Codice di Procedura Civile art. 605 - Precetto per consegna o rilascio 1 .Precetto per consegna o rilascio 1. [I]. Il precetto per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili deve contenere, oltre le indicazioni di cui all'articolo 480, anche la descrizione sommaria dei beni stessi [4742 n. 1 e 3, 2930 c.c.]. [II]. Se il titolo esecutivo [474] dispone circa il termine della consegna o del rilascio, l'intimazione va fatta con riferimento a tale termine [482]. [1] In riferimento alle misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, per la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall'art. 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, v., da ultimo, l'art. 40-quater d.l. 22 marzo 2021, n. 41, conv. con modif. in l. 21 maggio 2021, n. 69. InquadramentoL'esecuzione forzata per consegna di beni mobili e rilascio di beni immobili è una forma di esecuzione in forma specifica, nella quale l'ufficiale giudiziario si sostituisce al soggetto obbligato onde consentire all'avente diritto di ottenere tutela in sede esecutiva (Mandrioli, 1985, 617). Il titolo esecutivo per consegna o rilascio ha efficacia erga omnes, nei confronti di chiunque detenga il bene e non soltanto del soggetto obbligato secondo quanto indicato nel titolo esecutivo (Cass. II, n. 3183/2003). Nel precetto dovrà essere contenuta una descrizione sommaria del bene ed il termine dell'intimazione dovrà essere coordinato con quello, eventualmente più lungo, indicato nel titolo esecutivo, situazione ricorrente nell'ipotesi di provvedimenti di rilascio di immobili urbani (Cass. III, n. 5782/1982). Funzione e caratteristiche dell'esecuzione per consegna o rilascioFunzione dell'esecuzione per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili è la sostituzione dell'avente diritto all'obbligato nella relazione tra soggetto e cosa costituita dal possesso o dalla detenzione (Mandrioli, 1985, 617). Tale esecuzione si caratterizza per il procedimento molto semplificato che può concludersi senza l'intervento del giudice nell'ipotesi in cui non sorga alcuna difficoltà materiale nell'ambito dello stesso sino al rilascio dell'immobile oggetto della procedura e svolgersi con il solo ausilio dell'ufficiale giudiziario (Mandrioli, 1985, 617). Poiché l'esecuzione in esame è in forma specifica mediante la stessa non potrebbe essere fatto valere il diritto al pagamento dell'equivalente monetario dei beni mobili indicati nel titolo esecutivo per la consegna in caso di perdita della disponibilità degli stessi da parte del debitore, dovendo tale diritto essere fatto valere in un autonomo procedimento di cognizione che ne accerti la sussistenza e ne liquidi l'importo (Cass. n. 33723/2019). Titolo esecutivoStante la formulazione originaria dell'art. 474, in assenza di esplicite indicazioni, secondo la comune opinione l'esecuzione per rilascio poteva essere fondata esclusivamente su titoli esecutivi di carattere giudiziale. La l. n. 80/2005 ha modificato il terzo comma dell'art. 474, stabilendo che titoli esecutivi idonei per dare inizio all'esecuzione per rilascio sono quelli di cui all'art. 474, nn. 1 e 3, ossia anche gli atti pubblici e le scritture private autenticate. In realtà tale precisazione, lungi dall'eliminare le problematiche interpretative in precedenza giustificate dal silenzio del legislatore sul punto, ne aveva, secondo i primi commentatori della riforma, sollevate ulteriori e maggiori. Infatti, pur essendosi espressamente previsto che potessero costituire titoli esecutivi idonei a dare impulso all'esecuzione in forma specifica per consegna o rilascio anche gli atti ricevuti da notai o altri pubblici ufficiali autorizzati dalla legge a riceverli, era stata discutibilmente serbata la formula a mente della quale tali titoli potevano avere forza esecutiva esclusivamente nella misura in cui gli stessi contenessero l'obbligo al pagamento di una somma di denaro. Limitazione che tradizionalmente aveva indotto la dottrina ad escludere l'idoneità dei titoli esecutivi di cui all'art. 474 n. 3 a fondare l'esecuzione in forma specifica per consegna o rilascio (Mandrioli, 1985, 621; Montesano, 524). Ci si era quindi interrogati, in dottrina, su quale fosse l'interpretazione preferibile e si era ritenuto che, pena lo svilimento del riferimento esplicito alla possibilità di effettuare l'esecuzione per rilascio anche in virtù dei titoli di cui all'art. 474, comma 2, n. 3, la soluzione interpretativa appariva obbligata nei propri esiti a dir poco rivoluzionari: l'esecuzione per rilascio poteva iniziare anche in forza di titoli esecutivi stragiudiziali. Sulla descritta problematica è poi nuovamente intervenuto nei mesi successivi lo stesso legislatore il quale con la l. 28 dicembre 2005, n. 263, da un lato, ha annoverato le scritture private autenticate tra i titoli di cui al comma 2, n. 2), dell'art. 474, dall'altro, ferma la possibilità di dare inizio all'esecuzione per rilascio in forza dei titoli di cui al n. 3), i.e. gli atti ricevuti da notaio o da altri pubblici ufficiali autorizzati dalla legge a riceverli, ha espunto l'ormai inconferente limitazione secondo cui gli stessi potevano fungere da titoli esecutivi soltanto con riguardo alle obbligazioni al pagamento di somme di denaro negli stessi contenute. È quindi venuto meno ogni dubbio in ordine alla possibilità di fondare l'esecuzione per rilascio anche su atti pubblici. Peraltro, tale intervento legislativo, se ha sanato le pregresse incongruenze letterali che risultavano nel testo dell'art. 474, non ha certo risolto il maggiore problema di carattere sistematico cui ha dato luogo in materia la riforma. Infatti, come non si è mancato di sottolineare in dottrina la possibilità che anche atti stragiudiziali siano idonei a dare corso all'esecuzione per rilascio sembra contrastare con il disposto dell'art. 56 l. n. 392/1978, a sua volta novellato dall'art. 7-bis d.l. n. 240/2004, secondo cui, nell'ambito delle locazioni di immobili urbani, con il provvedimento che dispone il rilascio il giudice, previa motivazione che tenda conto anche delle condizioni del conduttore comparate a quelle del locatore, nonché delle ragioni per le quali viene disposto il rilascio stesso e, nei casi di finita locazione, del tempo trascorso dalla disdetta, fissa la data dell'esecuzione entro il termine massimo di sei mesi ovvero, in casi eccezionali, di dodici mesi dalla data del provvedimento (Cuffaro, 750-751). Consentire l'inizio dell'esecuzione per rilascio anche in forza di un atto ricevuto da un notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato potrebbe sostanzialmente porre nel nulla la suddetta disposizione che, al fine di tutelare la posizione dei conduttori particolarmente disagiati, consente al giudice che ha pronunciato il provvedimento di rilascio di differirne l'esecuzione entro un determinato periodo di tempo. Sarebbe per altri versi almeno curiosa una situazione nella quale il richiamato potere discrezionale del giudice della cognizione residuerebbe soltanto in presenza di un rilascio reso all'esito di una procedura giudiziaria e non anche quando lo stesso sia deciso convenzionalmente dalle parti. In questo caso, invero, non si potrebbe escludere che il conduttore accetti clausole gravose al fine di ottenere la disponibilità, anche se per un breve periodo di tempo, di un alloggio. Si è così sottolineato che molti proprietari preferiranno d'ora in avanti farsi carico delle più onerose spese notarili pur di poter utilizzare l'atto pubblico-contratto di locazione quale titolo per il rilascio (De Stefano 2006, 48). È stata quindi proposta, già prima dei chiarimenti apportati dalla citata l. n. 263/2005, una soluzione della questione volta a contemperare questi rilievi critici con la possibilità di attribuire comunque, posto che nelle locazioni di immobili urbani soltanto i titoli di carattere giudiziale sarebbero idonei a fondare l'esecuzione, un qualche significato al novellato art. 474, comma 3, nella parte in cui dispone che l'obbligo di rilasciare l'immobile può derivare anche da un atto pubblico. Più in particolare, si è affermato che lo stesso potrebbe fondare l'obbligo esecutivo di rilasciare un immobile in alcune situazioni diverse da quelle in cui sia in gioco l'obbligo di restituzione dell'immobile locato da parte del conduttore. L'obbligo in questione potrebbe infatti derivare da titoli differenti come, ad esempio, un contratto di compravendita nel quale non sia stata prevista una consegna contestuale o, ancora, contratti di comodato, di affitto di azienda o di appalto, quanto all'obbligo dell'appaltatore di riconsegnare il bene al committente, per i quali non trova applicazione il procedimento di cui agli artt. 657 ss. né, naturalmente, la disciplina di cui all'art. 56 l. n. 392/1978 (Cuffaro, 751). Peraltro la maggior parte della dottrina sembra invece postulare un'implicita abrogazione del citato art. 56 l. n. 392/1978 (legge c.d. equo canone), ritenendo che gli atti pubblici potrebbero generalmente fondare l'esecuzione forzata per rilascio quindi anche per far valere nei confronti del conduttore il diritto del locatore alla restituzione dell'immobile una volta scaduto il contratto di locazione o adducendo la mora nel pagamento dei canoni di locazione (cfr. De Stefano 2006, 47-48). Efficacia c.d. erga omnes Problema di generale rilevanza nell'ambito dell'esecuzione forzata per rilascio è quello che ha ad oggetto l'efficacia del titolo esecutivo anche nei confronti di soggetti terzi rispetto a quelli indicati nello stesso. La questione deve essere riguardata sotto due distinti profili. Innanzitutto si deve stabilire se nell'ipotesi in cui in sede di accesso nell'immobile oggetto del procedimento l'ufficiale giudiziario riscontri che lo stesso è occupato da un soggetto diverso da quello portato dal titolo esecutivo l'esecuzione possa proseguire ed, in secondo luogo, in caso di risposta positiva ad un tale quesito, quali siano i rimedi a disposizione del terzo. La dottrina è divisa quanto alla possibilità che il titolo esecutivo spieghi efficacia erga omnes. Infatti e alcuni Autori non esitano a riconoscere una tale valenza ai titoli esecutivi di rilascio (Mazzarella, 464; Punzi, 119 ss.), altra parte della dottrina ritiene, in base ai limiti soggettivi del giudicato ex art. 2909 c.c., che il creditore debba in ogni caso munirsi di un titolo esecutivo direttamente nei confronti del possessore o detentore dell'immobile (cfr. Denti, 151; Luiso, 1983, 103). In giurisprudenza è invece prevalente la tesi per la quale il titolo esecutivo per il rilascio contiene un ordine che spiega efficacia non soltanto nei confronti del destinatario della relativa statuizione ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene al momento dell'esecuzione forzata (Cass. II, n. 3183/2003). Anche sotto il secondo profilo non è pacifico, una volta che si ammetta che il titolo esecutivo per rilascio possa spiegare i propri effetti anche nei confronti di un soggetto diverso da quello cui è riferito l'obbligo portato dal titolo, quali sono i rimedi a disposizione del terzo. Il terzo detentore potrà proporre opposizione all'esecuzione ove assuma di detenere l'immobile in virtù di un titolo autonomo da quello posto in esecuzione e perciò non pregiudicato da tale titolo (Cass. III, n. 9964/2006). Diversamente, nell’esecuzione per consegna o rilascio, avviata in forza di sentenza resa “inter alios”, ove il terzo lamenti una lesione della sua situazione soggettiva che gli deriva non già da un errore sorto nel procedimento esecutivo, bensì direttamente dalla sentenza che ha accertato un diritto incompatibile con quello da lui vantato, egli non può proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione, ai sensi dell’art. 619 c.p.c., ma deve invece impugnare il provvedimento stesso con l’opposizione di terzo ordinaria, ai sensi dell’art. 404, comma 1, c.p.c. (Cass., n. 7041/2017). La legittimazione del terzo, detentore reale del bene, a proporre opposizione all’esecuzione, ancorché sia persona diversa da quella nominativamente indicata nel titolo esecutivo, si correla alla circostanza che la sua estraneità è soltanto formale, restando il titolo esecutivo efficace nei suoi confronti per essere lo stesso l'unico soggetto che può, con la restituzione del bene medesimo, soddisfare la pretesa esecutiva della parte istante (Cass. n. 1103/1995). E’ stato tuttavia precisato che, qualora sia stato disposto il rilascio di un immobile concesso in godimento (nella specie, in forza di contratto di comodato) e il creditore abbia iniziato la procedura esecutiva nei confronti del condannato al rilascio, ignorando l'occupazione "sine titulo" del bene da parte di un terzo, conosciuta solo nel momento dell'accesso dell'ufficiale giudiziario, ovvero se tale occupazione sia comunque sopravvenuta durante la pendenza del processo esecutivo, gli atti esecutivi già compiuti mantengono validità ed efficacia nei confronti del terzo occupante dell'immobile (Cass. n. 20053/2014). Nell'esecuzione forzata diretta è, invece, inammissibile l'opposizione di terzo all'esecuzione proposta ai sensi dell'art. 619 (Cass. III, n. 13664/2003). Minoritaria è, invece, almeno in giurisprudenza, la tesi per la quale il terzo detentore dovrebbe in ogni caso proporre opposizione di terzo ex art. 404 ovvero un' autonoma azione di accertamento del proprio diritto (Cass. II, n. 3183/2003). Quest'ultima tesi è suffragata da una autorevole dottrina, per la quale non assumendo i terzi la posizione di esecutati non potrebbero esperire le opposizioni esecutive ma soltanto proporre opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c., facendo valere un diritto di carattere prevalente (Satta III, 434). Del tutto peculiare è, invece, la posizione del subconduttore, ovvero del soggetto cui il conduttore abbia a propria volta locato l'immobile oggetto della procedura. Occorre considerare, infatti, che l'art. 1595 c.c. dispone che la sentenza di rilascio pronunciata tra il locatore ed il conduttore spiega efficacia anche nei suoi confronti, talché lo stesso ha una posizione sostanziale permanentemente dipendente da quella del conduttore (Luiso I, 60 ss.). Ciò implica che, anche ai fini dell'esecuzione per rilascio, il sub-conduttore non sia considerato un terzo, con la conseguente piena opponibilità nei suoi confronti del titolo esecutivo per il rilascio (Castoro, 681). Casistica Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno recentemente chiarito che, poiché presupposto del processo di esecuzione civile è l'esistenza di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, senza che possano venire in rilievo profili cognitori di accertamento dell'obbligazione, in punto di giurisdizione, non può individuarsi altro giudice competente sulla materia e, pertanto, l'intimato al rilascio non può eccepire, con l'opposizione al precetto, il difetto della giurisdizione ordinaria connesso alla legittimazione e affrancazione del terreno, che egli assuma gravato da usi civici (Cass. S.U., n. 65/2016). Nell’ipotesi di esecuzione forzata per rilascio in virtù di sentenza di condanna conseguente a risoluzione di un contratto di comodato, il terzo detentore dell'immobile da rilasciare - nei cui confronti il titolo può essere eseguito - è legittimato a proporre opposizione all'esecuzione, qualora sostenga di possedere il bene in forza di un titolo autonomo non pregiudicato dalla sentenza azionata. (Cass. n. 2855/2015, in una fattispecie nella quale il terzo occupante aveva spiegato opposizione, deducendo di aver acquistato la proprietà del bene per usucapione). È ammissibile l'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 615, avverso l'esecuzione iniziata in base a decreto di trasferimento immobiliare, adottato in virtù dell'art. 586 a seguito di vendita forzata, quando l'opponente, nei cui confronti sia esercitata la pretesa esecutiva e chiesto il rilascio e che non si identifichi con il soggetto che ha subito l'espropriazione, si afferma proprietario del bene immobile oggetto del suddetto decreto in base ad acquisto fattone per usucapione ed asseritamente verificatosi anteriormente all'emissione del decreto di trasferimento in danno dell'espropriato (Cass. n. 10609/2009). Il conduttore di un bene immobile, per il quale è stata avviata l'esecuzione per rilascio nei confronti del fallito in base ad un decreto di trasferimento - provvedimento non assimilabile ad una sentenza, per cui non è opponibile ai sensi dell'art. 404 - del giudice delegato per la procedura fallimentare, può opporsi ai sensi dell'art. 615, senza contestare la legittimità di tale titolo esecutivo, facendo valere il suo anteriore diritto personale di godimento, ostativo dell' esercizio dell' azione esecutiva nei suoi confronti (Cass. n. 2869/1997). I comproprietari di un bene immobile non possono utilizzare il titolo esecutivo - formato, valido ed efficace nei confronti di altro comproprietario, nella cui posizione siano succeduti (ed utile ad ottenere da quest'ultimo o dai suoi aventi causa il rilascio della quota di comproprietà di metà dell'immobile) - per ottenere in via coattiva il rilascio dell'intero immobile da parte di un terzo, occupante l'immobile in forza di titolo di godimento conferitogli da un ulteriore comproprietario (Cass. n. 5384/2013). Il locatore può chiedere la risoluzione del contratto e la condanna al rilascio del bene nei confronti del conduttore anche nel caso in cui al momento della proposizione della domanda detto bene è detenuto da un terzo, immessovi dal conduttore, perché la sentenza di condanna al rilascio ha effetto anche nei confronti del terzo, il cui titolo presuppone quello del conduttore (Cass. n. 15083/2000). Con riguardo ad esecuzione per rilascio di immobile, che sia intrapresa dal locatore nei confronti del conduttore in forza di titolo risolutivo del contratto di locazione costituito da ordinanza di convalida di sfratto, non impugnabile con il rimedio dell'opposizione di terzo ordinaria (art. 404), il terzo che è nel godimento dell'immobile, è legittimato, quale effettivo destinatario dell'azione esecutiva, a proporre opposizione all'esecuzione a norma dell'art. 615, con la quale tuttavia gli è consentito mettere in discussione il diritto del creditore di esperire tale azione in pregiudizio del suo autonomo diritto al godimento del bene, non anche contestare la legittimità di quel titolo, essendo le relative questioni riservate al giudizio inerente alla formazione dello stesso (Cass. n. 3860/1992). In tema di opposizione all'esecuzione per rilascio di un fondo rustico, promossa per accertare l'ineseguibilità del titolo per l'inesatta identificazione del bene, la deduzione, ad opera del creditore opposto, dell'avvenuta esecuzione del rilascio a seguito dell'individuazione in concreto del bene (e, dunque, dell'idoneità quale titolo esecutivo della sentenza di condanna) costituisce mera difesa, non soggetta alle preclusioni di cui all'art. 437, comma 2 (Cass. n. 12718/2014). PrecettoIl precetto, oltre alle indicazioni di cui all'art. 480, deve contenere una descrizione sommaria del bene del quale l'istante vuole ottenere la consegna o il rilascio. La S.C. ha chiarito che tale descrizione deve essere comprensiva dell'esatta indicazione dell'ubicazione del bene del quale si chiede il rilascio, per consentire di identificare, sin dal momento dell'intimazione del precetto, il forum executionis e di incardinare nel giudice di quel luogo la competenza territoriale per l'opposizione all'esecuzione, senza che trovi applicazione lo speciale criterio sussidiario del luogo di notificazione del precetto di cui all'art. 480 (Cass. III, n. 5782/1982). È stato precisato che, peraltro, è sufficiente che tale descrizione sia contenuta nel titolo esecutivo (Cass. III, n. 2579/1982). Termine dell'intimazioneIl termine per adempiere indicato nel precetto deve essere coordinato con il termine dello stesso rilascio eventualmente previsto dal titolo esecutivo in relazione ai provvedimenti di rilascio di immobili locati per uso abitativo poiché l'art. 56 l. n. 392/1978, impone al giudice della cognizione di fissare un determinato termine per il rilascio, in considerazione delle contrapposte esigenze delle parti. Qualora il precetto sia notificato in una data incompatibile con la data di rilascio indicata dal titolo esecutivo, l'esecutato potrà proporre opposizione ex art. 615 (Trisorio liuzzi, 1 ss.). Differimento della data dell'esecuzione e art. 56 legge c.d. equo canone Con riguardo agli immobili urbani locati ad uso abitativo, occorre anche richiamare quella legislazione speciale, se non emergenziale, mediante la quale, a partire dal secondo dopoguerra, si è cercato di conciliare in sede normativa lo strutturale conflitto tra l'esigenza dell'avente diritto a riottenere alla scadenza contrattuale la libera disponibilità dell'immobile locato e quella del conduttore, parimenti rilevante anche sotto il profilo costituzionale, ad avere un'abitazione. In una prima fase, che ha avuto inizio con il d.lgs.lgt. 12 ottobre 1945, n. 669, fu addirittura sospesa l'applicazione delle norme del codice di procedura civile in tema di esecuzione dei provvedimenti di rilascio nella materia delle locazioni e fu introdotto un sistema alternativo in omaggio al quale su istanza del locatore il pretore aveva il potere-dovere di determinare con decreto non impugnabile la data dell'esecuzione. Il conduttore poteva, tuttavia, chiedere, deducendo gravi motivi o circostanze sopravvenute, una proroga dello sfratto la cui data era stata individuata dal pretore (Trisorio Liuzzi, 889 ss.). Tale assetto, espressione della legislazione vincolistica, che aveva reso meramente residuale nella materia in esame le previsioni del codice di procedura civile, è stato radicalmente modificato con l'emanazione della l. 27 luglio 1978, n. 392, sull'equo canone, il cui art. 56 l. n. 392/1978, ha riattribuito al giudice della cognizione il potere di differire entro determinati termini il momento dell'esecuzione per rilascio, richiamando, quanto alle forme della stessa, gli artt. 605 ss. Anche tale sistema, peraltro, ha avuto un'applicazione pratica limitata in quanto il legislatore, sempre al fine di favorire gli inquilini in considerazione delle indubbie difficoltà incontrate dagli stessi sul mercato abitativo, è intervenuto con provvedimenti volti, talora a sospendere l'esecuzione degli sfratti, talaltra ad individuarne il momento in sede normativa (cfr. Trisorio Liuzzi, 890 ss.). Questa situazione ha indotto il legislatore ad un nuovo intervento riformatore di più ampia portata, realizzato con la l. 9 dicembre 1998, n. 431, la quale disciplina le locazioni ed il rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo. La principale disposizione di riferimento è l'art. 6 che trova applicazione, peraltro, soltanto per alcuni comuni ad elevata tensione abitativa, già individuati dalla l. 21 febbraio 1989 n. 61, e rispetto ai provvedimenti esecutivi di rilascio per finita locazione (nel senso che tale disposizione opera anche con riguardo agli alloggi di edilizia economica e popolare, v. Trib. La Spezia 28 dicembre 2000, Arch. loc., 2001, 110). In particolare, stante il comma 4 di tale previsione, il conduttore può chiedere una sola volta, con istanza al giudice competente ai sensi dell'art. 26, di fissare nuovamente la data dell'esecuzione entro un termine di sei mesi rispetto a quella già stabilita. L'istanza deve essere depositata personalmente dal debitore ed i documenti che devono essere allegati, a pena inammissibilità, ad una tale istanza sono il titolo esecutivo per il rilascio (cfr. Trib. Padova, 27 settembre 1999, Arch. loc., 1999, 270) e le attestazioni relative al reddito del conduttore e dei componenti del nucleo familiare (Trib. Udine, 17 settembre 1999, Giust. civ., 2000, I, 1843, con nota di Scalettaris). Avverso il decreto con il quale il giudice si pronuncia su di una tale richiesta è proponibile per qualsiasi motivo opposizione al tribunale in composizione collegiale che decide secondo le modalità di cui all'art. 618. In argomento v. Trib. Trieste, 19 settembre 2000, Giust. civ., 2001, I, 533, con nota di Auletta). L'art. 56 l. n. 392/1978 (legge c.d. equo canone), prevede il giudice della cognizione, nel pronunciare la condanna al rilascio può differire la data dell'esecuzione entro determinati termini, a seconda delle ragioni per le quali lo stesso viene pronunciato e delle condizioni dell'obbligato. Tale differimento della data dell'eseguibilità del provvedimento di rilascio può essere sempre domandato al giudice della cognizione che emana lo stesso, talché il differimento ex art. 6 l. n. 431/1998 è ulteriore rispetto a quello concesso dal giudice della convalida e deve essere richiesto prima della scadenza dello stesso. Nel senso che il termine iniziale del differimento previsto dall'art. 6, comma 4 l. n. 431/1998 inizia a decorrere alla scadenza di quello sancito dall'art. 56 l. n. 392/1978 si è più volte espressa la giurisprudenza in sede applicativa (cfr. Trib. Gorizia, 24 aprile 2001, Arch. loc., 2002, 328; Trib. Pisa, 15 febbraio 2001 e Trib. Cremona 20.12. 2000, entrambe ivi, 2001, 253). Sino ad un recente passato la giurisprudenza riteneva che il provvedimento di differimento, in presenza di particolari esigenze di tutela del locatario, della data dell'esecuzione emesso ex art. 56 l. n. 392/1978 avesse carattere meramente ordinatorio, con la conseguenza che sarebbe stato suscettibile in ogni momento di revoca o modifica da parte del giudice dell'esecuzione. Si riteneva infatti che in tema di rilascio di immobili il provvedimento di fissazione della data di rilascio ai sensi dell'art. 56 l. n. 392/1978 fosse privo di carattere decisorio e, conseguentemente, che la relativa omissione non fosse suscettibile di ricorso in cassazione, potendosi provvedere a riguardo in sede esecutiva (v., ex ceteris, Cass. n. 11063/2003; Cass. n. 4074/1996, Cass. n. 8687/1995; in sede di merito cfr. Trib. Padova, 2 febbraio 2004, Arch. loc., 2004, 359). Il rimedio esperibile avverso il provvedimento che dispone il differimento del rilascio non era, in un tale assetto, costituito dall'impugnazione proposta in sede cognitiva al giudice superiore, bensì dall'istanza di revoca o modifica indirizzata allo stesso giudice, non soggetta ad alcun termine di decadenza (Carrato, 115). Peraltro il richiamato art. 56 l. 27 luglio 1978, n. 392 è stato sostituito dall'art. 7- bis d.l. 13 settembre 2004, n. 240, convertito, con modificazioni, nella l. 12 novembre 2004, n. 269, è stato modificato nel senso di imporre al giudice che dispone il differimento del rilascio entro un termine massimo di sei mesi (o di dodici nei casi di estrema urgenza) di motivare adeguatamente circa la comparazione delle esigenze delle parti, i motivi del rilascio ed il tempo trascorso dalla disdetta. Il comma 3 dell'art. 56 l n. 392/1978, nella formulazione di risulta dalle ultime riforme, consente a ciascuna delle parti di contestare un tale provvedimento per qualsiasi motivo proponendo per qualsiasi motivo al tribunale in composizione collegiale l'opposizione di cui all'art. 6, comma 4, l. 9 dicembre 1998, n. 431. Ciò induce a ritenere che un tale provvedimento ha carattere senz'altro decisorio poiché, soggiacendo ad un mezzo di impugnazione tipico, non può più essere revocato e modificato in ogni tempo dal giudice dell'esecuzione (Giordano, 1250). Più in generale, il richiamo, quanto alle modalità dell'opposizione al tribunale collegiale che, come evidenziato, può essere proposta avverso i provvedimenti di differimento dell'esecuzione emanati sia ai sensi del comma 4 dell'art. 6 l. 9 dicembre 1998, n. 431, sia ex art. 56 l. n. 392/1978, all'art. 618 ha stimolato un dibattito avente ad oggetto la riconducibilità della stessa al novero dell'opposizione agli atti esecutivi: la questione non è priva di rilevanza pratica in quanto una risposta positiva al quesito ora prospettato comporterebbe, ad esempio, l'applicabilità all'opposizione in esame anche del non espressamente richiamato art. 617, secondo cui l'opposizione agli atti esecutivi va proposta nel termine di venti giorni dal compimento dell'atto esecutivo del quale si contesta la legittimità, regolarità e/o opportunità. Un primo orientamento non esita a qualificare l'opposizione proponibile ai sensi dell'art. 6, comma 4, l. n. 431/1998 al tribunale in composizione collegiale in termini di opposizione agli atti esecutivi, avendo la stessa ad oggetto un atto esecutivo (così, tra le altre, Trib. Roma, 19 aprile 2000, Arch. loc., 2000, 448; Trib. Roma, 4 gennaio 2000, Giur. rom., 2000, 325, la quale, dalla natura cognitiva dell'opposizione agli atti esecutivi, ha inferito che il relativo giudizio non è limitato alla verifica della legittimità del giudice che ha rigettato l'istanza ma si può estendere alla valutazione di fatti nuovi; Trib. Roma, 21 ottobre1999, Giust. civ., 1999, I, 3441, con nota di Izzo; Trib. Catania, 11 novembre 1999, in Arch. loc., 2000, 99, con nota di Pizzuto). Peraltro, se alcuni Autori ritengono del tutto applicabili le norme di cui all'art. 617 (Barbieri, 764), altri affermano che l'opposizione in questione costituisce un'opposizione agli atti esecutivi ma che può essere proposta anche per motivi differenti da quelli formali ex art. 617 e nonostante il decorso del termine ivi previsto (Carrato, 116). Altra tesi esclude, invece, che l'opposizione di cui al comma 5 dell'art. 6 l. 9 dicembre 1998, n. 431, costituisca un'opposizione agli atti esecutivi: trattandosi, infatti, di un'opposizione mediante la quale può farsi valere qualsiasi motivo che osta al rilascio e tesa a denunciare l'inesistenza del diritto dell'esecutante a procedere ad esecuzione forzata nel termine indicato dal provvedimento dovrebbe assimilarsi, piuttosto, ad un'opposizione all'esecuzione (Trisorio Liuzzi, 913; Giordano, 1252). Quest'ultimo orientamento è stato suffragato dalla S.C. la quale ha sancito che la speciale opposizione avverso il provvedimento di fissazione del giorno di esecuzione della condanna del conduttore al rilascio, previsto dal comma terzo dell'art. 56 l. 27 luglio 1978, n. 392 (come sostituito dall'art. 7-bis d.l. 13 settembre 2004, n. 240, convertito con modificazioni in l. 12 novembre 2004, n. 269) non è soggetta al termine di proponibilità dell'opposizione agli atti esecutivi e può essere proposta, in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, fino a quando il termine stesso non sia spirato (Cass. n. 12814/2012). Il rilascio degli immobili locati ad uso diverso da quello abitativoL'art. 34 l. 27 luglio 1978, n. 392, subordina l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili locati ad uso diverso da quello abitativo, nell'ipotesi in cui il rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all'art. 27 cessi per una causa diversa dalla risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o una delle procedure di cui al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, alla corresponsione da parte del locatore di un'indennità pari a 18 mensilità del canone corrisposto a favore del conduttore, la c.d. indennità per la perdita dell'avviamento commerciale. Pertanto, il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale sorge a condizione che il rapporto sia sciolto per volontà unilaterale del locatore e il conduttore non sia inadempiente (Cass. n. 25736/2014). Gli immobili cui si applica tale disciplina sono quelli adibiti allo svolgimento di un'attività commerciale, i.e. nell'ipotesi in cui gli immobili locati siano utilizzati in via primaria per lo svolgimento di attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (cfr. Cass. III, n. 10187/2005; l'indennità non può però essere corrisposta se l'attività si svolge illecitamente, cioè in difetto delle relative autorizzazioni: Cass. III, n. 11908/2002, Rass. loc., 2003, 89, con nota di De Tilla). E' stato chiarito che, in tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, quando il locale, strutturalmente unitario e oggetto di un rapporto unico e indistinto, sia adibito a più usi commerciali, in parte come deposito e in parte destinato al contatto diretto con il pubblico, il diritto all'indennità per la perdita di avviamento, prevista dall'art. 34 l. n. 392/1978, sorge e va commisurato all'intero canone di locazione solo se risulti prevalente l'attività di contatto diretto con il pubblico (Cass. n. 13936/2016). Ai fini del riconoscimento del diritto del conduttore all'indennità per la perdita dell' avviamento commerciale , grava sul conduttore l'onere di fornire, con qualsiasi mezzo, la prova della relativa situazione di fatto, sempre che la frequentazione del pubblico non risulti implicitamente, in virtù del notorio, dalla destinazione dell'immobile ad attività che necessariamente la implichi, mentre nessun rilievo assume, a tal fine, la clausola contrattuale con la quale il conduttore dichiari unilateralmente che l'immobile verrà utilizzato per lo svolgimento di attività che hanno contatti diretti con il pubblico di utenti e consumatori. (Cass. n. 12278/2010). Secondo la giurisprudenza, in virtù della richiamata previsione normativa, il conduttore può continuare, nell'esercizio di uno jus retentionis (cfr. Cass. III, n. 580/2001), ad occupare l'immobile fino alla corresponsione dell'indennità, anche continuando a svolgere la propria attività commerciale all'interno dello stesso. Per il periodo nel quale il conduttore occupa l'immobile dopo la scadenza del contratto di locazione, in attesa che il proprietario corrisponda allo stesso l'indennità per la perdita di avviamento, alcun risarcimento dei danni è dovuto al proprietario, dovendo il conduttore limitarsi al pagamento dei canoni (cfr., sulla scorta di Cass. S.U., n. 1177/2000, Corr. giur., 2001, 1324, con nota di Giove; Cass. III, n. 15721/2006; Cass. III, n. 4690/2003, Giur. it., 2004, 528, con nota di Petri; Cass. III, n. 3269/2003, Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 824, con nota di Redi). Una giurisprudenza meno recente riteneva, invece, che l'art. 34 l. n. 392/1978 si limitasse a subordinare l'efficacia esecutiva del provvedimento di rilascio alla corresponsione da parte del locatore dell'indennità di avviamento, rendendo comunque abusiva, e quindi foriera di un'obbligazione risarcitoria ex art. 2043 c.c., l'occupazione dell'immobile da parte del conduttore nell'attesa del pagamento di una tale indennità (cfr. Cass. III, n. 6270/1997). Pertanto, il conduttore che continui ad occupare l'immobile è comunque obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, salvo che offra al locatore, con le modalità dell'offerta reale formale ex artt. 1216, comma 2, e 1209 c.c., la riconsegna del bene condizionandola al pagamento dell'indennità di avviamento medesima, atteso il forte legame strumentale che lega le due prestazioni (Cass. n. 890/2016). Il pagamento della dovuta indennità a favore del conduttore non condiziona la pronuncia del provvedimento di rilascio dell'immobile locato ma soltanto la possibilità di dare corso all'esecuzione forzata ex artt. 605 ss. sulla scorta dello stesso (Cass. III, n. 13636/2001; Trib. Reggio Calabria 14 gennaio 2003, Giur. mer., 2004, 289, per le quali, invero, il mancato pagamento dell'indennità di avviamento non impedisce la valida formazione del titolo esecutivo per il rilascio). La corresponsione dell'indennità si atteggia, pertanto, a condizione di procedibilità dell'esecuzione per rilascio con la conseguenza che, se l'inizio dell'esecuzione prima del pagamento della stessa consente al conduttore di proporre opposizione ex art. 615, è legittima la notifica da parte del proprietario del titolo esecutivo e del precetto, in quanto si tratta di atti stragiudiziali prodromici all'inizio del processo esecutivo (Cass. III, n. 9293/1999). Nell'ipotesi in cui venga instaurato un giudizio avente ad oggetto la determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, la giurisprudenza ha chiarito, così interpretando il testo dell'ultimo comma dell'art. 34 l. n. 392/1978, che la corresponsione della somma indicata dal conduttore o offerta dal locatore ovvero risultante dalla sentenza di primo grado consente, salvo conguaglio all'esito del giudizio, di dare corso all'esecuzione per rilascio dell'immobile. Non potrà influire sul procedimento di rilascio, si è anche precisato, l'eventuale successiva estinzione del giudizio concernente la determinazione della misura dell'indennità di avviamento commerciale (Cass. III, n. 5116/2006). In altri termini, in tema di esecuzione del provvedimento, ottenuto dal locatore, di rilascio di immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione, poiché il quarto comma dell'art. 34 l. 27 luglio 1978 n. 392, è correlato ed integrativo del terzo comma del medesimo articolo, in caso di opposizione alla esecuzione per disaccordo tra le parti in ordine alla entità della indennità di avviamento commerciale dovuta al conduttore, la relativa determinazione può avvenire solo con la definizione del giudizio di merito, nel quale le parti hanno l'onere di quantificare la somma rispettivamente reclamata ed offerta, la cui corresponsione consente l'esecuzione del provvedimento di rilascio salvo conguaglio con la sentenza definitiva (Cass. n. 3267/2003). Casistica In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l'indennità prevista dall'art. 34 l. n. 392/1978 compete anche al conduttore di un immobile adibito ad usi diversi che vi svolga un'attività di vendita al minuto caratterizzata dal contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, sempre che detta attività si presenti prevalente e senza che possa rilevare l'ambito spaziale ad essa in concreto riservato, sicché detta indennità va commisurata all'intero canone corrisposto per l'immobile concesso in locazione e non già ad una parte del canone proporzionata alla sola superficie adibita all'uso commerciale predetto (Cass. n. 7173/2010). In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora il contratto abbia ad oggetto locali comunicanti ma aventi diversa destinazione commerciale (nella specie, magazzino e negozio), e il canone sia unico e indistinto, il locatore non può sottrarsi al pagamento dell'indennità di cui all'art. 34 l. 27 luglio 1978, n. 392, commisurata all'intero canone nell'assunto che solo una parte dell'immobile strutturalmente unitario - al di là delle distinte indicazioni catastali - sia destinato al contatto diretto con il pubblico, spettando la detta indennità quando l'attività che comporti il contatto diretto con il pubblico sia prevalente, e dovendosi commisurare la stessa, anche in tal caso, all'intero canone e non alla parte di esso riferibile alla sola superficie utilizzata per il contatto diretto con il pubblico (Cass. n. 3592/2010). In tema di locazione di immobili ad uso non abitativo, lo svolgimento nell'immobile locato dell'attività di vendita in favore dei c.d. fruitori professionali, cioè di altri imprenditori che acquistano il bene per destinarlo all'esercizio della propria impresa, rientra pienamente tra quelle che legittimano il conduttore a domandare, nel caso di mancato rinnovo del contratto, l'indennità per la perdita dell'avviamento di cui all'art. 34 l. 27 luglio 1978 n. 392. I fruitori professionali, infatti, rientrano nella categoria del "pubblico degli utenti e dei consumatori", di cui all'art. 35 l. n. 392/1978 cit., dalla quale, pertanto, resta esclusa soltanto l'attività di vendita in favore di soggetti (c.d. "grossisti") che a loro volta, rivendano i beni all'utilizzatore finale (Cass. n. 16627/2010). In tema di locazioni ad uso diverso da quello abitativo, la funzione dell'indennità dovuta dal locatore al conduttore per la perdita dell'avviamento commerciale è quella di riequilibrare la posizione delle parti, onde evitare che il locatore possa realizzare un arricchimento senza causa per effetto dell'incremento di valore dell'immobile dovuto all'attività del conduttore. Ne consegue che tale funzione riequilibratrice viene meno quando il rapporto di locazione cessi per effetto di un provvedimento autoritativo della P.A. che determini l'inutilizzabilità "sine die" del bene locato (nella specie, ordinanza di sgombero a causa del pericolo di crollo), con la conseguenza che, in tale ultima ipotesi, non è dovuta la suddetta indennità, a meno che il conduttore non deduca e dimostri che l'immobile, venuta meno la causa di inutilizzabilità, sia tornato ad essere suscettibile di sfruttamento commerciale (Cass. n. 22810/2009). Il diritto del conduttore all’indennità per la perdita dell'avviamento commerciale sorge per effetto ed al momento della cessazione del contratto di locazione: ne deriva che se l'immobile locato viene venduto dopo la comunicazione della disdetta da parte del locatore alienante, ma prima della prevista data di cessazione del rapporto, obbligato al pagamento della suddetta indennità è, ai sensi dell'art. 1602 c.c., l'acquirente dell'immobile locato (Cass. n. 9408/2011). La sospensione dell'esecuzione per il rilascio nella legislazione emergenziale
Occorre considerare che l'art. 103 dello stesso decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sotto la rubrica “Sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza”, al sesto comma aveva originariamente previsto che: “L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 1° settembre 2020”. Nella vigenza di tale formulazione, l'ambito di applicazione della disposizione normativa era stato oggetto di ampio dibattito in dottrina come nelle circolari applicative degli uffici giudiziari, specie con riguardo alla possibilità di ricomprendere nell'ambito dei “provvedimenti di rilascio” la cui efficacia era stata sospesa fino alla data indicata anche i decreti di trasferimento e gli ordini di liberazione emanati nelle procedure esecutive immobiliari. Secondo la tesi più restrittiva, la natura eccezionale della norma ne avrebbe impedito un'applicazione analogica, con la conseguenza che la disposta sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio non avrebbe potuto riguardare né l'attuazione dell'ordine di liberazione emesso ex art. 560 c.p.c. né quella del decreto di trasferimento pronunciato ai sensi dell'art. 560 c.p.c., poiché quest'ultima norma, come modificata dall'art. 18-quater, comma 1, d.l. 30 dicembre 2019, n. 162 ( convertito, con modificazioni, dalla l. 28 febbraio 2020, n. 8), stabilisce che al custode è demandato l'attuazione di tali provvedimenti e l'attuazione “in via breve” non potrebbe ricondursi al concetto di esecuzione (cfr. “Legislazione d'emergenza e processi esecutivi e fallimentari” a cura di D'Arrigo, Costantino, Fanticini e Saija, in InExecutivis; cfr. Trib. Siracusa, sez. fall., 17 settembre 2020; Trib. Bari 24 luglio 2020). Secondo un'impostazione estensiva invece la volontà del legislatore avrebbe dovuto essere interpretata nel senso di ritenere che l'espressione “provvedimenti di rilascio” non faccia riferimento all'esecuzione forzata in forma specifica per rilascio di immobili di cui agli artt. 605 e ss. c.p.c., bensì a tutte le ipotesi nelle quali i provvedimenti, anche assoggettati ad altre forme di esecuzione e di attuazione, abbiano quale effetto ultimo la liberazione dell'immobile pignorato. A sostegno di tale tesi, si era osservato che la stessa avrebbe consentito anche di evitare una diversificazione di situazioni identiche ex latere debitoris, nel senso che, volendo diversamente opinare, se una volta emesso il decreto di trasferimento l'aggiudicatario avesse deciso di avvalersi del custode per l'attuazione dell'ingiunzione di liberazione, la sospensione non avrebbe trovato applicazione, mentre, viceversa, la norma emergenziale sarebbe operante ove lo stesso aggiudicatario decidesse di eseguire l'ingiunzione a mezzo ufficiale giudiziario e secondo la procedura prevista dagli artt. 605 e ss. c.p.c. (Rapisarda). Con l'art. 17-bis del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (“Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”), introdotto in sede di conversione dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, rubricato “Proroga della sospensione dell'esecuzione degli sfratti di immobili ad uso abitativo e non abitativo”, è stato previsto che « Al comma 6 dell'articolo 103 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, le parole: “1° settembre 2020” sono sostituite dalle seguenti: “31 dicembre 2020”». Tale novella normativa, limitando in rubrica la proroga alla sospensione dell'esecuzione degli sfratti, ha mostrato di condividere l'opzione interpretativa più restrittiva circa la portata della norma, nel senso, in particolare, di escludere i provvedimenti che, come il decreto di trasferimento, costituiscono titolo esecutivo per il rilascio degli immobili nel corso dell'esecuzione forzata. La ratio di tale differente trattamento è stata individuata nella diversità delle fattispecie giuridiche in rilievo e, dunque, delle tutele concesse al conduttore moroso ed al debitore esecutato, il quale ultimo, a differenza del conduttore, subisce una procedura esecutiva in ragione di un conclamato inadempimento e, pertanto, le sue esigenze abitative devono ritenersi cedevoli rispetto agli interessi rappresentati all'interno del processo esecutivo, vieppiù a fronte dell'esigenza di tutelare l'affidamento dell'aggiudicatario a conseguire, una volta versato il saldo prezzo e ottenuto così il trasferimento della proprietà in suo favore con il decreto ex art. 586 c.p.c., la disponibilità dell'immobile. La portata della sospensione ex art. 103, sesto comma, del d.l. n. 18 del 2020, conv. dalla l. n. 27 del 2020, è stata nuovamente modificata in virtù dell'art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, conv. in legge n. 21 del 2021 – nella formulazione che, come si dirà, sembra rilevare ai fini della soluzione delle questioni di legittimità costituzionale in esame - secondo cui: “La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall'art. 103, comma 6, del decreto – legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è prorogata sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'art. 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari”. Nella formulazione attuale la predetta norma contempla espressamente l'applicabilità della sospensione dell'esecuzione ai provvedimenti di rilascio emessi ai sensi dell'art. 586, comma 2, c.p.c. aventi ad oggetto l'immobile principale del debitore, ossia quelli in cui il titolo esecutivo sia il decreto di trasferimento. Occorre considerare che il giudice dell'esecuzione presso il Tribunale ordinario di Trieste, con ordinanza del 24 aprile 2021 (in il processocivile.it), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 103, sesto comma, del d.l. n. 18 del 2020, conv. in l. n. 27 del 2020, nella sua formulazione originaria e come successivamente prorogato, in riferimento agli artt. 3,24,42,77 e 117, primo comma, Cost. In particolare, rispetto alla vigente formulazione della predetta norma, e per quel che rileva in questa sede, il dubbio di legittimità costituzionale investiva la stessa nella parte in cui prevedendo ipso iure la sospensione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, impedisce al Giudice dell'esecuzione di comparare le distinte esigenze del proprietario rispetto a quelle dell'occupante ai fini della decisione sull'emanazione dell'ordinanza di sospensione. In sede di conversione in legge (l. 21 maggio 2021, n. 41) del d.l. 22 marzo 2021, n. 41, recante “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19”, è stato inserito l'art. 40-quater, “Disposizioni in materia di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili”, che ha stabilito: “l. La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall'articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'articolo 586, secondo comma, del codice di procedura civile, del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari, è prorogata: a) fino al 30 settembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal 28 febbraio 2020 al 30 settembre 2020;b) fino al 31 dicembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal 1° ottobre 2020 al 30 giugno 2021”. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 213 del 2021, ha ritenuto non fondate le relative questioni, ritenendo – alla luce dell’inviolabilità del diritto all’abitazione – che riducendo progressivamente, con l’evolversi positivo della pandemia, la portata del limite al diritto del creditore in sede esecutivo, il legislatore avesse adeguatamente bilanciato i diritti contrapposti in gioco. 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