Codice di Procedura Penale art. 196 - Capacità di testimoniare.

Pierluigi Di Stefano

Capacità di testimoniare.

1. Ogni persona ha la capacità di testimoniare.

2. Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni [220] con i mezzi consentiti dalla legge.

3. I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2, siano stati disposti prima dell'esame testimoniale non precludono l'assunzione della testimonianza.

Inquadramento

 

La capacità di testimoniare è intesa in due modi diversi.

Il primo comma dell'art. 196 c.p.p. enuncia la regola generale dell'universalità della capacità a testimoniare: ogni persona può essere assunta come testimone, senza esclusioni a priori, anche in presenza di infermità mentale o di età inferiore ai quattordici anni.

A questa regola generale si affiancano, facendovi eccezione, altre disposizioni che stabiliscono casi di incompatibilità o di esclusione dalla testimonianza. Tali limitazioni, tuttavia, non operano in astratto, ma sono sempre collegate al rapporto che intercorre tra il soggetto e la specifica vicenda processuale.

La capacità di testimoniare, in base al contenuto del secondo e del terzo comma, va poi considerata quale “idoneità fisica o mentale” a rendere la testimonianza.

Il compito richiesto al testimone, difatti, comporta che questi abbia capacità di discernimento critico del contenuto delle domande al fine di fornire risposte coerenti, di valutazione delle domande di natura suggestiva, di sufficiente capacità mnemonica in ordine ai fatti specifici oggetto della deposizione nonché consapevolezza dell'obbligo di riferire con verità e completezza i fatti a sua conoscenza.

Tale idoneità consegue ad una valutazione sostanziale, nella data situazione concreta, e non è ricollegabile al diverso concetto di capacità di intendere e di volere (Cass. II, n. 3161/2013).

Accertamento della idoneità fisica o mentale

Il secondo comma prevede che il giudice abbia facoltà (“può”) di disporre gli accertamenti che ritenga opportuni, con i mezzi consentiti dalla legge, per accertare l'idoneità fisica o mentale.

La chiara interpretazione letterale è nel senso che, valendo i principi generali in tema di libera valutazione della prova,

– non vi è regola di “capacità di agire” del testimone, in particolare non è richiesto che abbia condizioni di capacità di intendere e di volere, quale richiesta dall'ordinamento per la responsabilità penale. È invece necessario e sufficiente che presenti condizioni di idoneità fisica o mentale.

– Il giudice, secondo la propria discrezionalità, potrà, ritenendolo opportuno svolgere accertamenti per controllare che il testimone abbia tale idoneità. La norma riconosce discrezionalità anche in tali “accertamenti” che potranno essere di qualsiasi tipo, non essendo forma obbligata la perizia (per quanto possa essere la forma più adeguata in casi tipici) (ad esempio, Cass. III, n. 11096/2014 riteneva mezzo adeguato escutere quali testi “qualificati” i medici che nel tempo avevano assistito il testimone).

La giurisprudenza (quella nota riguarda soprattutto testimoni infraquattordicenni parti offese in processi di violenza sessuale, ma con argomenti estensibili soprattutto a casi di infermità mentale in generale), afferma come non rilevi affatto il concetto penalistico, previsto per altre finalità, della capacità di intendere e di volere, non essendo in questione solo e soltanto la capacità di determinarsi liberamente e coscientemente.

Una incapacità a testimoniare, che precluda in radice la raccolta della deposizione, potrà ritenersi solo se elementi concreti dimostrino che la patologia psichiatrica o cerebrale determini l'impossibilità di comprendere in modo cosciente e critico il proprio ruolo, il contenuto e senso delle domande, per articolare coerenti risposte, di avere sufficiente capacità mnemonica (Cass. II, n. 45074/2023). Se non vi sia una così radicale inadeguatezza, anche se vi è una significativa patologia, le dichiarazioni potranno essere raccolte e utilizzate a fini probatori, trovando soluzione il tema della ridotta affidabilità nel rigore della valutazione (Cass. II, n. 12195/2012).

Si veda anche sub art. 194, par. 7 (“Segue. Persona offesa in reati di violenza sessuale e assimilabili”).  

 

Bibliografia

Aceto Ascolto del minore nel processo penale, Torino, 2016; Aprile, La prova penale, Milano, 2002; Aprile - Silvestri, Strumenti per la formazione della prova penale, Milano, 2009; Ferrua, Studi sul processo penale II, Torino, 1992; Giostra, La testimonianza del minore: tutela del dichiarante e tutela della verità, in Riv. it. dir. proc. pen. 2005, 1019; Muscella, Un nuovo idolum theatri: la testimonianza del minore vittima di reati sessuali, in Arch. pen. on line 2019 n. 2; Recchione, Le indagini nei casi di sospetti abusi su minori. La prova dichiarativa debole e la fruibilità degli atti di indagine, in Cass. pen. 2009, 245; Scaparro, Bambini in tribunale, in Dir. proc. pen. 1995, 1334; Tonini, La prova penale, Padova, 1997; Valentini, Il caso di Rignano: ancora un episodio del rapporto tra scienza e processo, in Cass. pen. 2008, 3343.

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