportato sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente (Cass. civ., ord., n. 29920/2022). In questo contesto si collocano svariate pronunce, tutte in linea con l'orientamento prevalente per il quale: “Il parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della (im)possibilità di procurarseli per ragioni oggettive va quindi riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, all'esigenza di garantire detta possibilità al coniuge richiedente), sia all'esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in base ad accordo con l'altro coniuge, un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell'altro coniuge”(Cass. civ., sez. I, sent. n. 21234/2019). È in tal caso che il divario reddituale tra gli ex coniugi assume rilievo, quale elemento causalmente riconducibile a quella scelta e, per questa ragione, meritevole di riequilibrio. E ciò in quanto, se con la separazione il vincolo coniugale permane, con tutte le conseguenze sul piano degli obblighi, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio comportano la rottura definitiva del suddetto legame. In quest'ottica, l'assegno divorzile non è una automatica proiezione della solidarietà coniugale che sopravvive alla rottura del vincolo, ma il riconoscimento del legame eziologico (se sussistente) tra le posizioni economiche delle parti al momento del divorzio e le scelte operate dai coniugi durante la vita matrimoniale. |