Codice di Procedura Penale art. 62 - Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato.

Irma Conti

Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato.

1. Le dichiarazioni comunque rese [64, 65, 66, 228, 294, 350, 364, 374, 388, 391, 421, 422, 494, 503] nel corso del procedimento dall'imputato [60] o dalla persona sottoposta alle indagini [61] non possono formare oggetto di testimonianza [191].

2. Il divieto si estende alle dichiarazioni, comunque inutilizzabili, rese dall'imputato nel corso di programmi terapeutici diretti a ridurre il rischio che questi commetta delitti sessuali a danno di minori1.

Inquadramento

La norma in esame è posta innanzitutto a  tutela dell’indagato e dell’imputato e del suo diritto alla difesa, ma è anche posta a tutela  delle modalità di formazione degli atti ed il rispetto della loro verbalizzazione e la seconda, di natura soggettiva, va individuata nella tutela del diritto di difesa dell'imputato/indagato.

Ratio

Sulla base della collocazione sistematica della norma in parola, si può ben sostenere che la tale disposizione rappresenti la prima espressione del generale riconoscimento di diritti e garanzie attribuite all'imputato (art. 60) ed all'indagato (art. 61). In questa prospettiva il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato, nelle forme e limiti stabiliti, rappresenta una concreta manifestazione del rispetto del diritto al silenzio che si traduce anche nella possibilità che non vengano acquisite dichiarazioni dall'imputato in violazione dei propri diritti. La ratio della norma, pertanto, va certamente individuata nella tutela della libertà di autodeterminazione dell'imputato e della genuinità delle dichiarazioni dallo stesso rese.

Divieto di testimonianza in generale

È il primo strumento attraverso il quale il legislatore ha inteso tutelare la libertà dell'imputato in quanto lo garantisce da eventuali irrituali acquisizioni di quanto riferito o presuntivamente dichiarato e dagli eventuali pregiudizi che ne possano derivare.

Sul piano oggettivo processuale, questa garanzia si traduce in primo luogo nell' obbligatorietà del rispetto delle modalità di documentazione (artt. 134, 142), che grava su chi acquisisce tali dichiarazioni ed impone che le stesse giungano a conoscenza del giudice attraverso  documentazione formale, ossia atti redatti nel rispetto di tutte le garanzie poste a tutela del dichiarante. Tale precetto, non solo è posto a tutela dell’indagato e dell’imputato, ma ha anche la finalità di obbligare la p.g., al rispetto delle modalità prescritte dal codice di rito, che non consente di surrogare la redazione del verbale, che costituisce una formalizzazione in funzione documentativa non altrimenti rinunciabile (Cass. II, n. 46023/2007). Né va sottaciuto che, privando di valenza le dichiarazioni non acquisite nelle forme prescritte e nella sede dibattimentale propria, la disposizione trova ragione anche nel principio del contradditorio nella formazione della prova, previsto e regolato dall'art. 111 Cost. che espressamente valorizza la prospettiva della impermeabilità del processo rispetto al materiale raccolto in assenza delle parti (Corte cost. n. 32/2002). La tutela dei predetti principi ha carattere assoluto e generale. L'uso dell'avverbio “comunque” non consente distinzioni tra dichiarazioni spontanee e sollecitate, tra imputato o indagato in reato connesso, ovvero tra coloro che hanno assunto la veste formale di indagato e coloro che, pur trovandosi nelle condizioni, non l'abbiano ancora materialmente assunta (Cass. II n. 1863/2006). In sintesi, si può quindi affermare che il mancato rispetto delle modalità di assunzione delle dichiarazioni previste dall'art. 62 deve considerarsi in violazione della predetta norma.

Ciò vale tanto per le testimonianze, quanto per le altre modalità di formazione della prova che, pur non estrinsecandosi direttamente in una dichiarazione testimoniale, realizzano un aggiramento del divieto legislativo. È il caso della registrazione fonografica realizzata occultamente da appartenenti alla polizia giudiziaria, nel corso di operazioni investigative, durante colloqui da loro intrattenuti con indagati, confidenti o persone informate sui fatti quando si tratti di dichiarazioni sulle quali sia preclusa la testimonianza in applicazione degli artt. 62 e 195, comma 4 (Cass. S.U., n. 36747/2003)

Limiti di applicazione

Il legislatore ha definito sotto molteplici profili l'ambito di applicazione della fattispecie in esame. In linea con quanto sopra esposto i limiti applicativi della disposizione possono essere distinti in quelli di natura oggettiva e soggettiva.

Ambito oggettivo

Sotto il profilo oggettivo, l’operatività del divieto è ovviamente connessa all'esistenza di un procedimento.

La Corte Costituzionale sul punto ha ulteriormente precisato che il divieto stabilito dall'art. 62, non è affatto assoluto ed illimitato. Opera, infatti, solo con riferimento a dichiarazioni rese «nel procedimento» e non è riferibile né a quelle rese al di fuori dello stesso né a quelle fornite genericamente «in pendenza del procedimento». Pertanto, ai fini dell'applicabilità della norma, occorre sempre accertare (ed è questo che essenzialmente rileva) che le dichiarazioni su cui dovrebbe vertere la testimonianza «de auditu» siano state rese (anche spontaneamente) in occasione del compimento di ciò che debba comunque qualificarsi come un (qualsiasi) atto del procedimento (Corte cost. n. 237/1993). Pertanto il divieto opera solo per le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria, alla polizia giudiziaria e al difensore nell'ambito dell'attività investigativa. Non rileva la tipologia di atto ma il rapporto con l'attività investigativa, sia esso un interrogatorio o un esame o un altro atto, e vengano ricevute da uno dei soggetti investiti di una qualifica processuale — ivi inclusa quella di ufficiale o di agente di p.g. —, per una ragione connessa al procedimento (Cass. VI, n. 1764/2012). Allo stesso modo il divieto di testimonianza avente ad oggetto le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini ha carattere assoluto e generale, e non fa distinzione tra dichiarazioni sollecitate e dichiarazioni spontanee, tra dichiarazioni dell'imputato o indagato in reato connesso, tra dichiarazioni di chi abbia già la veste formale di imputato o indagato e dichiarazioni di chi, pur trovandosi sostanzialmente nella condizione di imputato o indagato, non ne abbia ancora assunto la qualità formale (Cass. II, n. 1863/2005). Alla luce di questa delimitazione del divieto in parola sotto il profilo oggettivo, deve considerarsi pienamente valida ed utilizzabile la testimonianza su dichiarazioni rese dall'imputato prima ovvero fuori del procedimento ovvero, anche con procedimento in corso, ma che sia priva di connessione con esso. In applicazione del principio esposto deve dapprima affermarsi che non rientrino nel divieto le dichiarazioni afferenti un fatto diverso, dovendosi intendere per tali quelle che non sono espressione un collegamento funzionale tra le dichiarazioni ed un atto del procedimento.

Ambito soggettivo

Come evidenziato in premessa, i limiti applicativi della norma sono anche di natura soggettiva, ossia legati alla persona del dichiarante ovvero del ricevente la dichiarazione.

1) Per quanto riguarda il dichiarante deve, ovviamente, trattarsi di un imputato ovvero di un indagato che abbiano già assunto il relativo status. La problematica maggiore atterrà alla persona dell’indagato la quale, diversamente da quella dell’imputato, non conosce un momento sacramentato per la sua insorgenza. Sarà, quindi, onere del giudice accertare, sulla base di tutte le risultanze in atti, se le dichiarazioni siano state acquisite in un momento precedente o successivo all'inizio dell’attività investigativa.

All'imputato ed indagato va, altresì, parificato anche l'imputato di reato connesso. Il divieto di assunzione di testimonianza avente ad oggetto le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini ha, infatti, carattere assoluto e generale, e non fa distinzione tra dichiarazioni sollecitate e dichiarazioni spontanee, tra dichiarazioni dell'imputato o indagato in reato connesso, tra dichiarazioni di chi abbia già la veste formale di imputato o indagato e dichiarazioni di chi, pur trovandosi sostanzialmente nella condizione di imputato o indagato, non ne abbia ancora assunto la qualità formale (Cass. II, n. 1863/2005). Con riferimento alla persona imputata ovvero indagata si pone la questione se l'obbligo della verbalizzazione sia funzionale anche a rendere ulteriormente consapevole la parte dichiarante della qualifica del soggetto al quale rende le sue dichiarazioni e, quindi, del loro possibile ulteriore utilizzo. In altri termini si pone la questione se la redazione del verbale persegua anche un'ulteriore tutela dell'imputato indagato in quanto obbliga il ricevente a svelare, qualora non l'abbia ancora reso noto, la sua qualifica e lo svolgimento della sua attività professionale. Tale quesito ha rilevanza non solo teorica, ma anche pratica in quanto finisce col coinvolgere la possibilità di testimonianza delle dichiarazioni ricevute dagli agenti infiltrati. La problematica è stata risolta in radice dalla Giurisprudenza di legittimità che, in rapporto alla attività posta in essere dagli agenti sotto copertura, ha inteso privilegiare il profilo dell'attività svolta ritenendo legittima la loro testimonianza “dal momento che nell'ambito dell'operazione svolta sono stati partecipi all'azione e non hanno agito come ufficiali di polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica” (Cass. III, n. 37805/2013). Parificare gli infiltrati ai partecipi dell'attività in corso significa implicitamente elidere uno dei limiti fissati dal divieto in esame il che ha consentito di porre le testimonianze di costoro al di fuori dell'ambito applicativo della norma ma ha finito anche per fornire una risposta indirettamente positiva alla problematica che può avere ulteriori riflessi concreti in quanto finirebbe per costituire un ulteriore limite al principio della segretezza nella fase delle indagini. Sotto altro profilo, sempre finalizzato alla salvaguardia dell'attività degli agenti infiltrati, non si è inteso applicare né il divieto posto dall'art. 62, né il limite di utilizzabilità previsto dall'art. 63, comma 2, quando le stesse non possono considerarsi rese nel corso di un esame o di sommarie informazioni in senso proprio, ma si inseriscono in un contesto commissivo in atto di svolgimento, sì da integrare esse stesse le condotte materiali del reato (Cass. VI, n. 39216/2013). Anche in questo caso l'esclusione dei divieti si pone in rapporto alla prevalente valenza da riconoscersi all'attività dei soggetti infiltrati in rapporto alla quale non solo nessuna valenza ha il potere certificativo attribuitogli dalla qualifica ricoperta ma soprattutto la stessa oggettività della dichiarazione confluisce nell'attività perdendo la propria autonomia, di talché la stessa testimonianza finisce per vertere non più sulla dichiarazione ma sull'azione in cui è inglobata e che rende pienamente valida la testimonianza sul punto.

2) Quanto alla persona che riceve le dichiarazioni, alla luce di quanto fino ad ora evidenziato, non v'è dubbio che debba essere un soggetto sottoposto all'obbligo di verbalizzazione il che circoscrive l'ambito alle dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria ma, soprattutto, alla polizia giudiziaria. Sotto questo aspetto si è già esaminato, per i riflessi che ha sulla posizione del soggetto che rende le dichiarazioni, la figura dell'infiltrato che va distinta da quella del cd. agente provocatore la condotta, diversamente da quanto evidenziato per l'agente infiltrato, è munita di una rilevanza causale nel fatto commesso dal provocato in quanto determinante un intento delittuoso prima inesistente. Secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza di questa Corte non sono lecite le operazioni sotto copertura consistenti nell'incitamento o nell'induzione alla commissione di un reato da parte soggetto indagato, in quanto all'agente infiltrato non è consentito commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili e di quelle strettamente e strumentalmente connesse. Una simile condotta, oltre a determinare responsabilità penale dell'infiltrato, produce, quale ulteriore conseguenza, l'inutilizzabilità della prova acquisita e rende l'intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell'art. 6 Cedu (Cass. III, n. 37805/2013).

Altra problematica insorta con riferimento al soggetto che riceva le dichiarazioni si è posta con riferimento alle dichiarazioni ricevute dal curatore fallimentare la cui testimonianza è stata ritenuta ammissibile non essendo finalizzata la procedura fallimentare all'accertamento di ipotesi di reato in rapporto alle quali sia stato già instaurato un procedimento.

Ed ancora, sempre con riferimento alla qualifica del soggetto ricevente va evidenziato che il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato ed il connesso divieto di utilizzazione si applicano alla testimonianza resa da un ispettore del lavoro su quanto a lui riferito da persona nei cui confronti siano emersi, nel corso dell'attività ispettiva, anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato e le cui dichiarazioni, ciononostante, siano state assunte in violazione delle norme poste a garanzia del diritto di difesa, atteso che il significato dell'espressione «quando...emergano indizi di reato» — contenuta nell'art.220 disp. att. è tesa a fissare il momento a partire dal quale, nell'ipotesi di svolgimento di ispezioni o di attività di vigilanza, sorge l'obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire ai fini dell'applicazione della legge penale (Cass. S.U., n. 45477/2001).

Dichiarazione

Altro aspetto da approfondire è relativo all'oggetto stesso della norma, ovvero il concetto di dichiarazione, da intendersi quale narrazione di quanto appreso in costanza di procedimento e che inerisca al fatto per il quale si procede. Anche il concetto di dichiarazione contribuisce a circoscrivere l'ambito di applicazione della norma atteso che pone al di fuori del divieto di testimonianza i comportamenti che non siano qualificabili come dichiarazioni.

Contenuto della dichiarazione

Va, ancora rilevato che limiti si rinvengono anche con riferimento al contenuto della dichiarazione, in quanto il divieto ha per oggetto le dichiarazioni rese dall'indagato con riferimento al fatto relativamente al quale egli è stato sentito.

Detto divieto non opera, pertanto, qualora il contenuto di tali dichiarazioni rilevi ai fini dell'accertamento di altra ipotesi di reato, oggetto di distinto procedimento penale (Cass. VI, n. 25939/2015). Esulano, inoltre, dal concetto le dichiarazioni captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati, non trovando applicazione al riguardo gli artt. 62 e 63 (Cass. VI, n. 16165/2013) e ciò per l'evidente ragione che non si tratta di dichiarazione appresa direttamente dal teste, ancorché in via indiretta, e che in tal caso sarà lo stesso contenuto dell'attività di intercettazione ad avere una diretta valenza indiziaria e probatoria. Parimenti esula dal contesto dichiarativo anche quanto accertato sulla base delle dichiarazioni assunte le quali, se non possono essere oggetto di testimonianza, possono essere utilizzate per lo svolgimento di ulteriori accertamenti in rapporto ai quali non si pone alcun divieto di testimonianza (Cass. II, n. 11722/2008).

Casistica

L'acquisizione di dichiarazioni nel corso di un dialogo informale svolto in un momento in cui il dichiarante non era indagato rende la testimonianza sul contenuto della conversazione pienamente valida ed utilizzabile. Oltre alla mancanza dei presupposti per ritenere sussistente il divieto, va sottolineato che si tratta di un'ipotesi che esula anche dal divieto della testimonianza indiretta sancito dall'art 195 comma 4 e ciò in quanto le dichiarazioni di contenuto narrativo sono state rese da terzi e percepite dall'appartenente alla p.g. al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione delle medesime (Cass. VI, n. 1764/2012);

- la confessione resa da un indagato alla madre di una minore vittima di abusi sessuali è utilizzabile ancorché accidentalmente resa — in presenza dei Carabinieri — nel corso di una dichiarazione nel corso dello svolgimento di una formale deposizione innanzi ai verbalizzanti in quanto il divieto di testimonianza non ricomprende le dichiarazioni rese dall'imputato, anche se a contenuto confessorio e non importa se spontaneamente o meno, ad un soggetto che non rivesta nessuna delle qualifiche di ufficiale o agente di p.g. (Cass. III, n. 12236/2014);

- il contenuto di dialoghi intervenuti tra persone soggette alle indagini e percepiti da agenti di polizia giudiziaria presenti per finalità diverse dall'accertamento dei fatti, sono valide ed utilizzabili in quanto assunte al di fuori del procedimento. In tal caso la testimonianza assume valore di fatto storico percepito dal teste, liberamente valutabile dal giudice di merito (Cass. VI, n. 2231/2010);

- non si configura il divieto di testimonianza nel caso di dichiarazioni assunte da un agente o ufficiale di p.g. nel corso di una informale conversazione telefonica priva di qualsiasi collegamento funzionale con un atto del procedimento, sia perché l'ufficiale di p.g. non era stato investito di alcun incarico investigativo in tal senso, sia perché nel caso di specie si trattava di dichiarazioni rese al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, per cui non esisteva alcun obbligo di verbalizzazione od annotazione ex art. 357 (Cass. II, n. 46607/2009);

- non opera il divieto di cui all'art. 63 in ordine alle dichiarazioni rese dagli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci di taluni imputati oggetto di intercettazione telefonica limitatamente all'identificazione fonica dei conversanti (Cass. VI, n. 18453/2012);

- non trovano applicazione le disposizioni degli artt. 62 e 63 con riferimento alle dichiarazioni autoindizianti rese da un soggetto nel corso di una attività di captazione regolarmente autorizzata in quanto non si tratta di dichiarazioni rese all'A.G., né possono essere ricondotte alle testimonianze “de relato”, in quanto si limitato a replicare quanto riportato nella fonte originaria che resta la registrazione della conversazione (Cass. IV, n. 34807/2010);

- non rientra nel divieto la testimonianza la dichiarazione resa dalla persona sottoposta ad indagini se la stessa si inserisce in una più ampia attività fattuale quale l'accompagnamento degli operanti sul posto ove erano sotterrate armi e l'indicazione dei luoghi nei quali scavare. In questo caso si tratta di dichiarazioni inglobate in una fattispecie comportamentale in rapporto alla quale non è configurabile il divieto in oggetto (Cass. V, n. 7127/2011);

- le dichiarazioni rese all'agente di polizia giudiziaria che funga da simulato acquirente di sostanze stupefacenti nella veste di agente provocatore possono essere oggetto di testimonianza in quanto esplicitazione delle condotte che ne chiariscono il significato. Ed invero il divieto concerne soltanto le dichiarazioni rappresentative di precedenti fatti e non anche le condotte e le dichiarazioni che accompagnano tali condotte che ne chiariscono il significato, ovvero le dichiarazioni programmatiche di future condotte (Cass. IV, n. 41799/2009);

- è  legittima, perché riconducibile agli "altri casi" di cui all'art. 195, comma 4,  c.p.p. la testimonianza indiretta dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni di contenuto narrativo ricevute dall'imputato al di fuori del procedimento, ovvero prima del formale inizio delle indagini, con la conseguenza che le stesse sono liberamente valutabili dal giudice di merito, assumendo la valenza di fatto storico percepito e riferito dal teste (Cass. I, n. 15760/2017).

- è ammessa la testimonianza del curatore fallimentare sulle dichiarazioni a costui rese sia dall'imputato sia dai i testi, giacché il curatore non appartiene alle categorie indicate dall'art. 63 e la sua attività non può considerarsi ispettiva o di vigilanza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 220 disp. coord. (Cass. V, n. 3885/2014);

- non possono formare oggetto di testimonianza le dichiarazioni assunte nell'immediatezza dei fatti senza la presenza del difensore ma le stesse possono fungere da presupposto per l'ulteriore attività investigativa in rapporto alla quale non sussiste divieto di testimonianza (Cass. II, n. 11722/2008);

Bibliografia

Conso-Grevi-Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2012; Conso-Illuminati, Commentario breve al c.p.p., Padova, 201; Falato, Sulla natura degli atti precedenti alla iscrizione della notitia criminis e sull'estensibilità del divieto previsto dall'art. 62 c.p.p., in Cass. pen. 2005, 1624; Filippi, Le Sezioni Unite decretano la morte dell'agente segreto “attrezzato per il suono” in Cass. pen. 2004, 2094; Gatti, Utilizzabilità delle dichiarazioni auto indizianti, in Dir. pen. e proc. 2007, 1355; Izzo: Le sezioni unite limitano l'utilizzabilità di dichiarazioni rese in sede ispettiva di vigilanza, in Il fisco, 2002, 1178; Poggio, In tema di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria avente ad oggetto dichiarazioni spontanee di soggetti non indiziati, in Cass. pen. 2009, 2988; Puglisi, Operazioni sotto copertura tra diritto al silenzio e principio di non dispersione della prova, in Cass. pen. 2009, 2958; Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2012; 5.

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