Codice di Procedura Civile art. 360 bis - Inammissibilità del ricorso (1)Inammissibilità del ricorso (1) [I]. Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo. (1) Articolo inserito dall'art. 47, comma 1, lett. a), della l. 18 giugno 2009, n. 69. Ai sensi dell'articolo 58, comma 5, della medesima legge, le disposizioni si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge. InquadramentoLa norma, applicabile ai provvedimenti impugnabili depositati dopo il 4 luglio 2009, ha inteso rappresentare un “filtro” ai ricorsi per cassazione sostitutivo dell'art. 366-bis sul quesito di diritto, contestualmente soppresso. Essa è stata così formulata, dopo il primitivo disegno legislativo calibrato sulla opposta declaratoria di ammissibilità del ricorso, criticato per un possibile contrasto con l'art. 111 Cost. Sebbene parli di ricorso inammissibile, la norma è stata peraltro interpretata come fonte di manifesta infondatezza (Cass. S.U. , n. 19051/2010; si vedano, peraltro, le tempestive e profetiche osservazioni critiche di Terrusi, 403 e di Carratta, 886; in senso favorevole alla pronuncia, Luiso, 2010, 1131; anche nel senso favorevole alla qualificazione come manifesta infondatezza, Scarselli, 2009, 310), in base alla considerazione che, come per la seconda, anche per la prima ipotesi la Corte si asterrà dal pronunciare in virtù di un giudizio di manifesta infondatezza delle argomentazioni del ricorrente, ossia dei motivi e, di conseguenza, del ricorso, atteso che, nel lessico giuridico, l'inammissibilità non riguarda aspetti attinenti al fondamento dell'argomentazione; a ciò, le S.U. affiancano l'argomento teleologico, intendendo scongiurare il rischio, cui aveva dato luogo il sistema del quesito, di convogliare risorse della Corte su aspetti attinenti il filtro nel giudizio davanti a sé, invece che sulla propria giurisprudenza. In senso critico, peraltro, da essa si discostano quelle decisioni, che parlavano di inammissibilità (Cass. n. 17141/2016; Cass. n. 14288/2016; Cass. n. 23586/2015), mentre altre restano conformi alle Sezioni unite del 2010 (Cass. n. 5442/2016). Per un'ipotesi in cui il legislatore ha parimenti sancito l'inammissibilità in presenza di un giudizio di infondatezza, cfr. l'art. 140-bis, comma 6, d.lgs. n. 206/2005 (articolo abrogato dall'art. 5 l. n. 31/2019, a decorrere dal 19 aprile 2020, v. artt. 840-bis ss). Per la distinzione classica, v. invece artt. 283, 367, 431; art. 18 d.lgs. n. 104/2010; art. 149 d.lgs. n. 196/2003, abrogato dall’art. 27, comma 1, lett. c), n. 1), del d.lgs. n. 101/2018. V. anche Reg. (UE) 27 aprile 2016 n. 679; art. 5-quater l. n. 89/2001; e, per la distinzione tra domanda “manifestamente infondata” o “irricevibile”, gli artt. 4 Reg. (CE) 861/2007, 9 Reg. (CE) 1896/2006 (ma qui, vedile poi accomunate nel rigetto all'art. 11). Va evidenziato come la questione sia stata ancora rimessa alle Sezioni Unite, chiamate a riesaminare il punto se davvero il ricorso per cassazione immotivatamente contrario alla giurisprudenza di legittimità, a norma dell'art. 360-bis, n. 1, debba essere rigettato per manifesta infondatezza, o non piuttosto dichiarato inammissibile (Cass. n. 15513/2016 e Cass. n. 20466/2016): ed, infine, il supremo consesso ha stabilito, rimeditando il proprio precedente orientamento, che, in presenza della situazione ipotizzata dall'art. 360-bis, n. 1, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile e non rigettato per manifesta infondatezza (Cass. S.U., n. 7155/2017). Si noti che le ragioni d'inammissibilità, contemplate dalla norma, possono investire anche soltanto singoli motivi di ricorso e non debbono perciò necessariamente comportare l'inammissibilità del ricorso nel suo insieme, ove questo consti di più motivi (Cass. S.U., n. 7155/2017). In tal modo, le Sezioni Unite hanno riconosciuto l'esistenza di una forma di inammissibilità di carattere “meritale” (o “sostanziale”), che dipende dalla manifesta infondatezza del ricorso e di cui la situazione prevista dall'art. 360-bis, n. 1, c.p.c. è una particolare figura, la quale si aggiunge alla tradizionale forma di inammissibilità di carattere processuale, dipendente cioè dalle forme con le quali è posta in essere l'attività processuale della parte. La Corte diviene così ricognitrice di statuizioni parametro, ossia dotate di stabilità acquisita e di resistenza ad ogni mutamento (Macioce, 385). Conformità agli orientamenti della Suprema CorteLa prima fattispecie, prevista all'art. 360-bis, n.1, riguarda la conformità del provvedimento impugnato ai precedenti della Corte di cassazione, in tal caso esonerata dal dovere di tornare a dare spiegazione della sua giurisprudenza, di cui viene riconosciuto il valore di delineare il sistema delle norme (diritto vivente). La pronuncia di inammissibilità richiede, accanto all'esistenza del precedente, un ulteriore presupposto, ovvero che i motivi di ricorso non offrano argomenti né per mutare, né (ciò è meno intuitivo) per confermare il precedente: non devono, anzitutto, essere presenti seri spunti per un revirement, avendo il legislatore voluto consentire l'evoluzione del cd. diritto vivente, ove il mutato contesto sociale abbia condotto alla maturazione di un differente approdo ermeneutico; ma neppure devono essere offerti autonomi e nuovi spunti (forse, sarebbe meglio parlare di occasione) a conferma del precedente non sviluppati in precedenza, perché in tal caso il legislatore ha ritenuto parimenti opportuna la pronuncia della Cassazione. Si noti che elementi idonei a rimeditare il precedente orientamento, rendendo così ammissibile il ricorso, possono essere offerti anche dal controricorrente (v. Cass. S.U., n. 10027/2012). In dottrina, in tal senso Rordorf, 140; contra, Ricci, 2013, 214. Si parla di ammissibilità c.d. nonostante: oggettiva labilità del parametro, per contrasti o nebulosità delle decisioni anteatte (Macioce, 386). Il ricorrente ha l'onere di offrire ragioni per mutare l'orientamento della Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 8923/2011), non essendo sufficiente la mera dichiarazione di dissentire dai precedenti e, dunque, dovendo egli individuare le decisioni e gli argomenti sui quali l'orientamento contestato si fonda, e poi confutarli, perché, quando si vuol criticare un postulato, è indispensabile considerare gli argomenti su cui si basa (Cass. n. 3142/2011, in Riv. dir. proc., 2012, 490, con nota di Ferraris; la sentenza è ripresa da Cass. S.U., n. 5941/2012). In sostanza, i requisiti di contenuto-forma del ricorso sono: l'individuazione della ragione di diritto seguita dal giudice di merito; l'orientamento della giurisprudenza della Corte; la relazione di conformità o difformità tra la prima ed il secondo; nel primo caso, gli argomenti per provocare un diverso orientamento. La norma si applica quando esista anche un solo precedente munito di persuasività essendosi ritenuto che, purché detto precedente sia univoco, chiaro e condivisibile, esso può integrare l'orientamento della giurisprudenza della suprema corte di cui alla norma, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione che non ne contenga valida critica (Cass. n. 4366/2018) ed anche quando il caso concreto non sia stato ancora affrontato in Cassazione e tuttavia, si presti palesemente ad essere facilmente ricondotto a casi consimili su cui esista un precedente (Cass. n. 7450/2013). V. pure, al riguardo, nel commento sub art. 375. Peraltro, è stato affermato, in funzione limitativa del requisito posto per il ricorso dalla norma in esame, che l'onere di individuare decisioni ed argomenti sui quali l'orientamento contestato si fonda, senza limitarsi a dichiarare la propria posizione di contrasto con la giurisprudenza di legittimità, sussiste solo nell'ipotesi di esistenza di un orientamento di legittimità consolidato nella materia oggetto di controversia, contrario alla tesi di parte ricorrente (Cass. n. 19190/2017). Il giudizio di conformità ai precedenti va svolto alla stregua dello stato della giurisprudenza della corte al momento della decisione sul ricorso, e non al momento della decisione di merito o a quello in cui il ricorso è proposto (Cass. S.U., n. 19051/2010; nonché Cass. S.U., n. 7155/2017). In definitiva, presupposti della inammissibilità del motivo, per la presenza di un orientamento di legittimità seguito dal giudice del merito, sono: 1) l'esistenza di una giurisprudenza della Corte, che – secondo le "Linee guida per il funzionamento della sesta sezione civile", diffuse con circolare del Primo Presidente del 22 aprile 2016 – è configurabile in presenza di una decisione delle Sezioni Unite, di un orientamento consolidato delle Sezioni semplici, di più pronunce convergenti delle Sezioni semplici, o anche di una sola sentenza, se convincente, di una Sezione semplice; 2) la persistenza dell'orientamento seguito dal giudice di merito sino al momento della decisione del ricorso per cassazione. In assenza di una di tali condizioni, la valutazione ex art. 360-bis non può essere compiuta ed il ricorso, anche se privo di un esame esaustivo dei precedenti di legittimità, va esaminato nel merito (cfr. Cass. S.U., n. 7155/2017). Si noti che il problema del possibile mutamento della giurisprudenza della S.C. nell'arco temporale che va dal momento della proposizione del ricorso a quello della sua decisione e, quindi, della eventualità che il ricorso, pur essendo manifestamente infondato (sulla base della giurisprudenza allora vigente) nel momento fu proposto, risulti, poi, fondato (alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale) nel momento in cui venga deciso, è stato risolto dalle citate Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 7155/2017) , laddove esse, costruendo l'inammissibilità di cui alla norma in commento come una forma di inammissibilità meritale (derivante da un particolare caso di manifesta infondatezza del ricorso), hanno affermato la necessità che la manifesta infondatezza del ricorso rispetto alla giurisprudenza della Corte sia valutata con riferimento al momento della decisione, non a quello della proposizione del ricorso; cosicché «possono darsi casi di ammissibilità sopravvenuta, dei quali la Corte dovrà evidentemente tener conto nella sua decisione». Si noti ancora come, invece, il mutamento di giurisprudenza resti irrilevante nel giudizio di rinvio, retto da regole sue proprie (v. sub artt. 383, 384, 393). La dottrina, dopo molte perplessità sulla formulazione della norma, reputa che il legislatore abbia voluto che il ricorso, ove riguardi questione già risolta in modo conforme, sia anche utile per l'evoluzione della giurisprudenza, in senso correttivo o confermativo: il ricorrente deve insomma offrire un quid novum (Ricci, 212; Poli, 369). Certamente non è richiesto che l'orientamento della Corte sia stato espresso in un formale principio di diritto ex art. 363 o 384 (Ricci, 216; contra, ma infondatamente, Silvestri, 1033), potendo derivare da qualsiasi pronunzia significativa. E basta anche un solo precedente persuasivo ad integrare la conformità (Macioce, 386). Rispetto dei princìpi del giusto processoLa fattispecie del n. 2 riguarda i casi in cui il ricorso deduca in modo manifestamente infondato vizi di violazione delle regole del giusto processo. Non si tratta di un nuovo motivo di ricorso accanto a quelli previsti dall'art. 360, in quanto il legislatore ha unicamente segnato le condizioni per la sua rilevanza mediante l'introduzione di uno specifico strumento con funzione di “filtro” (Cass. n. 18551/2012). Il riferimento è all'art. 111, comma 2, Cost., onde si tratta dei princìpi di terzietà ed imparzialità, difesa, contraddittorio e motivazione (Rordorf, 2010, 143). La categoria è ampliata però da chi vi riconduce la violazione degli art. 99, 112, 115, 116 o il rispetto del giudicato o della legittimazione processuale (Ricci, 2013, 224 ss.), sempre che abbia cagionato un pregiudizio alla parte, ed insomma del cd. ordine pubblico processuale, trovi esso fondamento nella costituzione o nella legge ordinaria. Si tratta quindi di censure già riconducibili sovente all'art. 360, comma 1, nn. 3, 4, 5, sebbene esse, ove inquadrabili anche nella norma in commento, non potranno essere mai ritenute manifestamente infondate (Ricci, 2013, 229). Tecnica di formulazione del motivoLa S.C. (con l'ordinanza Cass. n. 5001/2018, che puntualizza decisioni anteriori, e poi ripresa, fra le altre, da Cass. n. 429/2019; Cass. n. 33586/2018) ha provveduto anche a chiarire come la qualificazione – da parte di Cass. S.U., n. 7155/2017 – dell'inammissibilità di cui alla norma in commento come di carattere “meritale” o “sostanziale” lasci, in ogni caso, permanere l'ordinaria inammissibilità di carattere “processuale”, per difetto di specificità del motivo, ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. Infatti, la condizione di ammissibilità del ricorso ex art. 360-bis c.p.c. esige che siano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l'orientamento contestato si fonda, principio attinente alla tecnica di formulazione del motivo. La menzionata decisione (Cass. n. 5001/2018), recependo e precisando orientamenti pregressi, si è, dunque, fatta carico di chiarire come si atteggi il generale onere di specificità del motivo, ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 4, in rapporto a quanto preteso dall'art. 360-bis. Attenendo la materia alla sanzione di inammissibilità più generale, prevista dall'art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. con riguardo a tutti i motivi di censura in diritto, di natura sostanziale o processuale, si rimanda al commento a tale norma per altri approfondimenti. Definizione cameraleAlla definizione del ricorso provvede di regola la c.d. sezione filtro, cui è demandato il vaglio di ammissibilità dei ricorsi: v. sub art. 375. La norma si applica anche al regolamento di competenza (Cass. n. 13202/2011; Cass. n. 3142/2011), ma non al regolamento preventivo di giurisdizione, avente la mera funzione di provocare una decisione che accerti a quale giudice essa appartenga (Cass. S.U., n. 3886/2019). BibliografiaAa.Vv., I processi civili in cassazione, a cura di Didone e De Santis, Milano, 2018; Amoroso G., Il giudizio civile di cassazione, Milano, 2012; Amoroso G., La Corte di cassazione ed il precedente, in Aa.Vv., La Cassazione civile. 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