Codice di Procedura Civile art. 307 - Estinzione del processo per inattività delle parti 1 .

Rosaria Giordano

Estinzione del processo per inattività delle parti 1.

[I]. Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti siasi costituita entro il termine stabilito dall'articolo 166, ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinata la cancellazione della causa dal ruolo [38 2, 171 1, 181 1, 270 2, 309], il processo, salvo il disposto dell'articolo 181 e dell'articolo 290, deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio [153] di tre mesi, che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell'articolo 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue [125 att.] 2.

[II]. Il processo, una volta riassunto a norma del precedente comma, si estingue se nessuna delle parti siasi costituita, ovvero se nei casi previsti dalla legge il giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo.

[III]. Oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue altresì qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione [291 3], o di proseguire [297 1, 302], riassumere [34, 35, 36, 38 2, 39 2, 40 1, 50 1, 54 4, 303, 353 2, 354 3, 355, 392, 427 1, 428 2, 443 3; 125-bis, 129-bis 2, 133-bis 2 att.] o integrare [102 2] il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio [153] stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo [152 1]. Quando la legge autorizza il giudice a fissare il termine, questo non può essere inferiore ad un mese né superiore a tre 3.

[IV]. L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio  4.

 

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 31 l. 14 luglio 1950, n. 581.

[2] Comma così modificato dall'art. 46, comma 15, lett. a), della l. 18 giugno 2009, n. 69 che ha soppresso le parole: "del secondo comma" e ha sostituito le parole: "un anno" con le parole: "tre mesi".

[3] Comma così modificato dall'art. 46, comma 15, lett. b), della l. 18 giugno 2009, n. 69(legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, che ha sostituito la parola: "sei" con la parola: "tre".

[4] Comma così sostituito dall'art. 46, comma 15, lett. c), della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. Il testo precedente recitava: «L'estinzione opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa. Essa è dichiarata con ordinanza del giudice istruttore, ovvero con sentenza del collegio, se dinanzi a questo venga eccepita».

Inquadramento

Funzione dell'estinzione per inattività delle parti è quella di accelerare il corso del processo e di garantirne un ritmo minimo imponendo alle parti il compimento di determinati atti entro ben precisi termini, pena il venir meno del processo (Saletti, 1988, 2).

Nell'ipotesi di inattività processuale c.d. semplice, a fronte della condotta di inerzia processuale il giudizio non si estingue ma entra soltanto in uno stato di quiescenza, per un periodo di tre mesi, decorso il quale, ove non venga riassunto, lo stesso sarà dichiarata estinto.

Il comma 2 della stessa previsione normativa in commento disciplina, inoltre, una serie di altre fattispecie processuali nelle quali c.d. di inattività qualificata poiché al mancato esercizio di un determinato atto di impulso processuale segue immediatamente l'estinzione del processo.

Con la riforma del 2009, l'estinzione per inattività delle parti è stata nuovamente configurata quale fatto e non fattispecie (Vaccarella, 245), in quanto opera di diritto, senza necessità di un'eccezione di parte.

Profili generali

La disposizione in commento disciplina l'estinzione del processo per inattività delle parti distinguendo, come non ha mancato di evidenziare la dottrina più autorevole, le fattispecie di inattività c.d. semplice da quelle di inattività qualificata (Luiso II, 2013).

Funzione dell'estinzione per inattività delle parti viene individuata nell'esigenza di accelerare il corso del processo e di garantirne un ritmo minimo imponendo alle parti il compimento di determinati atti entro ben precisi termini, pena il venir meno del processo (Saletti, 1988, 2).

Più in particolare, infatti, a fronte del verificarsi delle prime ipotesi di inerzia processuale il giudizio non si estingue ma entra soltanto in uno stato di quiescenza, essendo la causa cancellata dal ruolo, stato di quiescenza all'esito del quale, trascorso un periodo oggi rideterminato dal legislatore in tre mesi, in luogo del periodo di un anno previsto per le controversie incardinate prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della l. n. 69/2009, ove la causa non venga riassunta, la stessa sarà dichiarata estinta.

Il comma 2 della stessa previsione normativa in commento disciplina, inoltre, una serie di altre fattispecie processuali nelle quali c.d. di inattività qualificata poiché al mancato esercizio di un determinato atto di impulso processuale segue immediatamente l'estinzione del processo. L'esempio paradigmatico è costituito dall'ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte pretermesso emanato dal Giudice istruttore ai sensi dell'art. 102 ove la parte tenuta ad integrare il contraddittorio, infatti, non vi provveda nel termine indicato, il giudizio dovrà essere immediatamente estinto.

Inattività processuale c.d. semplice

Le ipotesi di inattività processuale c.d. semplice sono regolate dal comma 1 della norma in esame.

La prima fattispecie individuata è quella della mancata tempestiva costituzione in giudizio delle parti in causa, ipotesi nella quale ai sensi dell'art. 171, infatti, la causa stessa, non iscritta a ruolo, entra in uno stato di quiescenza e sarà destinata ad estinguersi nel caso di omessa tempestiva riassunzione (Calvosa, 980).

La Corte di Cassazione ha tuttavia precisato, a riguardo, che le disposizioni degli art. 171 e 307, commi 1 e 2, sulla cancellazione della causa dal ruolo per la mancata costituzione delle parti, non si applicano se le parti, costituendosi tardivamente, dimostrino la comune volontà di dare impulso al processo, regolarizzando in tal modo la costituzione del rapporto processuale (Cass. n. 3626/2014).

La S.C. ha chiarito, poi, che l'ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo, pronunciata ai sensi dell'art. 181, comma 1, dal giudice monocratico di primo grado, per la mancata comparizione di entrambe le parti alla prima udienza, produce, "ex lege", l'estinzione del giudizio anche nel caso in cui l'estinzione non sia stata formalmente dichiarata e, conseguentemente, la relativa ordinanza - che ha carattere decisorio, e, quindi, natura sostanziale di sentenza - deve ritenersi appellabile. (Cass. n. 21856/2018).

Inoltre, la causa può essere cancellata dal ruolo ove intervenga accordo ex art. 38, comma 2, tra le parti sull'incompetenza per territorio (derogabile) del Giudice inizialmente adito. Se il termine di tre mesi per la riassunzione del procedimento dinanzi al giudice territorialmente competente, ex art. 38, ha natura perentoria, sicché la riassunzione del procedimento oltre il termine suddetto impone una declaratoria di estinzione del processo ai sensi dell'art. 307, la Corte di Cassazione ha precisato che avvenuta la translatio iudicii davanti al giudice competente con comparsa in riassunzione notificata nel termine perentorio assegnato dal giudice dichiaratosi incompetente, la mancata iscrizione della causa a ruolo non determina l'estinzione del processo a norma del comma 3 dell'art. 307, posto che il processo, venendosi a trovare in una situazione di quiescenza ai sensi dei commi 1 e 2 dell'articolo citato, può essere riassunto davanti al giudice dichiarato competente, già adito con la precedente tempestiva riassunzione” (Cass. n. 1950/2016; Cass. n. 21681/2009).

E' stato poi chiarito che in caso di querela di falso proposta innanzi alla corte di appello, qualora il giudice sospenda il processo assegnando alle parti un termine per riassumere la causa innanzi al giudice di primo grado, senza però individuare quale sia quello territorialmente competente, la tempestiva riassunzione del giudizio innanzi a tribunale successivamente ritenuto territorialmente incompetente, o che abbia declinato la propria competenza per territorio su concorde eccezione delle parti, è idonea a scongiurare l'estinzione del giudizio, assumendo rilievo solo che il ricorrente si sia attivato, entro il termine perentorio fissatogli ex art. 355 c.p.c., per svolgere l'attività necessaria all'introduzione dell'autonomo giudizio di falso (Cass. n. 18892/2015).

Entro il termine normativamente previsto l'atto di riassunzione deve essere notificato, per i processi che secondo la regola si introducono mediante notifica dell'atto di citazione, alle parti costituite presso il procuratore, nonché personalmente alla parte rimasta contumace; diversamente nei riti c.d. da ricorso, il rispetto del termine per la riassunzione della causa cancellata dal ruolo dovrà essere valutato avendo riguardo al momento del deposito dell'atto in cancelleria.

La S.C. ha da ultimo evidenziato che l'ordinanza di estinzione del processo per mancata riassunzione nei termini di legge dopo la sospensione, è nulla se pronunciata fuori udienza e senza sentire ambo le parti (cfr. Cass. VI, n. 39170/2021, la quale ha peraltro precisato che tuttavia tale nullità se reiterata in appello, non impone la regressione della causa al primo giudice quando al Corte d'Appello ritenga comunque corretta nel merito la decisione sull'estinzione).

Inattività processuale c.d. qualificata

Andando adesso a considerare le fattispecie di inattività c.d. qualificata, il comma 3 della norma prevede che il processo si estingue immediatamente qualora alle parti cui spetti di rinnovare la citazione o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio indicato dal giudice.

Le ipotesi più ricorrenti sono la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario pretermessoex art. 102 (v. Cass. n. 7460/2015) e l'omessa rinnovazione della notifica disposta ai sensi dell'art. 291.

Senonché occorre considerare che poiché oggi, dopo la riforma c.d. Cartabia, nel rito ordinario di cognizione sia l’ordine di integrazione del contraddittorio che quello di rinnovo della notifica possono essere resi dal giudice “solitariamente” nel decreto di fissazione dell’udienza, Cort. Cost. n. 96 del 2024 ha reso un’interpretazione adeguatrice dell’art. 171-bis c.p.c. rispetto all’art. 24 Cost., chiarendo che se la parte cui era stato impartito l’ordine chiede al giudice di fissare un’udienza ad hoc perché non ne condivide i presupposti e il giudice non fissa la predetta udienza, la parte che non si conformi all’ordine, almeno sino a quando esso sia eventualmente confermato nel contraddittorio all’udienza di cui all’art. 183, non incorre in alcuna conseguenza processuale (e, dunque, non subisce il provvedimento di estinzione del giudizio) se a quell’ordine non ottempera.

Inoltre, la nullità dell'ordine di rinnovare la notificazione valida dell'atto introduttivo del processo di cognizione si trasmette al provvedimento mediante il quale viene sanzionata la mancata ottemperanza all'ordine medesimo, provvedimento che, pertanto, può essere impugnato per tale ragione dalla parte onerata (Cass. n. 16145/2001).

Analogamente, è consolidato l'orientamento per il quale l'estinzione del processo, per mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio stabilito dal giudice a norma dell'art. 102, comma 2, postula la legittimità del relativo ordine, e, pertanto, va esclusa, ove quest'ultimo venga revocato nel prosieguo del giudizio per difetto dei suoi presupposti (Cass. n. 1739/2013).

Inoltre, nel caso in cui, nel termine perentorio all'uopo assegnato, nessuna delle parti abbia dato corso all'ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., l'estinzione del processo, in mancanza di tempestiva eccezione di parte, non può essere dichiarata dal giudice qualora il contraddittorio sia stato successivamente integrato nei confronti dei litisconsorti necessari (Cass. n. 28043/2023).

La mancata riassunzione, nel termine perentorio di sei mesi (rideterminato in sei mesi dalla l. n. 69/2009), del processo dichiarato interrotto (o sospeso) ne determina l'estinzione ai sensi degli artt. 305 (297) e 307, comma 3 c.p.c. (Cass. n. 11173/2016).

Rilevabilità d'ufficio dell'avvenuta estinzione

La l. n. 69/2009 ha modificato il comma 4 della disposizione in esame, eliminando il pregresso riferimento alla necessità esigenza di un'eccezione di parte ai fini della produzione dell'effetto estintivo: nell'attuale formulazione, pertanto, la norma si limita a stabilire che l'estinzione opera di diritto, i.e. produce i propri effetti appena si verificano i fatti, indicati dai precedenti commi dello stesso art. 307, produttivi della stessa.

Prima di tale novellazione normativa, invece, il quarto comma dell'art. 307 prevedeva che l'estinzione operava di diritto ma doveva essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa: la portata di tale, contraddittoria previsione normativa era stata tradizionalmente oggetto di un vivace dibattito in giurisprudenza come in dottrina, stante la stridente contraddizione tra l'operatività di diritto dell'estinzione e la necessità di un'eccezione di parte ai fini della produzione dei relativi effetti.

La riforma del comma 4 della disposizione in esame, realizzata dalla l. n. 69/2009, in vigore dalla successiva data del 4 luglio 2009, costituisce, in realtà, una sorta di ritorno al passato, ossia all'originaria previsione del codice di procedura civile prima della c.d. controriforma del 1950: ne deriva che, nell'assetto attuale, l'estinzione del processo per inattività delle parti viene ad essere disciplinata nuovamente quale mero fatto e non quale fattispecie (Vaccarella, 245), talché, ai fini del perfezionamento della stessa, è sufficiente il verificarsi dell'evento estintivo, e non è più necessaria, come invece riteneva la giurisprudenza prevalente nella vigenza del pregresso disposto dell'art. 307, l'eccezione della parte interessata né, riteniamo, una formale declaratoria di estinzione da parte del giudice del processo nel quale si è verificato l'evento estintivo.

Non appaiono secondarie le conseguenze determinate a livello pratico dall'innovazione normativa in esame.

In primo luogo il giudice potrà sempre, nel corso del processo, dichiarare l'avvenuta estinzione dello stesso in presenza dei presupposti di cui all'art. 307, senza che sia a tal fine necessaria alcuna eccezione di parte (v., nella prassi applicativa recente, Trib. Lodi I, 4 marzo 2016).

La circostanza che l'estinzione possa essere rilevata d'ufficio dal giudice anche in assenza di un'eccezione della parte interessata avrà inoltre un significativo impatto nella prassi, tutte le volte che, ai fini della produzione di un determinato effetto processuale, assuma rilevanza l'avvenuta estinzione del giudizio. A riguardo un primo, importante esempio, può essere tratto dalla materia della tutela cautelare. Infatti i provvedimenti cautelari conservativi sono ancora assoggettati al regime della c.d. strumentalità anche strutturale, implicante cioè significativi raccordi procedimentali tra giudizio cautelare e giudizio di merito, che nell'assetto originario del procedimento cautelare uniforme aveva portata generale per tutti i provvedimenti cautelari. Ciò comporta che, da un lato, qualora gli stessi siano stati pronunciati ante causam, la loro perdurante efficacia sia subordinata alla proposizione del giudizio di merito entro un determinato termine e, da un altro, anche qualora tale giudizio venga proposto, la misura cautelare diventa inefficace se il processo si estingue prima di una pronuncia sul merito della pretesa. Invero l'avvenuta estinzione del processo costituisce una questione pregiudiziale ai fini della decisione del giudice adito ex art. 669-novies c.p.c. con ricorso volto alla declaratoria di inefficacia della misura cautelare. La valenza della riforma in esame in parte qua appare quindi evidente: il giudice adito ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c. potrà dichiarare l'inefficacia del provvedimento cautelare anche in mancanza di una formale pronuncia di estinzione del giudizio di merito instaurato a seguito dell'emanazione ante causam della misura, una volta rilevata autonomamente, ed a prescindere dalla tempestiva proposizione dell'eccezione di estinzione nel corso del procedimento di merito, la causa di estinzione (così già Trib. Palermo ord. 15 giugno 2005, in Corr. mer., 2005, n. 12, con nota di Giordano).

Più in generale, la riforma consente di ritenere senz'altro possibile al giudice di un processo diverso rispetto a quello in cui si è verificato il fatto estintivo di tenerne conto incidentalmente ai fini della propria decisione.

Secondo quest’impostazione, nella giurisprudenza di legittimità, si è evidenziato che nell'ipotesi di estinzione di un processo per non essere stato riassunto dalle parti, pur non formalmente dichiarata, qualora sia riproposta la medesima domanda in un secondo giudizio ed il convenuto eccepisca la prescrizione del diritto, ne discende l'implicita proposizione della richiesta di accertamento incidentale dell'estinzione del processo, senza che sia necessaria - in mancanza di apposita previsione normativa - la specifica formulazione dell'eccezione di estinzione (Cass., n. 21201/2017).

Casistica

In tema di procedimento di equa riparazione per durata irragionevole del processo, in caso di opposizione al decreto di rigetto ex art. 5-ter, l. n. 89 del 2001, il termine concesso all'opponente per notificare il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza non è perentorio, di talché, in caso di omessa o inesistente notifica, può concedersi un nuovo termine che, diversamente dal primo, ha natura perentoria e la cui violazione determina l'estinzione del processo ex art. 307, comma 3 (Cass. II, n. 15763/2023).

Bibliografia

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