Costituzione giudiziale di servitù di passaggio su area comune e mandato unanime all’amministratore di condominio

02 Dicembre 2025

Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità ribadiscono che, in tema di condominio, le domande che incidono sull'estensione del diritto di (proprietà o) comproprietà dei singoli condomini devono essere rivolte nei confronti di tutti gli altri, i quali sono litisconsorti necessari, giacché viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile, per cui, in caso di domanda giudiziale di costituzione di una servitù coattiva di passaggio, pedonale e carrabile, attraverso un'area di proprietà condominiale, la resistenza in giudizio, in difetto di un'unanime e positiva delibera di tutti i condomini, esula dai poteri deliberativi assembleari e da quelli di rappresentanza processuale del condominio da parte dell'amministratore.

Massima

Ai sensi dell'art. 1131 c.c., l'amministratore di condominio ha il potere di agire e resistere in giudizio unicamente per la tutela dei diritti sui beni comuni, escluse le azioni incidenti sulla condizione giuridica dei beni stessi, ossia sull'estensione del relativo diritto di condominio, sicché, in quest'ultima ipotesi, la legittimazione dell'amministratore può trovare fondamento esclusivamente nel mandato conferitogli da ciascuno dei partecipanti alla comunione e non già nel meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale, ad eccezione di un'unanime, positiva, delibera di tutti i condomini.

Il caso

La causa - giunta all'esame del Supremo Collegio - originava da una domanda, proposta da un condomino nei confronti del Condominio, volta ad accertare la sussistenza dei presupposti, di fatto e di diritto, per la costituzione di una servitù coattiva di passaggio (pedonale e carraio) a beneficio del fondo attoreo.

Si costituiva in giudizio il Condominio, rilevando la preesistenza di un passaggio alternativo idoneo a servire il fondo dell'attore, ad escludere l'interclusione di detti fondi e in grado di assicurare un accesso più breve alla via pubblica.

Il Tribunale accoglieva la domanda attorea e, per l'effetto, costituiva la servitù coattiva di passaggio pedonale e carraio a favore dei fondi del medesimo attore e determinava l'indennità dovuta al Condominio convenuto in € 606,96.

Il Condominio interponeva gravame avverso la suddetta pronuncia, ma la Corte d'Appello lo rigettava - per quel che qui rileva - osservando che: a) l'art. 1131, comma 2, c.c. prevede chiaramente che l'amministratore possa essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; b) il fondo dell'attore doveva ritenersi intercluso, palesandosi, come prova dirimente, l'esito della disposta CTU, dalla quale emergeva anche che il passaggio dal mappale di proprietà del Condominio convenuto era quello più breve e riusciva di minor danno al fondo sul quale era consentito, posto che lo stesso era già dotato di un'ampia strada adibita ad uso pubblico sulla base di convenzione urbanistica ed era già gravato da servitù in favore di altri fondi interclusi; c) non era ipotizzabile l'eventuale passaggio da altri fondi a carattere precario, posto che non era riconosciuto in alcun titolo.

La suddetta pronuncia era stata impugnata per la cassazione dal Condominio.

La questione

Si trattava di verificare se fosse corretto ritenere legittimato passivamente l'amministratore del condominio e non i singoli condomini, nel giudizio avente ad oggetto la costituzione coattiva di una servitù di passaggio sul fondo comune; secondo il ricorrente, infatti, l'art. 1131 c.c. doveva coordinarsi con l'art. 1130 c.c., a mente del quale l'amministratore aveva la rappresentanza dei partecipanti solo con riferimento agli atti conservativi e non anche riguardo alle azioni reali, in quanto ente di mera gestione, che non aveva personalità giuridica né diritti propri, laddove, nella specie, era stata proposta una controversia relativa alla limitazione di un diritto di ciascun condomino, per cui il litisconsorzio di tutti i condomini era necessario, mentre la rappresentanza dell'amministratore del condominio semmai si aggiungeva al diritto dei comproprietari a tutelare i beni insidiati da illegittime azioni di terzi.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenute fondate le doglianze del ricorrente, cassando la sentenza impugnata e rinviando il giudizio davanti al Tribunale ai sensi dell'art. 383, comma 3, c.c.

Invero, si è già avuto occasione di rilevare il difetto di legittimazione a resistere - come ad agire - in capo all'amministratore del condominio, laddove oggetto dell'azione siano questioni concernenti l'esistenza, il contenuto o l'estensione dei diritti spettanti ai condomini in virtù dei rispettivi acquisti, che restano nell'esclusiva disponibilità dei titolari.

Più precisamente, è stato rilevato che, ove si sia in presenza di azioni reali (di accertamento o costitutive) dirette ad individuare e/o ad estendere la sfera del dominio acquisito pro quota da ciascun condomino con gli atti di acquisto delle singole unità immobiliari condominiali, ossia all'atto dell'ingresso nel condominio, l'azione giudiziale esula dall'àmbito della mera tutela di una già acquisita proprietà comune, per incidere nella sfera dei diritti e degli interessi individuali.

Tanto basta, secondo gli ermellini, ad escludere che la proposizione di un'azione volta - come la domanda di costituzione di servitù coattiva di passaggio pedonale e carraio attraverso l'area di proprietà del condominio (ma anche di ogni condomino) - a conseguire una limitazione del diritto dominicale possa considerarsi rientrante nei poteri deliberativi dell'assemblea condominiale e che la rappresentanza processuale del condominio possa essere, nella stessa ipotesi, affidata all'amministratore.

Ciò in quanto il condominio è privo di personalità giuridica, quale ente di gestione delle cose comuni, conseguendone che l'amministratore può agire in virtù della sola delibera assembleare, anche non totalitaria, a tutela della gestione delle stesse, secondo un modello di rappresentanza del tutto speciale, che consiste in un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, che si distingue dal modello di rappresentanza volontaria in ragione della determinazione legale delle relative attribuzioni, dei compiti e dei poteri stabiliti dall'art. 1130 c.c., o dei maggiori poteri eventualmente conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea: entro questi limiti, l'amministratore del condominio ha la rappresentanza dei condomini e può stare in giudizio sia per essi contro terzi, sia contro alcuno di essi per tutti gli altri (art. 1131, commi 1 e 2, c.c.).

Il disposto dell'art. 1131 c.c. - secondo cui l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio - viene inteso, invero, nel senso che il potere rappresentativo che spetta all'amministratore di condominio si riflette nella facoltà di agire e di resistere in giudizio unicamente per la tutela dei diritti sui beni comuni, rimanendone escluse, quindi, le azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni stessi, ossia sull'estensione del relativo diritto di condominio, affare che rientra nella disponibilità esclusiva dei condomini.

In tal modo, si assicura anche la regolare corrispondenza tra le attribuzioni dispositive dell'amministratore e dell'assemblea e la legittimazione a far valere nel processo le rispettive posizioni dominicali (Cass. civ., sez. VI/II, 14 ottobre 2022, n. 30302; Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2020, n. 19566; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2019, n. 2279; Cass. civ., sez. II, 5 giugno 2014, n. 12678).

Osservazioni

La pronuncia in commento si pone nel solco di un orientamento oramai consolidato sul versante processuale.

Dunque, qualora si tratti di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, tale legittimazione può trovare fondamento soltanto nel mandato conferito all'amministratore da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non nel meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale, ad eccezione dell'equivalente ipotesi di un'unanime, positiva, delibera di tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 3 aprile 2003, n. 5147; Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1988, n. 2401; Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988 n. 2129; Cass. civ., sez. II, 3 marzo 1984 n. 4623).

Infatti, l'assemblea può deliberare, con le prescritte maggioranze, solo sulle questioni che riguardano parti comuni dell'edificio o il condominio nel suo complesso, oppure sulle liti attive e passive che, esorbitando dalle attribuzioni istituzionali dell'amministratore, riguardino pur sempre la tutela dei diritti dei condomini su tali parti, ma non anche sulle questioni concernenti gli atti di acquisto delle singole proprietà immobiliari (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1997 n. 8246).

Pertanto, le domande incidenti sull'estensione del diritto di proprietà o comproprietà dei singoli devono essere rivolte nei confronti di tutti i condomini, in quanto in tali fattispecie viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico ed inscindibile su cui deve statuire la richiesta pronuncia giudiziale (così Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 2020, n. 22935; v, altresì, Cass. civ., sez. un., 13 novembre 2013, n. 25454).

Riguardo al caso di specie, la proposizione della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di esistenza del preteso diritto reale in favore dell'originario attore - segnatamente, l'invocata statuizione di una servitù coattiva di passaggio per fondo intercluso - deve, in difetto di un'unanime positiva delibera di tutti i condomini, ritenersi esorbitante dai poteri deliberativi dell'assemblea condominiale, da un lato e da quelli di rappresentanza processuale del condominio da parte dell'amministratore, dall'altro (v., tra le altre, Cass. n. 12678/2014, cit.; cui adde Cass. civ., sez. II, 8 agosto 1979, n. 4637).

A ben vedere, i principi sopra espressi riguardano un caso di “diminuzione” o di “restrizione” del patrimonio condominiale e, di conseguenza, della quota di comproprietà dei condomini, ma gli stessi sono operativi anche qualora si prospetti un “accrescimento” e una “estensione” del medesimo patrimonio.

Così, ad esempio, si è chiarito che la proposizione di una domanda diretta all'estensione della proprietà comune mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un'area adiacente al fabbricato condominiale, siccome acquistata per usucapione, implicando non solo l'accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati, esorbita dai poteri deliberativi dell'assemblea e dai poteri di rappresentanza dell'amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino (Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2020, n. 25014; Cass. civ., sez. II, 24 settembre 2013, n. 21826; Cass. civ., sez. II, 3 aprile 2003, n. 5147).

In definitiva, le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su parti dell'edificio condominiale, che esulino dal novero degli atti meramente conservativi - al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130, n. 4, c.c. - possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea ex art. 1131, comma 1, c.c., adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c. (in buona sostanza, con il quorum della metà del valore dell'edificio); ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell'amministratore trova il suo fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione e non anche nel predetto meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale - ad eccezione della (in tal caso equivalente) ipotesi di unanime delibera di tutti i condomini - atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà è del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell'assemblea e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati.

Riferimenti

Scarongella, La legittimazione processuale passiva dell'amministratore di condominio, in Contratti, 2011, 552;

Gravina Di Ramacca, La legittimazione processuale passiva dell'amministratore del condominio, in Gazzetta forense, 2010, fasc. 5, 12;

Spagnuolo, Muro comune e servitù di passaggio, il ruolo di amministratori e condomini, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 8, 20;

Flammia, Ancora su condominio e servitù e sulla possibile creazione giudiziale dello scarico coattivo, in Giur. merito, 2001, 381;

Frigerio, Inapplicabilità del principio nemini res sua servit quando la qualità di esclusivo proprietario del fondo servente e comproprietario del fondo dominante è riassunta nel medesimo soggetto, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 442;

De Tilla, Sulla costituzione di una servitù sulle parti comuni, in Rass. loc. e cond., 1994, 230;

De Michel, Servitù e condominio, in Giur. it., 1994, I, 1, 1815;

Trocker, Litisconsorzio necessario e ordine di integrazione del contraddittorio nell'actio negatoria servitutis in materia condominiale, in Giur. it., 1985, I, 1, 942.

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