La decisione della Corte di Giustizia sul riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso
01 Dicembre 2025
Massima Anche se gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità per quanto riguarda le modalità di riconoscimento dei matrimoni conclusi da cittadini dell'Unione durante l'esercizio della loro libertà di circolazione e di soggiorno in un altro Stato membro, l'assenza di una modalità di riconoscimento equivalente a quella concessa alle coppie di sesso opposto costituisce una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale e vietata dall'articolo 21, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ne consegue che, qualora uno Stato membro scelga, nell'ambito di tale margine di discrezionalità, di prevedere nel proprio diritto nazionale una modalità unica per il riconoscimento dei matrimoni contratti dai cittadini dell'Unione durante l'esercizio della loro libertà di circolazione e di soggiorno in un altro Stato membro, quale, nel caso di specie, la trascrizione dell'atto di matrimonio nel registro dello stato civile, tale Stato membro è tenuto ad applicare detta modalità indistintamente ai matrimoni contratti tra persone dello stesso sesso e a quelli contratti tra persone di sesso opposto. Il caso Nel 2018 due cittadini polacchi, uno dei quali avente anche cittadinanza tedesca, si sposavano a Berlino. Successivamente la coppia si trasferiva in Polonia e chiedeva la trascrizione del matrimonio redatto in Germania affinché l’atto fosse riconosciuto anche nello stato polacco. La domanda della coppia veniva respinta con la motivazione che la Polonia non consente il matrimonio tra due persone dello stesso sesso e pertanto la trascrizione richiesta avrebbe violato i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Avverso tale rifiuto la coppia proponeva ricorso all’Autorità Giudiziaria polacca che, in via pregiudiziale, interpellava la Corte di Giustizia dell’Unione europea chiedendo se la normativa dello Stato polacco, che non riconosce il diritto al matrimonio a due persone dello stesso sesso né di trascrivere tale tipologia di atti, fosse o meno compatibile con il diritto dell’Unione europea. La Corte di Giustizia europea chiamata ad interpretare il Trattato sul Funzionamento europeo, a norma dell’art. 267 TFUE, dichiarava che il rifiuto di riconoscere il matrimonio tra due cittadini dell’Unione, legalmente contratto in uno Stato membro, è contrario al diritto dell’Unione. La questione Sebbene tra gli obiettivi alla base dell’Unione europea vi sia quello di uniformare il più possibile gli ordinamenti giuridici dei vari Stati membri, proprio al fine di agevolare l’esercizio dei diritti connessi alla cittadinanza europea (art. 81 TFUE), è noto che ancora esiste una grande divergenza tra le legislazioni dei vari Stati membri rispetto al diritto di famiglia e in particolare ai diritti LBGTI+: vi sono Paesi che consentono l’adozione a coppie dello stesso sesso ed altri che la negano, oppure paesi che consentono l’accesso alla PMA (Procreazione medicalmente assistita) a coppie di donne e altri che la precludono. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ad esempio, è proprio uno di quegli istituti che non trova un riconoscimento univoco da parte di tutti gli Stati dell’Unione. Esistono molti paesi che lo permettono (Spagna, Danimarca, etc), altri che consentono le unioni omoaffettive senza tuttavia equipararle al matrimonio (ad esempio l’Italia), e altri, per fortuna ormai pochi, che ancora negano qualsiasi forma di riconoscimento alle coppie dello stesso sesso. Il caso in esame riguarda il matrimonio contratto in uno Stato membro (Germania), dove è legalmente possibile per due uomini sposarsi, e il suo riconoscimento in un altro Stato membro (Polonia), ossia quello di origine dei coniugi (la Polonia). Le norme oggetto di attenzione sono quindi gli artt. 20 e 21, paragrafo 1, TFUE, letti alla luce dell’art. 7 e dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Premesso che gli Stati membri dispongono di un margine di discrezione circa l'introduzione o meno del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel rispettivo ordinamento giuridico, la Giurisprudenza europea ha anche chiarito che gli Stati sarebbero tenuti, nell’esercizio delle loro competenze, a rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, il diritto alla libertà di circolazione (ex multis Corte di Giustizia sentenza del 8.05.2018 sulla nozione di “partner” rispetto al diritto al ricongiungimento familiare). In particolare, il tema del riconoscimento degli status familiari (e personali) concerne lo stato civile, materia tipica del diritto internazionale privato che è di competenza dei singoli stati membri. Questi ultimi sono sovrani nel decidere in merito alla possibilità di annotare, iscrivere o trascrivere nei registri dello stato civile gli status validamente costituiti all’estero, tuttavia con un limite: rispettare i principi fondamentali dell’UE come il diritto della libera circolazione e di soggiorno nonché di non discriminazione Le soluzioni giuridiche Al punto n. 75 della sentenza della Corte di Giustizia in commento i giudici lussemburghesi concludono affermando che se, da un lato, esiste un margine di discrezionalità da parte degli Stati membri per quanto riguarda le modalità di riconoscimento dei matrimoni contratti da cittadini dell'Unione nel loro esercizio della loro libertà di circolazione e di soggiorno in altro Stato membro, dall'altro, l'assenza di una modalità di riconoscimento equivalente a quella concessa alle coppie di sesso opposto costituisce una discriminazione basata sull'orientamento sessuale e vietata dall'art. 21, paragrafo 1, della Carta. Conseguentemente se uno stato membro sceglie, nel margine di tale discrezionalità, di consentire, come unica modalità di riconoscimento di quei matrimoni celebrati all'estero, la trascrizione, allora tale Stato membro sarà tenuto a garantire la trascrizione sia ai matrimoni tra persone di sesso opposto che a quelli tra persone dello stesso sesso. Osservazioni In Italia questa decisione è stata accolta con grande entusiasmo, perché – da una lettura superficiale delle notizie che sono circolate all'indomani della pubblicazione della sentenza – sembrava che la Corte di Lussemburgo avesse affermato il diritto al matrimonio egualitario in tutti gli Stati membri. Non è ovviamente così. Il caso sottoposto all'attenzione della Corte di Giustizia, peraltro, muove da un presupposto ben preciso: la totale mancanza di riconoscimento giuridico delle coppie omoaffettive da parte dello Stato della Polonia. Diversamente dal Paese polacco, in Italia un vuoto di tutela simile non esiste perché, da poco meno di dieci anni, le coppie dello stesso sesso possono unirsi civilmente e costituire una specifica formazione sociale ai sensi dell'art. 2 della nostra Costituzione. La legge n. 76/2016, che ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico le unioni civili, ha anche previsto, all'art. 1 comma 28, che il Governo fosse delegato ad adottare uno o più decreti legislativi di adeguamento alle previsioni della legge suddetta delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché di modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo. In forza di tale delega il Governo ha adottato il d.lgs. n. 7/2017 che, intervenendo in materia di diritto internazionale privato, ha inserito il neo art. 32-bis alla l. n. 218/1995 che così prevede: “Il matrimonio contratto all'estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell'unione civile regolata dalla legge italiana”. Questa norma impone un fastidiosissimo downgrade del matrimonio celebrato in un altro Paese da due persone stesso sesso (di cui almeno una sia cittadina italiana) che pertanto in Italia non può essere riconosciuto come tale ma verrà riqualificato - in senso peggiorativo - in unione civile, istituto che prevede molti meno diritti rispetto al matrimonio. Va precisato che analogo trattamento non è riservato a coloro che non hanno la cittadinanza italiana, che potranno quindi trascrivere pacificamente il proprio matrimonio same sex (Cass. civ. sent. 14 maggio 2018 n. 11696) e il motivo è presto evidente: il nostro legislatore ha voluto evitare che il cittadino italiano andasse all'estero per ottenere un diritto (il matrimonio) che qui in Italia gli è negato. La sentenza della Corte di Giustizia in commento non comporta quindi alcuna rivoluzione in Italia, ma potrà, forse, costituire un valido elemento per riesaminare in futuro la portata dell'art. 32-bis della l. 218/1995 citato alla luce del fatto che tale previsione non consente un riconoscimento equivalente a quello concesso alle coppie di sesso opposto. Riferimenti M.C. BARUFFI, Il cammino europeo della famiglia: la circolazione degli status familiari, in Famiglia e Diritto, n. 6, 1 giugno 2025, 533 M.L. SERRA, Sulla trascrizione del matrimonio omosessuale estero e diritti fondamentali della persona, in Famiglia e Diritto, n. 2, 1 febbraio 2019, 136 A. SCALERA, Non è trascrivibile il matrimonio omosessuale contratto all’estero da cittadino italiano, in Quotidiano giuridico, 16.05.18 C. BOVINO, È da esaminare anche la domanda di ricongiungimento dell'extra-Ue cui è negato l'ingresso nell'Ue in Quotidiano giuridico 18.05.18 A. SCARCELLA, Italia condannata per il mancato riconoscimento legale delle unioni omosessuali prima della legge Cirinnà, in Quotidiano giuridico, 27.12.17 |