Codice di Procedura Civile art. 545 - Crediti impignorabili.Crediti impignorabili. [I]. Non possono essere pignorati i crediti alimentari [433 ss. c.c.], tranne che per cause di alimenti e sempre con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto 1. [II]. Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie e funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. [III]. Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato2 . [IV]. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito 3. [V]. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette4 . [VI]. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge [1881, 1923 1 c.c.]. [VII]. Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge5. [VIII]. Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge 67. [IX]. Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L'inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio8 .
[1] Comma così sostituito dall'art. 97, comma 1, lett. a), d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. [2] Comma così sostituito dall'art. unico del d.lg.C.p.S. 10 dicembre 1947, n. 1548. Successivamente il presente comma è stato così modificato dall'art. 97, comma 1, lett. b), d.lg. n. 51, cit., con effetto, ai sensi dell'art. 247, comma 1, dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, cit., dal 2 giugno 1999. [3] Comma così sostituito dall'art. unico del d.lg.C.p.S. 10 dicembre 1947, n. 1548. [4] Comma così sostituito dall'art. unico del d.lg.C.p.S. 10 dicembre 1947, n. 1548. [5] Comma così sostituito dall'art. 21-bis d.l. 9 agosto 2022, n. 115 , conv. con modif. in l. 21 settembre 2022, n. 142. Il testo del comma, come inserito dall'art. 13, d.l. 27 giugno 2015 n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, era il seguente: « Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge». [6] Comma inserito dall'art. 13, d.l. 27 giugno 2015 n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, per l'applicazione vedi l'art. 23, comma 6, del d.l. n. 83 del 2015 medesimo. [7] V. Corte cost. 31 gennaio 2019, n. 12, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6 d.l. n. 83 del 2015 , nella parte in cui non prevede che il presente comma, introdotto dall’art. 13, comma 1 lett. l) del medesimo decreto-legge, si applichi anche alle procedure esecutive aventi ad oggetto prestazioni pensionistiche pendenti alla data di entrata in vigore di detto decreto-legge. [8] Comma inserito dall'art. 13, d.l. 27 giugno 2015 n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, per l'applicazione vedi l'art. 23, comma 6, del d.l. n. 83 del 2015 medesimo. InquadramentoLa disposizione ha ad oggetto i limiti di pignorabili di alcuni crediti.. Peculiare rilevanza assume l’impignorabilità, se non per analoghe ragioni di credito, che vanno tuttavia estese anche agli obblighi di mantenimento (Acone, 144), dei crediti alimentari e nella misura stabilita con decreto del presidente del tribunale. I trattamenti stipendiali e pensionistici sono invece di regola pignorabili entro i limiti di un quinto; tuttavia, per le pensioni dovrà essere decurtato innanzitutto il c.d. minimo vitale impignorabile (Corte cost. n. 506/2002), oggi individuato in un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. Se i crediti impignorabili divengono “risparmio” su un conto corrente perdono la loro specifica connotazione che giustifica la deroga all'art. 2740 c.c. (Cass. n. 3518/1985): nondimeno, a tutela delle esigenze di vita del debitore, ne è stata prevista l'impignorabilità assoluta entro il triplo della pensione sociale. L'inefficacia relativa del pignoramento eseguito in violazione dei limiti posti dalla norma in esame e da previsioni speciali di legge può essere dedotta in sede di opposizione all'esecuzione ed è anche rilevabile d'ufficio dal giudice (Cipriani, 379). Crediti alimentariIl comma 1 della disposizione in esame consente il pignoramento di crediti alimentari esclusivamente per le medesime ragioni di credito e nella misura determinata con decreto dal presidente del tribunale o da altro giudice delegato dallo stesso. Tuttavia il pignoramento, anche per il concorso di cause diverse (comprese quelle alimentari) non può superare la misura della metà complessiva dello stipendio o del salario (per un'applicazione, Trib. Pescara, 8 luglio 2003, PQM, 2003, II, 83; in senso difforme cfr. Trib. Palermo, 9 ottobre 2002, Giur. mer., 2003, 439). Peraltro, si ritiene che secondo tali modalità il pignoramento dei crediti alimentari sia ammissibile anche ove siano fatti valere crediti di mantenimento della prole ex art. 148 c.c. (Acone, 144). Questa tesi è stata suffragata nella giurisprudenza di legittimità, all'interno della quale si è affermato che il limite della impignorabilità della retribuzione oltre il quinto non opera con riferimento all'esecuzione promossa dal creditore per contributo al mantenimento della prole, avendo questo funzione alimentare (Cass. L, n. 15374/2007). In sede applicativa si è osservato che, in quanto normativa speciale e comunque posteriore, la legge sul divorzio prevale sia rispetto all'art. 545 sia rispetto all'art. 2 d.P.R. 180/1950, sicché le somme dovute a titolo di stipendio, salario o pensione al coniuge obbligato alla corresponsione dell'assegno divorzile in favore dell'altro coniuge o della prole, sono pignorabili anche oltre il limite del quinto e precisamente “fino alla concorrenza della metà” (art. 8, comma 7, seconda parte, l. n. 898/1970), con determinazione in concreto rimessa alla decisione del giudice dell'esecuzione in sede di assegnazione al creditore pignorante (Trib. Modena, 16 ottobre 2012). Crediti derivanti da rapporti di lavoroI crediti derivanti da rapporti di lavoro, sia in ambito privato che pubblico (a seguito dei ripetuti interventi della Corte costituzionale sul d.P.R. n. 180/1950: Cass. n. 185/2012) sono di regola pignorabili entro i limiti di un quinto e secondo quanto stabilito con decreto del presidente del tribunale per crediti alimentari (o di mantenimento), sino ad un limite massimo della metà (cfr. Cass. n. 685/2012). In una non risalente decisione, la Corte costituzionale ha ribadito che lo scopo della norma in commento è quello di contemperare la protezione del credito con l'esigenza del lavoratore di avere, attraverso una retribuzione congrua, un'esistenza libera e dignitosa: ne deriva che la facoltà di escutere il debitore non può essere sacrificata totalmente, anche se la privazione di una parte del salario è un sacrificio che può essere molto gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito (Corte cost. n. 248/2015). Anche il sequestro conservativo presso il datore di lavoro di somme di danaro relative a crediti retributivi può essere disposto in misura non superiore al quinto delle stesse, valendo in proposito i medesimi limiti posti dall'art. 545 c.p.c. all'esecuzione del pignoramento. (Cass. pen. VI, n. 16168/2011, in Riv. crit. dir. lav., 2011, n. 2, 465, con nota di Morandi). Sotto altro profilo, la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1246, comma 1 n. 3, c.c., e dell'art. 545, comma 4, c.p.c, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui non prevedono che la compensazione dei crediti retributivi del lavoratore debba avvenire nei limiti di un quinto anche nel caso in cui il credito opposto in compensazione abbia origine dal medesimo rapporto di lavoro, poiché la circostanza che il credito del datore di lavoro abbia il suo fatto costituivo in un delitto commesso dal lavoratore non è idonea a rendere in toto equiparabile il credito del datore di lavoro a quello di qualsiasi altro creditore e, quindi, a rendere privo di razionale giustificazione l'orientamento giurisprudenziale che ravvisa la specificità di quel credito nella circostanza che l'obbligazione risarcitoria dell'ex dipendente scaturisca da un comportamento che costituisce anche grave violazione dei doveri del prestatore di lavoro verso il datore (Corte cost., n. 259/2006, Riv. it. dir. lav., 2006, n. 4, 802, con nota di Agostini). Invero, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, in base al combinato disposto degli art. 1246 n. 3 c.c. e 545 n. 3 c.p.c., le somme dovute ai privati a titolo di crediti di lavoro sono pignorabili e compensabili nella limitata misura di un quinto; tale limite non opera quando i contrapposti crediti abbiano origine da un unico rapporto, sì che la valutazione delle singole pretese comporti solo un accertamento contabile di dare e avere e non una compensazione in senso tecnico. In particolare, il limite non vale quando il datore voglia compensare il credito risarcitorio per danni da prestazione lavorativa non diligente col credito retributivo vantato dal prestatore, tuttavia, essa torna ad operare, anche in caso di compensazione atecnica, qualora esista una clausola del contratto collettivo che lo preveda, salvo diversi accordi contenuti nel contratto individuale. (Cass. lav. n. 9904/2003). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che l'amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una s.p.a. sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c., sicché i compensi loro spettanti per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dall'art. 545, comma 4, c.p.c. (Cass. S.U., n. 1545/2017). Crediti pensionisticiI limiti di pignorabilità dei crediti derivanti da trattamenti pensionistici (o emolumenti previdenziali equiparati) erano stati oggetto di ampia discussione a seguito delle incertezze applicative derivate dalla pronuncia n. 506/2002 mediante la quale la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 1 e 2 comma 1 d.P.R. n. 180/1950, nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall'art. 1, anziché prevedere l'impignorabilità, con le sole eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte (Corte cost. n. 506/2002, Dir. prat. lav., 2003, 503, con nota di Sica). A seguito della pronuncia di tale sentenza, non sussisteva più l'impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici a carico dello Stato, ma anche essi sono impignorabili (con le sole eccezioni previste dalla legge sui crediti qualificati) per la sola parte delle pensioni, indennità od altri trattamenti di quiescenza necessari per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, mentre sono pignorabili nei limiti del quinto della restante parte (Cass. n. 963/2007). Nell'elaborazione successiva la giurisprudenza, non sempre con esiti consonanti, aveva cercato di precisare la portata della locuzione che impedisce il pignoramento dei trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici nella misura necessaria ad assicurare il minimo vitale, salva la pignorabilità, entro i limiti di un quinto, del residuo. Proprio la difficoltà di individuare un criterio unitario aveva indotto la S.C. ad affermare il principio per il quale, in assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la determinazione del c.d. minimo vitale, ben può il giudice dell'esecuzione, in considerazione degli elementi concreti del caso, pervenire all'individuazione dell'importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita (Cass. n. 18225/2014). La riforma di cui al d.l. n. 83/2015, conv. in l. n. 132/2015, è intervenuta sulla disposizione in esame stabilendo che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà, ferma la pignorabilità, degli importi eventualmente eccedenti tale minimo vitale, secondo il consueto limite generale di 1/5 (e fino ad 1/3, previa autorizzazione del Presidente del Tribunale, nell'ipotesi di crediti alimentari e di mantenimento). Come evidenziato nella Relazione Illustrativa, proprio per superare definitivamente l'incertezza correlata alla determinazione del minimo vitale (effettuata diversamente dai numerosi enti previdenziali e nella stessa prassi giudiziaria) e così prevenire ulteriori contenziosi rispetto a quelli già incardinati sulla questione, il d.l. n. 83/2015, conv. nella l. n. 132/2015, era intervenuto sull'art. 545 precisando che il minimum vitale assolutamente impignorabile corrisponde all'importo dell'assegno sociale, aumentato della metà. In altre e più chiare parole, in virtù di tale formulazione normativa, il trattamento pensionistico era impignorabile fino all'importo di euro 672,63 (salvi gli aggiornamenti dell'importo dell'assegno sociale negli anni successivi) restando invece pignorabile entro i limiti già precisati, di regola pari ad un quinto, per l'eventuale eccedenza. La norma in esame è stata in parte qua oggetto di un ulteriore intervento di riforma realizzato dall'art. 21-bis d.l. 9 agosto 2022, n. 115 , conv. con modif. in l. 21 settembre 2022, n. 142, che – in una prospettiva solidaristica volta a tenere in maggiore considerazione le esigenze di tutela del pensionato, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale – ha elevato l'importo del c.d. minimo vitale del trattamento pensionistico impignorabile in modo assoluto. In particolare, si tratta del doppio della pensione sociale, fermo restando che la somma minima assolutamente impignorabile – dunque, anche se superiore al doppio della pensione sociale – deve ammontare almeno a 1.000 euro mensili. Attualmente, per l'anno 2022, opererà la “clausola di salvaguardia” del tetto del minimo vitale impignorabile di 1.000 euro mensili, in quanto l'importo della pensione sociale corrisponde ad euro 468,28 euro. Solo per la parte eccedente la somma di euro 1.000 al mese ovvero del superiore importo corrispondente al doppio della pensione sociale, il trattamento pensionistico potrà essere pignorato entro i limiti di un quinto. Il Tribunale di Catania, con ordinanza in data 27 settembre 2022, ha ritenuto che i nuovi limiti di pignorabilità trovino applicazione retroattiva anche alle procedure incardinate prima dell'emanazione della norma, facendo leva sui principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 12/2019 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 23, comma 6, del d.l. n. 83 del 2015, conv., con modif., nella legge n. 132 del 2015, nella parte in cui non prevede che il nuovo regime di impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici o assistenziali - ossia per la sola eccedenza dalla parte necessaria per assicurare condizioni di vita minime al pensionato -, di cui all'ottavo comma dell'art. 545 cod. proc. civ., introdotto dall'art. 13, comma 1, lett. l ), del medesimo decreto-legge, si applichi anche alle procedure esecutive pendenti alla data della sua entrata in vigore (27 giugno 2015). Secondo il Tribunale di Catania, in vero, ricorrerebbe nella specie la stessa finalità individuata dalla Corte Costituzionale in tale pronuncia, ossia quella “sociale di derivazione costituzionale (art. 38 Cost), volendo il legislatore garantire la conservazione dei mezzi di sussistenza adeguati alle esigenze di vita del pensionato, in particolar modo nell'attuale periodo storico in cui imperversa la crisi economica”. Più di recente, sulla norma è intervenuto l'art. 21-bis del d.l. n. 115 del 2022 stabilendo che il minimo vitale assolutamente impignorabile del trattamento pensionistico è pari al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. Ciò significa che anche laddove l'importo del doppio della misura dell'assegno sociale fosse inferiore alla somma di 1.000 euro, la parte di trattamento previdenziale che beneficia del regime di assoluta impignorabilità è pari a detto importo. Solo la parte eccedente potrà essere pignorata entro i limiti di un quinto in linea generale (e sino ad un terzo, previa autorizzazione del Presidente del Tribunale, rispetto ai crediti alimentari). Limiti al pignoramento delle somme giacenti su conto corrente derivanti da stipendi e pensioniTradizionale problematica interpretativa relativa alla disposizione in esame ed alle leggi speciali che limitano in vario modo la pignorabilità dei trattamenti stipendiali e pensionistici è quella relativa alle giacenze in conto corrente, ossia se tali importi, una volta confluiti sul conto corrente del debitore, perdano la loro specifica connotazione e siano pertanto liberamente aggredibili. In assenza, sino alle novità introdotte dal d.l. n. 83/2015, conv., con modif., nella l. n. 132/2015, era prevalsa nella prassi la tesi in forza della quale le somme provenienti da trattamento stipendiale o pensionistico una volta percepite dal debitore, in quanto affluite sul conto corrente del medesimo, perdono la loro specifica connotazione, rientrando nel patrimonio dell'obbligato, liberamente aggredibile dai creditori. In sostanza, il divieto di pignorabilità della pensione o dello stipendio, secondo tale impostazione, viene meno quando, una volta corrisposta, essa si confonde col patrimonio del percettore (Cass. n. 3518/1985 e, in sede di merito, tra le altre, Trib. Bari II, n. 2496/2010; Trib. Varese, 4 maggio 2010 e Trib. Bolzano 3 febbraio 2010, entrambe in Corr. giur., 2011, 1145, con nota di Conte). Nel medesimo senso si era evidenziato, inoltre, che è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente delle intere somme percepite dal lavoratore a titolo di credito di lavoro o pensione e già confluite nella sua disponibilità, atteso che i limiti di pignorabilità previsti dall'art. 545, applicabili anche al sequestro preventivo, attengono solo ai crediti vantati nei confronti del datore di lavoro (Cass. pen. 12902/2015). Con riferimento ai trattamenti pensionistici, pur in un obiter dictum contenuto in un'ordinanza di inammissibilità della relativa questione di legittimità costituzionale, la Consulta aveva di recente evidenziato che il predetto orientamento, costituente “diritto vivente”, rendeva la tutela del fondamentale diritto del pensionato di veder garantiti i mezzi adeguati alle esigenze di vita attraverso la fruizione del vitalizio di cui è titolare appare caratterizzata quantomeno da disomogeneità e, nella specifica fattispecie di contratto di conto corrente, dall'assenza di norme idonee a garantire l'impignorabilità di quella parte della prestazione previdenziale che vale ad assicurare al pensionato i mezzi adeguati alle esigenze di vita costituzionalmente garantite (Corte cost. n. 85/2015). Sulla questione è quindi intervenuto il legislatore, prevedendo una disciplina positiva che tutela maggiormente, almeno rispetto all'esigenza di un'esistenza dignitosa, i debitori esecutati. In particolare, viene effettuata la seguente distinzione: a ) se le somme percepite a titolo di stipendio o pensione sono già confluite sul conto corrente in data anteriore al pignoramento, quest'ultimo potrà essere effettuato esclusivamente sulle giacenze del conto eccedenti l'importo di euro 1.380,84; b ) per le somme percepite e quindi accreditate sul conto del lavoratore o del pensionato successivamente al pignoramento opereranno le limitazioni previste in generale dallo stesso art. 545 e dalla legislazione speciale. Peraltro, la S.C. ha precisato che il trattamento pensionistico versato sul conto corrente e pignorato in data antecedente all'entrata in vigore del d.l. n. 83/2015 (conv., con modif., in l. n. 132/2015), di modifica dell'art. 545, è sottoposto all'ordinario regime dei beni fungibili secondo le regole del deposito irregolare, in virtù del quale le somme versate perdono la loro identità di crediti pensionistici e, pertanto, non sono sottoposte ai limiti di pignorabilità dipendenti dalle cause che diedero origine agli accrediti, con conseguente applicazione del principio generale di cui all'art. 2740 c.c. (Cass. n. 26402/2018). Rilevabilità d'ufficio dell'inefficacia del pignoramento eseguito in violazione dell'art. 545 e di altre disposizioniTra i motivi deducibili dal debitore esecutato in sede di opposizione all'esecuzione rientrano quelli afferenti l'impignorabilità dei beni e dei crediti oggetto del pignoramento (v., tra le molte, Cass. n. 11534/2014). Questione distinta è quella concernente la rilevabilità d'ufficio da parte del Giudice del vizio consistente nella violazione dei limiti di pignorabilità. Per quel che attiene ai crediti cui fa riferimento l'art. 545 sinora la posizione della giurisprudenza, anche di legittimità, aveva effettuato una distinzione. In generale, infatti, l'impignorabilità stabilita sulla scorta delle peculiari caratteristiche dei crediti considerati, si riteneva posta nell'esclusivo interesse del debitore esecutato, di talché il rilievo dell'impignorabilità era riservato unicamente all'esecutato che avrà l'onere di proporre opposizione all'esecuzione (Cass. S.U., n. 9407/1987, in Giust. civ., 1988, I, 2053, con nota di Bove). Diversamente, per i crediti di natura pensionistica, era stato affermato che poiché l'impignorabilità è posta a tutela dell'interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita ex art. 38 Cost. e tale finalità è ancora più marcata dopo l'entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, efficace dal 1 dicembre 2009, che, all'art 34, comma 3, garantisce il riconoscimento del diritto all'assistenza sociale al fine di assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, ne consegue che il pignoramento della pensione eseguito oltre i limiti consentiti è radicalmente nullo per violazione di norme imperative e la nullità è rilevabile d'ufficio senza necessità di un'eccezione o di un'opposizione da parte del debitore esecutato (Cass. n. 6548/2011). L'ultimo comma della disposizione in esame, introdotto dal d.l. n. 83/2015, incide significativamente su tale problematica dettando una regolamentazione differente sotto ogni profilo. In primo luogo, infatti, accedendo all'impostazione affermata dalla dottrina più autorevole (Cipriani, 379), senza distinzione alcuna per i crediti cui fa riferimento la norma codicistica e le speciali disposizioni di legge che disciplinano la materia, si chiarisce che l'inefficacia del pignoramento eseguito oltre ed in dispregio delle limitazioni previste da siffatte previsioni normative è anche rilevabile d'ufficio dal Giudice dell'esecuzione. Peraltro, diversamente da quanto ritenuto dalla S.C. in relazione ai trattamenti pensionistici, si chiarisce che l'inefficacia del pignoramento è parziale, ossia limitata alla quota del credito che non era pignorabile (ad esempio, quella eccedente il quinto del trattamento pensionistico già decurtato del c.d. minimo vitale). CasisticaÈ costituzionalmente illegittimo l'art. 28, comma 1, l. n. 12/1973, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare delle pensioni erogate dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte. Invero, il doveroso bilanciamento fra i due valori costituzionalmente nella specie rilevanti — da un lato, quello di assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita e, dall'altro lato, quello di non imporre ai terzi, oltre un ragionevole limite, un sacrificio dei loro crediti, negando alla intera pensione la qualità di bene sul quale possano soddisfarsi — non può rendere impignorabile anche la parte di pensione che eccede quanto necessario alle esigenze di vita del pensionato, sicché, soddisfatta integralmente l'esigenza sottesa al disposto dell'art. 38, comma 2, cost., detta parte eccedente deve ritenersi (nei limiti e secondo le regole fissati dall'art. 545) assoggettabile al regime generale della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.), senza che la circostanza che l'Ente nazionale per gli agenti e rappresentanti di commercio (Enasarco) abbia acquisito natura privatistica costituisca ragione idonea a giustificare il peculiare trattamento disposto dalla norma censurata rispetto a quanto previsto per le pensioni dei dipendenti, sia pubblici che privati, dei notai e dei giornalisti, giacché nessuna differenza sussiste tra le pensioni spettanti a ciascuna categoria di beneficiari sotto il profilo della loro assoggettabilità ad esecuzione forzata (Corte cost., n. 183/2009, in Giur. cost., 2009, n. 3, 2028, con nota di Rocchini). È costituzionalmente illegittimo l'art. 1 l. n. 1122/1955, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare della pensione erogata dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola», anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte (Corte cost. n. 256/2006, in Guida lav., 2006, n. 40, 43, con nota di Liebman - De Fazio). È costituzionalmente illegittimo l'art. 12 r.d.l. n. 1324/1923, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare della pensione erogata dalla Cassa nazionale del notariato, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte (Corte cost. n. 444/2005, in Dir. e giust., 2006, n. 3, 19, con nota di Garufi). È costituzionalmente illegittimo l'art. 128 r.d.l. n. 1827/1935 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), conv., con mod., nella l. 6 aprile 1936 n. 1155, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall'Inps, e degli art. 1 e 2, comma 1, d.P.R. n. 180/1950, nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall'art. 1, anziché prevedere l'impignorabilità, con le sole eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte (Corte cost., n. 506/2002). È costituzionalmente illegittimo l'art. 4 l. n. 424/1966, nella parte in cui prevede, per i dipendenti degli enti pubblici diversi dallo Stato, la sequestrabilità e la pignorabilità delle indennità di fine rapporto di lavoro, per crediti da danno erariale, senza osservare i limiti stabiliti dall'art. 545: il principio secondo cui la progressiva eliminazione delle differenze in materia di regime giuridico dell'indennità di fine rapporto spettante ai dipendenti del settore privato e dell'analogo emolumento erogato ai dipendenti pubblici non consente che possa esservi una disparità di trattamento fra le due categorie in tema di sequestrabilità e pignorabilità degli emolumenti, pur in presenza di un credito della p.a. per danno erariale, deve operare anche per i dipendenti di enti pubblici diversi dallo Stato, dal momento che le varie categorie di indennità di fine rapporto proprie del settore pubblico hanno un carattere unitario, in considerazione dell'analoga natura di retribuzione differita collegata ad una concorrente funzione previdenziale e della comune correlazione alle contribuzioni versate dai lavoratori e dalle rispettive pubbliche amministrazioni; non sussiste quindi alcuna ragione che possa giustificare il più gravoso regime cui sono sottoposti i dipendenti degli enti pubblici diversi dallo Stato che, diversamente dai dipendenti statali, possono veder sequestrata e pignorata l'indennità di fine rapporto senza alcun limite (Corte cost., n. 438/2005, in Giur. cost., 2005, n. 6, 4726, con nota di Fabozzi). Non sono impignorabili i fondi accantonati da un ente pubblico per il trattamento di fine rapporto dei propri dipendenti, non essendo l'indisponibilità degli stessi prevista da alcuna norma, e non potendo estendersi a essi né l'art. 545, commi 3 e 4, e il d.P.R. n. 180/1950, i quali presuppongono che il debitore escusso sia il dipendente, né l'art. 2117 c.c., il quale, nel dichiarare impignorabili i fondi speciali per l'assistenza e la previdenza, detta una norma di carattere eccezionale, come tale non suscettibile di applicazione analogica (Cass. III, n. 3964/2007). In base al principio generale della piena pignorabilità di ogni credito - desumibile dagli artt. 545 e 2740 c.c. e fatte salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge - l'assegno vitalizio mensile corrisposto al debitore, già deputato dell'Assemblea regionale siciliana, non deve ritenersi, neanche in parte, esente da pignoramento, poiché esso è sostanzialmente e giuridicamente diverso rispetto ad un trattamento previdenziale o pensionistico (Trib. Catania VI, 29 febbraio 2016). La parziale impignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, salario e altre indennità derivanti dal rapporto di lavoro o di impiego sancita dall'art. 545, essendo disposizione intesa a tutelare la fonte esclusiva di reddito del lavoratore subordinato, non è suscettibile di interpretazione analogica: deve pertanto escludersi che l'indennizzo dovuto da una società assicuratrice privata al lavoratore per infortunio sul lavoro, ancorché in virtù di una polizza stipulata dal datore di lavoro in adempimento di un obbligo contrattuale, rientri nella previsione di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 345 c.p.c., con la conseguenza che tale indennizzo non può ritenersi, neanche in parte, esente da pignoramento (Cass. la., n. 11345/1999). Poiché i crediti di lavoro non sono compensabili, per il combinato disposto degli artt. 1246 n. 3 c.c. e 545, è illegittimo il comportamento di una Banca, che, dovendo liquidare le spettanze di fine rapporto a proprio dipendente, da esse trattenga l'intero importo di finanziamento precedentemente concesso al lavoratore, versando poi il residuo sul conto corrente scoperto del lavoratore stesso, con entrambe tali operazioni compensando i propri crediti finanziari con i crediti di lavoro del dipendente (Trib. Roma, 20 luglio 1999, in Riv. it. dir. lav., 2000, II, 315, con nota di Vallauri). Nel caso in cui la Banca d'Italia, chiamata a rendere la dichiarazione di terzo quale tesoriere nell'ambito di un procedimento di espropriazione presso terzi per crediti nei confronti del Ministero dell'Interno, dichiari l'esistenza di somme soggette a vincolo di impignorabilità ex art. 27, comma 13, l. 28 dicembre 2001, n. 448 (nel testo introdotto dall'art. 3-quater d.l. 22 febbraio 2002, n. 13, conv. con modif. dalla l. 24 aprile 2002, n. 75), la rilevabilità ufficiosa di tale vincolo impone al giudice dell'esecuzione di svolgere, nell'ambito dei poteri a lui attribuiti dall'art. 484, comma 1, una sommaria attività accertativa, procedendo alla declaratoria di nullità del pignoramento e di improseguibilità del processo esecutivo ovvero, per il caso di ritenuta inoperatività del vincolo, all'assegnazione del credito, previo riscontro delle relative condizioni. In entrambi i casi, la tutela contro i provvedimenti resi dal giudice dell'esecuzione resta affidata al rimedio dell'opposizione ex art. 617, salva l'opposizione del debitore esecutato volta a far valere l'impignorabilità del credito, proposta prima del provvedimento del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 615 (Cass. n. 10243/2015). Nelle azioni esecutive in danno del Ministero della Giustizia per condanne relative alla durata irragionevole del processo, promosse anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 5-quinquies l.24 marzo 2001, n. 89, sono liberamente pignorabili, nelle forme dell'espropriazione presso terzi, le somme diverse da quelle destinate al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero (Cass. n. 6078/2015). In tema di espropriazione presso terzi, è liberamente pignorabile il credito per equa riparazione di errore giudiziario o per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p., in quanto avente natura di strumento indennitario da atto lecito, diretto a compensare, a prescindere dalla situazione patrimoniale dell'avente diritto, i pregiudizi provocati dalla privazione della libertà e non assimilabile ai sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri previsti dall'art. 545, comma 2 (Cass. n. 31041/2019). 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(dopo il d.l. 12-9-2014, n. 132), in Riv. esec. forzata 2014, n. 4, 741 ss.; Trapuzzano, L’espropriazione presso terzi: dichiarazione e mancata comparizione, in Giustiziacivile.com, 2004, n. 3; Travi, Espropriazione presso terzi, in Nss. D.I., VI, Torino 1960, 955; Vaccarella, L’espropriazione presso terzi, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992; Verde, Pignoramento in generale, Napoli, 1964; Vincre, Brevi osservazioni sulle novità introdotte dalla l. 228/2012 nell’espropriazione presso terzi: la mancata dichiarazione del terzo (art. 548 c.p.c.) e la contestazione della dichiarazione (art. 549 c.p.c.), in Riv. esec. forzata 2013, I, 53. |