Capacità processuale e pregiudizialità fra amministrazione di sostegno e divorzio

26 Novembre 2025

La dedotta incapacità di discernimento non comporta ex sé l’incapacità di stare in giudizio, in assenza della dichiarazione ex art. 300 c.p.c. del procuratore. Non sussiste necessaria pregiudizialità fra le misure di protezione della persona e l’esercizio dei diritti personalissimi, fra i quali le domande sullo status.

Massima

L'eventuale incapacità naturale della parte di un giudizio civile non comporta l'assenza di capacità processuale, giacché l'art. 75 c.p.c., nell'escludere la capacità processuale delle persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti, si riferisce solo a quelle che siano state private della capacità di agire con una sentenza di interdizione o di inabilitazione, o l'abbiano vista limitata con provvedimento di nomina di un amministratore di sostegno, e non, invece, ai soggetti colpiti da incapacità naturale, che non risultino ancora interdetti, inabilitati nelle forme di legge o che necessitino di sostegno specifico in relazione all'atto processuale da compiere; né in relazione a questi ultimi, si pone l'esigenza di una sospensione del processo, ex art. 295 c.p.c., per il promovimento o per la definizione della procedura di tutela specifica (interdizione, inabilitazione nomina di amministratore di sostegno), dal momento che la "ratio" della disposizione dettata dall'art. 75 c.p.c. si fonda, da un lato, sull'esigenza che ogni limitazione della capacità di agire, con le relative ricadute sul piano processuale, possa operare solo all'esito finale di uno specifico procedimento e, dall'altro, sull'altrettanto incontestabile esigenza di impedire il pericolo che ogni processo possa subire interruzioni o sospensioni sulla base di situazioni di non sollecito ed agevole accertamento, con il conseguente pregiudizio del diritto di tutela giurisdizionale della parte che ha proposto la domanda.

Ne consegue che pendendo il giudizio per la nomina di un AdS non sussiste alcuna pregiudizialità in senso logico giuridico ed alcuna necessità di sospendere il giudizio di divorzio avviato dal beneficiando nell'esercizio di un diritto personalissimo, essendo questi del tutto capace fino al momento in cui il giudice tutelare non ritenga - alla luce delle specifiche fragilità in concreto accertate - di affiancargli un amministratore di sostegno quale misura di protezione specifica e individualizzata, senza alcun effetto invalidante degli atti pregressi bensì con l'effetto di garantire al medesimo idonea assistenza per il valido compimento degli atti specificamente individuati, e preservandone il più possibile la sua autonomia e la libertà di autodeterminazione.

Il caso

Dopo il giudizio di separazione, trascorsi ventidue anni, il marito, avendo nel frattempo ricostituito una nuova famiglia, promuoveva domanda di divorzio.

Nel costituirsi in detto giudizio la moglie eccepiva di aver promosso, un mese prima del deposito del ricorso per divorzio, domanda di amministrazione di sostegno e, ai sensi dell'art. 4 comma 5 l. 898/1970, chiedeva la nomina di un curatore speciale al ricorrente, nonché la sospensione necessaria del procedimento ai sensi dell'art. 295 c.p.c., affermando che dalla decisione della procedura di amministrazione di sostegno sarebbe dipesa anche la decisione in ordine al divorzio.

La questione

A quali condizioni la persona con incapacità naturale sia limitata nell’esercizio dei suoi diritti personalissimi, se l’amministratore di sostegno nominato debba essere autorizzato quando occorra coltivare i giudizi promossi dal beneficiario, se si dia pregiudizialità fra il procedimento di amministrazione di sostegno e quello di scioglimento del matrimonio.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento involge diverse questioni, afferenti: a) al rapporto di possibile pregiudizialità fra giudizi pendenti; b) al tema della capacità processuale della persona affetta da malattia degenerativa; c) al tema dell'esercizio di diritti personalissimi, quali gli status, e nella specie quanto allo scioglimento del matrimonio.

La sospensione necessaria del processo, intesa come sospensione c.d. propria, è quella che deriva dal rapporto di pregiudizialità giuridica tra cause sul piano del diritto sostanziale.

La nozione di pregiudizialità ricorre solo quando una situazione sostanziale rappresenti fatto costitutivo o comunque elemento della fattispecie di un'altra situazione sostanziale.

La Corte chiarisce che i procedimenti di cui alla sezione IIII del Titolo IV-bis del c.p.c. - artt. 473-bis.52 c.p.c. e ss. – sono autonomi dai procedimenti di cui alla sezione II (separazione, divorzio) rispetto ai quali non si pone una questione di sospensione del processo exart. 295 c.p.c., posto che una limitazione alla capacità processuale può dirsi operante solo all'esito di un giudizio.

Si coglie peraltro il timore che la richiesta di sospensione nello specifico sia asservita ad esigenze del coniuge istante.

Per quanto concerne l'esercizio dello ius postulandi in tema di diritti personalissimi, anche con riferimento allo status di separato o divorziato, la normativa interna presenta incongruenze dovute a stratificazioni accumulatesi nel tempo e a mancati coordinamenti.

La giurisprudenza oscilla fra due poli opposti: da un lato si rinviene la tesi secondo cui l'infermo di mente - così si legge ancora -, ovvero il soggetto legalmente incapace, non possiede capacità processuale e pertanto gli sarebbe preclusa la possibilità di presentare autonomamente domanda di separazione o di divorzio, e che, ove convenuto, debba essergli nominato un curatore speciale, dovendo tuttora fare i conti con una normativa rimasta almeno in parte immutata. Dall'altra però si fa strada la considerazione, come nella pronuncia in commento, che l'incapacità naturale della parte non comporta incapacità processuale, con dichiarazione di superfluità della nomina del curatore.

Il primo orientamento valorizza il tenore testuale dell'art. 4, comma V, della Legge 898/1970, secondo cui il presidente del tribunale nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace, disposizione quest'ultima non abrogata, bensì meramente traslata dal Decreto Legislativo n.149/2022 nell'art. 473-bis.14 c.p.c.

Secondo questo indirizzo più risalente - Corte di cassazione n. 9582/2000 - il tutore della persona interdetta per infermità mentale non sarebbe legittimato a promuovere la domanda di divorzio, in analogia con la disciplina del divieto di contrarre matrimonio di cui all'art. 85 c.c.

Si evidenzia poi che la rappresentanza dell'interdetto per infermità di mente da parte del tutore in tutti gli atti civili, ai sensi dell'art. 357 c.c., per il tramite del 374, comma 1 n. 9) c.c., non comprende i c.d. atti personalissimi, che coinvolgono interessi strettamente legati alla persona dell'interessato, al quale solamente può essere rimessa la scelta in ordine alle determinazioni da adottare. Poiché il divorzio fa venire meno lo status di coniuge, comportando rilevanti effetti personali tra i coniugi, oltre che effetti patrimoniali, la domanda giudiziale volta ad ottenerlo rientra certamente nella categoria degli atti personalissimi.

Ma aderendo a questa prospettiva in sostanza al soggetto interdetto sarebbe preclusa la proposizione di una domanda di separazione e divorzio.

Ciò si verificherebbe, nonostante l'ordinamento contenga altre norme che conferiscono al tutore poteri specifici in materie che riguardano interessi di carattere strettamente personale dell'interdetto per infermità di mente (art. 119 c. c., per l'impugnazione del matrimonio, art. 245 c.c. in tema di disconoscimento della paternità, art. 264 c.c., in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale da parte di chi è stato riconosciuto, art. 273, in tema di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, art. 13 della legge 22 maggio 1978, n. 194, in tema di interruzione della gravidanza).

Nel vigore della riforma Cartabia, la Corte d'Appello di Milano, con pronuncia del 31.10.2024 (IUS Famiglie, 22 gennaio 2025 con nota di Galluzzo Sabina Anna Rita), si è interrogata sui poteri dell'amministratore di sostegno, in particolare sulla possibilità per costui di agire, rappresentando in giudizio l'amministrato in un procedimento di separazione personale in cui, ai sensi dell'art. 473-bis.49 c.p.c., le parti avevano proposto anche domanda cumulata di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Nella pronuncia si ricorda che già nel previgente regime, a tutela dell'incapace, era prevista la nomina di un curatore che affiancasse il tutore, se nominato, cui doveva essere conferito lo ius postulandi a tutela degli interessi del soggetto debole.

Il sistema – si legge - accomuna la posizione del malato di mente privo di protezione a quella dell'infermo dichiarato incapace di intendere e volere, ma munito di protezione.

Si è inoltre ricordato che al soggetto incapace è riconosciuta la legittimazione ad agire ed a promuovere il relativo giudizio (di separazione e divorzio) solo per il tramite di un curatore speciale, nominato su istanza del tutore.

Tuttavia, nel caso specifico, dato che si trattava di un amministratore di sostegno in rapporti di parentela, il conflitto d'interessi con il beneficiario era quantomeno plausibile. Inoltre, l'amministratore aveva ricevuto autorizzazione dal giudice tutelare per la domanda di separazione, ma la domanda presentata includeva anche il divorzio, ai sensi dell'art. 473-bis.49 cpc.

Di qui la declaratoria di carenza di legittimazione attiva dell'amministratore, in quanto privo di specifica autorizzazione e la conseguente nullità della sentenza.

L'evoluzione della sensibilità giuridica sul tema è attestata dal diverso indirizzo interpretativo che inserisce tra le situazioni giuridiche soggettive che realizzano la personalità dell'individuo anche "il diritto alla separazione", di tal ché sussiste legittimazione attiva del beneficiario di a.d.s., attraverso il proprio rappresentante, a promuovere o coltivare il giudizio di separazione personale, senza necessità di nomina di un curatore speciale per lo svolgimento di detto giudizio”.

In particolare la Cassazione, con la pronuncia 6 giugno 2018, n. 14669, ha fatto un passo avanti, ritenendo che - una volta ammesso che, in mancanza di un espresso divieto, in nome e per conto dell'interdetto per infermità, possa essere compiuto anche un atto personalissimo (sempre che sia accertato che l'atto corrisponda al suo interesse e volto effettivamente a dare attuazione alle sue esigenze di protezione) - la designazione di un soggetto terzo (il curatore speciale), nominato ad hoc, che, insieme al giudice tutelare, valuti l'opportunità di promuovere la connessa azione e ne determini il contenuto, per essere poi autorizzato ad esperirla, si prospetti necessaria solo nel caso si prospetti conflitto di interessi fra il tutore ed il proprio rappresentato, risolvendosi, altrimenti, in un inutile formalismo.

Le cautele e limitazioni al diritto del soggetto incapace di modificare lo status di coniugato erano previste a sua tutela, ed invero è tuttora normativamente citata la nomina di un curatore che affianchi il tutore, se nominato, cui dovrebbe essere conferito lo ius postulandi a tutela degli interessi del soggetto debole. Sino agli anni duemila la giurisprudenza ha consentito continuità di effetti al principio, estendendone l'ambito applicativo a tutte le misure di protezione, quindi anche con riferimento alla sostituzione rappresentativa ad opera dell'amministratore di sostegno relativamente alla domanda di separazione giudiziale riguardante il beneficiario.

A ciò si aggiunga che la riforma Cartabia, all'art. 473-bis.58 c.p.c. ha previsto che all'amministrazione di sostegno si applichino le norme di cui agli art. 473-bis.52 e ss c.p.c.  ossia le norme previste in tema di interdizione, nell'intento di delineare così un sistema unificato di protezione dell'incapace.

Tutto questo, tuttavia, a fronte del fatto che la lettera della legge è rimasta invariata, in quanto l'art. 473-bis.14 c.p.c. in parte qua riproduce pedissequamente il dictum dell'art. 4, comma 5 L. 898/1970.

Ne deriva che a mutare è stata la sensibilità dei giudici e, dovendo assicurare la necessaria razionalità al sistema nel suo complesso, si è per questa via giunti a sostenere come non emerga dal suo esame una generale e tassativa preclusione al compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte del rappresentante legale dell'incapace, sia esso tutore o amministratore di sostegno.

Con la pronuncia in commento il quadro viene pertanto ricomposto secondo il seguente schema:

  • nell'ambito dell'amministrazione di sostegno, il conferimento di un potere sostanziale all'amministratore rende ad esso correlato anche il relativo potere processuale;
  • seppure attraverso il richiamo di cui all'art. 411 c.c., l'amministratore di sostegno non può promuovere giudizi, se non appositamente autorizzato ai sensi dell'art. 374 n. 9 c.c. come modificato dal d.lgs. 149/2022;
  • detta previsione opera però solo per giudizi da promuoversi ex novo, mentre non opera, e quindi il potere processuale è insito nell'incarico, in caso di:
  1. necessità di coltivare le liti promosse dal beneficiario in epoca precedente alla nomina dell'amministratore di sostegno;
  2. difesa passiva, allorché si tratta della conservazione dell'interesse del rappresentato, per resistere alle azioni da altri promosse;
  3. quando si tratta di impugnazioni, da ritenersi fasi di un unico procedimento.

Osservazioni

Alla luce della ricostruzione interpretativa appena svolta, la mera trasposizione della norma di cui all'art. 4 comma V della legge 898/70 nell'attuale art. 473-bis.14, II comma ultima capoverso cpc appare frutto di una svista o dimenticanza del legislatore.

Nessun limite può essere posto al diritto fondamentale della persona vulnerabile a far valere i suoi diritti personalissimi e nello specifico il suo diritto alla modifica dello status di coniugato.

Allo stato dell'evoluzione, la necessità di nomina di un curatore speciale si pone in rari casi, coincidenti con le ipotesi in cui dovesse emergere un conflitto di interessi fra rappresentante e rappresentato, senza distinguo quanto alla misura di protezione adottata.

Il ricorrente ha continuato a far leva sul presupposto della totale incapacità naturale della persona, facendola derivare dall'accertamento, a posteriori, della necessità di nomina di un amministratore di sostegno, ovvero dalla consulenza tecnica espletata in quel giudizio.

Il motivo, tuttavia, non coglie nel segno, sia perché prima dell'emissione del provvedimento che istituisce la misura di protezione si presume la capacità della persona, sia perché anche in seguito la capacità processuale del soggetto non è impedita, ma solo mediata dal rappresentante nominato.

La Suprema Corte ripercorre gli approdi dell'evoluzione giurisprudenziale, che attesta una nuova e marcata sensibilità sul tema della capacità di agire della persona fragile, ricordando che per tutta la durata del procedimento, sia esso di interdizione o di amministrazione di sostegno, il beneficiando conserva intatta e piena la capacità di agire (in questo senso Cass. 34850/2024).

Neppure allorché il procedimento ai fini dell'emissione di una misura di protezione fosse giunto a conclusione, al beneficiario potrebbe essere revocata in toto la capacità processuale, non potendosi prevedere un generalizzato potere sostitutivo del soggetto vicariante.  

Il principio per cui non si può limitare a priori la capacità processuale dell'incapace è certamente approdo di civiltà giuridica da salutare con favore.

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