Codice di Procedura Civile art. 739 - Reclami delle parti 1Reclami delle parti 1 [I]. Contro i decreti del giudice tutelare si può proporre reclamo al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio in composizione monocratica quando il provvedimento ha contenuto patrimoniale o gestorio, e in composizione collegiale in tutti gli altri casi. Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato. Contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla corte di appello, che pronuncia anch'essa in camera di consiglio2. [II]. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio [153] di dieci giorni dalla comunicazione del decreto [136], se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione [137] se è dato in confronto di più parti [669-terdecies 1]. [III]. Salvo che la legge disponga altrimenti, non è ammesso reclamo contro i decreti della corte d'appello e contro quelli del tribunale pronunciati in sede di reclamo.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 51 l. 14 luglio 1950, n. 581. Successivamente C. cost. 27 giugno 1986, n. 156, ha dichiarato: a) l’illegittimità costituzionale degli artt. 26 e 231 R.D. 16 marzo 1942 n. 267, in relazione all’art. 188 dello stesso decreto, nella parte in cui assoggettano al reclamo al tribunale nel termine di tre giorni decorrente dalla data del decreto del giudice delegato anziché dalla data di comunicazione dello stesso debitamente eseguita i decreti, adottati dal giudice delegato, di determinazione dei compensi ad incaricati per opera prestata nell’interesse della procedura di amministrazione controllata; b) l’illegittimità costituzionale degli artt. 739 e 741 c.p.c., nella parte in cui, disciplinando il reclamo avverso i decreti del giudice delegato di cui sub a), fanno decorrere il termine per il reclamo dal deposito del decreto in cancelleria, anziché dalla comunicazione eseguita con il rispetto delle vigenti disposizioni procedurali. [2] Comma così sostituito dall'art. 3, comma 50, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale) di cui si riporta il testo prima della sostituzione: «Contro i decreti del giudice tutelare [3441 c.c.] si può proporre reclamo con ricorso al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio [737]. Contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello, che pronuncia anch'essa in camera di consiglio.». Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". InquadramentoIl reclamo camerale deve essere proposto al collegio avverso i provvedimenti resi dal giudice tutelare ed alla Corte d'Appello rispetto ai provvedimenti emanati dal tribunale in composizione collegiale. La riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022 ha modificato la norma nel senso che, rispetto ai provvedimenti del giudice tutelare, il tribunale pronuncia in camera di consiglio in composizione monocratica quando il provvedimento ha contenuto patrimoniale o gestorio, e in composizione collegiale in tutti gli altri casi (ipotesi nella quale del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato). Il termine per la proposizione del reclamo, di carattere perentorio, decorre dalla comunicazione del provvedimento nell'ipotesi di procedimenti unilaterali e dalla notificazione nelle altre ipotesi (Cass. n. 462/2010). Nella giurisprudenza si sta affermando un orientamento per il quale nei procedimenti contenziosi i termini applicabili sarebbero quelli ex artt. 325 e 327 (Cass. n. 6319/2011). Sebbene il comma terzo della norma stabilisca che avverso le decisioni rese in sede di reclamo non è esperibile un ulteriore mezzo di ricorso, è dato, contro i provvedimenti decisori e definitivi su diritti soggettivi, il ricorso straordinario per cassazione (Cass. n. 11218/2013). CompetenzaLe parti possono proporre reclamo con ricorso al tribunale in composizione collegiale, se il decreto è stato emesso dal giudice tutelare, o alla corte di appello, se il provvedimento è stato reso dal tribunale stesso, con espressa esclusione della possibilità di un ulteriore reclamo avverso il decreto adottato nel gravame (art. 739, commi 1 e 3). Termine per la proposizione del reclamo e notifica del ricorso all'altra parteIl comma 2 dell'articolo in commento stabilisce, in via generale, per la proposizione del reclamo il termine perentorio di dieci giorni: pertanto, il reclamo proposto oltre detto termine è inammissibile (Micheli, 994 ss.; Andrioli, IV, 1968, 452). Il termine inizia a decorrere dalla comunicazione, quando il provvedimento produce effetti nei confronti del solo ricorrente (Cass. n. 18514/2003) e dalla notificazione, quando il provvedimento è destinato ad avere effetti anche nei confronti di un altro o più altri soggetti (Cass. n. 267/1993 e, più di recente, Cass. n. 462/2010, la quale ha chiarito che la comunicazione integrale del provvedimento ad iniziativa dell'ufficio non è idonea ad integrare il dies a quo, essendo necessaria l'iniziativa della parte interessata). In sostanza, sei procedimenti in camera di consiglio che si svolgono nei confronti di più parti ed anche in quelli contenziosi assoggettati per legge al rito camerale, è la notificazione del decreto effettuata ad istanza di parte e non la comunicazione del cancelliere a far decorrere - tanto per il destinatario della notifica quanto per il notificante - il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo ai sensi dell'art.739, comma 2 (Cass. n. 22314/2017). In proposito, è stato precisato che l'art. 739, secondo il quale il provvedimento emesso in camera di consiglio dal tribunale, se pronunciato in confronto di più parti, è reclamabile entro dieci giorni dalla notificazione, non deroga alla regola generale dettata dall'art. 326, con la conseguenza che anche il termine per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso i decreti pronunciati in camera di consiglio, decorre dalla notificazione del provvedimento. A riguardo occorre che la notifica sia eseguita ad istanza di parte, non essendo sufficiente che sia stata effettuata a cura della cancelleria del giudice, nel qual caso il ricorso per cassazione resta soggetto al termine ordinario di cui all'art. 327 (Cass. n. 12972/2018). La dottrina dominante nega che ai fini della proposizione del reclamo operi il termine annuale previsto dall'art. 327 (Micheli, 994, nt. 73; Andrioli, IV, 1968, 450; contra Verde 133). La giurisprudenza della S.C. si è espressa in senso affermativo con riguardo ai procedimenti camerali contenziosi (Cass. n. 11326/1991). In una decisione più recente si è anzi ritenuto che al procedimento di volontaria giurisdizione previsto dall'art. 317-bis c.c., avente natura contenziosa sia pure nelle forme camerali che lo caratterizzano, si applicano i termini di impugnazione dettati dagli artt. 325 e 327, trattandosi di appello mediante ricorso, e non del reclamo previsto dall'art. 739 (Cass. n. 6319/2011). Secondo l'orientamento consolidato nella giurisprudenza, è ammesso il reclamo incidentale tardivo della parte nei confronti della quale sia stato proposto il reclamo in via principale (Cass. S.U., n. 13617/2012). Sotto altro profilo, come nella prima fase del procedimento camerale, il reclamo proposto alla corte di appello, avverso il provvedimento reso dal tribunale, non è improcedibile se sia stata omessa, nel termine assegnato dal giudice e non prorogato anteriormente alla sua scadenza, la notificazione del ricorso con l'unito decreto di fissazione dell'udienza, poiché alla parte può essere concesso un nuovo termine, ex art. 291, per la rinotifica (Cass. n. 21669/2014). Inoltre il reclamo camerale non è improcedibile se il convenuto si sia regolarmente costituito in giudizio, così sanando ex art. 156 il vizio derivante dal mancato rispetto del termine ordinatorio assegnato al reclamante per la notificazione del ricorso e non prorogato con istanza proposta prima della sua scadenza (Cass. VI, n. 16677/2014). In senso opposto al richiamato orientamento prevalente v., tuttavia, Cass. I, n. 17202/2013, per la quale nei procedimenti di impugnazione che si svolgono con rito camerale, l'omessa notificazione del ricorso nel termine assegnato nel decreto di fissazione d'udienza determina l'improcedibilità dell'appello, in quanto, pur trattandosi di un termine ordinatorio ex art. 154, si determina la decadenza dell'attività processuale cui è finalizzato, in mancanza d'istanza di proroga prima della scadenza. Si ritiene che nei procedimenti d'appello, come quelli in tema di separazione personale o divorzio, disciplinati nelle forme camerali non trovi applicazione l'art. 343 in ordine alle modalità di proposizione dell'appello incidentale, atteso che il principio del contraddittorio viene rispettato per il solo fatto che il gravame incidentale sia portato a conoscenza della parte avversa entro limiti di tempo tali da assicurare a quest'ultima la possibilità di far valere le proprie ragioni mediante organizzazione di una tempestiva difesa tecnica, da svolgere sia in sede di udienza camerale sia al termine dell'inchiesta (Cass. I, n. 6154/2012). Con una significativa decisione, la S.C. ha recentemente chiarito che nel rito camerale, adottato dal legislatore in determinate materie - anche quando trattasi di procedimenti concernenti l'interesse dei minori e, quindi, comportanti indiscussi poteri d'ufficio - al giudizio di secondo grado nascente dal reclamo è applicabile, pur in difetto di un espresso richiamo all'art. 342, il principio della specificità dei motivi di impugnazione, da tale norma sancito per il giudizio di appello, non essendo bastevole neppure la mera riproposizione delle questioni già affrontate e risolte dal primo giudice, dovendo invece tale forma di gravame contenere specifiche critiche al provvedimento impugnato ed esporre le ragioni per le quali se ne chiede la riforma. Il reclamo, infatti, costituisce un mezzo di impugnazione, ancorché devolutivo e come tale ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado, nei limiti del devolutum e delle censure formulate. Ne deriva che il reclamo ex art. 739, non può risolversi nella mera riproposizione delle questioni già affrontate e risolte dal primo giudice, ma deve contenere specifiche critiche al provvedimento impugnato ed esporre le ragioni per le quali se ne chiede la riforma (Cass. n. 32525/2018). Regime della decisione assunta in sede di reclamoIl comma 3 della disposizione in commento stabilisce che contro il provvedimento emesso in sede di reclamo non è proponibile un ulteriore ricorso. In tale prospettiva si ritiene, ad esempio, che la pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento camerale privo di decisorietà e definitività non è impugnabile con il regolamento di competenza ad istanza di parte, atteso che la affermazione o la negazione della competenza è preliminare e strumentale alla decisione di merito e non ha una sua natura specifica, diversa da quest'ultima, tale da giustificare un diverso regime di impugnazione e da rendere ipotizzabile un interesse all'individuazione definitiva ed incontestabile del giudice chiamato ad emettere un provvedimento privo di decisorietà e definitività (Cass. VI, n. 11463/2013). Peraltro, come già evidenziato (v. Comm. all'art. 737), ai fini della legittimità del modello camerale per i procedimenti contenziosi deve, tra l'altro, essere assicurata la garanzia del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. avverso i provvedimenti decisori e definitivi. Casistica È inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto della corte di appello dichiarativo della inammissibilità del reclamo avverso il provvedimento con cui il giudice tutelare nomina un nuovo amministratore di sostegno, in sostituzione del precedente (Cass. n. 11657/2012). Avverso il provvedimento emesso dalla corte d'appello che ha pronunciato sul reclamo nei confronti del decreto di omologa della separazione consensuale dei coniugi non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. per mancanza dei richiesti caratteri di definitività e decisorietà, poiché detto provvedimento incide su diritti soggettivi, senza tuttavia decidere su di essi e non ha attitudine ad acquistare l'efficacia del giudicato sostanziale, potendo la parte che ritenga sussistente un ipotetico vizio dell'accordo di separazione agire con l'azione ordinaria di annullamento, la cui esperibilità presidia la validità del consenso come effetto del libero incontro della volontà delle parti (Cass. n. 26202/2013). Il decreto pronunciato dalla corte d'appello in sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione personale concernenti l'affidamento dei figli ed il rapporto con essi, ovvero la revisione delle condizioni inerenti ai rapporti patrimoniali fra i coniugi ed il mantenimento della prole ha carattere decisorio e definitivo ed è, pertanto, ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 11218/2013). È inammissibile — per difetto di decisorietà e di definitività — il ricorso per cassazione avverso il decreto con il quale la corte d'appello abbia rigettato il reclamo proposto nei confronti del provvedimento del tribunale che aveva posto il versamento dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato direttamente a carico del terzo obbligato alla corresponsione di somme di denaro al coniuge obbligato, che era rimasto inadempiente (Cass. n. 9671/2013). In tema di adozione internazionale, il provvedimento camerale con cui la corte di appello decide sul reclamo avverso il decreto del Tribunale per i minorenni, in tema di accertamento della sussistenza dei requisiti di idoneità all'adozione di minori stranieri, a norma dell'art. 30 l. n. 184/1983, non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 comma 7 Cost., trattandosi di provvedimento non definitivo, il quale, anche nel caso in cui abbia rigettato l'istanza (peraltro sempre riproponibile), non incide su diritti né su status dei richiedenti, e neppure risolve un conflitto tra contrapposti interessi, limitandosi a concludere un procedimento di volontaria giurisdizione, volto alla tutela dell'unico interesse preso in considerazione dalla legge, che è quello del minore (Cass. n. 18978/2013). È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto della corte di appello, emesso in sede di reclamo ai sensi degli artt. 2888 c.c. e art. 113 disp. att. c.c., sul rifiuto di cancellazione di iscrizione ipotecaria da parte del conservatore, in quanto tale decreto — reso all'esito di un procedimento privo di natura contenziosa, essendone l'istante unica parte e non avendo ad oggetto la risoluzione di un conflitto di interessi (bensì il regolamento, secondo legge, dell'interesse pubblico alla pubblicità immobiliare) — non è suscettibile di passare in giudicato, potendo le parti agire in via contenziosa per ottenere una pronuncia sull'esistenza del loro diritto alla cancellazione o sull'inesistenza del diritto all'iscrizione in capo a colui che l'abbia chiesta ed ottenuta (Cass. n. 3279/2015). Il decreto della Corte d'appello, che abbia pronunciato sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di iscrizione nel registro delle imprese di deliberazione societaria modificativa dell'atto costitutivo, non ha carattere decisorio, perché non incide su diritti soggettivi con efficacia di giudicato e si risolve in un atto di gestione di un pubblico registro a tutela di interessi generali, e, pertanto, non è soggetto a ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 26363/2011). Il provvedimento di revoca giudiziaria dell'amministratore della comunione ordinaria ha natura di atto di volontaria giurisdizione, ex art. 1105, comma 4, c.c. - in ogni tempo suscettibile, pertanto, di revoca o modificazione, ma non ricorribile per cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost., salvo che, travalicando i limiti per la propria emanazione, abbia risolto una controversia su diritti soggettivi - non essendo configurabile un diritto dell'amministratore medesimo alla prosecuzione dell'incarico e potendo eventuali pretese dello stesso, analogamente a quanto avviene in ambito condominiale, nell'ipotesi di dedotta insussistenza della giusta causa di revoca, trovare tutela in forma risarcitoria o per equivalente nella sede propria del giudizio di cognizione (Cass. n. 14120/2021). In termini analoghi, con riferimento alla revoca dell'amministratore di condominio, la S.C. ha sottolineato che non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione contro il decreto della Corte di appello che, in sede di reclamo, abbia provveduto sulla domanda di revoca dell'amministratore, al fine di proporre, sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, censure che rimettano in discussione la sussistenza o meno di gravi irregolarità nella gestione (nella specie, riconducibili alla mancata convocazione dell'assemblea), perché tale statuizione, adottata all'esito di un procedimento di volontaria giurisdizione, è priva di efficacia decisoria e non incide su situazioni sostanziali di diritti o "status", potendo invece il decreto essere impugnato davanti al giudice di legittimità limitatamente alla statuizione sulle spese di giudizio, concernente posizioni giuridiche soggettive di debito e credito, che discendono da un autonomo rapporto obbligatorio (Cass. n. 15995/2020). L'ordinanza del tribunale che abbia deciso sull'opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi spettanti al c.t.u., incide con carattere di definitività su diritti soggettivi, sicché, non essendo altrimenti impugnabile anche in virtù del disposto di cui all'art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, essa è soggetta a ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., il cui termine breve di proposizione decorre, a norma dell'art. 739, dalla notificazione dell'ordinanza mentre, in assenza di tale notificazione, deve reputarsi applicabile il termine lungo d'impugnazione di cui all'art. 327 (Cass. n. 5990/2020). È inammissibile il ricorso ordinario per cassazione avverso l'ordinanza resa in sede di reclamo contro un provvedimento relativo ad esecutore testamentario, in quanto, trattandosi di pronuncia non impugnabile ai sensi dell'art. 750, terzo e quarto comma, l'unico rimedio esperibile è il ricorso straordinario ex art. 111 Cost. (Cass. n. 26473/2013). In tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, la l. n. 54/2006 ha equiparato la posizione dei figli nati more uxorio a quella dei figli nati da genitori coniugati, estendendo la disciplina in materia di separazione e divorzio anche ai procedimenti ex art. 317-bis c.c., che hanno assunto autonomia procedimentale rispetto ai procedimenti di cui agli artt. 330, 333 e 336 c.c., senza che abbia alcun rilievo il rito camerale. Ne consegue che i decreti emessi dalla corte d'appello avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell'art. 317-bis c.c. relativi ai figli nati fuori dal matrimonio ed alle conseguenti statuizioni economiche, ivi compresa l'assegnazione della casa familiare, sono impugnabili con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., ora equiparato sostanzialmente al ricorso ordinario in forza del richiamo operato dall'ultimo comma dell'art. 360 ai commi 1 e 3 (Cass. n. 18194/2015). In tema di concordato preventivo, al decreto emesso, ai sensi dell'art. 183, comma 1, l.fall. (per la nuova disciplina v. art. 55 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa), dalla corte d'appello, che decida sul reclamo avverso il decreto di omologazione, si applica il rito camerale di cui agli artt. 737 e ss., sicché è ricorribile per cassazione entro il termine ordinario di sessanta giorni, decorrenti dalla data di notificazione dello stesso, non potendo applicarsi per analogia la disciplina prevista per il concordato fallimentare dall'art. 131 l.fall. e riformata con il d.lgs. n. 169/2007, (per la nuova disciplina v. art. 247 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa), attesa la compiutezza della disciplina del concordato preventivo e la diversità dei presupposti oggettivi in cui interviene la rispettiva omologazione (Cass. n. 12819/2016; conf. App. Venezia I, 12 maggio 2016, in ilfallimentarista.it, 7 settembre 2016). Il decreto con cui la corte d'appello, in sede di reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza del creditore di risoluzione del concordato preventivo, confermi il predetto diniego, non è impugnabile con ricorso ex art. 111 Cost., attesa la sua inidoneità a precludere una rinnovazione della richiesta da parte del medesimo reclamante o di altri creditori insoddisfatti, mancando i profili di definitività necessari per rendere ammissibile il ricorso straordinario (Cass. n. 2990/2016). Ricorso per cassazione contro la decisione assunta dalla Corte d’Appello sull’opposizione al decreto ingiuntivo ex lege Pinto.Diversamente, il potere delle parti di proporre ricorso per cassazione avverso il decreto pronunciato dalla Corte d'Appello nell'ambito del procedimento di opposizione promosso ai sensi della legge c.d. Pinto si fonda direttamente sul disposto dell'art. 5-ter, comma 5, di tale legge, di talché, come già nel sistema previgente, si tratta di ricorso ordinario e non già di ricorso c.d. straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. (Martino, 597). Peraltro, a riguardo non si può trascurare di osservare che, almeno quanto ai motivi di ricorso proponibili, dopo la riforma realizzata dal d.lgs. n. 40/2006, deve ritenersi che siano venute meno le importanti differenze enucleate dalla giurisprudenza pregressa tra tali mezzi di ricorso. Sul punto, premesso in via assolutamente generale che il ricorso c.d. straordinario per cassazione è esperibile avverso i provvedimenti che, pur non avendo la veste formale di sentenza siano nondimeno decisori e definitivi (Cass. n. 15341/2012), la Corte di Cassazione aveva ritenuto, prima della citata riforma del 2006, che il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. consente la denuncia di violazione di legge o dell'assenza totale di motivazione, ma non anche censure riguardanti l'insufficiente o contraddittoria esposizione dei motivi del provvedimento impugnato (Cass. n. 11619/1997). Peraltro, l'art. 360 è stato ormai espressamente modificato nel senso che il ricorso c.d. straordinario per cassazione è proponibile per i medesimi motivi, previsti dallo stesso articolo, in forza dei quali è esperibile ricorso ordinario in sede di legittimità. La possibilità di proporre avverso tale provvedimento esclusivamente il rimedio del ricorso per Cassazione consente a nostro avviso di ritenere che, anche dopo la riforma del procedimento realizzata nel 2012, conservi valenza il principio, già affermato in giurisprudenza nell'assetto previgente, per il quale, sebbene in tema di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo sia prescritto il procedimento in camera di consiglio, la cui caratteristica è normalmente l'inidoneità al passaggio in giudicato dei provvedimenti assunti, stante la loro modificabilità e revocabilità e quindi la loro sottoposizione alla clausola c.d. rebus sic stantibus, non può revocarsi in dubbio che il provvedimento che conclude tale procedimento, in quanto impugnabile unicamente con ricorso per Cassazione, abbia natura contenzioso — decisoria e sia idoneo, una volta che avverso lo stesso non sia stata proposta nel termine di legge alcuna impugnazione, ad incidere con efficacia di giudicato sull'interesse della parte all'equa riparazione da ritardata giustizia. Per alcuni, l'espressa presa di posizione del legislatore circa la ricorribilità per cassazione del decreto conclusivo del procedimento comporta che siano inapplicabili nel procedimento in esame tutte le disposizioni del procedimento camerale incompatibili con l'immutabilità della cosa giudicata, come ad esempio l'art. 742 (Martino, 597). In giurisprudenza, è stato affermato che le riportate acquisizioni giurisprudenziali hanno trovato conferma nell'art. 112 comma 2, lett. c) del nuovo codice del processo amministrativo, a tenore del quale l'azione di ottemperanza innanzi al G.A. può essere proposta per conseguire anche l'attuazione delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario (quale è appunto il decreto della Corte d'Appello ex l. n. 89/2001), al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della P.A. di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato (T.A.R. Trentino Alto Adige Trento I, 13 dicembre 2011 n. 305, in Foro amm. -TAR, 2011, n. 12, 3866; Cass. n. 14885/2002, in Giust. civ., 2003, I, 2803). L'idoneità al giudicato del provvedimento reso dalla Corte d'Appello a seguito dell'opposizione proposta avverso il decreto pronunciato sulla domanda di equa riparazione comporta che i termini per impugnare siano quelli previsti dagli artt. 326 e 327 (Ronco, 317). In particolare il termine c.d. breve di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione decorre, trattandosi di decreto pronunciato a seguito di procedimento camerale contenzioso, dalla notificazione del provvedimento ad istanza di parte (cfr. Cass. S.U., n. 3670/1997, in Giust. civ., 1997, I, 1502, con osservazione di Giacalone, la quale, andando a risolvere il pregresso contrasto giurisprudenziale sulla questione, ha chiarito che a norma del comma secondo dell'art. 739, nei procedimenti in camera di consiglio che si svolgono nei confronti di più parti, la notificazione del provvedimento che abbia definito il relativo procedimento è idonea a far decorrere il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo solo quando sia stata effettuata ad istanza di una delle parti e non, quindi, quando sia stata eseguita a ministero del cancelliere del giudice a quo o su istanza di quell'ausiliare e tale disciplina vale anche con riferimento ai procedimenti contenziosi assoggettati per legge al rito camerale, salvo che non sia diversamente disposto in modo espresso, con la conseguenza che, stante l'assenza di una diversa espressa previsione legislativa, la notifica del decreto del tribunale in ordine all'ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, di cui all'art. 274 c.c., eseguita dal cancelliere del giudice «a quo», o su istanza di detto ausiliare, non è idonea a determinare la decorrenza del termine breve per il reclamo avverso detto provvedimento). Prima delle modifiche realizzate, in senso restrittivo, rispetto alla possibilità di denunciare tale vizio, dall'art. 360, n. 5, la S.C. aveva più volte ribadito che la sufficienza della motivazione del decreto con cui la corte di appello si pronuncia sulla domanda di equa riparazione proposta ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, occorre sia valutata in coerenza con il tipo del provvedimento — benché esso abbia natura sostanziale di sentenza — e con le esigenze di speditezza che il legislatore ha inteso evidentemente privilegiare, di talché l'onere motivazionale deve ritenersi adempiuto qualora si accerti che il giudice dell'equa riparazione ha dato conto, anche sinteticamente, dei criteri in base ai quali ha formulato il giudizio, dimostrando di avere avuto riguardo ai parametri fattuali a questo scopo indicati dall'art. 2, comma 2, legge citata ed esplicitando le ragioni del suo convincimento; non è invece necessario che egli ripercorra analiticamente tutti i passaggi del processo oggetto d'esame, sempre che le argomentazioni e le ragioni svolte non siano intrinsecamente contraddittorie (Cass. n. 21020/2006). Il procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione seguirà poi le forme ordinarie e non necessariamente quelle del procedimento in camera di consiglio ex art. 375. In astratto il giudizio di legittimità potrà concludersi, nell'ipotesi di accoglimento, con una decisione di rinvio alla Corte d'Appello che dovrà attenersi al principio di diritto enunciato dalla S.C. ovvero con una pronuncia sostitutiva nel merito resa dalla stessa Corte di Cassazione laddove non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto. Le precipue esigenze di celerità del procedimento per l'equa riparazione dei danni da irragionevole durata dei processi e la natura documentale dello stesso rendono particolarmente praticabile e opportuna la definizione del giudizio mediante una decisione di merito della medesima Corte di Cassazione che potrà invero limitarsi, individuato ad esempio un diverso criterio di liquidazione del danno, a rideterminare direttamente, attraverso un semplice calcolo matematico, l'entità della somma dovuta al ricorrente, evitando così un inutile giudizio di rinvio. In questi termini si pone la giurisprudenza di legittimità per la quale, annullando per violazione o falsa applicazione di norme di diritto o per vizio di motivazione il decreto della Corte d'appello di rigetto di domanda di equa riparazione ai sensi della l. n. 89/2001, la Corte di cassazione può, ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c., decidere la causa nel merito liquidando il chiesto indennizzo, se dagli atti risultino la protrazione del giudizio, cui la domanda si riferisce, oltre il limite della sua ragionevole durata ed il ricorso non abusivo al processo (Cass. n. 22873/2009). BibliografiaAsprella, Il regime delle spese nei procedimenti camerali, in AA. 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