Codice di Procedura Civile art. 131 - Forma dei provvedimenti in generale.

Mauro Di Marzio

Forma dei provvedimenti in generale.

[I]. La legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto.

[II]. In mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo [121, 156].

[III]. Dei provvedimenti collegiali è compilato sommario processo verbale, il quale deve contenere la menzione della unanimità della decisione o del dissenso, succintamente motivato, che qualcuno dei componenti del collegio, da indicarsi nominativamente, abbia eventualmente espresso su ciascuna delle questioni decise. Il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti del collegio stesso, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell'ufficio 1.

 

[1] Comma inserito dall'art. 16 l. 13 aprile 1988, n. 117. La Corte cost., con sentenza 18 gennaio 1989, n. 18 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del medesimo art. 16 della legge n. 117 del 1988 nella parte in cui dispone che «è compilato sommario processo verbale» anziché «può, se uno dei componenti dell'organo collegiale lo richieda, essere compilato sommario processo verbale».

Inquadramento

La disposizione in commento elenca al comma 1 le tre forme tipiche dei provvedimenti del giudice: sentenza, ordinanza e decreto, stabilendo che la legge prescrive i casi in cui occorre adottare l'uno o l'altro, rispettivamente disciplinati dagli artt. 132 e 133 (sentenza), 134 (ordinanza), 135 (decreto). In proposito va anzitutto rammentato che la previsione dell'art. 111, comma 6, Cost., secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati opera inderogabilmente soltanto per i provvedimenti decisori.

Il comma 2 si riferisce al caso in cui la legge non specifichi quale dei tre provvedimenti tipici debba essere adottato, consentendo in tale ipotesi l'impiego di qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo.

Secondo l'opinione prevalente, tale previsione sta a significare che il giudice può adottare la forma più idonea tra quelle tipiche previste dal comma precedente (Andrioli, 1979, 479). Secondo altri la previsione consentirebbe l'adozione di provvedimenti atipici (Cormio, in Comm. Allorio, 1973, 1391).

Fondamentale rilievo riveste, nella materia, la distinzione tra l'uno e l'altro provvedimento, attese le conseguenze che la qualificazione formale di esso comporta sul piano dei rimedi applicabili contro il medesimo. In proposito, la giurisprudenza accoglie (in particolare in tema di ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.) una nozione di sentenza in senso sostanziale, ossia quale provvedimento, idoneo ad incidere sul diritto in contesa, con i caratteri della decisorietà e definitività (si rinvia in proposito sub art. 360).

Tale affermazione è espressione del principio, altrettanto fermo, secondo cui, al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre fare applicazione del principio (ribadito dalla S.C. in un'amplissima pluralità di fattispecie) di prevalenza della sostanza sulla forma, rivolgendo cioè l'indagine non già al nomen iuris attribuito dal giudice al provvedimento ma alla sostanza di esso. Per stabilire se un provvedimento costituisca sentenza o ordinanza endoprocessuale, è necessario cioè avere riguardo non alla sua forma esteriore o all'intestazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicché hanno natura di sentenze - soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato - i provvedimenti che, ai sensi dell'art. 279, contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio (Cass. n. 3945/2018). Nella stessa prospettiva, la S.C. si è pronunciata dinanzi ad un provvedimento qualificato come ordinanza resa ai sensi dell'art. 348-bis, con il quale il giudice d'appello, pur riconoscendo l'erroneità della sentenza di grado, che aveva rigettato la domanda attrice, era pervenuto alla medesima decisione di rigetto sull'assunto che essa fosse manifestamente infondata per altri motivi (Cass. n. 13023/2015). Il medesimo principio trova applicazione quando la forma adottata dal giudice diverge rispetto a quella prescritta dalla legge: ciò che rileva, anche in tal caso, è il contenuto del provvedimento. Così, ad esempio, il provvedimento che il giudice aveva denominato sentenza non definitiva è stato qualificato come ordinanza, sul rilievo che detto provvedimento non aveva deciso alcuna delle questioni sottoposte al suo esame (Cass. n. 709/2004). All'inverso è stato qualificato come sentenza il provvedimento denominato ordinanza con cui il giudice aveva tuttavia definitivamente statuito sulla propria giurisdizione (Cass. n. 10946/2004).

Si è detto che il provvedimento che abbia natura di sentenza e sia impropriamente denominato «ordinanza» è affetto da errore materiale, ma non è nullo quale sentenza, attesi i principi di prevalenza della sostanza sulla forma e tassatività delle nullità (Cass. n. 14222/2016).

Si tenga tuttavia presente, per i fini dell'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale, che deve essere compiuta in base al principio dell'apparenza, vale a dire con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione effettuata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall'esattezza di essa, nonché da quella operata dalla parte, potendo, in ogni caso, il giudice ad quem esercitare il potere di qualificazione, che non sia stato esercitato dal giudice a quo, non solo ai fini del merito, ma anche dell'ammissibilità stessa dell'impugnazione (Cass. n. 3338/2012; Cass. n. 26919/2009).

Il comma 3 della disposizione in commento è stato aggiunto dall'art. 16 l. n. 117/1988 concernente la responsabilità civile dei magistrati, norma dichiarata incostituzionale nella parte in cui prevedeva che il verbale dovesse essere obbligatoriamente redatto in tutti i casi, e non solo in presenza di un'istanza da parte di uno dei componenti del collegio, dissenziente rispetto alla maggioranza.

Bibliografia

Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979; D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, Torino, 1957; Evangelista, Motivazione della sentenza civile, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 154; Fazzalari, Sentenza civile, in Enc. dir., Xli, Milano, 1989; Lancellotti, Ordinanza, in Nss. D.I., XII, Torino, 1965; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1984; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013; Taruffo, La fisionomia della sentenza in Italia, in Materiali per un corso di analisi della giurisprudenza, a cura di Bessone e Guastini, Padova, 1994.

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