Codice di Procedura Penale art. 20 - Difetto di giurisdizione.

Aldo Aceto

Difetto di giurisdizione.

1. Il difetto di giurisdizione è rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.

2. Se il difetto di giurisdizione è rilevato nel corso delle indagini preliminari [326 s.], si applicano le disposizioni previste dall'articolo 22, commi 1 e 2. Dopo la chiusura delle indagini preliminari [405], e in ogni stato e grado del processo il giudice pronuncia sentenza e ordina, se del caso, la trasmissione degli atti all'autorità competente [620].

Inquadramento

La norma in commento, e quelle dei capi IV e V, regolano le modalità con cui può essere eccepito o rilevato il difetto di giurisdizione o di competenza e le conseguenze  sulle prove assunte o sulle misure adottate dal giudice incompetente.

La giurisdizione penale

La giurisdizione penale è esercitata dai giudizi ordinari secondo le norme del codice di procedura penale (art. 3).

La giurisdizione penale segna il confine delle attribuzioni del giudice penale esclusivamente verso l'esterno, nei confronti della pubblica amministrazione e degli altri giudici (costituzionale, amministrativo, tributario e speciale), non nei confronti dei giudici civili (Cass. S.U., n. 491/2012).

Il difetto di giurisdizione sussiste quando il giudice penale esercita una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi, ovvero non consentita ai pubblici poteri (si veda, sul punto, il commento all'art. 606, lett. a), o quando conosce fatti attribuiti alla giurisdizione del giudice speciale.

La verifica della giurisdizione costituisce adempimento necessario e logicamente antecedente rispetto all'esame di ogni altra questione devoluta al giudice, deve essere condotta in base ai fatti oggetto dell'imputazione, ha carattere dinamico e deve rinnovarsi in ogni stato e grado del procedimento, anche d'ufficio, con la conseguente declaratoria di difetto di giurisdizione qualora i presupposti fattuali e normativi subiscano, nel corso del processo, mutamenti rispetto all'accusa originaria (Cass. I, n. 23372/2015). Ogni “giudice è giudice della propria competenza” (Cass. VI, n. 3025/1992) pertanto il giudice, sin dall'inizio del procedimento, ha il potere-dovere di controllare se i fatti che formano il contenuto dell'imputazione rientrino nell'ambito della propria giurisdizione. Un simile controllo deve, poi, svilupparsi per tutto il successivo corso del processo alla stregua delle risultanze probatorie via via acquisite, nel senso che il giudice deve costantemente verificare, anche «ex officio», i presupposti fattuali e normativi dai quali dipende la titolarità della giurisdizione e deve dichiararne il difetto non appena gli elementi di prova raccolti modifichino la struttura e l'impianto originari dell'imputazione facendola esorbitare dalla sfera cognitiva assegnatagli dall'ordinamento (Cass. I, n. 4060/2008).

Il difetto di giurisdizione non è affatto assimilabile, quanto alle conseguenze, all'incompetenza per materia perché nel primo caso il provvedimento eventualmente adottato dal giudice penale è radicalmente privo di effetti, nemmeno provvisori, che non possono perciò essere ratificati o convalidati dal titolare della giurisdizione (si veda, sul punto, Cass. I, n. 23372/2015). Correlativamente, si ritiene giuridicamente inesistente il provvedimento giurisdizionale che, quantunque materialmente esistente e ascrivibile a un giudice, sia tuttavia privo del requisito minimo della provenienza da un organo giudiziario investito del potere di decisione in una materia riservata agli organi della giurisdizione penale e, come tale, risulti esorbitante, siccome invasivo dello specifico campo riservato al giudice penale, dai limiti interni e oggettivi che, alla stregua dell'ordinamento positivo, discriminano il ramo civile e quello penale nella distribuzione della “jurisdictio” (Cass. S.U., n. 25/1999).

Tuttavia, la regola della rilevabilità, anche d'ufficio, del difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del procedimento non trova applicazione quando l'individuazione della giurisdizione dipenda da un accertamento di fatto, in ordine al quale si sia irreversibilmente formato il giudicato (Cass. I, n. 665/2001), anche in sede di giudizio di rinvio (Cass. I, n. 13669/1998).

I modi e i tempi della rilevabilità del difetto di giurisdizione

Nel corso delle indagini preliminari il difetto di giurisdizione deve essere rilevato dal giudice con ordinanza, adottata rebus sic stantibus, che produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto e  non vincola il pubblico ministero (art. 22). Si ritiene che l'ordinanza non sia impugnabile, ma ove sia stata sollecitata l'adozione di una misura cautelare il pubblico ministero può proporre appello avverso l'ordinanza che la respinga sul rilievo del difetto di giurisdizione.

In caso di richiesta di archiviazione per difetto di giurisdizione, inoltre, ove il giudice ritenga di condividerla dovrà emettere il decreto di archiviazione ovvero l'ordinanza di cui all'art. 409, impugnabile con reclamo al tribunale nei casi e modi stabiliti dall’art. 410-bis.

Dopo l'esercizio dell'azione penale, invece, il difetto di giurisdizione può essere rilevato solo con sentenza in ogni stato e grado del processo. La sentenza è appellabile ma anche impugnabile per saltum dinanzi alla Corte di cassazione (artt. 20, 569, 606, lett. a).

Il difetto di giurisdizione non può essere rilevato dalla persona sottoposta alle indagini nell'ambito della procedura di cui all'art. 54-quater.

Casistica

Il provvedimento di sequestro probatorio emesso da Autorità giudiziaria sprovvista di giurisdizione (nella specie, Pubblico Ministero militare), è affetto da patologia che lo rende del tutto privo di effetti, e non può neppure ritenersi conservare validità ed efficacia in via provvisoria per il termine di venti giorni, dopo il rilievo del difetto di «potestas iudicandi», in applicazione analogica dell'art. 27, poiché questa è norma riferibile soltanto alle ipotesi di difetto di competenza (Cass. I, n. 23372/2015);

sussiste la giurisdizione del giudice italiano relativamente al delitto di procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini extra-comunitari nella ipotesi in cui i migranti, provenienti dall'estero a bordo di navi «madre», siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l'intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poiché la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità, è riconducibile alla figura dell'autore mediato di cui all'art. 48 c.p., in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti, e si lega senza soluzione di continuità alle azioni poste in essere in ambito extraterritoriale (Cass. I, n. 20503/2015); è bene evidenziare, tuttavia, che è ammissibile il controllo giurisdizionale sui presupposti del sequestro preventivo eseguito all’estero su richiesta dell’autorità giudiziaria italiana (decisione assunta dalla S.C., sez. VI, all’udienza camerale del 19 ottobre 2016 – Cass. n. 52918/2016);

per l'applicabilità del principio di territorialità di cui all'art. 6 c.p., è sufficiente che in Italia sia avvenuta una parte dell'azione, anche piccola, purché preordinata - secondo una valutazione "ex post" - al raggiungimento dell'obiettivo delittuoso; ne consegue che, in tema di traffico internazionale di stupefacenti, se l'accordo tra i coimputati e la predisposizione dei mezzi occorrenti all'importazione, realizzati in Italia, appaiono preordinati all'acquisto e alla detenzione della stessa, poi effettivamente consumati all'estero, il reato deve ritenersi commesso in Italia (Cass. VI, n. 46249/2016);

l'assegnazione di un affare ad una sezione piuttosto che ad un'altra attiene non alla giurisdizione ma alla competenza interna; ne consegue che sulla dichiarazione di ricusazione intervenuta in un procedimento penale possono decidere magistrati appartenenti ad una sezione civile della stessa corte d'appello (Cass. VI, n. 44713/2013);

la domanda del condannato che, senza contestazione della condanna al pagamento delle spese del procedimento penale, deduca (sia quanto al calcolo del concreto ammontare delle voci di spesa, sia quanto alla loro pertinenza ai reati cui si riferisce la condanna) l'errata quantificazione, va proposta al giudice civile nelle forme dell'opposizione ex art. 615 c.p.c.; non rilevando a tal fine l'attribuibilità alla statuizione di detta condanna della natura di sanzione economica accessoria alla pena. (La Corte ha precisato che il giudice penale erroneamente investito, nelle forme dell'incidente di esecuzione, della domanda del condannato di accertamento dell'inesistenza dell'obbligazione di pagamento di determinate partite delle spese processuali, deve dichiarare il non luogo a provvedere sull'istanza e non il difetto di giurisdizione; tale declaratoria non preclude, di per sé, la riproposizione della stessa istanza al giudice civile competente in materia di opposizioni all'esecuzione forzata). (Vedi Corte cost. n. 98/1998 ed Corte cost. ord. n. 57/2001). (Vedi Cass. civ. S.U., n. 10959/2005, e Cass. civ. S.U., n. 19161/2009) (Cass. S.U., n. 491/2012); l'obbligo di non ingerenza dello Stato nelle attività degli «enti centrali della Chiesa», sancito dall'art. 11 del Trattato fra l'Italia e la Santa Sede stipulato l'11 febbraio 1929 e reso esecutivo in Italia con l. 27 maggio 1929 n. 810, non equivale alla creazione di una «immunità», ma si riferisce essenzialmente all'attività patrimoniale degli enti anzidetti, rimanendo pertanto escluso che esso comporti la rinuncia dello Stato ad imporre l'osservanza di norme penali e ad agire, quindi, per la repressione di fatti illeciti produttivi di eventi di rilievo penale che si verifichino in territorio italiano. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato la sentenza di merito con la quale era stato dichiarato non doversi procedere per difetto di giurisdizione nei confronti di taluni responsabili della Radio vaticana — peraltro ritenuta non annoverabile neppure fra gli «enti centrali della Chiesa» — in ordine al reato di cui all'art. 674 c.p., ipotizzato con riguardo alla emissione di onde elettromagnetiche di intensità superiore al consentito dagli impianti della stessa Radio vaticana, siti in territorio italiano) (Cass. I, n. 22516/2003).

Bibliografia

Campilongo, Sub art. 20, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2012, t. I, 291 ss.

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