Codice di Procedura Civile art. 669 bis - Forma della domanda 1 .Forma della domanda 1. [I]. La domanda si propone con ricorso [125] al giudice competente [669-ter, 669-quater, 669-quinquies]2.
[1] La sezione (comprendente gli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies ) è stata inserita dall'art. 74, comma 2, l. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L' art. 92 stabilisce inoltre: « Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti ». L'art. 90, comma 1, l. n. 353, cit., come sostituito dall'art. 9 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534, estende ulteriormente l'applicabilità delle disposizioni ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995. [2] Le parole « al giudice » sono state sostituite alle parole « depositato nella cancelleria del giudice » dall'art. 3, comma 8, lett. i), d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. InquadramentoL'art. 669-bis è norma di fondamentale rilievo con riguardo alla forma ed alle modalità di proposizione che deve assumere la domanda cautelare, in base alla disciplina generale introdotta dalla l. n. 353/1990. La disposizione prevede come forma tipica della domanda cautelare il ricorso al giudice competente, ma non precisa quale debba invece essere il contenuto della stessa, e quale sanzione colpisca una domanda cautelare incompleta. È pacifico il richiamo all'art. 125, che fissa il generale contenuto degli atti di parte. . Il riferimento dapprima operato al deposito in cancelleria è stato eliminato dal d.lgs. n. 164/2024. Il procedimento cautelare uniforme: provvedimenti anticipatori e conservativiLa disciplina, nell'ambito del codice di procedura civile, del c.d. procedimento cautelare uniforme, rappresentò una delle principali novità ascrivibili all'entrata in vigore delle disposizioni della l. n. 353/1990, sopperendo alle lacune ed alle contraddittorietà della frammentaria preesistente sistemazione codicistica della materia. L'aspetto dei provvedimenti cautelari, che il procedimento uniforme congegnato dalla l. n. 353/1990 aveva di certo maggiormente delineato, era quello connesso alla loro strumentalità rispetto alla decisione definitiva, connotato davvero unificante dell'eterogenea categoria di misure sparpagliate fra codice di rito, codice civile e leggi speciali. Ulteriore elemento fisionomico dei provvedimenti cautelari, mantenuto, se non incentivato, a seguito dell'introduzione del procedimento cautelare uniforme ex artt. 669-bis ss., appariva, sino alle più recenti Riforme, quello della provvisorietà. La provvisorietà di un provvedimento implica che esso continui a produrre effetti sino a quando non sia emanato un ulteriore atto che ne comporti la revoca, salvi i casi in cui una norma ne sancisca espressamente la caducazione; ma, per altro verso, essa comporta che i predetti effetti debbano trovare la loro definitiva causa e giustificazione in un ulteriore provvedimento definitivo, adottato all'esito del complessivo procedimento. Provvisorietà significa, inoltre, inidoneità del provvedimento a pregiudicare irrimediabilmente i diritti della parte soccombente, e pertanto “non decisorietà”. Ha messo, tuttavia, in crisi il postulato di provvisorietà degli effetti del provvedimento d'urgenza la categoria, di creazione dottrinale, dei provvedimenti cautelari anticipatori. La nozione descrive il novero di quelle misure cautelari il cui contenuto risulta integralmente anticipatorio degli effetti satisfattivi del diritto azionato. In sostanza, a fronte di provvedimenti miranti ad immunizzare l'istante dal pericolo di infruttuosità della sentenza di merito a cognizione piena, aventi perciò carattere prettamente conservativo, andrebbe isolata una specie di provvedimenti cautelari ispirati dall'esigenza di scongiurare la tardività della tutela finale di merito, e perciò di carattere piuttosto anticipatorio della decisione di primo grado, svincolati dalla previsione di un'apposita fase di convalida e di durata indeterminata, seppur sempre inidonei a produrre giudicato. Attenuandosi il carattere della strumentalità, vale a dire evolvendo la funzione del procedimento cautelare nel senso di assicurare subito un'utilità sostanziale indipendentemente dal successivo aprirsi di una fase a cognizione piena volta ad ottenere un accertamento con efficacia di giudicato, assume rilievo pressoché assorbente l'indagine sul requisito del fumus boni iuris, mentre si defila la verifica del periculum in mora, considerata la possibile assenza del giudizio di merito (Dalmotto, 2007, 267). Sempre in dottrina, si osserva poi come, mentre nel 2003, con la disciplina del processo societario, l'elemento che caratterizzava le misure cautelari a strumentalità attenuata era il loro carattere anticipatorio, così non è più nella Riforma del 2005, quando anche misure non anticipatorie, come la denuncia di nuova opera, mantengono efficacia senza richiedere l'instaurazione del giudizio di merito (Saletti, 2014, 541). L'utilità concettuale di distinguere, nell'ambito della tutela cautelare, i provvedimenti anticipatori è divenuta evidente alla luce delle novità apportate dalla l. n. 80/2005. Ci si riferisce soprattutto al testo vigente dell'art. 669-octies, il quale prevede, nei commi aggiunti in calce che le disposizioni sull'inizio o sull'estinzione del giudizio di merito, comportanti l'inefficacia della misura cautelare, non si applicano ai provvedimenti d'urgenza ex art. 700, né agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto. Per i provvedimenti d'urgenza o, lato sensu, anticipatori non sembra quindi ormai corretto parlare nemmeno di “strumentalità attenuata” in relazione al giudizio di merito. Tale espressione potrebbe, invero, condividersi allorché il medesimo giudizio di merito apparisse comunque ragionevolmente prevedibile, ma solo differito in un tempo non più predeterminato dalla legge. La Riforma del 2005, invece, delineato i provvedimenti anticipatori quali mezzi di tutela giurisdizionale pienamente satisfattiva, ancorché estranei alla forza del passaggio in giudicato, e li sottrae al vincolo di strumentalità col processo di merito, in forza di presunzione di fatto della loro esclusiva idoneità ad anticipare l'assetto sostanziale della sentenza. Le modalità della domanda cautelareL'art. 669-bis si occupa soltanto della forma dell'atto di approccio al giudice, prescegliendo quella del “ricorso al giudice competente”. Nonostante la lettera della norma, l'istanza cautelare può comunque pur sempre avanzarsi in corso di causa mediante inserimento nel verbale d'udienza, facendosi in tal caso salvo alla controparte il diritto di vedersi concedere un termine a difesa per articolare le proprie repliche alla avversa domanda, in nome del bilanciamento del contraddittorio che anima l'art. 669-sexies. L'istanza cautelare in corso di causa, non introducendo alcuna pretesa di carattere sostanziale rispetto a quella di merito già pendente davanti al giudice, non integra domanda nuova rispetto a quella esplicitata nella citazione; sicché essa non va notificata al contumace ai sensi dell'art. 292 (Cass. II, n. 4814/1998). È ammissibile la contestuale proposizione della domanda di merito e dell'istanza cautelare, da qualificare alla stregua di una richiesta di provvedimento cautelare in corso di causa. Il giudizio di merito, allo stesso tempo introdotto, resta ovviamente soggetto alle regole ed alle sanzioni sue proprie: in particolare, l'attore deve rispettare le prescrizioni stabilite dagli artt. 163 e 164 (o dall'art. 414) a tutela del contraddittorio, nonché i termini per comparire di cui all'art. 163-bis (ovvero di cui all'art. 415, comma 5) (Cass. lav., n. 16851/2011). Simmetricamente alla facoltà dell'attore di proporre congiuntamente le domande cautelare e di merito, il convenuto, dal suo canto, può provvedere a costituirsi, così nel procedimento cautelare come nella causa di merito, con unico atto, in cui prenda compiutamente posizione con riguardo ad entrambi i giudizi (Cass. lav., n. 5904/2005). Il resistente può proporre a sua volta in via riconvenzionale, sin dal suo primo atto difensivo, altro ricorso cautelare, purché connesso all'oggetto del ricorso principale e perciò tale da non rallentare la trattazione e l'istruzione indispensabili per l'iniziale provvedimento richiesto in via principale (Cass. I, n. 6103/1994). Il ricorso introduttivo ante causam contiene, di solito, la procura speciale al difensore. Seppure la successiva instaurazione del giudizio di merito, che è del tutto autonomo rispetto al procedimento cautelare, renderebbe in via di principio necessaria una distinta procura, il mandato rilasciato per la fase cautelare ben può consentire al difensore di introdurre anche la causa di merito, qualora la parte abbia in esso manifestato inequivocabilmente la volontà di estenderlo a quest'ultimo (Cass. I, n. 20047/2011). La formale autonomia fra il procedimento cautelare ed il successivo procedimento di merito comporta anche che la notificazione della citazione per il giudizio a cognizione piena debba essere effettuata non al procuratore costituito nel primo procedimento, ma al convenuto nel suo domicilio reale. Va peraltro rispettata la volontà della parte laddove la procura rilasciata per la fase cautelare contenga l'elezione di domicilio presso il difensore e l'indicazione della sua validità oltre la stessa fase in cui era stata compiuta (Cass. I, n. 3794/2002). Il contenuto della domandaNel silenzio dell'art. 669-bis, resta affidato all'interprete il compito di fissare quale debba essere il contenuto della domanda cautelare. Viene da tutti condiviso il richiamo all'art. 125, quale norma che descrive il minimum che ogni atto di parte deve avere, ovvero l'indicazione del giudice, delle parti, dell'oggetto, delle ragioni della domanda, delle conclusioni o dell'istanza e, infine, della sottoscrizione. Si richiede, peraltro, che il ricorrente in sede cautelare specifichi anche quelle che saranno le sue conclusioni nella futura eventuale causa di merito, ovvero gli elementi di individuazione della domanda da proporsi nel giudizio di cognizione. A ciò induce sia la possibile portata anticipatoria della misura cautelare rispetto agli effetti della sentenza, sia l'esigenza di agevole individuazione del diritto di cui occorra scorgere il fumus, sia il riscontro di diversità, nelle ragioni di fatto o di diritto, tra l'istanza riproposta e quella precedentemente rigettata, ai fini dell'art. 669-septies, comma 1, sia, ancora, la presenza nel sistema dell'art. 693, comma 3, (che, quanto al contenuto dell'istanza di istruzione preventiva, prescrive l'esposizione sommaria delle domande o eccezioni cui la prova è preordinata), sia, soprattutto, la necessità di funzionamento del meccanismo di inefficacia, di cui all'art. 669-novies. Occorre quindi che la domanda descriva appropriatamente la posizione di diritto sostanziale cautelando, ovvero le ragioni di fatto e gli elementi di diritto costitutivi dell'assunto fumus boni iuris, ed indichi i motivi dell'urgenza che rendano l'intervento giudiziale non differibile sino all'esito del giudizio ordinario di merito. L'istanza cautelare deve inoltre individuare il soggetto nei cui confronti sia rivolta. L'esigenza di un così qualificato contenuto della domanda cautelare non è venuta meno a neppure dopo che, dopo la riformulazione dell'art. 669-octies, è stata fortemente attenuata la relazione di strumentalità tra il provvedimento d'urgenza e l'azione di merito. Anzi, la specifica prefigurazione nel ricorso cautelare della futura causa di merito occorre ora vieppiù allo scopo di consentire l'individuazione certa della sentenza che possa poi, in virtù del comma 3 dell'art. 669-novies, dichiarare “inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso”, provocando l'inefficacia della misura. D'altro canto, le notevoli differenze procedurali che il comma 6 dell'art. 669-octies ricollega alla portata anticipatoria o conservativa della misura richiesta, inducono a postulare che il ricorso cautelare prospetti altresì le specifiche misure interinali da concedere. In dottrina si osserva, peraltro, come la questione della completezza del ricorso, con riguardo ai provvedimenti anticipatori, abbia una portata pratica limitata, poiché per le domande cautelari tese ad ottenere misure di carattere anticipatorio è probabile che il contenuto della futura azione di merito sia desumibile anche dalla stessa prospettazione dell'azione cautelare (Giordano, 2006, 1278). L'art. 669-decies depone per l'opportunità che la domanda esponga altresì i motivi che sorreggono il pericolo nel ritardo dell'intervento giudiziale, ed includa analiticamente il petitum cautelare che si vorrebbe accolto nell'ordinanza, visto che quel determinato provvedimento potrà in seguito essere revocato (o modificato) o per sopravvenuti mutamenti nelle circostanze, oppure per fatti anteriori, ma solo se conosciuti dall'istante successivamente al provvedimento. In caso di incompletezza della domanda di provvedimenti cautelari, quanto ai requisiti di identificazione della pretesa, la giurisprudenza di merito ha oscillato tra la nullità e la inammissibilità del ricorso, e talvolta ha anche optato per il mero rigetto dell'istanza cautelare lacunosa (per le diverse posizioni, Trib. Potenza, 29 marzo 1995; Trib. Rovigo, 7 marzo 1994; Pret. Vallo della Lucania, 19 marzo 1997; Trib. Catania, 26 agosto 1993; Trib. Cagliari, 23 settembre 1993; Trib. Bari, 20 agosto 2002; Trib. Nocera Inferiore, 1 agosto 1995; Trib. Foggia, 5 febbraio 2004). Non sembra comunque concepibile esonerare il giudice, adito con un ricorso ex art. 669 mancante della specificazione dei richiamati requisiti, dal sollecito adempimento ai suoi doveri di collaborazione per far integrare all'istante la domanda, argomentando dagli artt. 182 e 183, e dall'art. 164, comma 5 o dall'art. 640, comma 1. Il giudice designato potrebbe disporre immediatamente l'integrazione della domanda incompleta mediante memoria da notificare al convenuto in uno al decreto di fissazione dell'udienza. Alcuna lesione del principio del contraddittorio si prospetta in tale modus procedendi, tale da indurre ad attendere in via preventiva la (eventuale) costituzione del resistente per ascoltarne le possibili ragioni contrarie alla sanabilità del ricorso cautelare. Trattandosi di vizio della domanda cautelare attinente alla editio actionis, non avrebbe, invero, senso rinviarne il rilievo da parte del giudice all'esito della costituzione del convenuto, giacché la mancata eccezione di questo non comporterebbe la sanatoria della riscontrata incompletezza dell'atto introduttivo, essendo comunque la posizione difensiva del resistente inidonea a colmare le lacune del ricorso. Effetti della domandaE' diffuso l'orientamento ad avviso del quale, nel caso di domanda cautelare accolta (e confermata in sede di reclamo), seguita da rituale instaurazione del giudizio di cognizione, ai fini dell'individuazione del giudice preventivamente adito, determinante per dirimere una situazione di litispendenza, deve necessariamente tenersi conto della data di instaurazione del procedimento cautelare (Cass. VI, n. 11949/2015). In realtà, questa soluzione, che elabora un effetto “prenotativo” della litispendenza del giudizio di merito, potrebbe essere ripensata, sempre alla luce dell'allentamento del nesso corrente tra procedimento cautelare e causa di cognizione ordinaria, tanto più che non è imposto dalla legge che il giudizio ordinario sia instaurato davanti al medesimo giudice della cautela. Né la litispendenza né la continenza di cause possono configurarsi tra un procedimento ex art. 700 ed un giudizio ordinario di merito, in quanto l'insuscettibilità dei provvedimenti d'urgenza di costituire giudicato esclude la ragione stessa di una pronuncia di litispendenza o di continenza (Cass. S.U., n. 7337/1996; Cass. III, n. 26977/2007). Opera, poi, anche per il ricorso cautelare ante causam, in principio posto, dall'art. 5 della cosiddetta perpetuatio jurisdictionis, in forza del quale la giurisdizione e la competenza si determinano al momento della domanda con riferimento alla legge vigente allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda (ovvero, del deposito del ricorso), rimanendo ininfluenti a tal fine i successivi mutamenti. Resta da verificare se i mutamenti dei parametri normativi o fattuali di riferimento, sopravvenuti nel corso del giudizio cautelare, pur ininfluenti ai fini di questo, incidano, però, nell'individuazione della giurisdizione e delle competenza concernenti il successivo processo successivo a cognizione piena; sembra in proposito corretta la soluzione che diversifica la risposta per i provvedimenti conservativi e per i provvedimenti, invece, a “strumentalità attenuata”, estendendo, cioè, la vis attractiva della giurisdizione e della competenza determinata per il cautelare altresì alla causa di merito soltanto per i primi, e non anche per i secondi Secondo Cass. I, n. 1716/1998, ad evitare il pericolo che, individuata l'autorità giudiziaria competente ad autorizzare il sequestro in quella del luogo ove si trovano le cose da sottoporre a sequestro (ai sensi dell'abrogato art. 672 c.p.c.), la possibilità di ottenere il provvedimento cautelare possa venir frustrata mediante il continuo spostamento delle cose da sequestrare, è sufficiente proprio il richiamo all'art. 5 a mente del quale i mutamenti della situazione di fatto successivi alla presentazione della domanda non possono spiegare alcuna influenza sulla (ormai definitivamente radicata) competenza ad emanare il provvedimento invocato. Ad avviso di Trib. Palermo 28 marzo 2012 (in Giur. mer. 2012, 9, 1823), i provvedimenti cautelari disposti ante causam dal giudice che abbia dichiarato il proprio difetto di giurisdizione non cessano per ciò solo di avere effetto, sempre che, in applicazione analogica di quanto previsto dall'art. 59, comma 2, l. n. 69/2009, il giudizio sia riproposto innanzi al giudice cui spetta la giurisdizione entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza declaratoria. Trova inoltre applicazione, quale conseguenza della proposizione di una domanda cautelare, altresì la disciplina di cui all'art. 111, sicché, il trasferimento a titolo particolare nel corso del procedimento ex art. 669-bis e ss. non fa venire meno l'interesse ad agire in capo all'originario ricorrente e il giudizio prosegue tra le parti originarie, dando luogo ad una sostituzione processuale del dante causa di modo che il provvedimento spiega i suoi effetti nei confronti dell'avente causa sostituito, ferma la possibilità per il successore stesso di intervenire nel procedimento pendente. Cass. I, n. 1536/1973, affermava, piuttosto, che il principio della continuazione del processo tra le parti originarie in ipotesi di trasferimento del diritto controverso a titolo particolare avvenuto nel corso del processo, non consente che una misura cautelare in corso di causa possa essere concessa nei confronti del dante causa; data l'autonomia del processo cautelare, anche se connesso con quello di merito, l'azione cautelare dovrebbe essere rivolta nei confronti dell'avente causa. Circa gli effetti sostanziali della domanda cautelare, la proposizione di domanda ex art. 669-bis, rientrando nell'ambito dei giudizi conservativi di cui al comma 1 dell'art. 2943 c.c. (in quanto atto strumentale all'esercizio del diritto), ha di per sé efficacia interruttiva della prescrizione (decorrente dalla notifica di ricorso e decreto di fissazione dell'udienza di comparizione, ovvero del decreto concessivo emesso inaudita altera parte), effetto che, alla stregua dell'art. 2945, comma 2, c.c., cessa con la definizione del relativo procedimento, con esito sia di accoglimento che di rigetto dell'istanza, sicché da tale momento comincia a decorrere un nuovo termine di prescrizione. La proposizione di un ricorso per provvedimenti cautelare non vale, invece, ad impedire la decadenza, giacché, quando l'atto richiesto a questo scopo consiste nell'esercizio di un'azione, tale effetto consegue unicamente alla proposizione di una domanda giudiziale, che non si sostanza in una manifestazione di volontà sostanziale, ma deve tendere ad instaurare un rapporto processuale mediante il quale si ottenga l'effettivo intervento del giudice ai fini della pronuncia di merito. Così Cass. I, n. 2339/1982). Potrebbe argomentarsi ora anche dal menzionato comma 4 dell'art. 1137 c.c., il quale nega che l'istanza cautelare di sospensione dell'esecuzione di una deliberazione assembleare di condominio impedisca ex se la decadenza per la proposizione dell'impugnazione. In senso opposto, da ultimo Cass. lav., n. 10840/2016, secondo cui il rimedio cautelare, alla luce della nuova struttura del procedimento ex art. 700, e degli altri provvedimenti cautelari anticipatori, delineata nell'art. 669-octies, comma 6, ha assunto, ad ogni effetto, le caratteristiche di un'autonoma azione in quanto potenzialmente atto a soddisfare l'interesse della parte anche in via definitiva pur senza attitudine al giudicato, sicché la proposizione del ricorso è idonea ad impedire il maturare di termini di decadenza. 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