Quale posizione giuridica va riconosciuta al ex coniuge non proprietario della casa familiare?

27 Novembre 2025

La sentenza esamina la questione della qualificazione giuridica del rapporto tra coniugi e l'abitazione familiare di proprietà esclusiva di uno di essi, specialmente riguardo agli investimenti effettuati e al destino delle somme impiegate durante il matrimonio in caso di separazione.

Massima

Il rapporto che si instaura tra il coniuge non proprietario della casa familiare e l’immobile in questione va qualificato quale detenzione qualificata avente titolo in un negozio giuridico di natura familiare. Non potendosi, dunque, parlare di una relazione di possesso e/o di compossesso, all’ex coniuge, in caso di crisi familiare, non potrà essere riconosciuto il diritto a percepire una indennità per le migliorie apportate al cespite, né il rimborso delle spese sostenute, trattandosi di somme investite per l’adempimento dei doveri di contribuzione incombenti su ciascun coniuge.

Il caso

Con atto di citazione ritualmente proposto, l'attrice conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce l'ex coniuge al fine di sentirlo condannare al rilascio dell'immobile e dell'annesso terreno in quanto di sua esclusiva proprietà, oltre al pagamento dei canoni di locazione maturati quale conseguenza dell'occupazione del cespite a far tempo dal luglio 2011.

Si costituiva in giudizio il convenuto il quale si opponeva all'accoglimento delle domande ex adverso formulate e spiegava, a sua volta, domanda riconvenzionale volta ad ottenere, sul presupposto dell'esistenza di un rapporto di possesso rispetto alla casa familiare, il rimborso delle somme da lui versate a pagamento delle rate del mutuo intestato alla coniuge ed esistente sul citato appartamento, il risarcimento del danno subito per aver alienato sottocosto altro immobile di sua proprietà e il riconoscimento in suo favore di una indennità per aver contribuito all'aumento di valore del cespite oggetto di causa.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda di rilascio formulata dall'attrice e, in parte, quella riconvenzionale del convenuto, quantificando l'indennità allo stesso spettante per l'aumento di valore del cespite oggetto di causa, mentre rigettava le ulteriori richieste.

La pronuncia resa in primo grado veniva impugnata da entrambi in relazione alle parti della stessa per cui vi era stata soccombenza e, dunque, con appello principale dal convenuto relativamente alla condanna al rilascio dell'immobile e con appello incidentale dall'attrice in riferimento alla quantificazione dell'indennità riconosciuta dal tribunale salentino in favore dell'ex coniuge. L'appellante principale formulava, inoltre, per la prima volta in sede di gravame, richiesta di ritenzione del bene sino al saldo dell'indennità liquidata in primo grado.

La Corte territoriale rigettava il gravame proposto in via principale dall'appellante mentre accoglieva quello proposto in via incidentale dall'appellata relativamente al capo della pronuncia con cui si riconosceva una indennità per l'aumento di valore del cespite e rigettava la richiesta di ritenzione del bene non essendo stata proposta specifica domanda in primo grado.

La decisione resa in sede di appello veniva impugnata dall'appellante con ricorso per cassazione mediante la formulazione di tre motivi di impugnazione.

In particolare con il primo motivo il ricorrente contestava, quanto alla domanda di ritenzione del bene, la necessità della formulazione in prima istanza di una specifica domanda sul punto; con il secondo motivo lamentava la violazione o falsa applicazione dell'art. 1147 c.c. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale, a modifica della pronuncia resa in prime cure, aveva rigettato la richiesta di riconoscimento di una indennità per l'aumento di valore del bene oggetto di causa spettante al possessore in buona fede e con il terzo motivo chiedeva la modifica della sentenza impugnata nella parte in cui era stato escluso il riconoscimento del rimborso delle spese sostenute per le migliorie apportate al bene.

Sta di fatto che la Corte, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale prevalente confermava la sentenza impugnata, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

La questione

La pronuncia in esame tratta dell’interessante questione, che di frequente ci si trova ad affrontare nell’ambito dei giudizi afferenti alla crisi familiare, connessa alla qualificazione giuridica da attribuire al rapporto esistente tra il coniuge e l’abitazione familiare di proprietà esclusiva dell’altro per il caso in cui vengano compiuti investimenti da parte di quest’ultimo e, conseguentemente, alle sorti delle somme a tal fine investite in costanza di matrimonio per il caso di rottura dell’unione coniugale.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione nell'esaminare la questione sottoposta alla sua attenzione ha dato priorità logica alle lagnanze contenute nel secondo e nel terzo motivo di censura apparendo, a suo dire, fondamentale chiarire quale la qualificazione giuridica da attribuire alla posizione del coniuge rispetto alla casa familiare di proprietà dell'altro.

Sul punto la Corte, nel dare atto dell'esistenza di orientamenti contrapposti, ha espressamente indicato di aderire a quello prevalente, rilevando che le tesi contrapposte sono rimaste isolate e, comunque, risultano superate dalla successiva elaborazione giurisprudenziale. Ebbene, sulla scorta di tale assunto gli Ermellini hanno precisato che il rapporto che si instaura tra il coniuge, che in costanza di matrimonio abbia compiuto a sue spese degli investimenti per apportare migliorie all'immobile adibito a casa familiare di proprietà dell'altro, va qualificato in termini di diritto personale di godimento di natura atipica fondato sull'esistenza del legame familiare (Cfr. Cass. SS.UU. n. 11096/2002).

Tale principio, elaborato in sede di convivenza more uxorio in termini di detenzione autonoma qualificata, è per la Corte applicabile, a seguito della successiva elaborazione giurisprudenziale, anche al matrimonio trovando titolo in un negozio giuridico di natura familiare (Cfr Cass. n. 23882/2021).

Ne deriva che al ricorrente non possa essere riconosciuta in alcun modo la qualifica giuridica di possessore dell'immobile oggetto di causa con conseguente inapplicabilità delle previsioni contenute all'art. 1150 c.c. poiché l'indennità ivi prevista non compete al detentore qualificato ma solo al possessore e, trattandosi di norma di carattere eccezionale, non può essere oggetto di interpretazione analogica (Cass. n. 29924/2022).

Diretto corollario di tale principio è l'impossibilità di riconoscere al ricorrente sia l'indennità per l'aumento di valore del bene che il rimborso delle spese effettuate poiché non vertendosi in materia di possesso non può neppure sindacarsi circa la sua condizione di buona o mala fede.

Da qui, inoltre, l'inammissibilità del motivo di doglienza concernente il rigetto del diritto di ritenzione che non può configurarsi nei confronti del detentore.

Osservazioni

La pronuncia in esame pone interessanti spunti di riflessione apparendo assai frequente il caso in cui alla rottura del matrimonio insorgano questioni collaterali rispetto a quelle che riguardano più strettamente gli aspetti concernenti i rapporti di natura familiare, quale per l’appunto la risoluzione di situazioni economiche connesse agli investimenti compiuti per l’abitazione familiare di proprietà esclusiva di uno dei coniugi.

Ebbene, sul punto, la Corte, richiamando l’orientamento prevalente formatosi in tema di convivenza more uxorio ritenuto applicabile anche al caso di sussistenza di un legame matrimoniale, ha dato una risposta netta, escludendo la configurabilità di qualsivoglia rapporto di possesso e/o compossesso ma qualificando il rapporto che si instaura tra il coniuge non proprietario e la casa familiare quale rapporto di detenzione qualificata avente titolo nel negozio giuridico di natura familiare.

Così facendo è giunta ad escludere qualsivoglia diritto in capo all’ex coniuge non proprietario dell’immobile a richiedere e ad ottenere indennità di svariato titolo in ragione delle spese sostenute per il citato immobile e/o per eventuali migliorie apportate allo stesso.

Ciò in quanto si presume che tali spese siano state sostenute in adempimento ai doveri connessi all’unione familiare e, dunque, per l’adempimento degli obblighi coniugali di contribuzione ai bisogni della famiglia e per tale ragione le stesse non sono rimborsabili.

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