Codice di Procedura Penale art. 114 - Divieto di pubblicazione di atti e di immagini 1 .

Angelo Salerno

Divieto di pubblicazione di atti e di immagini1.

1. È vietata la pubblicazione [115], anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto [329] o anche solo del loro contenuto 2.

 

2. È vietata la pubblicazione [115], anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto [116, 243, 258, 3095, 3243, 366, 395, 4092, 4192-3, 430, 432, 433] fino a che non siano concluse le indagini preliminari [405] ovvero fino al termine dell'udienza preliminare [424 s.] [, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292 ]3

2-bis. E' sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni se non e' riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento.4

3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento [431], se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado [529 s.], e di quelli 5 del fascicolo del pubblico ministero [433], se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello [605]. È sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni [500, 503].

4. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall'articolo 472, commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni [500, 503]. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile [648] e la pubblicazione è autorizzata dal ministro di grazia e giustizia 6.

5. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell'interesse dello Stato [256-258, 261-263 c.p.] ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del comma 4 7.

6. È vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni 8. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione [13 min.] 9.

6-bis. È vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta 10.

6-ter. Fermo quanto disposto dal comma 7, è vietata la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare11.

7. È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.

 

[1] La rubrica è stata così sostituita dall'art. 14 comma 1 l. 16 dicembre 1999, n. 479.

[2] Per il divieto di pubblicazione concernente i procedimenti relativi ai reati indicati nell'art. 90 Cost., v. l'art. 11 l. 5 giugno 1989, n. 219.

[3] Le parole «, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292» sono state soppresse dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198. Precedentemente l'art. 2, comma 1 lett. b), d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, aveva disposto l'inserimento, alla fine del comma, delle seguenti parole «, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292 ». Ai sensi dell'art. 9, comma,  2 d.lgs. n. 216, cit., come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b) d.l. 30 aprile 2020, n. 28conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​tali disposizioni acquistano efficacia « a decorrere dal 1° settembre 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 2) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161 , conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 2 d.lgs. n. 216, cit., prevedendo che tali disposizioni acquistano efficacia «a decorrere dal 1° maggio 2020»;  lo stesso  l'art. 1, comma 1, n. 2) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161 , anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che tali disposizioni acquistassero efficacia « a decorrere dal 1° marzo 2020»). Il termine di efficacia previsto dal testo originario  dell'art. 9 comma  2 d.lgs. n. 216 cit., era « decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto », poi differito dall'art. 1 comma 1139 lett. a) n. 2) l. 30 dicembre 2018, n. 145, legge di bilancio 2019, che lo ha sostituito con « a decorrere dal 1° agosto 2019 » e dall'art. 9, comma  2 lett. b) d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77, che lo ha sostituito con «a decorrere dal 1° gennaio 2020»).

[4] Il comma 2-bis  è stato inserito dall'articolo 2, comma 1, lett. a) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ».  Il comma è stato successivamente modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b) l. 9 agosto 2024, n. 114, che ha sostituito le parole «se non e' riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento» alle parole: «non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415-bis o 454».

V. anche l'art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., sub art. 103. V. altresì sub art. 292.

[5] La Corte cost., con sentenza 24 febbraio 1995, n. 59 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma limitatamente alle parole «del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli».

[6] Ora ministro della giustizia, ai sensi del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300.

[7] Sugli atti, documenti e quanto altro è coperto dal segreto di Stato, v. art. 39 l. 3 agosto 2007, n. 124.

[8] Periodo inserito dall'art. 10 comma 8 l. 3 maggio 2004, n. 112.

[9] Ai sensi dell'art. 50 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149,  le parole «tribunale per i minorenni», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie», con la decorrenza indicata dall'art. 49, comma 1, d.lgs. 149, cit.

[10] Comma inserito dall'art. 14 comma 2 l. n. 479, cit.

Inquadramento

Nell'esercizio della giurisdizione penale, attraverso le forme del procedimento, sono molteplici le posizioni e i diritti che vengono in rilievo e che il legislatore è chiamato a tutelare e a bilanciare tra di essi e con le esigenze di indagine e processuali, al fine di garantire il rispetto dei principi costituzionali e sovranazionali.

Tra i diritti personali, di rilievo costituzionale e riconosciuti dalle fonti sovranazionali, particolarmente esposti nel corso del procedimento penale assume particolare rilievo il diritto alla riservatezza delle parti e dei soggetti a qualunque titolo coinvolti nelle vicende giudiziarie, cui si contrappongono, da un lato, il diritto di informazione attiva e passiva, anch'esso di matrice costituzionale e di rilevo sovranazionale, nonché, dall'altro, le esigenze investigative e di accertamento giurisdizionale dei fatti oggetto del procedimento.

A seconda della fase processuale e della natura dell'atto del procedimento, il legislatore, all'art. 114, ha dunque individuato una serie di regole e limiti alla possibilità di pubblicare gli atti del procedimento e il loro contenuto, ivi comprese le immagini del procedimento stesso.

La disciplina dettata dalla disposizione in commento argina pertanto il diritto di cronaca giudiziaria e, più in generale, di informazione, a tutela sia della riservatezza delle persone coinvolte, sia dell'efficienza e della stessa efficacia del procedimento penale, specie nella fase investigativa, con esclusione della possibilità di invocare tali diritti in funzione scriminante, in riferimento al reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, dovendosi ritenere che, in relazione a tale ipotesi, il legislatore ha valutato preminente l'interesse alla non divulgazione dei dati processuali, specie se riferiti a persone minori di età, rispetto all'utilità sociale dell'informazione (Cass. I, 27986/2016).

Il legislatore infatti prevede, talvolta sovrapponendoli e in altri casi ponendoli in via alternativa, un obbligo di segreto su determinati atti del procedimento e sul loro stesso contenuto, declinato diversamente a seconda delle fasi del procedimento e della natura degli stessi, nonché un divieto di pubblicazione degli atti e, a determinate condizioni altresì del loro contenuto.

Come si avrà modo di evidenziare, l'ampiezza e l'intensità di tali limiti alla conoscibilità interna ed esterna degli atti viene diversamente modulata e subisce una serie di eccezioni, che mettono in evidenza l'ontologica differenza tra segreto processuale e divieto di pubblicazione.

Il primo, infatti, disciplinato dall'art. 329, riguarda specificamente gli atti di indagine compiuti dal Pubblico Ministero e dalla Polizia giudiziaria, le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste e permane fintanto che l'indagato o imputato non ne abbia avuto conoscenza e comunque non oltre la fase delle indagini preliminari.

Si tratta di un limite alla conoscibilità degli atti che opera, in primis, all'interno del procedimento penale ed è opponibile ai soggetti processuali diversi dall'autorità giudiziaria procedente, ivi compresi il personale amministrativo e la polizia giudiziaria incaricati del procedimento. La norma tutela in questo caso il procedimento stesso e il buon esito delle indagini preliminari, ricevendo una più intensa tutela attraverso le disposizioni dell'art. 326 c.p., che punisce a titolo di delitto la rivelazione o l'utilizzazione del segreto d'ufficio (opponibile finanche nei confronti dei componenti del CSM, secondo Cass. VI, n. 3755/2025).

Il divieto di pubblicazione riguarda invece la divulgazione degli atti e del loro contenuto all'esterno del procedimento, prescindendo dalla conoscenza o conoscibilità da parte dei soggetti coinvolti di quanto pubblicato. È un divieto che tutela la riservatezza delle parti e solo residualmente è funzionale al regolare svolgimento del procedimento penale, nei limiti di seguito precisati. La violazione del divieto, stante la diversa natura degli interessi tutelati, è sanzionata, oltre che sul piano disciplinare, mediante la più blanda contravvenzione, peraltro oblazionabile, di cui all'art. 684 c.p.

Deve dunque operarsi « una distinzione tra atti coperti da segreto ed atti non pubblicabili, in quanto, mentre il segreto opera all'interno del procedimento, il divieto di pubblicazione riguarda la divulgazione tramite la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale » (Cass. I, n. 32846/2014).

Oggetto e portata del divieto di pubblicazione

Come si è avuto modo di anticipare, la disciplina dell'art. 114 è diversamente articolata a seconda della tipologia di atti processuali e della fase del procedimento in cui si inseriscono, dettando disposizioni specifiche per determinate categorie di provvedimenti giudiziari e di atti di indagine, nonché in relazione a determinate categorie di soggetti in quanto maggiormente vulnerabili.

Occorre dunque procedere alla ricostruzione del sistema di regole ed eccezioni che rinviene dalla disciplina dell'art 114, in combinato disposto con quella del segreto d'ufficio, di cui all'art. 329, dando atto degli interventi legislativi e della Corte costituzionale registratisi nel tempo sulla prima disposizione.

In via preliminare, va tuttavia precisato che tanto l'obbligo di segreto quanto il divieto di pubblicazione riguardano gli atti e/o il loro contenuto ma non già i fatti storici cui essi si riferiscono, sicché le notizie inerenti al procedimento penale, finanche in fase di indagini preliminari, saranno liberamente divulgabili, purché acquisite fuori del procedimento.

La giurisprudenza ha pertanto escluso il reato di arbitraria pubblicazione degli atti di un procedimento a fronte della divulgazione delle notizie attinte direttamente da persona che abbia assistito o sia a conoscenza di un "fatto", quand'anche sia oggetto di accertamento da parte della autorità giudiziaria, precisando nel contempo che una notizia attinta direttamente da un testimone di un avvenimento, in quanto tale non tenuto al segreto, è liberamente divulgabile con il mezzo della stampa, mentre se detta notizia è tratta dalle dichiarazioni fatte dalla stessa persona alle autorità preposte alle indagini, la sua divulgazione con il messo della stampa costituisce reato (Cass. I, n. 10135/1994).

Esulano dall'ambito del divieto ex art. 114 altresì gli atti e i documenti formati fuori del procedimento penale, da soggetti diversi dall'autorità giudiziaria e dalla polizia giudiziaria, e in esso successivamente confluiti.

La giurisprudenza di legittimità, superando un più risalente orientamento, che estendeva il divieto ai documenti acquisiti al procedimento come prove (Cass. I, n. 10948/1995), ha infatti evidenziato che l'esclusione degli atti e dei documenti extra-processuali dal divieto di pubblicazione si impone in forza del principio di tipicità, stante il tenore letterale dell'art. 329, implicitamente richiamato dall'art. 114 e destinato a integrare ab externo la fattispecie di reato ex art. 684 c.p., nonché per ragioni di logica giuridica, che impone di escludere che qualità e matrice genetica di un documento perdano valore e significato, o li cambino, in forza della loro acquisizione processuale (Cass. I, n. 13494/2011).

La Corte ha inoltre osservato che, diversamente opinando, qualsiasi documento fosse acquisito nel corso del procedimento diverrebbe inutilizzabile fuori di esso, ivi compresi contratti, atti amministrativi, e ogni altro documento pubblico o privato (nel caso di specie trattavasi di un'informativa dell'Agenzia delle Entrate), evidenziando che rispetto a questi ultimi, l'atto di indagine compiuto è il solo provvedimento di acquisizione, con le sue specifiche motivazioni, ma non il documento che ne sia l'oggetto che, se non è segreto ab origine in quanto compiuto dagli organi delle indagini, non può per ciò solo divenirlo (Cass. I, n. 13494/2011).

In senso parzialmente diverso si è invece pronunciata, più di recente, la Corte, affermando che, pur non potendo ritenersi coperti dal segreto, gli atti extra-processuali e i documenti che dovessero essere acquisiti, durante la fase delle indagini preliminari, al fascicolo del pubblico ministero, sarebbero comunque soggetti al divieto di pubblicazione fino al termine delle indagini preliminari ovvero dell'udienza preliminare, ai sensi del comma 2 dell'art. 114, ferma la libertà di pubblicazione del relativo contenuto (Cass. I, n. 41640/2019).

Il problema si è invero posto con riferimento alla querela sporta dalla persona offesa o alla denuncia sporta dalla persona offesa o da un terzo.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la denuncia presentata al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria non rientra nel divieto di pubblicazione di cui all'art. 114 in quanto non costituisce atto di indagine compiuto da costoro, precisando che per individuare gli atti e i documenti coperti dal segreto, per i quali vige il divieto di pubblicazione, è necessario fare riferimento all'art. 329, comma 1, che indica espressamente come coperti dal segreto «gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria»: dunque, si deve trattare di atti di indagine effettuati direttamente o per iniziativa (o delega) dei predetti organi pubblici (Cass. I, n. 21290/2017).

Riguardo invece alla querela, la Corte ha ritenuto invece che detta forma di querela, consentendo al verbalizzante di porre domande all'interlocutore, costituisce atto di indagine della polizia giudiziaria coperto da segreto ai sensi dell'art. 329, comma 1, con conseguente divieto assoluto di pubblicazione ai sensi dell'art. 114, comma 1, facendo acquisire alla persona offesa la veste di persona informata dei fatti (Cass. I, n. 41640/2019). In motivazione è stato affermato che, quand'anche si trattasse di querela presentata per iscritto, ne sarebbe comunque vietata la pubblicazione, se non del solo contenuto, in quanto atto destinato a confluire nel fascicolo del pubblico ministero, soggetto in quanto tale alla disciplina di cui al comma 2 dell'art. 114 (Cass. I, n. 41640/2019). Il contrasto giurisprudenziale sul punto non risulta allo stato risolto ed è foriero di importanti implicazioni anche sul piano sostanziale della configurabilità del reatoex art. 684 c.p.

Il divieto di pubblicazione degli atti coperti da segreto e del loro contenuto

Come anticipato, l'art. 114 delinea un'articolata disciplina del divieto di pubblicazione degli atti del procedimento, nei termini sopra specificati, che varia a seconda della tipologia di atto e della fase del procedimento.

Il comma 1 della disposizione detta un divieto di pubblicazione, sia essa parziale o anche solo per riassunto, qualunque mezzo sia adoperato ( « con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione » ), avente ad oggetto gli atti coperti da segreto e il loro contenuto.

Attraverso il riferimento agli « atti coperti da segreto » , il comma 1 dell'art. 114 rinvia implicitamente alla disciplina di cui all'art. 329, che al comma 1 dispone il segreto degli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, delle richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e degli atti del giudice che provvedono su tali richieste, fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Per tali atti, dunque, parallelamente all'obbligo di segreto, c.d. segreto d'indagine, opererà il divieto assoluto di pubblicazione ex art. 114, comma 1, dell'atto in sé e del suo contenuto.

In ordine alla nozione di “contenuto” dell'atto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la parola contenuto non può essere intesa come « ciò che è contenuto in un determinato spazio o luogo » , dovendo preferirsi l'accezione di « argomento, soggetto, tema di uno scritto, di una lettera, di un discorso o di una determinata disciplina » . I giudici di legittimità hanno quindi precisato che quando nella legge si vieta la pubblicazione anche parziale degli atti – che per loro natura sono atti scritti o se si tratta di atti contenenti documenti potranno avere anche la forma di registrazione, ripresa, foto ecc. – si riferisce alla pubblicazione di ciò che in esso è esattamente scritto (o registrato, ripreso, fotografato ecc.). Al contrario, stante l'interpretazione di cui sopra della parola "contenuto", per gli atti coperti dal segreto non si può pubblicare neppure l'argomento, il soggetto, il tema di tali atti; quando invece l'atto non è segreto o non lo è mai stato rimane fermo il divieto di pubblicazione dell'atto anche in modo parziale, ma si può pubblicare l'argomento, il soggetto, il tema di tale atto. (Cass. I, n. 41640/2019).

Deve darsi tuttavia atto che la Corte, in relazione al caso di pubblicazione di « una brevissima frase riportata tra virgolette » , estratta dal verbale dell'interrogatorio dell'indagato, ha escluso che possa qualificarsi come pubblicazione parziale dell'atto, sostenendo che si tratti in questo caso della pubblicazione del suo contenuto (Cass. I, n. 43479/2013: « è stato pubblicato il contenuto dell'interrogatorio, non integrando la pubblicazione parziale dell'atto solo una brevissima frase riportata tra virgolette » ).

Il divieto di cui al comma 1, pur estremamente ampio, in quanto copre ogni forma di diffusione, con qualsiasi mezzo, degli atti coperti da segreto e del loro contenuto, in forma anche solo parziale o per riassunto, non può definirsi assoluto, dal momento che l'art. 329, comma 2, consente al pubblico ministero, quando risulti strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini, di disporre con decreto motivato la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi, nonostante astrattamente coperti dal segreto.

Gli atti non più coperti da segreto

Ai sensi del comma 2 dell'art. 114, qualora si tratti di atti non più coperti da segreto, a seguito ad esempio della c.d. discovery resasi necessaria per l'esecuzione di una misura cautelare personale o per l'espletamento di un incidente probatorio, di cui pertanto l'indagato abbia potuto avere conoscenza, è fatto comunque divieto di pubblicazione, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare, quando celebrata.

Il divieto, in questo caso, riguarda la sola pubblicazione dell'atto, estendendosi in forza del combinato disposto con il comma 1 dell'articolo, anche alla pubblicazione parziale o per riassunto, laddove – trattandosi di atti non (più) coperti da segreto – ne è liberamente pubblicabile il contenuto, anche prima del termine delle indagini o dell'udienza preliminare.

Il comma 7 dell'art. 114 prevede infatti, quale regola generale, che è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto, e il comma 2, pur limitando la possibilità di divulgazione – integrale o parziale – dell'atto in sé, non deroga a tale impostazione.

Deve tuttavia darsi atto della possibilità riconosciuta dall'art. 329, comma 3, al pubblico ministero, di imporre con decreto motivato, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, il divieto di pubblicare il contenuto di singoliatti o notizie specifiche relative a determinate operazioni.

Si tratta pertanto di una deroga eccezionale alla libertà di pubblicazione del contenuto degli atti non coperti da segreto, subordinata all'adozione di un atto specifico e motivato da parte del pubblico ministero.

Prima dell'intervento legislativo attuato con d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198, attuativo della direttiva UE/2016/343, sul rafforzamento della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, faceva eccezione al divieto di pubblicazione di cui al comma 2 la pubblicazione dell'ordinanza applicativa di misura cautelare, una volta eseguita e dunque venuto meno il segreto dell'atto.

La novella ha eliminato tale eccezione nel testo del comma 2, con conseguente impossibilità di riprodurre, anche solo parzialmente o per riassunto, il testo dell'ordinanza.

È tuttavia fatta salva la possibilità di pubblicare il contenuto dell'atto cautelare, come si evince dal testo del nuovo comma 6-ter, anch'esso introdotto dalla novella del 2024, che fa riferimento esclusivamente al divieto di pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali (con conseguente possibilità di pubblicare un'ordinanza di sequestro), ribadendo che esso vige fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.

La norma appare superflua, in parte qua, dal momento che – in quanto atto non più coperto da segreto – il medesimo effetto preclusivo della pubblicazione dell'atto sarebbe derivato in forza del disposto del comma 2, che opera a pieno titolo invece per le ordinanze applicative di misure cautelari reali (Cass. I, n. 32846/2014).

Il divieto di pubblicazione delle intercettazioni

Un'altra tipologia di atti cui il legislatore, interpolando il testo dell'art. 114, ha dedicato una disciplina speciale sono le intercettazioni: ai sensi del comma 2-bis, introdotto con il d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, e successivamente modificato con l. 9 agosto 2024, n. 114, è sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni se non è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento.

Prima dell'introduzione della disposizione in commento (operante con riferimento ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020), che nella sua originaria formulazione faceva riferimento alle intercettazioni « non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415-bis o 454 » , il divieto di pubblicazione delle intercettazioni (e del loro contenuto fintanto che l'atto fosse rimasto segreto) era destinato a cadere con il termine delle indagini preliminari ovvero dell'udienza preliminare.

Attualmente invece il divieto è permanente ma fanno eccezione quelle parti delle trascrizioni delle intercettazioni che siano state utilizzate in un provvedimento giudiziario ovvero utilizzate nel dibattimento e quindi rese pubbliche.

Va al riguardo rilevato che la riforma del 2024, oltre a modificare il testo del comma 2-bis, è intervenuta sull'art. 292, comma 4-ter, limitando fortemente la possibilità di riprodurre l'esito delle attività di captazione dell'ordinanza applicativa di misure cautelari. La nuova disposizione prevede infatti che il giudice possa riprodurre in motivazione soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, quando ciò risulti necessario per l'esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi e in ogni caso senza indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione degli elementi rilevanti.

Ne consegue che lo spazio per la pubblicazione – in passato assai diffusa – delle trascrizioni delle intercettazioni è oggi, specie a fronte della novella del 2024, assai ristretto, ferma tuttavia la libertà di pubblicazione del relativo contenuto.

Il divieto di pubblicazione nel dibattimento

 

Il comma 3 dell'art. 114 disciplina la pubblicazione degli atti nella fase del dibattimento e, nella sua originaria formulazione, prevedeva un divieto di pubblicazione, anche solo parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento (non già del loro contenuto) fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, oltre al divieto di pubblicare gli atti del fascicolo del pubblico ministero fino alla pronuncia della sentenza di appello, salvo che siano stati utilizzati per le contestazioni.

Sulla norma si è però abbattuta la sentenza della Corte costituzionale (Corte cost., n. 59/1995), con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del comma 3, limitatamente al divieto di pubblicazione degli atti contenuti del fascicolo per il dibattimento.

In motivazione, la Corte ha rilevato che il divieto di pubblicazione del fascicolo del pubblico ministero anche oltre il termine delle indagini, durante il dibattimento, è funzionale ad evitare una distorsione delle regole dibattimentali, evitando che il giudice possa formare il proprio convincimento sulla base di atti che dovrebbero essergli ignoti, ma che, in mancanza del suddetto divieto, potrebbe conoscere completamente per via extra-processuale attraverso i mezzi d'informazione.

Così individuata la ratio del divieto, la Consulta ha dunque evidenziato che essa non può estendersi a quanto contenuto nel fascicolo per il dibattimento, per definizione concernente gli atti che il giudice deve – invece – conoscere o che siano stati finanche dallo stesso compiuti.

L'introduzione del divieto per gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, non autorizzata dalla legge delega né giustificata dalla medesima ratio operante per gli atti del fascicolo del pubblico ministero, hanno quindi imposto la declaratoria parziale di incostituzionalità della disposizione (Corte cost., n. 59/1995).

Con particolare riferimento ai casi in cui, ai sensi dell'art. 472, commi 1 e 2, il dibattimento sia celebrato a porte chiuse, è previsto dal comma 4 dell'art. 114 un divieto di pubblicazione, anche solo parziale, degli atti dibattimentali compiuti, che il giudice può estendere, sentite le parti, anche agli atti o a parte degli utilizzati per le contestazioni. Il divieto ha in questo caso la medesima ratio che consente di derogare al principio di pubblicità dell'udienza dibattimentale, a tutela della riservatezza delle parti.

È in ogni caso previsto che il divieto di pubblicazione venga meno con il decorso dei termini previsti dalla legge sugli archivi di Stato o comunque il termine di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza, previa autorizzazione alla pubblicazione da parte del ministro della Giustizia.

In mancanza invece della celebrazione del dibattimento, come nel caso di riti alternativi o di archiviazione (Cass. I, n. 22503/2024), gli atti del procedimento gli atti del procedimento sono pubblicabili ma, ai sensi del comma 5 dell'art. 114, è comunque possibile per il giudice, sentite le parti, disporre il divieto di pubblicazione di atti o parte di essi, quando possa buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell'interesse dello Stato (c.d. segreto di Stato), o ancora causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private, ferma restando la possibilità di pubblicare gli atti decorsi dieci anni da passaggio in giudicato della sentenza o il diverso termine stabilito dalla legge, previa autorizzazione rilasciata dal Ministro della giustizia.

Gli altri divieti

Ulteriori restrizioni alla possibilità di pubblicare gli atti del procedimento sono previste dal comma 6 dell'art. 114, con specifico riferimento alle generalità e all'immagine di testimoni, persone offese o danneggiati dal reato che non abbiano compiuto i diciotto anni (analoga disposizione è dettata dall'art. 13 d.P.R. n. 448/1988, codice di procedura penale minorile, che prevede un divieto di pubblicazione e di divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento, ivi compresi in questo caso gli imputati).

Il comma 6 prosegue vietando altresì la pubblicazione di elementi che consentano, anche solo indirettamente, di identificare i minori coinvolti nel procedimento.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che viola il divieto di cui al comma 6 anche la pubblicazione di un'immagine scattata per strada, dal momento che non è la tutela dell'immagine come tale che occorre tenere in considerazione, ma la idoneità della stessa a collegare al soggetto raffigurato l'avvenuto suo coinvolgimento nel procedimento penale, anche quando il nome del minore fosse già noto, in quanto la notorietà del fatto non esclude il divieto di pubblicazione – e il conseguente reato ex art. 684 c.p. – in quanto la pubblicazione conferisce alla notizia maggiore diffusione e propagazione (Cass. VI, n. 6338/1994).

Anche in questo caso è prevista una deroga al divieto, potendo il Tribunale per i minorenni, nell'esclusivo interesse del minore infra-sedicenne coinvolto, autorizzare la pubblicazione. Analogo consenso può essere accordato dal minore che abbia compiuto i sedici anni.

La ratio della disciplina in esame va rinvenuta nell'esigenza di sottrarre i minori a qualsiasi titolo coinvolti nel procedimento all'esposizione mediatica che la pubblicazione delle loro generalità, immagini o qualsivoglia altro elemento identificativo potrebbe determinare. Il divieto non copre invero gli atti processuali o il loro contenuto ma i soli elementi personali e identificativi del minore, che potranno essere all'uopo oscurati o mascherati con nomi di fantasia od ogni altro espediente utile.

Un secondo ordine di limitazioni specifiche è previsto dal comma 6-bis dell'art. 114, che vieta la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica.

In questo caso il legislatore ha inteso tutelare l'immagine e la reputazione dell'indagato o dell'imputato, rimettendo tuttavia allo stesso la valutazione in ordine alla necessità del divieto, potendo l'interessato acconsentire alla pubblicazione delle predette immagini per espressa previsione della disposizione citata.

Tra gli ulteriori divieti di pubblicazione deve infine menzionarsi quello che consegue al decreto motivato del pubblico ministero che, ai sensi dell'art. 329, comma 3, lett. a), disponga, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, l'obbligo del segreto per singoli atti, quando la relativa divulgazione, anche solo nel contenuto, possa ostacolare le indagini riguardanti altre persone ovvero quando l'imputato lo consenta. Il decreto deve riguardare singoli e specifici atti non più coperti da segreto che, per effetto dello stesso, tornano ad essere segretati, con conseguente applicazione del divieto generale di pubblicazione dell'atto e del suo contenuto di cui al comma 1 dell'art. 114.

Bibliografia

V. sub art. 109.

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