Codice di Procedura Penale art. 109 - Lingua degli atti 1 .Lingua degli atti1. 1. Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana [169 3; 63, 201 att.]. 2. Davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato [64, 65] o esaminato [194 s., 208 s.] nella madrelingua e il relativo verbale [134 s.] è redatto anche in tale lingua [26 att.]. Nella stessa lingua sono tradotti [143 s.] gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali. 3. Le disposizioni di questo articolo si osservano a pena di nullità [177 s.].
[1] La Corte cost., con sentenza interpretativa di rigetto, 30 giugno 1994, n. 271, nel dichiarare non fondata una questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 6 d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto speciale in materia di uso della lingua tedesca e ladina nei procedimenti giurisdizionali), ha affermato quanto segue: «L'art. 109, secondo comma, [...] emanato in attuazione della direttiva n. 102 espressa nella legge di delegazione 16 febbraio 1987 n. 81, ha garantito [...] in generale al cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta il diritto ad essere interrogato o esaminato nella madre-lingua (con la conseguente redazione del relativo verbale in tale lingua, oltre che in quella ufficiale del processo), diritto attivabile a richiesta dell'interessato davanti all'autorità giudiziaria avente competenza, in primo o secondo grado nel territorio di insediamento della stessa minoranza. Tale garanzia, in quanto destinata a preservare l'effettività del diritto alla difesa di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, non solo come difesa tecnica, ma anche come autodifesa non può non spettare - indipendentemente dai contenuti particolari della disciplina introdotta per il Trentino-Alto Adige con il d.P.R. n. 574 - anche ai cittadini di lingua tedesca della Provincia di Bolzano, rispetto ai quali - sempre ai sensi dell'art. 109, secondo comma, c.p.p. - restano peraltro salvi "gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali". Nei confronti dei cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco della Provincia di Bolzano il diritto relativo alla scelta della lingua del processo di cui all'art. 17 del d.P.R. n. 574 non si presenta, quindi, alternativo, bensì concorrente con il diritto attribuito in generale a tutti i cittadini appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute ad essere interrogati o esaminati, a propria richiesta, nella lingua materna». InquadramentoL'art. 109 disciplina la lingua degli atti del procedimento penale, sancendo, al comma 1, che essa debba essere l'italiano, a garanzia dell'uniformità e della intellegibilità degli atti del procedimento (Castellucci, 2008, 6). I successivi commi della disposizione in esame prendono tuttavia in considerazione un duplice ordine di eccezioni: la prima riguarda le minoranze linguistiche riconosciute nel territorio ove si trovi il Tribunale o la Corte d'Appello, la seconda invece le disposizioni derogatorie previste da leggi speciali o trattati internazionali. In particolare, il comma 2 dell'articolo prevede che, innanzi ai giudici di primo e secondo grado, in presenza di una minoranza linguistica riconosciuta insediata nel relativo circondario o distretto, i cittadini italiani appartenenti alla stessa abbiano diritto di essere interrogati o esaminati nella propria lingua madre, su richiesta dei medesimi. In tal caso, anche il verbale deve essere redatto, oltre che in lingua italiana, anche nella lingua madre della persona interrogata o esaminata. Il secondo periodo del comma 2 prevede inoltre che gli atti del procedimento penale indirizzati a persona appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, insediata nella giurisdizione del giudice di merito procedente, debbano essere tradotti nella relativa lingua madre a seguito di richiesta del medesimo soggetto. Ai sensi del secondo periodo del comma 2, inoltre, sono fatti salvi gli «altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali». Tutte le disposizioni dell'art. 109 sono espressamente previste a pena di nullità, come disposto dal comma 3 dell'articolo. La ratio della disposizione in esame va rinvenuta nell'esigenza di eliminare ogni ostacolo all'esercizio dei diritti e delle facoltà processuali da parte del soggetto alloglotto che a qualsiasi titolo prenda parte al procedimento penale, nonché a preservare l'effettività del diritto di difesa (in tal senso Corte cost. n. 271/1994). Le minoranze linguistiche riconosciuteIl comma 2 dell'art. 109 riconosce, come anticipato, il diritto dei cittadini italiani appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta, purché insediata nel circondario o nel distretto del giudice di merito procedente, ad essere ascoltati nella propria lingua madre e a ricevere gli atti del procedimento ad essi destinati tradotti nella medesima lingua, purché ne facciano previa richiesta. Le disposizioni in commento costituiscono applicazione della norma costituzionale di cui all'art. 6 della Carta fondamentale, in forza del quale «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche», in quanto appartenenti al patrimonio etico-culturale (Barile, 1984, 38). La tutela delle minoranze linguistiche trova fondamento anche nel diritto internazionale e, in specie, all'art. 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato con l. n. 881/1977, che garantisce al soggetto appartenente ad una minoranza linguistica di non essere privato del diritto ad usare la lingua madre nell'area d'insediamento della propria comunità etnica. L'individuazione delle minoranze linguistiche riconosciute è affidata al disposto dell'art. 2, l. 15 dicembre 1999, n. 482, recante «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», in forza del quale, proprio «in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali», la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il diritto ad essere interrogato o esaminato nella lingua madre del cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, così come di ricevere tradotti gli atti del procedimento, presuppone che questi ne faccia richiesta e fornisca la prova, non già della mancata conoscenza della lingua italiana, bensì della sola formale inclusione del territorio in cui risiede tra quelli espressamente individuati nei provvedimenti amministrativi provinciali e comunali, emanati ai sensi dell'art. 3, l.15 dicembre 1999, n. 482, aventi la funzione di delimitare l'ambito territoriale di applicazione delle norme di tutela. A tal fine sarà sufficiente l'allegazione dei provvedimenti stessi (Cass. IV, n. 10198/2015). Le minoranze linguistiche negli Statuti speciali regionali Tra le disposizioni derogatorie cui fa riferimento il secondo periodo del comma 2 dell'art. 109 rientrano a pieno titolo le previsioni dello Statuto speciale della Regione Trentino Alto Adige, così come le disposizioni di attuazione dello Statuto che prevedono una serie di garanzie ulteriori rispetto a quelle codicistiche. Tra queste vi è la previsione di un'Autorità giudiziaria bilingue, con predisposizione di concorsi per l'accesso alla Magistratura riservati a candidati madrelingua tedesca o ladina. È inoltre previsto che, in caso di arresto o fermo, debba chiedersi all'indagato quale sia la propria lingua madre e procedere quindi alla redazione degli atti in tale lingua, così come alla traduzione degli atti già formati, qualora debbano essere messi a disposizione dell'indagato (art. 14); del pari è riconosciuta all'indagato cha abbia avuto notizia del procedimento penale di chiedere che si proceda nella propria lingua madre (art. 15) ed è prevista la traduzione dell'attività processuale svolta in lingua diversa da quella dell'imputato (art. 16). È altresì previsto dall'art. 18-ter del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari», nei casi di cittadino italiano appartenente a minoranza linguistica riconosciuta, in specie ladina o tedesca, per assicurare l'effettività della difesa, l'Autorità giudiziaria, nell'individuare il difensore di ufficio o nel designare il sostituto del difensore a norma dell'art. 97, comma 4, del codice di procedura penale, debba assegnare il difensore d'ufficio conformemente all'appartenenza linguistica dell'imputato. La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato, in caso di violazione della norma, nel corso di un procedimento a carico di un imputato appartenente alla minoranza linguistica tedesca, il vizio della nullità assoluta in caso di designazione, come sostituto del difensore d'ufficio ex art. 97, comma 4, di un legale non abilitato all'assistenza processuale nella lingua parlata dall'imputato, iscritto nelle liste per l'assistenza processuale nella sola lingua italiana (Cass. III, n. 40683/2018). Occorre tuttavia precisare che, anche in questo caso, l'utilizzo della lingua madre è consentito, ai sensi del d.P.R. n. 574/1988, esclusivamente nei rapporti con gli organi giudiziari situati nella provincia di Bolzano, sicché sono inammissibili i motivi di ricorso svolti per il giudizio di cassazione, redatti in parte in lingua tedesca e senza traduzione in lingua italiana (Cass. V, n. 6662/2014, in relazione ad un ricorso per Cassazione che riportava il contenuto di atti a contenuto probatorio in lingua tedesca senza riprodurre la traduzione in italiano). Sarà altresì necessario procedere a traduzione in lingua italiana di tutti gli atti processuali compiuti, in un territorio nel quale è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, nella lingua diversa ivi dominante, in caso di proseguimento del procedimento al di fuori di quel territorio. Diversamente ricorrerà la nullità sancita dal comma 3 dell'art. 109, per violazione del disposto del comma 1, che prevede la lingua italiana come lingua ufficiale degli atti processuali (Cass. V, n. 38238/2002, intervenuta in relazione al giudizio di rinvio, celebratosi, a seguito di precedente annullamento della Corte di cassazione, dinanzi alla Corte d'appello diversa, in cui gli atti in lingua tedesca contenuti nel fascicolo del dibattimento svoltosi nella regione Trentino-Alto Adige non erano stati tradotti in lingua italiana). L’oggetto della tutela delle minoranze linguistiche riconosciuteIl comma 2 dell’art. 109 prevede, in primo luogo, il diritto del cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta di essere ascoltato o interrogato, su richiesta del medesimo, nella propria lingua madre. Si tratta di un diritto riconosciuto non esclusivamente in favore dell’imputato o dell’indagato, bensì di ogni soggetto chiamato ad intervenire nel corso del procedimento penale, ivi compresi testimoni, consulenti o ausiliari del giudice. Ai medesimi soggetti è riconosciuto il diritto di ricevere tradotti nella rispettiva lingua madre gli atti loro personalmente indirizzati, tra cui la giurisprudenza di legittimità, con riferimento alle parti del processo, annovera anche le sentenze (Cass. VI, n. 1400/1998). La nozione di atti processuali Come anticipato, ai sensi del secondo periodo del comma 2 dell'art. 109, debbono essere tradotti nella lingua madre del cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica, insediata nel territorio che ricade sotto la giurisdizione del giudice di merito, tutti gli atti del procedimento a lui indirizzati. Anche in questo caso è necessaria una previa richiesta da parte del soggetto interessato, che dovrà allegare gli atti amministrativi di cui al su citato art. 3, non essendo previsto alcun dovere da parte dell'Autorità giudiziaria di procedere ad una verifica d'ufficio. L'espressione adoperata dal legislatore appare quanto mai ampia, risultando tale da ricomprendere ogni atto al quale consegua un qualche effetto giuridico nell'ambito del procedimento penale (sul punto Conso, 1959; Lozzi, 1995, 2) dalla querela fino alla sentenza definitiva, ivi compresi i verbali degli atti di indagine e dell'attività processuale. Si tratta di atti che, ai sensi del comma 1 dell'art. 109, debbono essere necessariamente e a pena di nullità redatti in lingua italiana ma che, su richiesta dell'avente diritto, ai sensi del secondo periodo del comma 2, dovranno essere tradotti nella relativa lingua madre. È tuttavia necessario che si tratti di atti destinati al soggetto istante, non sussistendo altrimenti alcun obbligo in capo all'Autorità giudiziaria. Non è tantomeno previsto un diritto in capo al soggetto alloglotta di presentare atti processuali in lingua diversa dall'italiano (Cass. S.U., n. 36541/2008ha pertanto ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 109, unitamente all'art. 143, sollevata in relazione agli artt. 3,24 e 111 Cost., nella parte in cui non consentono al cittadino straniero che non conosca la lingua italiana la proposizione dell'impugnazione in lingua diversa da questa, in quanto le norme denunciate non limitano i diritti alla difesa, all'impugnazione e alla parità delle parti e le disparità prospettate investono situazioni di mero fatto per le quali, nei congrui casi, possono essere attivati appositi rimedi, quali l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato e la restituzione nel termine). Non rientrano inoltre tra gli atti del procedimento quelli già formati in una sede diversa e che nel procedimento penale confluiscano in un secondo momento (Cass. S.U., n. 38343/2014), come ad esempio documenti, atti amministrativi o scritture private. L'ordinamento processuale non prevede infatti alcuna preclusione in ordine alla produzione di documenti redatti in lingua diversa da quella ufficiale italiana, né tantomeno un obbligo di traduzione a seguito del deposito. È tuttavia necessario procedere alla traduzione nella lingua italiana e in quella, ove diversa, parlata dall'imputato, quando tali atti non processuali assumano rilevanza al punto da arrecare, in caso di omessa traduzione, un vulnus alle prerogative difensive dell'imputato e all'attività decisionale del giudice penale (Cass. VI, n. 14041/2014, che ha ritenuto necessaria la traduzione officiosa in lingua italiana di una sentenza straniera depositata con traduzione asseverata solo se vi sia dubbio sull'attendibilità di quella prodotta, ovvero se l'utilizzo di quest'ultima possa pregiudicare i diritti di difesa, e sempre che sia stato eccepito il concreto pregiudizio derivante dalla mancata ulteriore traduzione). Tali valutazioni dovranno essere compiute nel contraddittorio tra le parti, con onore per la parte interessata alla traduzione di uno o più atti non processuali di indicarli analiticamente e di esporre le ragioni per cui la traduzione si rende necessaria (Cass. V, n. 32352/2014, che ha ritenuto legittima la mancata traduzione in lingua italiana di atti e documenti, tra i quali un interrogatorio, acquisiti nella fase delle indagini a seguito di rogatoria internazionale oggetto di generica indicazione da parte della difesa, e comunque non utilizzati nel corso del processo, proprio sul presupposto che per gli atti già formati che vengano acquisiti al processo la traduzione è obbligatoria solo se l'utilizzazione di essi possa pregiudicare i diritti di difesa dell'imputato e sempre che quest'ultimo abbia espressamente eccepito al riguardo nel corso del processo). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha più di recente confermato che l'obbligo di usare la lingua italiana si riferisce ai soli atti da compiere nel procedimento davanti all'Autorità giudiziaria che procede e non a quelli già formati in altra sede e che nel procedimento siano stati acquisiti, per i quali, invece, si pone la necessità della traduzione ove gli stessi assumano rilievo per i fatti da provare (Cass. V, n. 2707/2019). L’ambito operativo della disposizione L'art. 109, al comma 2, fa specifico riferimento alla «autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello», con esclusione dunque della Corte di Cassazione dall'ambito operativo delle disposizioni ivi previste. È stato altresì affermato dalla giurisprudenza di legittimità che il procedimento innanzi al Tribunale del riesame, in quanto caratterizzato da esigenze di celerità, con un regime di inefficacia che consegue al mancato rispetto dei termini di legge, non consente di procedere a traduzione degli atti, che dovrà avvenire a cura della parte interessata (Cass. II, n. 46439/2023, che ha ritenuto legittima la dichiarazione di inammissibilità della documentazione prodotta in lingua straniera dall'imputato, sul presupposto che nel procedimento di riesame, caratterizzato da tempi assai ravvicinati e da adempimenti il cui mancato rispetto può comportare l'inefficacia della misura, è onere della parte e non del giudice provvedere a che la documentazione prodotta sia redatta in lingua italiana o accompagnata dalla sua traduzione formale; nello stesso senso Cass. I, n. 51847/2015). Le conseguenze in caso di violazione della normaIl comma 3 dell'art. 109 prevede che le disposizioni dell'articolo debbano osservarsi «a pena di nullità». La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che a nullità prevista in caso di inosservanza dell'obbligo di traduzione degli atti del procedimento indirizzati a soggetto appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, insediata nella giurisdizione del giudice di merito, presenta carattere intermedio, ai sensi dell'art. 180, con la conseguenza che essa è sanabile, ai sensi dell'art. 183 (Cass. VI, n. 9075/2006, che ha ritenuto sanata la nullità per effetto della proposizione di un'impugnazione dalla quale, censurandosi il contenuto degli atti non tradotti, emergeva che vi fosse stata una piena comprensione del relativo contenuto), e che può essere rilevata anche di ufficio ma non dopo la sentenza di primo grado ovvero, se si è formata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo. BibliografiaBarile, Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, Milano, 1984, 38; Castellucci, L'atto processuale penale: profili strutturali e modalità realizzative, in Spangher, Trattato di procedura penale, I, II (Gli atti), Torino, 2008, 6; Conso, Atti processuali penali, in Enc. dir., IV, Milano, 1959; Lozzi, Atti processuali, II, (dir. proc. pen.), in Enc. giur., II, Roma, 1995, 2. |