Controlli investigativi su lavoratore esterno e licenziamento per giusta causa: legittimità dei controlli ex post mirati se sorretti da concreti sospetti di condotta fraudolenta
26 Novembre 2025
Massima È legittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore che - operando all'esterno dei locali aziendali - attesti falsamente l'inizio e la fine della prestazione e, nonostante lunghe pause non autorizzate e spostamenti per fini personali, dichiari la normale presenza in servizio. L'attività investigativa di un'agenzia privata, attivata ex post dal datore di lavoro a seguito di concreti indizi (come l'anomalo rendimento e le incongruenze nei dati di produzione), integra un “controllo difensivo in senso stretto”, estraneo a divieti e limiti dell'art. 4 l. 300/1970, purché circoscritta e proporzionata. Ne consegue la piena utilizzabilità in giudizio dei relativi report e la loro idoneità a fondare il recesso per giusta causa, ancor più quando l'infedeltà del dipendente rivesta reiterato carattere fraudolento. Il caso Un dipendente, letturista alle dipendenze della società Go. S.p.A., era tenuto a registrare via device aziendale le coordinate di inizio e fine turno nonché i propri percorsi giornalieri. Nel secondo semestre 2020 la società rilevava un significativo calo di performance (letture giornaliere ben al di sotto della media) nonché incongruenze tra dati dichiarati e risultati effettivi. Sulla scorta di tali anomalie il datore incaricava un’agenzia investigativa che, nel periodo 28 settembre – 7 ottobre 2020, documentava: a) lunga permanenza dell’interessato in casa dopo l’ora indicata come “partenza lavoro”; b) soste immotivate, anche di ore, all’interno dell’auto aziendale; c) deviazioni verso luoghi estranei al servizio; d) mancato utilizzo di divisa e DPI forniti. Ciò nonostante, il lavoratore caricava sul device orari regolari e giustificava i ritardi con traffico o maltempo. Contestatigli i fatti il 29 ottobre 2020, la società - reputate insufficienti le difese del lavoratore - comminava il licenziamento per giusta causa (il 10 novembre 2020) come ammesso ai sensi dell’art. 21, n. 5, CCNL Gas Acqua, applicabile caso concreto. Il Tribunale e la Corte d’Appello di Napoli convalidavano il recesso. Infine con ordinanza 4 settembre 2025, n. 24564, la Cassazione rigettava il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità dei controlli e della sanzione espulsiva. La questione Il provvedimento in discussione, affronta diversi temi che pur coagulano nel macro-tema dei possibili controlli effettuabili da parte del datore di lavoro il loro focus, ovvero:
Le soluzioni giuridiche 1) Circa il primo e maggior tema – quello dei controlli difensivi in senso stretto - la Suprema Corte ribadisce i dicta già di Cass., Sez. Lav., sent. 22 settembre 2021, n. 25732: è ammesso il controllo ex post, mirato su singoli dipendenti, se fondato su “elementi oggettivi e riconoscibili” idonei a far sorgere il sospetto di illecito. Nel caso in esame gli indizi erano costituiti dal reiterato sotto rendimento e dalle discrasie tra orari dichiarati e volumi di lettura. L'investigazione non riguardava l'adempimento “normale” ma la verificazione di condotte potenzialmente fraudolente (falsa attestazione, appropriazione di tempo di lavoro retribuito) lesive del patrimonio aziendale. La sentenza si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato che cerca di bilanciare due esigenze contrapposte: da un lato, il divieto di controllo a distanza dell'attività lavorativa (art. 4 Statuto dei Lavoratori), posto a tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore; dall'altro, il diritto del datore di lavoro di proteggere il proprio patrimonio aziendale e di verificare la correttezza della prestazione. Benché l'espressione non compaia testualmente in alcuna disposizione, i «controlli difensivi» si ricavano dalla lettura sistematica dell'art. 4, commi 1‑2, l. 300/1970, come novellati dal d.lgs. 151/2015, in combinato disposto con gli artt. 2086,2104,2105 e 2119 c.c.: si tratta di indagini finalizzate a tutelare il patrimonio materiale o immateriale dell'impresa e a prevenire o reprimere condotte illecite del dipendente, purché non dirette a valutare la mera diligenza lavorativa. La nozione si è consolidata a partire dalle pioneristiche Cass. sez. lav., 23 febbraio 2000, n. 1814 e Cass., sez. lav., 27 maggio 2002, n. 7472, nonché Cass., sez. lav., 3 aprile 2002, n. 4746. Trovando poi piena legittimazione in pronunce più recenti come Cass., sez. lav., 22 settembre 2021, n. 25732 e Cass., sez. lav., 21 novembre 2024, n. 30079. Si sono sviluppati due principali filoni interpretativi:
La Corte di Cassazione, con la ord. n. 24564/2025 in commento, ribadisce che i “controlli difensivi” sono legittimi secondo l'indirizzo prevalente, ovvero solo se rispettano tre condizioni fondamentali:
La sentenza, quindi, non autorizza controlli di massa o preventivi, vuole invece circoscrivere l'azione datoriale a una reazione a un'anomalia già emersa, trasformando l'investigatore in uno strumento per accertare un illecito e non per vigilare sulla produttività. In definitiva: la Cassazione ammette i controlli difensivi mirati sul singolo lavoratore solo ex post, quando sussistono indizi oggettivi di illecito (indirizzo oggi consolidato - e tali controlli restano estranei all'art. 4 St. lav. perché non riguardano la normale esecuzione della prestazione). Da precisare è il caso dei sistemi stabili (videosorveglianza, GPS, log, ecc.): la raccolta dei dati può avvenire ex ante se l'impianto è già installato nel rispetto dell'art. 4 St. lav. (accordo sindacale o autorizzazione ITL) per es. per esigenze organizzative o di sicurezza, mentre l'uso “difensivo” verso il singolo dipendente di tali dati resta comunque ammesso al sorgere dei sospetti (si veda in merito, per es., la già citata Cass. 15931/2024 del caso Telepass). 2) Circa il secondo punto, respingendo le censure ex artt. 115-116 c.p.c., la Cassazione nega che l'assenza di firma degli investigatori infici il valore probatorio del dossier: le deposizioni testimoniali, unite alla contestualità cronologica delle rilevazioni, integrano un sufficiente riscontro. La difesa del lavoratore ha tentato di invalidare le prove raccolte sostenendo che il report investigativo - in quanto documento di parte non sottoscritto - non avesse valore legale. La Cassazione respinge questa tesi con un ragionamento pragmatico e processualmente rigoroso: il valore probatorio del dossier investigativo riposa nella sua capacità di essere confermato da altre fonti di prova nel corso del giudizio. In questo caso il report ha funzionato come “fonte di conoscenza” per il giudice, la prova vera e propria è stata costruita attraverso i) la testimonianza in aula (gli investigatori che hanno materialmente condotto le indagini sono stati chiamati a testimoniare sotto giuramento e la loro deposizione orale, soggetta al contraddittorio tra le parti, ha confermato quanto scritto nel report, conferendogli piena efficacia probatoria) e ii) la coerenza logica e cronologica (i fatti riportati nel dossier, come orari, luoghi, spostamenti, erano coerenti con le altre evidenze documentali, tra le quali i dati del palmare aziendale e i registri delle letture; questa “convergenza del molteplice”, come spesso viene definita in ambito processuale, rafforza la credibilità delle accuse). La Corte stabilisce quindi che un report investigativo, pur se tecnicamente un atto di parte, diviene una prova solida e ammissibile quando il suo contenuto è “ratificato” in sede processuale dalla testimonianza diretta dei suoi autori e corroborato da altri elementi oggettivi. A miglior specificazione, si vedano i precedenti di Cass., sez. lav., sent. 17 ottobre 2024, n. 26938, ove la Corte ha affermato che la motivazione del licenziamento può legittimamente avvenire per relationem mediante il richiamo alla lettera di contestazione disciplinare - a condizione che tale lettera contenga una descrizione chiara, specifica e completa dei fatti addebitati, tale da non lasciare incertezze sull'ambito delle accuse. Rectius: il rinvio è valido quando la comunicazione del licenziamento e la lettera di contestazione sono strettamente collegate e il lavoratore è già a piena conoscenza del contenuto di quest'ultima, garantendo così la piena trasparenza e l'effettività del diritto di difesa. 3) Circa il terzo tema, ove l'atto espulsivo richiami una contestazione dettagliata già nota al lavoratore e indichi la fattispecie collettiva violata (nel caso concreto: art. 21, n. 5, CCNL Gas Acqua: falsificazioni, frode, recidiva), si garantisce il diritto di difesa. Inoltre il lasso di un mese tra fatti e contestazione è ritenuto congruo, considerata la complessità delle verifiche esterne. Eventuali informazioni risalenti, nel caso de quo, al 2019 costituivano mero indizio e non comportavano l'obbligo di contestazione immediata. Il principio di tempestività della contestazione disciplinare serve a garantire l'effettività del diritto di difesa del lavoratore e a tutelare il suo affidamento sulla stabilità del rapporto. Tuttavia la “immediatezza” non è un concetto assoluto bensì relativo, i fattori da considerare sono due: i) il dies a quo (il giorno da cui decorre il termine): il termine per la contestazione non inizia a decorrere dal momento in cui il datore di lavoro ha un semplice e vago sospetto (come la percezione di un “sotto rendimento” nel 2019), decorre dal momento in cui acquisisce una “ragionevole certezza” dei fatti, supportata da un quadro probatorio sufficientemente completo. Nel caso di specie questo momento coincide con la conclusione delle indagini investigative, le quali hanno trasformato il sospetto in una serie di addebiti circostanziati; ii) la congruità di durata delle indagini: la Corte riconosce che - specialmente per indagini complesse e condotte all'esterno della sede di lavoro - il datore di lavoro necessita di un tempo tecnico per raccogliere e verificare le prove. Il mese trascorso tra la fine delle investigazioni e la notifica della contestazione è stato giudicato “congruo” proprio in virtù di questa complessità: un'azione troppo frettolosa avrebbe potuto basarsi su prove deboli, mentre un ritardo eccessivo sarebbe stato lesivo per il lavoratore. La sentenza convalida quindi un approccio ponderato e che vuole bilanciare celerità e necessità di accertamento. Si stabilisce insomma che il requisito dell'immediatezza della contestazione deve essere inteso in senso relativo, per cui il datore di lavoro può legittimamente attendere l'esito di accertamenti complessi prima di procedere, specialmente quando è necessario acquisire e verificare elementi di prova esterni. In particolare: i) quanto al dies a quo, esso non decorre dal semplice sospetto (per es. un generico “sotto-rendimento” nel 2019), bensì dal momento in cui il datore acquisisce una ragionevole certezza dei fatti, sorretta da un quadro probatorio sufficiente (anche a seguito di indagini) – ex multis v. Cass., sez. lav., ord. 15 marzo 2023, n. 7467; ii) quanto alla congruità della durata delle indagini, è legittimo un prudente indugio se necessario a raccogliere e verificare elementi esterni e complessi; il ritardo è invece tardivo quando strumentale a ostacolare la difesa - cfr. Cass., sez. lav., ord. 13 settembre 2024, n. 24609). 4) Infine, in ordine alla qualificazione in giusta causa, la Corte ha più volte ribadito che una falsa attestazione reiterata, se combinata con un uso improprio del mezzo aziendale, può comportare una lesione profonda della fiducia datoriale - rendendo impraticabile la prosecuzione del rapporto. In tali casi, la proporzionalità della sanzione risolutiva è centrale: la Corte valuta concretamente la gravità della condotta, considerando la ripetizione, la fraudolenza, il danno patrimoniale e la violazione del dovere di lealtà, e può ritenere che solo il licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.), in ragione dell'irriducibile deterioramento del vincolo fiduciario, sia proporzionato. In definitiva l'ordinanza in esame conferma la tendenza già riscontrata in pronunce pregresse come per es. Cass., sez. lav., ord. 12 febbraio 2025, n. 3607 (ove la Corte ha confermato la legittimità dell'atto investigativo e del licenziamento risolutivo) e Cass. civ. sez. lav., ord. 24 ottobre 2024, n. 27610, ove si è ritenuta proporzionata la sanzione estrema e legittime le indagini tramite agenzia investigativa. Questi precedenti, insieme alla sentenza in esame, delineano un quadro in cui i controlli difensivi sono uno strumento eccezionale però necessario per tutelare l'integrità del patrimonio e dell'organizzazione aziendale da condotte fraudolente dei dipendenti. Osservazioni La pronuncia consolida la linea di tendenza che circoscrive l'ambito applicativo dell'art. 4 Statuto dei lavoratori alle sole forme di “ordinario” controllo a distanza, lasciando invece ai “controlli difensivi” uno spazio operativo ampio, purché rispettoso dei principi di necessità (attivazione solo in presenza di indizi seri), proporzionalità (limitazione a tempi e luoghi pertinenti) nonché di minimizzazione dei dati personali, in ossequio al GDPR (artt. 5‑6 Reg. UE 2016/679). Difatti circa il tema principale, quello dell'ammissibilità dei controlli difensivi verso il lavoratore, per la giurisprudenza maggioritaria i controlli sono leciti se ricorrono cumulativamente ulteriori accortezze. E che corrono in parallelo, rispetto ai requisiti già contemplati dalla Suprema Corte nella sua ordinanza: a. trasparenza “potenziale: ovvero l'informativa privacy dovuta ex art. 13 GDPR e che preveda (tra alte finalità connesse al rapporto di lavoro) la possibilità di investigazioni mirate, resa ex ante dal datore di lavoro nei confronti del proprio lavoratore; questo punto è spesso sottovalutato: la mera esistenza di un sospetto non esonera il datore di lavoro dagli obblighi di trasparenza imposti dal Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), ai sensi del quale si dovrà invece porre particolare attenzione ad aspetti non banali come: i) la base giuridica del trattamento, circa i dati personali raccolti tramite investigazione (per es. spostamenti, orari, fotografie) deve fondarsi su una base giuridica valida; in questo contesto, la base giuridica non può essere il consenso del lavoratore (che sarebbe viziato dallo squilibrio di potere tra le parti), bensì potrebbe darsi il legittimo interesse del datore di lavoro (art. 6.1.f GDPR) a proteggere il proprio patrimonio, la propria organizzazione e a far valere un proprio diritto in sede giudiziaria; ii) l'informativa privacy, consegnata al momento dell'assunzione e aggiornata periodicamente, deve esplicitare in modo chiaro e non ambiguo che, al verificarsi di specifici presupposti (es. sospetto di illeciti), l'azienda si riserva la facoltà di trattare dati personali, anche tramite soggetti terzi qualificati (agenzie investigative), per finalità di accertamento e tutela dei propri diritti - non è necessario descrivere le modalità operative nel dettaglio; iii) sebbene non sempre obbligatoria (e seppur possa ben essere trattamento di dati a elevato rischio), è buona prassi comunque accompagnare una Valutazione d'Impatto sulla Protezione dei Dati (art. 35 GDPR) prima di avviare sistematicamente controlli di questo tipo. La DPIA aiuta a documentare il bilanciamento tra il legittimo interesse del datore e i diritti e le libertà del lavoratore, dimostrando di aver adottato un approccio proporzionato e “by design”; l'informativa privacy e la sua formulazione dovranno tenere conto delle risultanze e accortezze, anche comunicative, frutto dell'analisi in sede di DPIA; b. autorizzazione dell'ITL o sindacale: non è richiesta ai sensi dell'art. 4 St. lav., salvo che però non sia attuato un uso “stabile” di apparecchiature di controllo a distanza. La distinzione è sottile ma fondamentale: l'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (come modificato dal Jobs Act) disciplina l'uso di “impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori”. Si è già detto come non sia necessaria alcuna autorizzazione preventiva dell'Ispettorato del Lavoro né un accordo sindacale. La situazione si complica quando il controllo difensivo viene effettuato tramite strumenti che sono anche “strumenti di lavoro” o che sono installati in modo permanente. Un esempio classico è quello del GPS sull'auto aziendale: se il GPS è installato per finalità organizzative, produttive o di sicurezza (per es. geolocalizzazione della flotta per ottimizzare i percorsi), il suo utilizzo è soggetto alla procedura di garanzia dell'art. 4 (accordo sindacale o autorizzazione ITL). Una volta installato legittimamente, i dati da esso derivati possono essere usati anche per finalità difensive, a condizione che emerga il requisito ulteriore del fondato sospetto di illecito. Se, invece, un GPS venisse installato occultamente e temporaneamente su un veicolo al solo scopo di pedinare un dipendente specifico, si rientrerebbe nel puro controllo difensivo, non soggetto ad autorizzazione. Se ne conclude che se si utilizzano strumenti tecnologici installati in modo stabile (tra cui: GPS, software di log, badge), è imperativo aver prima completato l'iter previsto dall'art. 4. Stat. Lav. Mentre per le investigazioni “umane” o con strumenti temporanei e mirati, l'autorizzazione non risulta necessaria; c. tracciabilità dell'incarico: il datore di lavoro dovrà aver conferito mandato scritto all'agenzia investigativa incaricata ex art. 134 TULPS (le agenzie investigative autorizzate possono operare solo su incarico scritto del mandante, il mandato deve specificare chiaramente l'oggetto dell'indagine, il diritto che si intende far valere in sede giudiziaria e la durata presunta delle operazioni); è un elemento sostanziale a tutela di entrambe le parti e della validità dell'indagine, andrà pertanto circoscritto con precisione cosa l'agenzia deve accertare per dimostrare che il controllo non era generico bensì mirato a un sospetto specifico. Inoltre si dovrà chiaramente indicare il motivo dell'incarico, si dovranno stabilire i confini dell'attività investigativa (vietando espressamente atti che possano ledere la dignità del lavoratore o invadere la sua sfera privata al di fuori del contesto lavorativo); d. utilizzabilità probatoria: si potrà utilizzare a supporto un report corroborato da testimonianze e/o rilievi oggettivi (immagini, GPS) non manipolati, meglio se acquisiti e conservati secondo i principi di digital forensics e le norme tecniche. La prova raccolta deve infatti superare il vaglio del contraddittorio in giudizio, la sua “forza” dipende dalla sua integrità e dalla sua verificabilità. Come chiarito anche dalla Cassazione, il report investigativo non costituisce una prova legale, essendo solo un documento di parte. Tuttavia la sua reale efficacia dipende dalla conferma testimoniale degli agenti che hanno operato. Quando le prove sono digitali (foto, video, dati GPS, log di accesso), la loro validità è subordinata alla garanzia di non alterazione: le migliori pratiche, derivanti dalla Legge n. 48/2008 (ratifica della Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica) e da standard internazionali (come la ISO/IEC 27037) che prevedono, tra l'altro: i) copia Forense (o “bit-stream image”) con acquisizione dei dati tramite una copia identica all'originale, bit per bit; ii) calcolo dell'hash, per cui viene generata un'impronta digitale (hash) sia del dato originale sia della copia, per dimostrare matematicamente che non vi sono state alterazioni; iii) rispetto della catena di custodia (chain of custody) ove ogni passaggio del dato, dalla sua acquisizione alla sua presentazione in giudizio, deve essere meticolosamente documentato per tracciare chi vi ha avuto accesso e quando; iv) le immagini e i video devono essere contestualizzati (data, ora, luogo) e l'investigatore deve essere in grado di confermare in sede testimoniale le circostanze dello scatto o della ripresa; è fondamentale che le riprese avvengano in luoghi pubblici o aperti al pubblico, per non violare la privacy del lavoratore nel suo domicilio o in altri luoghi di privata dimora. Riferimenti A. Bellavista, Controlli tecnologici e privacy del lavoratore, in (a cura di) A. Bellavista, R. Santucci, Tecnologie digitali, poteri datoriali e diritti dei lavoratori, Torino,2022, 99-108. P. Marini, Controlli difensivi e indagini su dipendenti infedeli, in AA.VV, Risorse umane e protezione dei dati, Lefebvre Giuffrè, 2025. R. Rizzi, A. Ventura, La tutela della privacy del lavoratore controllato a distanza, Fondazione Nazionale dei Commercialisti, 2019, 26-28. |