Codice di Procedura Civile art. 416 - Costituzione del convenuto 1 2 3

Mauro Di Marzio

Costituzione del convenuto 123

[I]. Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima della udienza [, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito]4.

[II].La costituzione del convenuto si effettua mediante deposito [in cancelleria] di una memoria difensiva, nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande in via riconvenzionale [36] e le eccezioni processuali [37, 38, 100, 157 ss.] e di merito [35; 2946 ss. c.c.] che non siano rilevabili d'ufficio5.

[III]. Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare.

 

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1,  l. 11 agosto 1973, n. 533.

[2]  In tema di rito speciale per la controversie in materia di licenziamenti, v. art. 1 commi 47-68, in particolare il comma 53, l. 28 giugno 2012, n. 92.

[3]  La Corte cost., con sentenza 14 gennaio 1977, n. 13, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del presente articolo, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

[4] Comma così modificato dall'art. 3, comma 5, lett. c), n. 1 d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164,  che ha soppresso le parole tra parentesi quadre. Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

[5] Comma così modificato dall'art. 3, comma 5, lett. c) , n. 2 d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164,  che ha soppresso le parole tra parentesi quadre. Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Inquadramento

La norma in commento commento (alla quale il Correttivo alla c.d. Riforma Cartabia ha apportato modifiche dirette ad armonizzala con le regole del processo telematico)

detta la disciplina della costituzione del convenuto e contiene precetti di piana lettura ed altre disposizioni dal significato assai più opinabile che, nell'economia del processo, possiedono un rilievo elevatissimo.

Anzitutto l'espressione «deve costituirsi» ha piuttosto da essere interpretata come indicativa di un onere di costituzione, pena il verificarsi delle preclusioni previste dalla norma. Val quanto dire che il convenuto può ben costituirsi anche dopo lo spirare del termine di dieci giorni prima dell'udienza previsto dalla norma, ma, in tal caso, accettando il processo in statu et terminis, eccezion fatta per la proposizione delle vere difese o delle eccezioni rilevabili d'ufficio. È parimenti indubbio che il convenuto può optare per la contumacia, il che non esonera l'attore dall'onere della prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere, ai sensi della regola generale stabilita dall'art. 2697, comma 1.

Ciò detto, le questioni poste dalla norma vanno esaminate singolarmente.

Il problema della «contestazione»

Il precetto maggiormente problematico tra gli altri posti dall'art. 416, è quello che impone al convenuto, con la memoria difensiva, di prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda. Come è ovvio, invero, i fatti non contestati — o, come si usa dire nella pratica, i fatti pacifici, cui oggi si riferisce l'art. 115 — si hanno definitivamente per accertati e, dunque, non devono essere provati dall'attore. Il che trova oggi conferma nella disposizione secondo cui il giudice «deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita» (art. 115, comma 1).

I dubbi che l'art. 416 pone, fondamentalmente, sono due, strettamente collegati tra loro: a) in che cosa consista il contestare, non genericamente, i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda; b) se l'onere di contestazione, il cui esercizio mediante la memoria difensiva non è espressamente previsto a pena di decadenza, possa essere adempiuto anche successivamente.

Ebbene, in proposito, si contrappongono due orientamenti. Seguendo il primo orientamento, la non contestazione possiederebbe un connotato essenzialmente negativo e, cioè, ricorrerebbe ogniqualvolta il convenuto abbia omesso di prendere posizione su ciascuno dei fatti posti dall'attore a fondamento della domanda. Seguendo il secondo orientamento, invece, la non contestazione si caratterizzerebbe in positivo, per avere il convenuto svolto una difesa incompatibile con la negazione dei fatti allegati dall'attore, ovvero per avere espressamente contestato soltanto taluni fatti, così mostrando di voler ammettere gli altri, ovvero per averli espressamente ammessi. Analoga discordanza di opinioni si rinviene con riguardo alla questione della reversibilità della situazione di non contestazione, fermamente negata da alcuni ed ammessa da altri.

In giurisprudenza il primo orientamento è ormai nettamente prevalente. Esso è stato accolto dalle Sezioni Unite (che lo hanno poi ribadito) in sede di componimento di un contrasto concernente il rilievo della non contestazione dei conteggi a fronte della contestazione dell'an della pretesa attrice (Cass. S.U., n. 761/2002; in seguito v. Cass. n. 3727/2012; Cass. n. 25516/2010; Cass. n. 5356/2009; Cass. n. 18202/2008). Il principio di non contestazione di cui agli artt. 115 e 416, comma 2, riguarda solo i fatti cd. primari, costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato, e non si applica alle mere difese, fra le quali è da ricondurre anche l'assunto del datore di lavoro di avere stabilito una specifica turnazione fra i propri dipendenti per assecondare una loro richiesta (Cass. n. 17966/2016). L'onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l'onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all'art. 214 o di proporre - ove occorra - querela di falso, restando in ogni momento la loro significatività o valenza probatoria oggetto di discussione tra le parti e suscettibile di autonoma valutazione da parte del giudice (Cass. n. 6606/2016).

Occorre sottolineare, inoltre, che, così come il principio di non contestazione opera a carico del convenuto al fronte dell'onere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda gravante sull'attore, allo stesso modo il medesimo principio opera a carico dell'attore ogni qual volta sia ravvisabile un onere di allegazione gravante sul convenuto (Cass. n. 3245/2003).

Inoltre, l 'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, di cui agli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416, che è tipico delle vicende processuali (Cass. n. 2174/2021, che ha escluso che l'Inail avesse l'obbligo di contestare i fatti posti alla base della domanda giudiziale di indennità temporanea da infortunio sul lavoro, perché il fatto costitutivo della prestazione trae origine dal rapporto di lavoro cui l'ente è estraneo, restando irrilevante, ai fini della non contestazione, quanto dedotto dal lavoratore in sede amministrativa con la denuncia d'infortunio).

Quanto si è detto finora, beninteso, concerne — secondo l'opinione della S.C., che oggi trova conforto nella già citata riformulazione dell'art. 115 — la posizione del convenuto costituito e non quella del contumace, nei cui confronti il principio di non contestazione non opera. Tant'è che egli potrebbe contestare in appello quanto non ha inteso contestare, optando volontariamente per la contumacia, in primo grado (Cass. n. 25281/2009; Cass. n. 25281/2009).

In particolare, il convenuto ha l'onere di contestare specificamente i conteggi elaborati dall'attore, ai sensi degli artt. 167, comma 1, e 416, comma 3, occorrendo a tal fine una critica precisa, che involga puntuali circostanze di fatto - risultanti dagli atti ovvero oggetto di prova - idonee a dimostrare l'erroneità dei conteggi (Cass. n. 5949/2018, che ha confermato la sentenza di merito, reputando non specifiche le contestazioni mosse dall'opponente alla cartella esattoriale ai conteggi dell'obbligazione contributiva, depositati dall'INPS in primo grado ed all'atto della costituzione in appello).

Nei procedimenti che seguono il rito del lavoro, il principio di non contestazione, con riguardo ai conteggi elaborati dal ricorrente ai fini della quantificazione del credito oggetto della domanda, impone la distinzione tra la componente fattuale e quella normativa dei calcoli, nel senso che è irrilevante la non contestazione attinente all'interpretazione della disciplina legale o contrattuale della quantificazione, appartenendo al potere-dovere del giudice la cognizione di tale disciplina, mentre rileva quella che ha ad oggetto i fatti da accertare nel processo e non la loro qualificazione giuridica (Cass. n. 20998/2019).

Le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio

Rispetto alla questione della non contestazione, è solo apparentemente meno discussa quella concernente l'onere del convenuto di rilevare nella memoria difensiva, a pena di decadenza, ai sensi dell'art. 416, comma 2, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio.

La norma, dunque, pone la questione dell'identificazione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio e della duplice distinzione, per un verso, tra eccezioni processuali ed eccezioni di merito e, per altro verso, tra eccezioni non rilevabili d'ufficio, o eccezioni in senso stretto, ed eccezioni rilevabili d'ufficio, o eccezioni in senso lato.

Le eccezioni processuali cui la norma si riferisce sono essenzialmente quelle che impediscono di esaminare il merito della lite e danno luogo ad una decisione in rito: eccezioni attinenti, anzitutto, alla giurisdizione, alla competenza, alla legitimatio ad processum, alla procedibilità della domanda.

Quanto alla distinzione tra eccezioni processuali rilevabili o meno d'ufficio, soccorre, sovente, la stessa previsione legale. Così, ad esempio, l'art. 37 stabilisce che il difetto di giurisdizione è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo, mentre il successivo art. 38 consente il rilievo anche officioso dell'incompetenza per territorio inderogabile non oltre la prima udienza di trattazione ed ammette il rilievo dell'incompetenza per territorio semplice soltanto ad eccezione di parte da proporsi a pena di decadenza nella comparsa di risposta.

Passando alle eccezioni di merito, esse consistono nella deduzione, a fronte del fatto costitutivo posto dall'attore a fondamento della domanda, ai sensi dell'art. 2697, comma 1, di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo del diritto fatto valere. Per quest'aspetto le eccezioni si distinguono dalle mere difese, le quali non contrappongono fatto a fatto, ma si risolvono nella semplice negazione del fatto costitutivo.

Così, ad esempio, costituisce senz'altro mera difesa prospettare una diversa lettura dei fatti posti dall'attore a fondamento della domanda (p. es. Cass. n. 1330/2006, concernente materia locatizia sottoposta al rito del lavoro). In tale prospettiva, nel giudizio proposto contro l'I.N.A.I.L. per il riconoscimento delle prestazioni conseguenti ad infortunio sul lavoro, la negazione della causa o dell'occasione di lavoro da parte del convenuto senza deduzione di fatti o titoli diversi da quelli posti dall'attore a fondamento della domanda, integra una mera difesa non soggetta alle preclusioni previste dagli artt. 416 e 437, rispettivamente per il primo grado e per l'appello, e non un'eccezione in senso sostanziale idonea ad invertire l'onere della prova, gravante sull'infortunato, dei fatti costitutivi della domanda, sicché in presenza della sopraindicata negazione, che vale come non ammissione dei fatti costitutivi della domanda, permane il potere - dovere del giudice di verificare la sussistenza di questi ultimi (Cass. n. 10375/2021).

Passando all'esame della distinzione tra le eccezioni in senso proprio, come tale non rilevabile d'ufficio, e le eccezioni in senso lato, le quali possono essere avanzate in qualsiasi momento ed altresì rilevate d'ufficio dal giudice, sempre che consti il fatto su cui esse si fondano, occorre cimentarsi con la difficoltà, che non di rado si riscontra, nello stabilire se un determinato fatto spiegato a difesa abbia l'una o l'altra natura.

In taluni casi, in effetti, nessun dubbio sembra poter sorgere, come nell'ipotesi dell'eccezione (di merito) di prescrizione, alla luce del disposto dell'art. 2938 c.c. (ma la questione diviene assai meno semplice già quando si discorra degli effetti di un'eccezione di prescrizione ordinaria sull'applicabilità di una prescrizione breve e viceversa). Allo stesso modo, sono da considerare quali eccezioni (di merito) in senso stretto quelle relative alla compensazione (vera e propria, ex art. 1242, n. 1, c.c.), all'annullabilità, all'eccezione di inadempimento. Assai spesso, viceversa, le soluzioni sono ben più discutibili, come è testimoniato dal rilievo che talune fattispecie, comunemente considerate quali eccezioni in senso proprio, sono state poi riguardate, quali eccezioni in senso lato: così per l'eccezione di giudicato esterno (ormai numerose le pronunce sul punto, tra cui, v. Cass. n. 16675/2011; Cass. n. 12159/2011; Cass. n. 1883/2011), per l'eccezione di interruzione della prescrizione (Cass. n. 15661/2005; Cass. n. 2468/2006; Cass. n. 4135/2007; Cass. n. 18250/2009; Cass. n. 1583/2010), per l'eccezione di manifesta eccessività della penale (Cass. n. 18128/2005; Cass. n. 8293/2006; Cass. n. 22002/2007; Cass. n. 18195/2007).

In linea generale, sembra potersi dire che vi è una netta tendenza della giurisprudenza di legittimità ad interpretare come eccezioni in senso lato tutte quelle per le quali il legislatore non abbia espressamente previsto un potere di rilevazione esclusivamente rimesso all'iniziativa della parte interessata. Tale tendenza è ben rappresentata in un'ampia pronuncia concernente la natura dell'eccezione di aliunde perceptum (Cass. S.U. , n. 1099/1998).

In definitiva, possiamo dire che nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell'istanza di parte solo dall'esistenza di una eventuale specifica previsione normativa (così, tra le tante, in relazione alla rilevazione del giudicato esterno, v. Cass. n. 630/2004).

La chiamata in causa del terzo

L'art. 416 non contiene alcun espresso riferimento alla chiamata in causa del terzo richiesta dal convenuto, né alcuna altra norma del rito del lavoro vi si riferisce, all'infuori dell'art. 420, comma 9.

Sicché, considerando il dettato delle due disposizioni, si potrebbe essere indotti a credere che l'istanza di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo, da parte del convenuto, possa essere avanzata non soltanto nella memoria difensiva, ma anche all'udienza di discussione.

Questa soluzione, tuttavia, è esattamente esclusa dalla giurisprudenza della S.C., la quale ha affermato che nel rito del lavoro la tardività dell'istanza di chiamata in causa del terzo, non formulata nella memoria difensiva ex art. 416, ma nella prima udienza, deve essere rilevata d'ufficio, onde il giudice d'appello, al quale sia proposta dal chiamato, rimasto contumace in primo grado, la relativa eccezione di irritualità della propria chiamata, non può ritenere preclusa tale eccezione perché non sollevata dalla parte o non rilevata dal giudice nel grado precedente (Cass. n. 9800/1998). Insomma, il convenuto, nella memoria difensiva di cui all'art. 416, deve avanzare l'istanza di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo, mentre il giudice provvede all'udienza di discussione, fissandone una successiva. In tale frangente non v'è dubbio che il giudice non sia necessariamente tenuto ad autorizzare la chiamata in causa, ma debba invece valutarne l'ammissibilità (Cass. n. 6657/1999; Cass. n. 3759/1993; Cass. n. 2182/1989).

Gli adempimenti conseguenti all'autorizzazione alla chiamata in causa competono al cancelliere — del che non sembra potersi dubitare, alla luce dell'ultimo comma dell'art. 420, nonostante le difficoltà pratiche che ciò può sovente comportare —, con la conseguenza che l'inosservanza dell'art. 420, comma 9, il quale prescrive la notificazione al terzo chiamato in causa del ricorso introduttivo, della costituzione del convenuto e dell'ordine giudiziale di chiamata, non comporta alcuna nullità o decadenza, ma solo l'obbligo del giudice di fissare un nuovo termine per il compimento degli atti omessi (Cass. n. 10456/2000; Cass. n. 7338/1986). È stata talora ritenuta sufficiente la notifica al terzo dei soli verbali e causa «se ne risultino con chiarezza le pretese del chiamante verso di lui» (Cass. n. 10456/2000).

Il terzo chiamato, ex art. 420, comma 10, deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell'udienza fissata, depositando la propria memoria a norma dell'art. 416.

La simmetrica posizione in cui viene a trovarsi l'attore nei confronti del convenuto —ovvero del chiamato — fa sì che anche questi possa chiedere di chiamare un terzo in causa, qualora l'esigenza sia sorta dalle difese, alle eccezioni, dalle riconvenzionali o dalle richieste di chiamata in causa proposte dal convenuto o dal terzo chiamato (con riguardo al rito locatizio v. per tutti Trisorio Liuzzi, 126). Non sembra potersi dubitare che, in tal caso, la richiesta dell'attore debba essere avanzata alla (prima in ordine cronologico) udienza di discussione.

Mezzi di prova e documenti

Resta infine da dire che l'art. 416 stabilisce che il convenuto, con la memoria difensiva, debba indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare di documenti che deve contestualmente depositare. In proposito, occorre distinguere tra mezzi di prova costituendi (essenzialmente l'interrogatorio formale e l'assunzione di testi) e mezzi di prova precostituiti (i documenti).

Quanto ai primi, non v'è dubbio che debbano essere indicati già nella memoria difensiva del convenuto e, per quanto riguarda l'attore, nel ricorso introduttivo, sulla base della ricostruzione in termini paritari della posizione delle parti risultante anzitutto dal già citato intervento del giudice delle leggi (Corte cost. n. 13/1977).

Quanto alle prove precostituite, la S.C. ha per lungo tempo sostenuto, in assoluta prevalenza, che esse si collocassero al di fuori della sanzione di decadenza dettata dall'art. 416, interpretata come riferibile alle sole prove costituende (per le numerosissime, in tal senso, v., tra le ultime, Cass. n. 7845/2003; Cass. n. 6527/2003). Anche in questo settore, tuttavia, si è in seguito fatta sentire una pressante tendenza a privilegiare, tra diverse soluzioni possibili, quella che favorisce la decisione più sollecita della lite. La decadenza sancita dall'art. 416, comma 3 — è stato dunque affermato —si riferisce anche alla prova documentale; pertanto il convenuto costituitosi tardivamente, oltre il termine di cui all'art. 416, non ha facoltà di produrre documenti, salvo l'ipotesi di documenti formati successivamente al termine di costituzione, ovvero di provata difficoltà a procurarsi il documento, (come potrebbe essere in caso di successione nel processo ai sensi dell'art. 111), ovvero nel caso che la relativa produzione sia giustificata dallo sviluppo del giudizio (Cass. n. 16265/2003; Cass. n. 775/2003).

Nello stesso senso va l'innovativo intervento delle Sezioni Unite in tema di ammissibilità di nuove produzioni documentali in appello (Cass. S.U., n. 8202/2005).

È ormai innegabile che il più recente indirizzo si sia stabilizzato. In sintesi, il combinato disposto dell'art. 416, comma 3, e dell'art. 437, comma 2, deve essere interpretato nel senso che nel rito del lavoro, applicabile, ai sensi dell'art. 447-bis anche alla controversia locativa, l'omessa indicazione nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, ovvero nella memoria difensiva del convenuto, dei documenti, nonché il loro mancato deposito unitamente a detti atti, anche se in questi espressamente indicati, determinano la decadenza dal diritto alla produzione dei documenti stessi, con impossibilità della sua reviviscenza in un successivo grado di giudizio, evidenziandosi, però, che, in materia, deve comunque tenersi conto del potere istruttorio d'ufficio del giudice di cui all'art. 421 (e, in appello, previsto dall'art. 437, comma 2), onde la suddetta preclusione (riguardante sia le prove costituende che quelle precostituite) può essere superata solo nel caso in cui il giudice del rito del lavoro, sulla base di un potere discrezionale, non valutabile in sede di legittimità, ritenga tali mezzi di prova, non indicati dalle parti tempestivamente, comunque ammissibili perché rilevanti ed indispensabili ai fini della decisione nel giudizio di secondo grado (Cass. n. 6188/2009; Cass. n. 11607/2010).

Sui temi posti dalla norma la S.C. ha di recente ribadito che la mancanza di specifica contestazione, se riferita ai fatti principali, comporta la superfluità della relativa prova perché non controversi, mentre se è riferita ai fatti secondari consente al giudice solo di utilizzarli liberamente quali argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, sicché nel giudizio d'impugnazione il riesame dell'accertamento risultante dalla sentenza impugnata è subordinato alla proposizione di specifiche censure solo rispetto ai primi, operando in mancanza la preclusione derivante dal giudicato interno, mentre per i secondi è sufficiente, anche in assenza di contestazione, l'avvenuta impugnazione dell'accertamento riguardante i fatti costitutivi della domanda per la riapertura del relativo dibattito processuale (Cass. n. 19709/2015).

Incorre nel vizio di ultrapetizione la sentenza d'appello che dichiari la nullità per genericità del ricorso introduttivo della lite in primo grado, mai richiesta dalla parte appellata, né dedotta nel giudizio di secondo grado, atteso che l'ambito del giudizio di appello, data la sua natura di revisio prioris instantiae, è rigorosamente circoscritto alle questioni specificamente dedotte con i motivi di impugnazione, principale o incidentale, ovvero con la riproposizione delle domande o eccezioni non accolte o rimaste assorbite (Cass. n. 18542/2015).

Nel rito del lavoro, l'omessa indicazione dei documenti prodotti nell'atto di costituzione in giudizio, e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che si siano formati successivamente alla costituzione in giudizio o la loro produzione sia giustificata dall'evoluzione della vicenda processuale, sicché, il giudice ne può ammettere la produzione, ai sensi dell'art. 421 e, in appello, ai sensi dell'art. 437, secondo una valutazione discrezionale insindacabile in sede di legittimità, ove ritenga tali mezzi di prova comunque ammissibili, perché rilevanti e indispensabili ai fini del decidere (Cass. n. 4820/2015; Cass. n. 10102/2015). Al rito del lavoro, al fine di verificare il rispetto dei termini fissati con riferimento alla «udienza» dall'art. 416 per la costituzione del convenuto in primo grado e dall'art. 436 per la costituzione dell'appellato, non si deve aver riguardo all'udienza originariamente stabilita dal provvedimento del giudice, ma a quella eventualmente fissata in dipendenza del sopravvenuto rinvio d'ufficio della stessa, a modifica del precedente decreto di fissazione, ed effettivamente tenuta in sostituzione della prima (Cass. n. 8684/2015).

L'eccezione di estinzione del processo per tardiva riassunzione davanti al giudice di rinvio va proposta in sede di costituzione prima dell'udienza di discussione ex art. 416, dovendosi interpretare la locuzione «prima di ogni difesa» conformemente alla ratio di garantire il tempestivo e ordinato svolgimento del giudizio, nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost. (Cass. n. 4979/2015).

Nel rito del lavoro, spetta al lavoratore la prova del fatto costitutivo della domanda (nel caso di specie, l'inclusione nella base di calcolo del t.f.r. dell'intera retribuzione estera percepita per gli incarichi di funzionario con rappresentanza di un istituto di credito), che è assolto con l'allegazione di conteggi non specificamente contestati dal datore di lavoro, nonostante la disponibilità di documentazione relativa alla loro erogazione, in quanto inerenti al trattamento economico retributivo e non a rimborsi spese (Cass. n. 6332/2014).

Fermo restando che la contestazione deve riguardare i fatti del processo, e non la determinazione della loro dimensione giuridica, la mancata contestazione di un fatto addotto dalla controparte ne rende superflua la prova, conferendogli carattere non controverso, e ciò sia per il sistema delle preclusioni, il quale comporta per le parti l'onere di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, e sia per il principio di economia, che deve informare il processo, alla stregua dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 8213/2013).

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