Codice di Procedura Civile art. 395 - Casi di revocazione 1 .

Mauro Di Marzio

Casi di revocazione 1.

[I]. Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione [391-bis, 391-ter, 403 1, 827; 2652 n. 9, 2690 n. 6 c.c.]:

1) se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra [88 1, 656];

2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza [391-ter, 656];

3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario [391-ter];

4) se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare [323, 324, 391-bis];

5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione [324; 656; 2909 c.c.];

6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice [55 n. 1], accertato con sentenza passata in giudicato [391-ter, 656].

 

[1]  La Corte cost., con sentenza 30 gennaio 1986, n. 17, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella prima parte e nel n. 4, con nella parte in cui non prevede la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione rese su ricorsi basati sull'art. 360 n. 4 c.p.c. ed affette dall'errore di cui all'art. 395 n. 4 c.p.c. Successivamente la Corte cost., con sentenza 20 dicembre 1989, n. 558, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della prima parte e del n. 4 nella parte in cui non prevedono la revocazione per errore di fatto avverso i provvedimenti di convalida di sfratto e licenza per finita locazione e di convalida di sfratto per morosità emessi in assenza o per mancata opposizione dell'intimato. Ancora, la Corte cost., con sentenza 31 gennaio 1991, n. 36, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del n. 4 dell'articolo nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze della Corte di cassazione per errore di fatto nella lettura degli atti interni al suo stesso giudizio. Infine, la Corte cost., con sentenza 20 febbraio 1995, n. 51, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della prima parte e del n. 1 nella parte in cui non prevede la revocazione avverso i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità che siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 89 depositata il 5 maggio 2021, ha dichiarato "non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 395, numero 4), del codice di procedura civile e 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Cosenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe." affermando che "la norma espressa dalle disposizioni denunciate deve essere interpretata in modo costituzionalmente adeguato e coerente agli evocati parametri costituzionali, nel senso, appunto, che la revocazione per errore di fatto può essere esperita contro ogni atto giurisdizionale riconducibile nel paradigma del provvedimento decisorio innanzi delineato".

Inquadramento

La disposizione in commento apre il Capo IV del Titolo III del secondo libro del codice di rito, Capo dedicato all'impugnazione per revocazione, impugnazione che concorre a seconda dei casi con l'appello o il ricorso per cassazione (Mandrioli, 549), a critica vincolata (ossia utilizzabile solo per i motivi tassativamente indicati dalla legge: Liebman, 369; Picardi, 2013, 429) ed articolata in duplice fase rescindente e rescissoria: l'una volta alla verifica della sussistenza del vizio denunciato, l'altra alla pronuncia di una nuova decisione in sostituzione di quella revocata.

In generale, il carattere di impugnazione eccezionale della revocazione, per i soli motivi tassativamente indicati nell'art. 395, comporta l'inammissibilità di ogni censura non compresa in detta tassativa elencazione ed esclude di conseguenza anche la deduzione di vizi e di nullità afferenti alle pregresse fasi processuali che restano deducibili con le ordinarie impugnazioni, se e nei modi in cui possano essere ancora proposte (Cass. S.U., n. 16402/2007).

La revocazione può essere ordinaria (nn. 4 e 5) o straordinaria (nn. 1, 2, 3 e 6): nel primo caso l'impugnazione è rivolta contro una sentenza non ancora passata in giudicato, nell'altro contro una sentenza già passata in giudicato (Picardi, 2013, 429).

L'impugnazione in questione, tenuto conto della norma in commento e del successivo art. 396 può essere esperita di regola contro le sentenze d'appello ovvero pronunciate in un unico grado; può essere impiegata contro le sentenze di primo grado solo ove sia scaduto il termine per l'appello e si tratti di revocazione straordinaria (nn. 1, 2, 3 e 6). Perciò, la revocazione non può mai essere rivolta contro la sentenza ancora suscettibile di appello, giacché tale mezzo di impugnazione, per la sua latitudine, consente in tal caso di far valere i vizi altrimenti destinati a inalvearsi nell'impugnazione per revocazione (Cass. n. 3104/2001). Occorre poi rammentare che l'art. 391-bis (al cui commento si rinvia) ha esteso l'impugnazione per revocazione (per errore revocatorio: n. 4 dell'art. 395) anche alle sentenze pronunciate dalla Corte di cassazione. Per gli ulteriori casi di impugnazione per revocazione delle sentenze di cassazione v. sub art. 391-ter . L'impugnazione per revocazione trova inoltre applicazione, entro determinati limiti, contro l'ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione e morosità (Corte cost. n. 558/1989; Corte cost. n. 51/1995; v. sub artt. 663,668). Per la revocazione dei lodi arbitrali v. sub artt. 827,  831.

Per l'impugnazione della sentenza resa in sede di revocazione v. sub art. 403.

Ancora in generale è opportuno ricordare che, salvo che nell'ipotesi prevista dall'art. 395 n. 6 (dolo del giudice), secondo l'ordinamento processuale vigente non sussiste, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione, trattandosi di errore percettivo e non già valutativo che, come tale, ben può essere riparato anche dallo stesso giudice o collegio giudicante (Cass. n. 23498/2017).

Dolo di una delle parti in danno dell'altra

La formulazione della norma, richiedendo il dolo di una delle parti in danno dell'altra, nega rilievo al dolo processuale bilaterale (Andrioli, 1957, 623). Il dolo revocatorio ricorre in particolare quando la parte pone in essere artifici e raggiri soggettivamente indirizzati ed oggettivamente idonei a pregiudicare la difesa della controparte (Mandrioli, 555; Liebman, 371).

Anche la S.C. afferma che testo minuscolo il dolo processuale di una delle parti in danno dell'altra in tanto può costituire motivo di revocazione della sentenza, ai sensi dell'art. 395, n. 1, in quanto consista in un'attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale. Di conseguenza, non sono idonei a realizzare la fattispecie descritta la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità (Cass. n. 23866/2008; Cass. n. 4936/2010; Cass. n. 3488/2013; Cass. n. 12875/2014; Cass. n. 31211/2022).

Talora è stato ritenuto che i caratteri del dolo revocatorio possano essere avvisati anche nel mendacio o nel silenzio su fatti decisivi della causa, specie quando il comportamento processuale attuativo dell'iniziale disegno fraudolento sia tale da impedire alla controparte un'efficace attività difensiva o, comunque, da pregiudicare l'esito del procedimento (Cass. n. 12720/2002).

Prove dichiarate false

La falsità delle prove deve aver concorso alla formazione del convincimento del giudice. Occorre cioè l'esistenza di un rapporto di causalità tra la decisione impugnata per revocazione e la dedotta falsità delle prove (Cass. n. 4237/1982).

Va da sé che il motivo di revocazione in discorso non ricorre ove venga denunciata la falsità di atti che non abbiano natura istruttoria (Andrioli, 1957, 625).

Anche in giurisprudenza si è pertanto affermato che l'ipotesi di falsità delle prove configurata dall'art. 395, n. 2, non ricorre in ordine alle attività meramente processuali, anche se preordinate all'istruttoria del processo; dette attività, anche se viziate da falsità, non incidono sulla veridicità delle prove sulle quali si e giudicato e possono trovare il loro correttivo nell'ambito del processo, in cui sono state poste in essere, mediante le eccezioni di nullità ed i normali mezzi di impugnazione (Cass. n. 448/1975 concernente denuncia di falsità della sottoscrizione apposta, da parte del procuratore legale del convenuto, sulla ricevuta di ritorno relativa alla notificazione, effettuata a mezzo del servizio postale, del ricorso e del decreto del giudice delegato per l'assunzione di una prova testimoniale, poi raccolta in assenza del convenuto stesso; per l'ipotesi di falsità della relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio v. Cass. n. 1957/1983).

Vale rammentare inoltre che, ai sensi dell'art. 2738 c.c., tra le prove cui si riferisce la norma non può essere compreso il giuramento decisorio, la cui falsità consente di agire esclusivamente per il risarcimento dei danni in caso di condanna per falso giuramento ovvero a seguito di cognizione del giudice civile quando il reato è estinto.

Laddove richiede come presupposto di ammissibilità della domanda di revocazione la falsità della prova accertata in un precedente giudizio, la disposizione in esame si riferisce alla prova intesa in senso lato, come qualsiasi mezzo o strumento predisposto dalla legge perché il giudice possa, attraverso un'attività percettiva o induttiva, formarsi un convincimento circa l'esistenza o l'inesistenza dei fatti rilevanti per la decisione della causa; ne consegue che tra le prove la cui falsità è rilevante in questa sede sono da ritenersi incluse, oltre a tutte le prove tecniche (con esclusione del solo giuramento) anche la consulenza tecnica d'ufficio e la perizia svolta nel processo penale (Cass. n. 3947/2006). L'accertamento della falsità, peraltro, non è integrata da una dichiarazione in tal senso dello stesso consulente (Cass. n. 1513/1973).

Anche la dottrina ritiene che tra le prove in discorso debba ricomprendersi la consulenza tecnica (Liebman, II, 372).

Laddove discorre di prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza, ovvero che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali in precedenza la norma richiede che la falsità risulti da una sentenza penale o civile, passata in giudicato. E cioè l 'art. 395, richiedendo, quale presupposto dell'istanza di revocazione, che si sia giudicato in base a prove «dichiarate false», postula che tale accertamento sia avvenuto con sentenza passata in giudicato (in sede civile o penale) anteriormente alla proposizione di detta istanza, sicché la stessa è inammissibile ove fondata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione (Cass. n. 28653/2017). Non è idonea a giustificare la revocazione la falsità desumibile dal contenuto di una deposizione testimoniale, o dalla confessione giudiziale resa dalla parte nel corso del giudizio (Cass. n. 2896/2009; Cass. n. 7576/1994). Per l'accertamento, in sede civile, della falsità di una prova, al fine di poter proporre sulla base di esso azione di revocazione ex art. 395, n. 2, la dichiarazione giudiziale di falsità potrà ottenersi col mezzo speciale della querela di falso tutte le volte in cui l'impugnativa sarà rivolta contro un documento avente fede privilegiata, e in tutti gli altri casi mediante la proposizione di un'azione di mero accertamento, in quanto la regola secondo la quale le azioni di mero accertamento possono avere ad oggetto solo i diritti e non anche i fatti subisce eccezione nei casi espressamente previsti dalla legge, tra i quali rientra l'autonomo giudizio di falsità della prova, propedeutico alla proposizione della domanda di revocazione ai sensi della disposizione di cui si discorre (Cass. n. 3947/2006).

La previsione in commento, indicando quale presupposto dell'istanza di revocazione che si sia giudicato su prove dichiarate false, postula che tale dichiarazione sia avvenuta con sentenza passata in giudicato (in sede civile o penale) anteriormente alla proposizione dell'istanza di revocazione, con la conseguenza che è inammissibile l'istanza di revocazione basata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione. Ai fini dell'ammissibilità dell'istanza di revocazione è necessario, altresì, che il giudicato (civile o penale) sul falso si sia formato in un giudizio, al quale abbiano partecipato tutte le parti del giudizio in cui è stata emessa la sentenza assoggettata a revocazione, restando esclusa, inoltre, la possibilità che detto giudicato possa desumersi se non per via diretta e principale e quindi in via incidentale (Cass. n. 3947/2006). Ai fini della proponibilità dell'impugnazione per revocazione, inoltre, il riconoscimento della falsità della prova è solo quello proveniente dalla parte a favore della quale la prova è stata utilizzata, mentre è irrilevante l'accertamento della falsità compiuto in giudizi vertenti tra terzi (Cass. n. 156/2015).

Il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex art. 409 c.p.p., per la sua natura di atto giudiziale non definitivo, non integra accertamento della falsità di una prova che possa dare luogo al giudizio di revocazione ex art. 395, n. 2 (Cass. n. 156/2015; Cass. n. 9834/2002). Si esclude parimenti che abbia efficacia in tal senso la sentenza penale di proscioglimento istruttorio (Cass. n. 4527/1982), e la sentenza penale dibattimentale di primo grado, di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, impugnata dal p.m. (Cass. n. 12188/2002).

La falsità è rilevante ancorché riconosciuta o dichiarata prima della sentenza revocanda, ove la parte ne abbia ignorato senza sua colpa il riconoscimento o la dichiarazione (Cass. n. 14821 2005, che si sofferma sull'onere della prova che incombe sulla parte con riguardo alla mancata conoscenza anteriore).

Documenti decisivi

Nel menzionare i documenti decisivi, la norma fa riferimento ad una nozione ampia di documento, in quanto potenzialmente idoneo ad incidere sulla decisione.

La categoria di «documenti», rilevante ai sensi e per gli effetti dell'art. 395, n. 3, si identifica non con quella delle scritture private, direttamente rappresentative dei fatti dedotti in causa, bensì con quella ampia e generica elaborata in sede di teoria generale del diritto, che fa riferimento a qualsiasi oggetto idoneo e destinato a fissare in qualsiasi forma, anche non grafica, la percezione di un fatto storico al fine di rappresentarlo in avvenire, e che nel capo II del titolo II e del libro VI del codice civile, intitolato alla «prova documentale», trova compiuta regolamentazione (Cass. n. 1838/1990).

Decisivo è il documento da cui emergano fatti che, se tempestivamente offerti allo scrutinio del giudice, avrebbero probabilmente condotto ad una diversa decisione (Liebman, 372).

Anche la S.C. osserva che il requisito della decisività dei nuovi documenti rinvenuti dopo la sentenza, richiesto per l'impugnazione per revocazione a norma dell'art. 395, n. 3, implica l'idoneità di tali documenti a provocare una decisione diversa (Cass. S.U., n. 5990/1984). I documenti devono dunque concernere direttamente i fatti di causa, sicché non rilevano i documenti che si limitano ad offrire semplici indizi utilizzabili solo per una revisione del convincimento espresso dalla sentenza revocanda in esito ad un riesame complessivo del precedente quadro probatorio coordinato con il nuovo dato acquisito (Cass. n. 8202/2004). In particolare, ai fini della fattispecie revocatoria di cui all'art. 395, n. 3, il requisito della decisività del documento va escluso nel caso in cui questo non sia, per sua natura, destinato a costituire la prova di un determinato fatto, ma rappresenti soltanto un mezzo di conoscenza di un fatto decisivo, prima ignorato e del quale l'interessato poteva procurarsi aliunde la conoscenza stessa (Cass. n. 27832/2011). Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione straordinaria, ai sensi dell'art. 395, n. 3, è necessario che la parte indichi nell'atto di impugnazione sia le ragioni che hanno impedito all'istante di produrre i documenti rinvenuti in ritardo sia quelle relative alla decisività dei documenti stessi, incombendo sulla parte che si sia trovata nell'impossibilità di produrre i documenti asseritamente decisivi nel giudizio di merito, l'onere di provare che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava non è dipesa da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore (Cass. n. 22159/2014). Per giustificare cioè la revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, è necessario che la parte si sia trovata nell'impossibilità, non dovuta a sua colpa, di produrre i documenti nel giudizio di merito; incombe pertanto su chi agisce in revocazione l'onere di dimostrare che, fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza, l'ignoranza dell'esistenza dei documenti e del luogo ove essi si trovavano non sia dipesa da sua colpa, ma da fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore (Cass. n. 885/2018).

Ai fini dell'ammissibilità della revocazione, occorre che il documento decisivo preesista alla decisione impugnata, non essendo sufficiente che anteriore alla decisione sia il fatto rappresentato dal documento medesimo (Cass. n. 4610/1996). L'ipotesi di revocazione ora in esame presuppone dunque che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, atteso l'uso dell'espressione «sono stati trovati» contenuta nel n. 3) della disposizione in esame, alla quale fa riscontro il termine «recupero» adottato nei successivi artt. 396 e 398, mentre è irrilevante che il documento faccia riferimento a fatti antecedenti alla sentenza stessa e sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione; ne consegue che detta ipotesi di revocazione non può essere utilmente invocata facendo riferimento a un documento formato dopo la decisione (Cass. n. 3362/2015; Cass. n. 20587/2015). Parimenti, l'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 presuppone che un documento decisivo preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, sicché non può essere utilmente invocata facendo riferimento ad un documento che solo dopo la decisione è divenuto decisivo, quale la sentenza che, pur essendo stata emessa prima, è passata in giudicato dopo quella da revocare e che, pertanto, al momento dell'adozione di quest'ultima, era sprovvista di efficacia vincolante e rimessa al libero apprezzamento del giudice (Cass. n. 3591/2017).

L'impedimento alla produzione deve discendere da cause di forza maggiore o da fatto dell'avversario. La forza maggiore si concreta nell'ignoranza assoluta ed incolpevole del documento, requisito insussistente ove il documento, nella disponibilità della parte e da questa consegnato al difensore, non sia stato prodotto in giudizio per strategia difensiva, insuscettibile di trasformarsi in forza maggiore neppure per il decesso del difensore, avvenuto durante il termine per l'appello (Cass. n. 12000/2014). È quindi inammissibile l'impugnazione per revocazione quando la parte abbia recuperato tardivamente il documento decisivo per fatto imputabile a sua negligenza (Cass. n. 15242/2012).

Sul piano dell'onere probatorio, ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione, è necessario che la parte si sia trovata nell'impossibilità di produrre il documento asseritamente decisivo nel giudizio di merito, incombendo sulla stessa parte, in quanto attrice nel relativo giudizio, l'onere di dimostrare che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza non era dipeso da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore. Ne consegue che, nell'ipotesi di ignoranza dell'esistenza di un documento, l'onere della parte è soddisfatto dalla dimostrazione di una situazione di fatto tale da giustificarne la mancata conoscenza, mentre in quella di ignoranza soltanto del luogo di conservazione l'ammissibilità dell'impugnazione è subordinata alla prova di una diligente ricerca del documento e, nel caso di un suo pregresso possesso, dell'essersi verificato lo smarrimento per cause eccedenti la possibilità di controllo della parte (Cass. n. 735/2008).

Il termine per proporre la revocazione decorre dal momento in cui la parte a avuto conoscenza del documento, per cui anche la data in questione costituisce oggetto di uno specifico onere probatorio (Cass. n. 9369/2006; Cass. n. 11947/1999). L'impugnazione per revocazione correlata, a norma dell'art. 395, n. 3, al ritrovamento di documenti non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata, deve essere proposta a pena di inammissibilità, a norma degli artt. 325 e 326, entro trenta giorni dalla data della scoperta dei documenti medesimi e l'onere della prova dell'osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell'ammissibilità dell'impugnazione, incombe alla parte che questa abbia proposto, la quale deve indicare in citazione, a pena d'inammissibilità della revocazione, le prove di tali circostanze, nonché del giorno della scoperta o del ritrovamento del documento (Cass. n. 9652/2016).

Errore di fatto

L'errore revocatorio è un errore non di valutazione, ma di percezione: si tratta di una falsa percezione della realtà, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia condotto il giudice, per effetto di una sorta di abbaglio, ad affermare l'esistenza di un fatto decisivo invece incontestabilmente escluso dagli atti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo, che dagli stessi atti risulti al contrario positivamente accertato (Cass. n. 6669/2015; Cass. n. 321/2015; Cass. n. 17443/2008).

Il travisamento del contenuto oggettivo della prova - che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell'informazione probatoria al fatto probatorio - trova il suo istituzionale rimedio nell'impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall'art. 395, n. 4, c.p.c. (Cass. S.U., n. 5792/2024)

Occorre ancora, alla stregua del dato normativo, che il fatto oggetto dell'errore non sia stato oggetto del dibattito processuale su cui la pronuncia impugnata abbia deciso (Cass. n. 9416/1997; Cass. n. 12194/1993): il che è da intendere nel senso che il fatto (beninteso, non il fatto oggetto del contendere, ma il fatto probatorio) costituisce un punto controverso sul quale il giudice di merito pronuncia quando, e solo quando, il suo giudizio rifletta la prospettazione, in proposito, di una delle parti (Cass. S.U., n. 5792/2024). In tale prospettiva, anche allorché si assuma che un fatto probatorio quale il notorio, ritenuto dal giudice, non risponde al vero, l'inveridicità può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi (Cass. n. 4182/2024).

È così inammissibile il ricorso per cassazione con cui si denunci l'errore del giudice di merito per avere ignorato un documento acquisito agli atti del processo e menzionato dalle parti, non corrispondendo tale errore ad alcuno dei motivi di ricorso ai sensi dell'art. 360; l'errore in questione, risolvendosi in una inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento ma in contrasto con le risultanze degli atti del processo, può essere invece denunciato con il mezzo della revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4 (Cass. n. 4056/2009; Cass. n. 16659/2005; Cass. n. 20240/2015).

L'affermazione contenuta nella sentenza circa l'inesistenza, nei fascicoli processuali (d'ufficio o di parte), di documenti che, invece, risultino esservi incontestabilmente inseriti (nella specie fatture per costi ritenuti indeducibili per difetto di inerenza, non prodotti in giudizio secondo la C.T.R.), non si concreta dunque in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell'art. 395, n. 4, e non di ricorso per cassazione (Cass. n. 1562/2021). Egualmente, il ricorso per errore revocatorio di una sentenza della Corte di cassazione è inammissibile quando è diretto a censurare l'interpretazione che il provvedimento impugnato, sulla scorta di un'esatta percezione dei fatti, ha dato del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, mentre è ammissibile quando l'errore di fatto circa la non autosufficienza del ricorso emerge ictu oculi e in maniera incontrovertibile (Cass.  n. 13109/2024). 

Quanto alla decisività, nella fase rescindente del giudizio di revocazione, il giudice, verificato l'errore di fatto (sostanziale o processuale) esposto ai sensi del n. 4 dell'art. 395, deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l'affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa; ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza impugnata risulti, in tal modo, priva della sua base logico-giuridica, il giudice deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell'effettuato emendamento (Cass. n. 8051/2020).

Il configurarsi del sopravvenire della conoscenza di un fatto, quale dies a quo per l'impugnazione, mentre è caratteristico delle ipotesi della cosiddetta «revocazione straordinaria» (nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395), è invece del tutto estraneo alle ipotesi della cosiddetta «revocazione ordinaria» (nn. 4 e 5), nelle quali il dies a quo si identifica, invece, in quello della notificazione della sentenza, o, in mancanza, in quello della pubblicazione della stessa, e determina — corrispondentemente — il decorrere del termine breve, o del termine annuale per l'impugnazione (Cass. n. 5103/1997).

Le prescrizioni in tema di distanze tra costruzioni contenute negli strumenti urbanistici locali hanno valore di norme giuridiche, sicché l'erronea percezione del contenuto di documenti che le riproducono costituisce errore di diritto, inqualificabile come vizio revocatorio ex  art. 395, n. 4 (Cass. n. 17847/2016). Inoltre non è riconducibile all'ipotesi di revocazione ex art. 395, n. 3, il caso di riconoscimento, nel corso di una deposizione testimoniale resa in un successivo giudizio penale, dell'autenticità della sottoscrizione apposta sulla copia fotografica di un contratto preliminare già oggetto di disconoscimento in un giudizio civile oramai definito, giacché in simile evenienza si è in presenza non già del rinvenimento di un nuovo documento decisivo preesistente alla decisione passata in giudicato, ma della successiva acquisizione, da parte di un documento (copia fotostatica) già presente all'interno dell'incartamento processuale, di un'efficacia probatoria in precedenza esclusa, per esserne stata espressamente disconosciuta la conformità all'originale (Cass. n. 14810/2017). Gli errori di conteggio aritmetico i quali implicano travisamento dei dati e si riducono alla percezione di circostanze in modo contrario a quanto risulta dagli atti di causa non sono deducibili con il ricorso per Cassazione, essendo per gli stessi prevista l'impugnativa ai sensi dell'art. 395 n. 4, (Cass. n. 4868/2017, che ha dichiarato inammissibile il ricorso, escludendo la sussistenza di un errore di diritto nella inesatta determinazione della prevalenza del fattore lavoro sul capitale investito nell'impresa da parte del tribunale, che avrebbe poi condotto al riconoscimento del privilegio artigiano al credito insinuato al passivo fallimentare).

Contraddittorietà con un precedente giudicato

Affinché la sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente autorità di giudicato, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, restando poi la contrarietà con la sentenza avente autorità di cosa giudicata ipotizzabile solo in relazione all'oggetto degli accertamenti in essa racchiusi, e risultando l'apprezzamento del giudice della revocazione al riguardo sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 12348/2009, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la possibile esistenza di un contrasto di giudicati tra l'actio negatoria servitutis promossa in relazione ad una striscia di terreno e l'azione di accertamento della proprietà esclusiva della medesima striscia introdotta in altra sede dal convenuto nel primo giudizio; di recente Cass. n. 33733/2022). Anche di recente è stato ribadito che, in tema di revocazione, perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto (Cass. n. 27348/2017, che, sulla questione dei cd. contributi svizzeri, ha negato la ricorrenza di un contrasto di giudicati tra la sentenza emessa dalla Corte d'appello tra il ricorrente e l'INPS e la successiva sentenza della Corte EDU pronunziata fra il ricorrente e lo Stato Italiano).

La revocazione non è ammessa se vi sia stata pronuncia sull'eccezione di giudicato (Cass. n. 2131/1996).

Dolo del giudice

La revocazione richiede in tale ipotesi che il dolo sia stato accertato con sentenza passata in giudicato e che esso consista in un intento fraudolento, ovvero in una collusione che hanno falsato la corretta formazione della decisione, costituendo causa diretta e determinante del provvedimento ingiusto (Cass. n. 1409/2004, concernente revocazione di lodo arbitrale).

In virtù dei principi costituzionali del giusto processo e dell'effettività della tutela giurisdizionale, la previsione di cui all'art. 395, n. 6, deve essere interpretata nel senso di non inibire alla parte, vittima di una sentenza pronunciata da giudice corrotto, la possibilità di agire direttamente per il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., allorché ricorra una situazione di oggettiva carenza di interesse ad avvalersi dell'impugnazione straordinaria, in ragione sia dell'impossibilità di soddisfare, attraverso l'eventuale pronuncia resa all'esito della fase rescissoria della revocazione, le pretese già in precedenza azionate in giudizio, sia della sopravvenienza di un fatto — nella specie, la conclusione di un contratto di transazione, stipulato nell'ignoranza della vicenda corruttiva — che esplichi effetto preclusivo in ordine alla attitudine della sentenza, frutto di corruzione, ad assumere autorità di cosa giudicata (Cass. n. 21255/2013).

Bibliografia

Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, II, Torino, 1991.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario