Codice di Procedura Penale art. 30 - Proposizione del conflitto.Proposizione del conflitto. 1. Il giudice che rileva un caso di conflitto [28] pronuncia ordinanza con la quale rimette alla corte di cassazione copia degli atti necessari alla sua risoluzione con l'indicazione delle parti e dei difensori. 2. Il conflitto può essere denunciato dal pubblico ministero presso uno dei giudici in conflitto ovvero dalle parti private. La denuncia è presentata nella cancelleria di uno dei giudici in conflitto, con dichiarazione scritta e motivata alla quale è unita la documentazione necessaria. Il giudice trasmette immediatamente alla corte di cassazione la denuncia e la documentazione nonché copia degli atti necessari alla risoluzione del conflitto, con l'indicazione delle parti e dei difensori e con eventuali osservazioni. 3. L'ordinanza e la denuncia previste dai commi 1 e 2 non hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso. InquadramentoLa norma disciplina i modi con cui può essere proposto il conflitto e le relative conseguenze, conformandole ai principi di buon andamento dell'amministrazione della giustizia e di ragionevole durata dei processi. I modi con cui può essere proposto il conflittoIl conflitto può essere sollevato d'ufficio dal giudice che rifiuta la competenza attribuitagli da altro giudice (Cass. I, n. 1037/1995) mediante ordinanza non impugnabile, nemmeno per abnormità (Cass. I, n. 3218/1991), con la quale rimette alla Corte di cassazione la sola copia degli atti necessari alla sua risoluzione con l'indicazione delle parti e dei suoi difensori (la trasmissione della copia degli atti si spiega con il fatto che la sollevazione del conflitto non sospende il corso del procedimento). Il conflitto può essere denunciato per iscritto, a pena di inammissibilità (Cass. I, n. 2890/1994), anche dal pubblico ministero presso uno dei giudici in conflitto o da una delle parti private. In tal caso sussiste per il giudice l'obbligo dell'immediata trasmissione degli atti alla Corte di cassazione soltanto qualora l'atto di parte, a prescindere dalla fondatezza della denuncia, rappresenti una situazione astrattamente configurabile come corrispondente alla previsione di cui all'art. 28 e, cioè, ove vi siano due o più giudici che contemporaneamente prendono o rifiutano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona, condizione che non si verifica quando la parte non denunci alcun conflitto ma si limiti a sollecitare il giudice a sollevarlo contestando la competenza di altro organo giudicante (Cass. I, n. 4092/2013). La decisione del giudice di non trasmettere la denuncia alla Corte di cassazione non è impugnabile, nemmeno per abnormità (Cass. I, n. 3855/1993), trattandosi di provvedimento che non si pone al di fuori del sistema organico della legge processuale, né determina la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Cass. S.U. , n. 26/1999; Cass. S.U., n. 17/1997). Del resto, anche la sollevazione del conflitto non determina la sospensione del processo. L'indirizzo contrario, sostenuto da Cass. I, n. 1671/1990, muoveva dal presupposto — superato dalla giurisprudenza più recente — che la presentazione di una denuncia di conflitto, pur non essendo causa di sospensione del processo, non consente al giudice alcuna delibazione sulla sua fondatezza o ammissibilità, attività che sono riservate esclusivamente al giudice di legittimità, cui gli atti vanno immediatamente trasmessi. Le conseguenzeLa proposizione del conflitto non sospende il procedimento in corso. È del tutto ragionevole — ha affermato la Corte costituzionale — «che il legislatore abbia escluso l'effetto sospensivo, per evitare che denunce di conflitti manifestamente inesistenti o pretestuosi si traducano in uno strumento per paralizzare temporaneamente le sorti del processo (cfr. Relazione al progetto preliminare, p. 18) e possano incidere sui termini di custodia cautelare e di prescrizione» (Corte cost. n. 59/1993). «La circostanza che nelle more della risoluzione del conflitto l'imputato sia costretto a difendersi per lo stesso fatto innanzi a più giudici è inconveniente non trascurabile. Ma, a parte che la disciplina legislativa ha cercato di contenerlo in limiti temporali ristretti, la già illustrata validità delle ragioni poste a base della norma impugnata induce ad escludere che si tratti di aggravio ingiustificato e perciò lesivo degli artt. 2 e 3 Costituzione» (ibidem. Nello stesso senso anche la più recente Corte cost. ord., n. 198/1995 che ha comunque ribadito la necessità di un intervento legislativo sul punto). CasisticaIn tema di misure cautelari, è inammissibile il ricorso per cassazione della parte privata volto a sollevare direttamente dinanzi alla Corte di cassazione il conflitto di competenza, potendo quest'ultima denunciare il conflitto unicamente nelle forme indicate dall'art. 30, comma secondo. (In applicazione di tale principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'indagato avverso l'ordinanza del tribunale del riesame confermativa della misura cautelare personale, con il quale era stata dedotta l'esistenza di un conflitto positivo di competenza tra uffici del G.i.p. di distinti tribunali in merito all'emissione di analoghe misure custodiali) (Cass. III, n. 17085/2006). È inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal P.M. avverso un provvedimento dichiarativo di incompetenza, posto che avverso tale provvedimento è esperibile esclusivamente il conflitto di competenza ex art. 30, sollevabile dal giudice e non dal P.M., che può solo proporre denuncia di conflitto ai termini e con le modalità di cui al comma secondo del predetto articolo, in presenza di una situazione conflittuale reale ed effettiva e non potenziale (Cass. VI, n. 18310/2004). L'art. 30, comma 3, prevedendo che la denuncia del conflitto di giurisdizione e la conseguente ordinanza non hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso, mira ad evitare che il buon andamento dell'amministrazione della giustizia possa essere pregiudicato da denunce di conflitti inesistenti o pretestuosi (intesi solo a paralizzare temporaneamente le sorti del processo e ad incidere sui termini di custodia cautelare e di prescrizione), e in tal guisa corrisponde ad obiettivi indicati dalla l. delega n. 81/1987 (tra cui quello della «massima semplificazione nello svolgimento del processo»), senza affatto violare la direttiva n. 15, art. 2, comma 1, l. delega n. 81/1987. (Non fondatezza della questione di costituzionalità sollevata in riferimento all'art. 97 Cost. ed agli artt. 76 e 77 Cost., in relazione alla direttiva succitata) (Corte cost. n. 59/1993); - Posto che nelle more della risoluzione dei conflitti di giurisdizione è “a priori” incerta l'individuazione del giudice cui spetta procedere, le norme relative a tali conflitti — e, nella specie, quella che esclude l'effetto sospensivo di essi sui procedimenti in corso — non possono ritenersi lesive del principio del giudice naturale (art. 25, comma 1, Cost.), né del riparto di giurisdizione tra giudice militare e giudice ordinario (ex art. 103, comma 3, Cost.) (Corte cost. n. 59/1993). L'art. 30, comma 3, escludendo che la proposizione del conflitto di giurisdizione abbia effetto sospensivo sui procedimenti in corso, può comportare per l'imputato il non trascurabile inconveniente di doversi difendere, nelle pur ristrette more della risoluzione del conflitto, innanzi a più giudici per lo stesso fatto, ma la validità delle ragioni poste a base della previsione legislativa esclude che si tratti di aggravio ingiustificato e perciò lesivo degli artt. 2 e 3 Cost., essendo comunque auspicabile un intervento legislativo volto ad approntare una disciplina idonea a contemperare in modo diverso gli interessi in gioco. (Non fondatezza della questione sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.) (Corte cost. n. 59/1993). BibliografiaCampilongo, Sub art. 30, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2012, t. I, 366 ss. |