Codice di Procedura Penale art. 201 - Segreto di ufficio.Segreto di ufficio. 1. Salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria [331], i pubblici ufficiali [357 c.p.], i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio [358 c.p.] hanno l'obbligo di astenersi dal deporre [204] su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti [326 c.p.] (1). 2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 200, commi 2 e 3. (1) Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell'art. 90 Cost. «non possono essere opposti il segreto di Stato e il segreto d'ufficio»: v. art. 6 l. 5 giugno 1989, n. 219. InquadramentoLa norma in esame prevede una ulteriore eccezione al dovere di testimoniare a tutela di “segreti” ma con una rilevante differenza rispetto alle ipotesi disciplinate nei due precedenti articoli. Gli artt. 199 e 200 c.p.p. prevedono una facoltà di astensione il cui esercizio è rimesso alla volontà del testimone nell'interesse proprio e della categoria di appartenenza; quindi, l'esercizio o meno della facoltà non ha alcun diretto effetto sulla validità degli atti del processo. Nel caso, invece, dell'art. 201 c.p.p., è la stessa disposizione procedurale che impone uno specifico obbligo di comportamento dei soggetti chiamati a testimoniare: i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio sono obbligati ad astenersi in presenza di un rilevante “segreto di ufficio” (pubblico). E, trattandosi di interesse pubblico, le conseguenze della violazione dell'obbligo di condotta toccano direttamente la validità degli atti del processo: le Sezioni Unite, con sentenza n. 22327/2003, proprio in considerazione dell'essere stato il divieto fissato dalla norma processuale, hanno affermato che “la testimonianza eventualmente resa, poiché acquisita in violazione di un divieto stabilito dalla legge, è inutilizzabile”. La norma, mediante il richiamo ai commi 2 e 3 dell'articolo precedente, condivide in parte la relativa disciplina: il giudice può sindacare la sussistenza della condizione che impone l'astensione, procedendo anche in questo caso agli “accertamenti necessari”, e ordinare al testimone di deporre se ritiene che non vi siano le ragioni per opporre il segreto. La ratio della disposizione è di evitare un danno all'amministrazione, attraverso la divulgazione di notizie che, nell'interesse pubblico, devono restare segreti. In tale caso, nel rispetto del principio costituzionale di buon funzionamento della pubblica amministrazione, l'interesse al segreto di ufficio è prevalente rispetto al diritto delle parti alla prova e all'interesse della giustizia all'accertamento della verità. Come si desume dalla formulazione testuale, il segreto di ufficio non è solo quello della pubblica amministrazione in senso stretto, ma ricomprende tutte le attività tipiche dei soggetti pubblici comprendendo, ad es., anche il segreto investigativo. La stessa norma prevede un rilevante limite esterno obiettivo all'obbligo di astensione, nel caso in cui ricorra uno specifico obbligo giuridico di riferire all'Autorità giudiziaria, (denuncia obbligatoria ex artt. 361 e 362 c.p.p. dei reati di cui il soggetto pubblico abbia notizia nel corso della propria attività). Altri limiti sono previsti dall'art. 204 c.p.p., “esclusione del segreto”, al cui commento si rinvia. Si consideri come il medesimo interesse sotteso all'art. 201 c.p.p. abbia anche una tutela penale, in quanto l'art. 326 c.p.punisce espressamente la rivelazione di segreti d'ufficio; allo stato, non risulta casistica relativa all'essere tale reato configurabile nel caso in cui il testimone, pur ricorrendone le condizioni, indebitamente, con dolo o colpa, deponga riferendo segreti di ufficio. I soggettiLe nozioni di pubblico ufficiale, pubblico impiegato e incaricato di un pubblico servizio sono quelle comuni e, evidentemente, sono riferite all'organizzazione pubblica italiana. La natura della norma, eccezionale rispetto al principio generale della capacità di testimoniare, non sembra consentire di riconoscere il diritto/dovere del segreto per gli analoghi soggetti operanti nell'ambito delle istituzioni sovranazionali dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa. Difatti, nell'ambito del codice penale, tali soggetti sono equiparati a vari fini ai soggetti pubblici “interni” ma sempre con disposizioni ad hoc (si veda, in particolare, l'art. 322-bis c.p.) non essendo state modificate le definizioni generali – né, allo stato, sembra essersi affermata una interpretazione estensiva degli artt. 357 e 358 c.p. Una interpretazione letterale, e quindi restrittiva, ad esempio, escluderebbe l'opponibilità del segreto della camera di consiglio della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. È da valutare, quindi, la attuale compatibilità costituzionale di una norma così limitata/interpretata, pur se l'assenza di casistica non ha portato sinora alla luce il problema. Del resto, è stato escluso che sussista il segreto di ufficio (ma anche quello professionale) nel caso di soggetti che avevano svolto ruoli nell'ambito di un giudizio ecclesiastico (Cass. V, n. 22827/2004, si veda nel commento all'art. 200 c.p.p.). L’ambito del segretoL'ambito del segreto è delineato in termini generali dalla specificazione che si tratti di fatti che “debbano rimanere segreti” conosciuti “a causa” del rapporto di ufficio e non necessariamente nello svolgimento delle funzioni. Rientra in tale divieto, quindi, anche una notizia conosciuto dal soggetto in modo indiretto, quando possa configurarsi un obbligo di non diffonderla ulteriormente (come afferma Cass. III, n. 11664/2016 facendo riferimento al reato di rivelazione di segreto di ufficio). Al di fuori di tale ambito, ovviamente, il testimone non potrà sottrarsi all'obbligo di testimoniare. La disciplina riguarda i fatti “che devono rimanere segreti”. Dunque, non tutti i fatti (o meglio, le notizie) conosciuti per ragioni d'ufficio sono tutelati, ma solo quelli che devono restare riservati, secondo le regole proprie dell'amministrazione. Per una individuazione dell'ambito in concreto, può farsi riferimento all'ampia casistica in relazione al reato di rivelazione di segreti di ufficio. Proprio facendo riferimento alla giurisprudenza in materia, che ritiene il reato di pericolo concreto, (Cass. S.U., n. 4694/2012; Cass. VI, n. 20677/2024) integrato quindi solo quando la rivelazione di segreto sia in grado di produrre nocumento alla pubblica amministrazione, può ritenersi che tale sia anche il limite al segreto opponibile dal testimone. Ovvero, a fronte di una notizia che non pregiudica gli interessi della amministrazione, potrebbe essere dato ordine al testimone di rendere testimonianza ovvero non ritenere la sua dichiarazione inutilizzabile se resa, appunto, in generica violazione del divieto di divulgare notizie senza, però, un apprezzabile nocumento. L'art. 201 c.p.p. prevede che il soggetto sia sempre tenuto a rendere testimonianza quando si tratti di fatti per i quali sussiste l'obbligo di riferire all'autorità giudiziaria, ovvero che ricorrano le condizioni per la denuncia obbligatoria (ma non che il testimone sia stato il denunciante); anche l'art. 204 c.p.p. prevede altri ambiti di esclusione del segreto. Al di fuori di tali previsioni, non residua alcun ambito di possibile comparazione degli opposti interessi e, quindi, l'obbligo del segreto prevarrà indipendentemente dalla eventuale rilevanza minima della segretezza della notizia di ufficio e dalla importanza della prova ai fini dell'accertamento anche di gravi reati. La disposizione, difatti, non riconosce al riguardo poteri del giudice, che, in base al richiamo all'art. 200, comma 2, c.p.p., può solo valutare se ricorra il segreto. Invero, la formulazione della norma, che in sé non definisce l'ambito della segretezza, fa ipotizzare che, a determinate condizioni, un soggetto, diverso dal testimone, che rappresenti l'amministrazione abbia il potere di valutare l'interesse della stessa amministrazione al segreto e, se del caso, autorizzare il disvelamento della notizia. La assoluta assenza di casistica al riguardo non consente, però, di dare una risposta chiara. Il controllo del giudiceIl controllo del giudice è previsto in termini diretti nelle forme di cui all'articolo 200 c.p.p., ovvero, se ha “motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari”; se risulti dimostrato il suo dubbio, “ordina che il testimone deponga”. Come detto, il potere di verifica del giudice riguarda solo il profilo di sussistenza del segreto, escluso, invece, il sindacato di eventuali profili di discrezionalità nella scelta di eccepire il segreto. Nel caso dell'art. 201 c.p.p., il controllo è previsto anche in ordine al rispetto dell'obbligo di astensione perché, come si è detto, le Sezioni Unite hanno ritenuto che ricorra un divieto probatorio la cui violazione comporta la inutilizzabilità della testimonianza eventualmente resa. Ciò, quindi, dovrebbe comportare che, anche nel caso in cui il giudice abbia dato l'ordine di rendere testimonianza, possa essere successivamente svolta una valutazione della sussistenza comunque dell'obbligo di astensione. Ovvero, è possibile sindacare la scelta del primo giudice e ritenere inutilizzabile la prova in sede di impugnazione. Ciò è dimostrato dalle uniche decisioni note in tema di segreto di ufficio che riguardano proprio la valutazione ex post (in grado successivo) della utilizzabilità della testimonianza, nel particolare caso del “segreto della camera di consiglio”: la citata decisione delle S.U., riconosciuta l'esistenza di tale peculiare segreto, ha ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dai componenti di un collegio con riferimento alla deliberazione assunta e alle posizioni espresse in camera di consiglio; coerentemente con tale regola, Cass. V, n. 37095/2009, in un processo per falso ideologico a carico di un magistrato, a fronte del motivo che contestava la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai due giudici componenti del collegio giudicante, considerava che, essendo il fatto reato “intrinsecamente connesso alla dinamica della decisione assunta in camera di consiglio, sotto il profilo di cui all'articolo 479 del codice penale, l'obbligo di denuncia facente carico al pubblico ufficiale scioglie costui dal vincolo del segreto e consente che la sua testimonianza si estenda ai giudizi formulati e ai voti espressi nel segreto della camera di consiglio”; ovvero, confermava la esistenza di un segreto della camera di consiglio ma, nel caso particolare, subentrava la eccezione del trattarsi di fatti per i quali vi era obbligo di denunzia. BibliografiaBalsamo, Commento all’art. 201, in Codice di Procedura Penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, vol. II, Milano, 2020, 193; Di Chiara, Sul concorso esterno in associazione di tipo mafioso e sull’inutilizzabilità della testimonianza resa in violazione del segreto d’ufficio, in Foro it. 2003, fasc. 9, 457; Inzerillo, Violazione del segreto in camera di consiglio e conseguente inutilizzabilità della testimonianza, in Giur. it. 2004, 601; Lavarini, Segreto d’ufficio e inutilizzabilità della prova, in Dir. pen. e proc. 2004, 900. |