Codice di Procedura Penale art. 285 - Custodia cautelare in carcere.Custodia cautelare in carcere. 1. Con il provvedimento che dispone la custodia cautelare [275; 23 min.], il giudice [279] ordina agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria [57] che l'imputato [60, 61] sia catturato e immediatamente condotto in un istituto di custodia [95 att.] per rimanervi a disposizione dell'autorità giudiziaria [386 4] 1. 2. Prima del trasferimento nell'istituto la persona sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazione della libertà, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione. 3. Per determinare la pena da eseguire, la custodia cautelare subita si computa a norma dell'articolo 657, anche quando si tratti di custodia cautelare subita all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione [722] ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio a norma dell'articolo 11 del codice penale.
[1] Vedi l'art. 12 d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, conv., con modif., nella l. 6 febbraio 1980, n. 15, relativamente agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza. Il servizio di piantonamento dei detenuti ed internati ricoverati in luoghi esterni di cura è stato attribuito al Corpo di polizia penitenziaria dall'art. 5 l. 15 dicembre 1990, n. 395. InquadramentoLa custodia cautelare in carcere è la misura più afflittiva rispetto alla libertà personale e quella idonea a soddisfare qualunque esigenza cautelare, alla quale il giudice può ricorrere solo quando ogni altra misura risulta inadeguata e sempre che ne sussistano i presupposti (artt. 275 e 280). Modalità esecutiveLa custodia cautelare in carcere viene eseguita dagli ufficiali e dagli agenti della polizia giudiziaria, che su ordine del giudice conducono immediatamente la persona catturata in un istituto di custodia. Nel caso di ordinanza di custodia in carcere a carico di più imputati di uno stesso procedimento o di uno stesso reato, l'autorità giudiziaria, al fine di impedire contatti comunicativi tra costoro, può disporre che siano tenuti separati (art. 96 disp. att.). L'ordinamento penitenziario (artt. 6, 14, 33, 41-bis l. n. 354/1975) detta speciali modalità per l'esecuzione della custodia cautelare rispetto a quella relativa alle pene e alle misure di sicurezza. L'art. 216 disp. att. rinvia alle leggi che prevedono speciali modalità per l'esecuzione della custodia cautelare (v. in riferimenti normativi). Il direttore dell'istituto penitenziario, personalmente o tramite un operatore penitenziario da lui designato, svolge un colloquio con il destinatario della misura cautelare, nel corso del quale accerta, se del caso con l'ausilio di un interprete, che esso abbia precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia, illustrandone, ove occorra, i contenuti (art. 94, comma 1-bis, disp att.). Copia del provvedimento che costituisce titolo di custodia è inserito nella cartella personale del detenuto che ha sempre diritto di consultarla (art. 94 comma 1 e 1-quater disp. att.). ComputabilitàIl comma 3 riafferma il principio stabilito dall'art. 657 della computabilità del periodo trascorso in custodia cautelare al fine di determinare la pena da eseguire, aggiungendo che occorre tenere conto anche della custodia cautelare subita all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio a norma dell'art. 11 c.p. La giurisprudenza sul punto ha formulato i seguenti principi a chiarimento della disposizione: A norma dell'art.138 c.p., la pena o la custodia cautelare subita all'estero, essendo in ogni caso «computabile» quando il giudizio è rinnovato in Italia, deve essere ritenuta dal giudice a tutti gli effetti per i quali il relativo computo abbia rilievo, a prescindere, quindi, dalla non frazionabilità teorica dell'ergastolo. Ciò sta pertanto a significare che, tenuto conto delle «specie» delle pene poste a raffronto, la carcerazione subita all'estero non potrà non essere valutata, rispetto alla pena dell'ergastolo irrogata e da eseguire in Italia, come parte di un unico rapporto esecutivo, con ovvi effetti ai fini del computo del periodo di espiazione necessario per l'accesso agli istituti di emenda previsti dall'ordinamento, i quali, soli, giustificano la compatibilità costituzionale della pena perpetua con il principio sancito dall'art.27, comma 3, Cost. (v. Corte cost. n. 168/ 1994 e Corte cost. n.264/1974) (Cass. I, n. 3110/1999). In tema di fungibilità della pena, assume rilevanza la carcerazione patita in uno Stato straniero per un fatto-reato che sia espressione di un medesimo disegno criminoso la cui esecuzione, iniziata all'estero, sia stata portata a compimento in Italia. (Fattispecie in cui lo stesso soggetto ha subito all'estero un periodo di carcerazione per il delitto di esportazione verso l'Italia di ingenti quantitativi di stupefacenti, dal quale è stato assolto in Turchia, ed è stato riconosciuto colpevole in Italia, con sentenza passata in giudicato, del delitto di importazione dalla Turchia in Italia della medesima quantità di droga) (Cass. V, n. 5512/2003). In tema di fungibilità della pena, in tanto è possibile computare la detenzione patita in uno Stato straniero, in quanto essa sia relativa ad un fatto-reato per cui si è proceduto in Italia. Nel caso in cui abbiano proceduto sia l'autorità giudiziaria nazionale, sia quella straniera, si deve trattare di condotta naturalisticamente unica, parte di un medesimo disegno criminoso, la cui esecuzione, iniziata all'estero, sia stata portata a compimento in Italia. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha escluso che potesse essere riconosciuta tale situazione tra la tentata truffa, giudicata dall'autorità giudiziaria straniera, e le ricettazioni commesse nel territorio nazionale) (Cass. I, n. 31422/2006; Cass. I, 5376/2019). Al fine di determinare la pena da espiare, la custodia cautelare sofferta all'estero può essere computata solo se riferita al medesimo fatto per cui vi è stata condanna in Italia. Ne consegue che, qualora la condanna in Italia sia avvenuta per più reati in continuazione, la detenzione patita all'estero per un fatto identico a uno dei reati ritenuti dal giudice italiano avvinti da tale vincolo può essere presa in considerazione solo per esso e non anche per gli altri, in quanto l'istituto della continuazione mira a mitigare l'entità della pena complessivamente inflitta in relazione a violazioni costituenti espressione di un identico disegno criminoso, ma non sopprime la loro autonomia fenomenologica. (Fattispecie nella quale il ricorrente era stato detenuto in Francia dal 9 maggio 2004 al 30 marzo 2006, data dell'arresto a fini estradizionali, per un fatto coincidente con una soltanto delle plurime violazioni contestategli dal giudice italiano e per cui era poi intervenuta l'estradizione) (Cass. I, n. 31943/2008; Cass. I, n. 6734/2014). Compatibilità con le misure di prevenzioneÈ pacifico il principio secondo il quale la misura di prevenzione è perfettamente compatibile con lo stato di custodia cautelare in carcere, considerato che tale stato, in ogni momento, può essere fatto cessare in applicazione delle norme del codice di rito che regolano la materia (Cass. I, n. 3075/1997), in tal caso la misura di prevenzione resta sospesa in costanza della custodia cautelare in carcere. Le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale in merito alla necessità o meno di una rinnovata valutazione sulla attualità della prognosi di pericolosità in caso di cessazione della misura cautelare e ripresa della misura di prevenzione, hanno formulato il seguente principio di diritto: non è configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall'art. 75 del d.lgs. n. 159/2011, nei confronti del destinatario di una tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell'attualità e della persistenza della pericolosità sociale, da parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura. (In motivazione, la Corte ha rilevato che l'art. 14, comma 2-ter del d.lgs. n. 159 del 2011, introdotto dall'art. 4, comma 1, della legge n. 161/2017, recante modifiche al Codice antimafia, ha stabilito che la verifica della pericolosità debba avvenire ad opera del tribunale, anche d'ufficio, dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena che si sia protratta per almeno due anni). (Cass. S.U, n. 51407/2018). BibliografiaAprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Scalfati (a cura di), Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015. |