Il blogger è responsabile se non rimuove tempestivamente i commenti illeciti segnalati
02 Dicembre 2025
Massima L’obbligo di rimozione delle informazioni illecite memorizzate sorge per l’hosting provider nel momento stesso in cui egli, in qualunque modo, acquisisca la conoscenza di fatti o circostanze che rendano tale illiceità manifesta. In quest’ottica, la «comunicazione delle autorità competenti» rappresenta solo una fonte qualificata di acquisizione della predetta conoscenza che, “verosimilmente, semplifica anche la valutazione per il prestatore del carattere manifesto dell’illiceità dell’informazione e l’eventuale giudizio sulla sua effettiva consapevolezza della stessa”. Il caso Il Tribunale di primo grado rigetta la domanda, ritenendo non provata la responsabilità del convenuto. La Corte d’Appello conferma la decisione, dichiarando cessata la materia del contendere in relazione alla richiesta di rimozione dei commenti e rigettando le restanti pretese risarcitorie. La Corte, in particolare, aveva affermato che l'obbligo di rimozione dei commenti illeciti (nella specie, diffamatori), per il prestatore di servizi (nella specie: hosting provider), ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003, sussisterebbe solo a seguito di una comunicazione da parte delle autorità competenti in ordine al carattere illecito dei medesimi, cioè in base ad una "conoscenza qualificata" di tale illiceità, e non potrebbe farsi derivare da una mera conoscenza di fatto di essa, acquisita in altro modo. Tizio propone ricorso in Cassazione, articolato in tre motivi. I primi due censurano l’attribuzione dell’onere della prova e la qualificazione del ruolo del blogger, sostenendo che Caio avrebbe svolto un’attività di moderazione attiva dei contenuti e che, pertanto, avrebbe dovuto essere considerato responsabile per la pubblicazione dei commenti. Il terzo motivo riguarda l’omessa rimozione dei contenuti illeciti, anche dopo l’acquisizione della conoscenza della loro natura diffamatoria. La questione Il blogger è tenuto a rimuovere i commenti illeciti segnalati? Chi è tenuto a segnalare tali contenuti? Le soluzioni giuridiche La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 17360/2025 ha stabilito che spetta al danneggiato dimostrare il ruolo attivo del provider, ossia l'esistenza di un'attività di filtro, selezione o moderazione dei contenuti, e la conoscenza effettiva dell'illiceità dei commenti. Tale principio è coerente con l'art. 2697 c.c., che attribuisce all'attore l'onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa. La Corte sottolinea che, in assenza di prova di un'attività attiva da parte del blogger, questo deve essere considerato un hosting provider passivo, non responsabile per i contenuti generati da terzi, salvo che abbia acquisito conoscenza dell'illiceità. In particolare, si tratta di una pronuncia che ridefinisce il quadro giuridico italiano in materia di responsabilità delle piattaforme digitali, rafforzando la protezione dei diritti della personalità nella comunicazione online e affermando che, anche nell'era dell'informazione, la responsabilità non può essere aggirata dietro la mera funzione tecnica dell'intermediazione passiva. La Cassazione, nella sua disamina, ha ribadito che né la normativa europea (Direttiva 2000/31/CE) né il Dlgs 70/2003, che disciplinano in Italia i servizi informatici, prevedono che la responsabilità dell'hosting provider sia subordinata a una segnalazione formale da parte di un'autorità pubblica. La Corte, con la decisione de qua ha, pertanto, fissato un principio chiaro: il gestore della piattaforma, pur non rispondendo automaticamente dei contenuti pubblicati da terzi, diventa responsabile nel momento in cui acquisisce effettiva consapevolezza del carattere manifestamente illecito delle informazioni. Tale consapevolezza può derivare da qualsiasi fonte: una segnalazione della parte offesa, una notizia di stampa, o persino una presa d'atto diretta del contenuto. È vero che una comunicazione ufficiale delle autorità può semplificare la valutazione sull'illiceità, ma non è condizione necessaria per far scattare l'obbligo di intervento. Nel fondare questa interpretazione, la Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza penale e le indicazioni della Corte costituzionale e della Corte EDU, che più volte hanno sottolineato come il diritto alla libertà di espressione debba essere bilanciato con la tutela della dignità personale e che le deroghe alla libertà di parola sono legittime quando giustificate da ragioni obiettive e razionali. Nel procedimento analizzato la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, censurando l'interpretazione restrittiva dell'art. 16 del D.lgs. 70/2003 adottata dalla Corte d'Appello. Quest'ultima aveva ritenuto che l'obbligo di rimozione dei contenuti illeciti sorgesse solo a seguito di una comunicazione da parte delle autorità competenti, escludendo che una segnalazione privata potesse generare tale obbligo. La Cassazione, invece, afferma che l'obbligo di rimozione sorge nel momento in cui il provider acquisisce conoscenza effettiva dell'illiceità, indipendentemente dalla fonte di tale conoscenza. La Corte richiama la giurisprudenza penale e civile, in particolare le sentenze n. 12546/2019 e n. 7708/2019, che hanno affermato la responsabilità del provider per la mancata rimozione di contenuti illeciti, una volta acquisita la consapevolezza della loro natura lesiva. La Corte chiarisce che la “conoscenza effettiva” può derivare anche da una segnalazione privata, purché sufficientemente circostanziata e idonea a rendere manifesta l'illiceità. In tal caso, il provider ha l'obbligo di attivarsi tempestivamente per rimuovere i contenuti, pena la perdita del beneficio dell'esenzione da responsabilità previsto dalla normativa. Il quadro normativo di riferimento comprendente l'art. 16 D.lgs. 70/2003 (attuativo dell'art. 14 della Direttiva 2000/31/CE) disciplina il regime di esenzione di responsabilità per l'hosting provider passivo. Questo regime si applica purché: il prestatore non sia effettivamente a conoscenza dell'illiceità dei contenuti e non appena ne abbia consapevolezza, agisca tempestivamente alla rimozione previa comunicazione delle autorità competenti. La Cassazione, tuttavia, ha chiarito che anche una segnalazione credibile da parte del soggetto leso o da terzi, purché idonea a rendere evidente l'illiceità, è sufficiente ad attivare l'obbligo di rimozione. La distinzione tra hosting attivo e passivo, già tracciata da precedenti provvedimenti della Corte di Cassazione, si fonda sul grado di intervento esercitato dal prestatore del servizio sui contenuti caricati da terzi. La giurisprudenza distingue, dunque, due figure con regimi diversi di responsabilità: da un lato l'hosting provider passivo: svolge un ruolo tecnico, automatico e neutrale—senza attività di controllo/editoriale—e può beneficiare dell'esenzione prevista dall'art. 16; dall'altro l'hosting provider attivo: compie attività quali filtro, selezione, indicizzazione, catalogazione, promozione, aggregazione o uso dei contenuti, tipiche di una gestione imprenditoriale, e non può accedere all'esenzione. Solo il primo può accedere all'esonero di responsabilità previsto dall'art. 16, che cessa tuttavia di operare nel momento in cui l'hosting provider, pur passivo, venga a conoscenza dell'illiceità del contenuto e ometta di agire tempestivamente per la sua rimozione. Il giudice del merito è chiamato ad accertare, caso per caso, la natura del provider e l'effettiva conoscenza dell'illiceità, nonché la tempistica della rimozione. In particolare: la conoscenza effettiva può derivare da qualsiasi mezzo; non è necessaria una diffida formale, bastano elementi sufficienti a renderla manifesta; se l'illiceità non è evidente, l'obbligo massimo è quello di inviare un notice alle autorità, ai sensi dell'art. 17 D.lgs. 70/2003; resta a carico del titolare del diritto leso l'onere di allegare e provare la conoscenza, la manifesta illiceità e l'inerzia del prestatore nell'agire, fatto salvo il diritto del provider di dimostrare eventuali impedimenti oggettivi all'azione. Un passaggio centrale del provvedimento in esame è rappresentato dalla valorizzazione del concetto di conoscenza effettiva dell'illiceità del contenuto. Secondo la Corte, tale conoscenza non deve necessariamente derivare da una comunicazione proveniente da autorità pubbliche, potendo essere acquisita anche attraverso altri canali, purché idonei a rendere palese la natura diffamatoria o illecita dell'informazione ospitata. Si amplia, così, l'ambito dell'obbligo di controllo successivo da parte del provider, a condizione che il contenuto illecito risulti manifestamente tale (prima facie), senza che sia necessario un apprezzamento tecnico-giuridico particolarmente complesso. Una volta acquisita la consapevolezza dell'illiceità, il prestatore è gravato da un obbligo di comportamento diligente, concretamente identificabile nella rimozione tempestiva del contenuto incriminato. La violazione di tale obbligo determina il venir meno dell'esonero di responsabilità, rendendo il provider civilmente responsabile dei danni causati dal mantenimento del contenuto illecito. Resta ferma la necessità, per l'attore, di allegare e dimostrare: la manifesta illiceità del contenuto, l'effettiva conoscenza da parte del provider e l'omessa rimozione in tempi congrui. Pertanto, le precisazioni degli Ermellini, nella decisione in commento, hanno rilevanti conseguenze operative per gestori di blog, forum e simili: in particolare la responsabilità dell'hosting passivo non è più limitata alla sola attesa di richieste formali da autorità; è sufficiente una segnalazione credibile o una “comunicazione” per attivare l'obbligo di rimozione; l'indizio di condivisione consapevole dell'illecito – attraverso l'inerzia – rende il prestatore civilmente responsabile, anche se solo per omissione. Osservazioni La pronuncia della Corte di Cassazione si colloca in un contesto giurisprudenziale in evoluzione, che tende a responsabilizzare maggiormente gli operatori della rete, senza compromettere la libertà di espressione. La distinzione tra hosting provider attivo e passivo, già affermata dalla giurisprudenza, viene qui ulteriormente precisata, con l'indicazione che l'attività di moderazione, se dimostrata, può comportare l'assunzione di responsabilità per i contenuti pubblicati. Tuttavia, la Corte ribadisce che tale attività deve essere provata dal danneggiato, evitando di gravare il provider di un onere probatorio eccessivo. Particolarmente significativa è la valorizzazione della segnalazione privata come fonte di conoscenza dell'illiceità. La Corte supera l'interpretazione formalistica che subordinava l'obbligo di rimozione alla comunicazione delle autorità, affermando un principio di responsabilità fondato sulla diligenza professionale e sulla consapevolezza effettiva. Questo orientamento rafforza la tutela della reputazione e dei diritti della personalità, offrendo ai soggetti lesi uno strumento efficace per ottenere la rimozione dei contenuti offensivi. La decisione ha importanti implicazioni pratiche: i gestori di blog e piattaforme online devono predisporre meccanismi di gestione delle segnalazioni e attivarsi tempestivamente in caso di contenuti manifestamente illeciti. Non è più sufficiente adottare un atteggiamento passivo: la responsabilità può sorgere anche in assenza di un provvedimento giudiziario, se vi è conoscenza effettiva dell'illecito. Per i soggetti lesi, invece, la pronuncia offre una maggiore tutela, riconoscendo valore giuridico alle segnalazioni private e ampliando le possibilità di azione risarcitoria. In conclusione, l'ordinanza n. 17360/2025 rappresenta un passo significativo verso una responsabilizzazione equilibrata degli operatori della rete. Essa non impone un controllo preventivo generalizzato, ma afferma con chiarezza che, una volta acquisita la conoscenza dell'illiceità, il provider ha il dovere di intervenire. Si tratta di un principio che tutela la dignità delle persone e promuove un uso responsabile degli strumenti digitali, in linea con i valori costituzionali e con gli orientamenti europei in materia di diritti fondamentali e società dell'informazione. |