Codice di Procedura Penale art. 307 - Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini.Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini. 1. Nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini il giudice dispone le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare (1). 1-bis. Qualora si proceda per taluno dei reati indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli articoli 281, 282 e 283 anche cumulativamente (2). 2. La custodia cautelare [284-286], ove risulti necessaria a norma dell'articolo 275, è tuttavia ripristinata: a) se l'imputato ha dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dall'articolo 274; b) contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo [442, 448, 533, 605] o di secondo grado, quando ricorre l'esigenza cautelare prevista dall'articolo 274, comma 1, lettera b) (3). 3. Con il ripristino della custodia, i termini [303 1] relativi alla fase in cui il procedimento si trova decorrono nuovamente ma, ai fini del computo del termine previsto dall'articolo 303, comma 4, si tiene conto anche della custodia anteriormente subita. 4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria [57] possono procedere al fermo dell'imputato che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1 o nell'ipotesi prevista dal comma 2 lettera b), stia per darsi alla fuga. Del fermo è data notizia senza ritardo, e comunque entro le ventiquattro ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove il fermo è stato eseguito [386]. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto [384]. Con il provvedimento di convalida [391], il giudice per le indagini preliminari [328], se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare [284-286] e trasmette gli atti al giudice competente (4). 5. La misura disposta a norma del comma 4 cessa di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza, il giudice competente non provvede a norma del comma 2, lettera a) [27, 291]. (1) Comma così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 2 5 d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv., con modif., in l. 19 gennaio 2001, n. 4. (2) Comma inserito dall'art. 2 6 d.l. n. 341, cit. (3) Lettera così modificata dall'art. 5 d.l. 1° marzo 1991, n. 60, conv., con modif., nella l. 22 aprile 1991, n. 133. (4) Comma così modificato dall'art. 2 7 d.l. n. 341, cit. InquadramentoL'art. 307 stabilisce i presupposti e i limiti imposti all'applicazione di altre misure cautelari nel caso in cui le misure cautelari custodiali perdano di efficacia per la decorrenza dei termini, nonché consente il ripristino della custodia cautelare nei casi espressamente indicati. Presupposti
In generale L'espressione «imputato scarcerato», usata nel comma 1 dell'art. 307, non si riferisce necessariamente all'ipotesi in cui l'imputato sia libero, ma ha piuttosto il significato di designare lo status dell'imputato del quale sia stata comunque già ordinata la scarcerazione, a nulla rilevando il fatto che, per qualsivoglia motivo, il soggetto non sia stato ancora materialmente dimesso dal carcere (Cass. I, n. 460/1999; Cass. I, n. 11724/2005; Cass. IV, n. 46600/2005). La giurisprudenza ha chiarito, altresì, che il giudice procedente che ritenga doversi disporre la cessazione della custodia cautelare per intervenuto decorso dei relativi termini non è tenuto ad acquisire preventivamente il parere del pubblico ministero, mancando nel vigente codice di procedura penale una norma corrispondente all'art. 76, comma primo, del codice abrogato (secondo cui il giudice, nel corso del procedimento penale, non poteva comunque deliberare se non sentito il pubblico ministero, salvi i casi eccettuati dalla legge), e non potendo neppure trovare applicazione, nella suddetta ipotesi, l'art. 299, comma 3 bis, cod. proc. pen., che disciplina la diversa ipotesi della revoca ovvero sostituzione della misura (In applicazione del principio, la Corte ha affermato che correttamente il tribunale del riesame aveva ritenuto errato il provvedimento del gip di non luogo a provvedere sulla richiesta ex art. 307 cod. proc. pen., ritenendo il pubblico ministero obbligato ad esprimere il parere nei due giorni successivi alla comunicazione del momento di scadenza del termine di fase) (Cass. II, n. 43178/2024). L'adozione di misure cautelari nei confronti dell'indagato scarcerato per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare non soggiace all'osservanza di alcun termine perentorio ancorato al dies ad quem della durata della custodia cautelare (Cass. I, n. 17331/2009). Nello stesso senso si è affermato che l’adozione di misure cautelari nei confronti dell'indagato scarcerato per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare non soggiace all'osservanza di alcun termine perentorio ancorato al "dies ad quem" della durata della custodia cautelare, sicché è irrilevante l'intervallo di tempo intercorso tra la scadenza della misura custodiale e l'eventuale provvedimento di applicazione della misura cautelare, qualora il giudice valuti ancora sussistenti le esigenze cautelari (Cass. II, n. 43178/2024). Secondo la prevalente giurisprudenza, l'inciso contenuto nel primo comma dell'art. 307, che consente l'adozione di misure sostitutive «solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare», va interpretato nel senso di ricomprendere tanto l'ipotesi di permanenza di tutte, alcune, o una sola delle esigenze originarie, quanto quella di sopravvenienza di nuove esigenze, intervenute alla stessa data della scarcerazione o anche in epoca successiva (Cass. VI, n. 20897/2002; Cass. III, n. 42359/2013; Cass. VI, n. 26458/2014; Cass. III, n. 16053/2019); con la precisazione, peraltro, in alcune pronunce, che occorre una verifica in positivo della persistenza delle condizioni di applicabilità della misura e tale verifica non può consistere nel semplice richiamo dell'accertamento originario, ma deve dar conto delle ragioni per le quali le esigenze cautelari si ritengano persistenti al momento dell'applicazione della nuova misura (Cass. VI, n. 15736/2003). Un contrastante orientamento afferma, invece, che in caso di scarcerazione dell'imputato per decorso dei termini di durata massima della custodia cautelare, è legittima l'adozione, con un successivo provvedimento, di misure sostitutive non custodiali a condizione che sussistano nuove e comprovate esigenze cautelari, diverse da quelle originarie, sopravvenute successivamente alla scarcerazione (Cass. I, n. 3035/2005; Cass. II, n. 15598/2013). Richiesta del P.M. Con riferimento alle misure cautelari alternative, applicabili, ai sensi dell'art. 307 in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, vige il principio della domanda cautelare per cui è necessaria, a pena di nullità del provvedimento applicativo ex art. 178 lett. b), la richiesta del pubblico ministero, né tale richiesta può essere desunta implicitamente dal parere contrario espresso dal pubblico ministero all'accoglimento dell'istanza di scarcerazione (Cass. I, n. 12452/2001; Cass. VI, n. 31474/2003; Cass. VI, n. 29593/2011 ; Cass. I, n. 51191/2018). Il P.M., se posto nelle condizioni di pronunciarsi, ha il potere-dovere di formulare la richiesta di applicazione delle altre misure cautelari nei confronti dell'indagato o dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, ed il giudice ha il dovere di pronunciarsi sulla richiesta contestualmente all'adozione del provvedimento di carcerazione, e ciò a prescindere dall'esistenza o meno del dovere di acquisire preventivamente in ogni caso il parere del P.m. in ordine alla scarcerazione (Cass. II, n. 46196/2005). Non è nulla né inesistente la richiesta del P.m. affetta da vizi motivazionali o, corredata da motivazione meramente apparente, poiché tali irregolarità sono testualmente previste dall'art. 125, comma 3, come causa di nullità, non di inesistenza, ed esclusivamente in riferimento a provvedimenti del giudice (Cass. VI, n. 36422/2014: fattispecie in cui è stata ritenuta valida e non inesistente la richiesta cautelare del P.m. che conteneva i capi di imputazione, il rinvio per relationem agli atti di P.G. e il richiamo ai precedenti penali dell'indagato). La domanda cautelare deve essere qualificata soltanto dall'allegazione degli atti su cui si fonda (Cass. Fer., n. 34201/2009). Pertanto, se é da escludere la possibilità di adozione di misure che prescinda dall'iniziativa del pubblico ministero, a carico di questo non è previsto un obbligo di specifica e puntuale motivazione, bensì un obbligo di allegazione degli atti su cui la richiesta si fonda, mentre al giudice, una volta che la richiesta, sia pure in maniera generica o implicita, sia stata formulata, incombe l'obbligo di adeguata motivazione sulla scorta degli atti trasmessigli dal P.M. (Cass. I, n. 460/1999). Applicazione di misure alternative alla custodia cautelare
In genere A norma dei comma 1 e 1-bis, come novellato e aggiunto dall'art. 2, commi 5 e 6 del d.l. n. 341/2000, conv. in l. n. 4/2001, il giudice dispone, nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini, le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare e, nel caso, in cui si proceda per taluno dei reati indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a) il legislatore ha indicato in modo specifico le misure cautelari alternative in quelle di cui agli artt. 281 (divieto di espatrio), 282 (obbligo di presentazione alla P.G.) e 283 (divieto e obbligo di dimora), stabilendo, altresì, che esse possano essere disposte anche cumulativamente, possibilità questa prevista, peraltro, in via generale dall'art. 275, comma 3, come novellato dalla l. n. 47/2015 (v. commento sub art. 275). Il principio della domanda cautelare del P.M., la cui mancanza integra una nullità di ordine generale ex art. 178, comma 1, lett. b, è applicabile anche con riferimento alle misure cautelari alternative previste dall'art. 307, comma 1 bis (Cass. VI, n. 29593/2011). Arresti domiciliari Il giudice può disporre le altre misure cautelari di cui ricorrono i presupposti. Fra tali altre misure non può ritenersi compresa quella degli arresti domiciliari. Infatti, l'ampia formulazione dell'art. 284 comma 5- secondo cui l'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare — non consente l'apposizione di limiti a tale equiparazione che ha, quindi, efficacia in ogni caso, sia ai fini dello scomputo del presofferto sulla pena definitiva, che a quelli dell'applicazione delle cosiddette misure alternative (Cass. I, n. 3659/1990). Ripristino della custodia cautelare
In genere Come già evidenziato in relazione al termine “imputato scarcerato” di cui al comma 1, nell'ipotesi disciplinata dall'articolo 307, comma 2, per il ripristino della custodia cautelare è richiesto soltanto un previo formale provvedimento di scarcerazione, attestante l'avvenuto decorso del termine di custodia, prima dell'emissione di altra ordinanza cautelare. Il provvedimento di scarcerazione costituisce l'antecedente logico necessario rispetto al provvedimento di ripristino della custodia cautelare in carcere, ma non nel senso che la materiale liberazione dell'imputato debba essere già avvenuta, bensì nel senso che vi siano tutte le premesse, di tipo giuridico e burocratico, perché la liberazione sia certa e imminente (Cass. I, n. 460/1999; Cass. I, n. 11724/2005; Cass. IV, n. 46600/2005: peraltro, quest'ultima sentenza ha precisato al riguardo, che il presupposto indispensabile per il ripristino dello stato detentivo è il pericolo di fuga, e, affinché questo ricorra, è necessario che vi sia una condizione, quanto meno potenziale e virtuale, di libertà dell'imputato e tale non è la presenza dell'imputato in carcere, in attesa dell'espletamento delle formalità burocratiche per la scarcerazione). Ai sensi del comma 2, la custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell'articolo 275, è ripristinata in due ipotesi: a) se l'imputato ha dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dall'articolo 274; b) contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre l'esigenza cautelare prevista dall'articolo 274 comma 1 lettera b). In caso di ripristino della misura cautelare, revocata per mero errore materiale di calcolo della durata, il giudice non deve effettuare alcuna indagine sull'attualità delle esigenze cautelarti (Cass. II, n. 26851/2018). Contraddittorio tra le parti Ai fini del ripristino della misura cautelare, già dichiarata inefficace per scadenza dei termini, non è richiesta l'instaurazione del contraddittorio tra le parti, garantito, invece, dalla possibilità d'impugnazione, atteso che il provvedimento di ripristino, dando semplicemente nuova attuazione a quello originario, non postula alcun accertamento circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (Cass. III, n. 46788/2008). Per tale ragione è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 307 comma 2, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui, in caso di ripristino della misura cautelare già precedentemente dichiarata inefficace, non consente il contraddittorio tra le parti (Cass. V, n. 13790/2002). Trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare Il ripristino della custodia cautelare nei confronti di soggetto il quale, dopo la scarcerazione per intervenuta decorrenza dei termini massimi di durata di detta misura, abbia violato le prescrizioni impostegli, è possibile, a differenza di quanto si verifica nel caso della fuga o del pericolo di fuga, in ogni momento dello svolgersi del giudizio e non soltanto, quindi, contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna (Cass. I, n. 1899/1992). Il ripristino della custodia in carcere è subordinato, a norma dell'art. 276, in sistematico collegamento con gli artt. 307 e 299, comma 4, al giudizio di inadeguatezza della misura violata, sulla base degli elementi indicati dall'art. 276 (entità, motivi e circostanze della violazione) — senza che sia necessaria l'inconciliabilità della misura con le esigenze di tutela della collettività, ovvero che gli elementi di parametro siano tutti suscettibili di valutazione in malam partem, essendo invece sufficiente la prevalenza di alcuni di essi, rappresentativi del periculum — nonché al giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura prescelta (ex art. 275), discrezionalmente motivato sulla base di altri elementi, quali i precedenti penali e la gravità dei reati contestati, mentre prescinde dalla dimostrazione di esigenze cautelari ulteriori rispetto a quelle già accertate dall'ordinanza genetica e ribadite da quella di scarcerazione (Cass. V, n. 780/2000; Cass. III, n. 40663/2003). Nell'ipotesi prevista dal comma 2 lett. a) dell'art. 307, il ripristino, nel corso del dibattimento, della custodia cautelare, non richiede l'espletamento dell'interrogatorio di garanzia, in quanto il provvedimento viene adottato nel rispetto della garanzia del contraddittorio, potendo l'imputato chiedere al giudice del dibattimento di rendere dichiarazioni in merito (Cass. IV, n. 37673/2004; Cass. VI, n. 742/2010). Pronuncia di condanna in primo o secondo grado A conferma di quanto affermato sopra, si è ritenuto che la richiesta del pubblico ministero volta ad ottenere il ripristino della custodia cautelare in carcere ex art. 307, comma 2, può limitarsi a fare riferimento alla sentenza di condanna — che ne costituisce il presupposto indefettibile — ed a prospettare il pericolo di fuga senza che sia necessario corredarla di ulteriori elementi posto che essa è diretta al giudice che già dispone di tutti gli atti (Cass. I, n. 5276/2002). Il comma 2, lett. b) autorizza il ripristino della custodia cautelare, contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, sempre che ricorra l'esigenza cautelare del pericolo di fuga di cui all'art. 274, lett. b), solo quando si accerti che la scarcerazione per decorrenza dei termini è avvenuta o sarebbe dovuta avvenire prima e non dopo la sentenza di condanna, trovando altrimenti applicazione il comma 1 dell'art. 307 (Cass. V, n. 311/2000). La prescrizione contenuta nell'art. 307, comma 2, lett. b), secondo cui il ripristino della custodia cautelare, in caso di pericolo di fuga, è possibile solo contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna presuppone che si verta in caso di intervenuta caducazione della misura per decorrenza dei termini. Detta prescrizione, quindi, non deve essere osservata quando il suindicato presupposto sia insussistente (Cass. I, n. 3580/1994: nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha riconosciuto la legittimità di una ordinanza applicativa di custodia cautelare emessa, in assenza del presupposto in questione, in fase deliberativa e motivata sulla base della ritenuta esistenza del pericolo di fuga; ordinanza la quale risultava depositata in cancelleria prima della pubblicazione del dispositivo della sentenza di condanna). Peraltro, si è affermato che il giudice di secondo grado può adottare il relativo provvedimento, ai sensi dell'art. 307, comma 2, lett. b), non solo contestualmente alla conferma della sentenza di condanna, ma anche prima dell'emissione della decisione di sua competenza, laddove ricorra un concreto pericolo di fuga desunto da elementi e fatti «nuovi» rispetto a quelli eventualmente apprezzati, a tal fine, prima della scarcerazione (Cass. VI, n. 43782/2014: fattispecie relativa ad ordinanza di ripristino della custodia cautelare emessa dalla Corte d'appello prima dell'udienza fissata per la discussione, nei confronti di un imputato che, condannato in primo grado alla pena di anni otto, mesi due di reclusione, e gravato da altra condanna irrevocabile alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione aveva ottenuto — previa denuncia di smarrimento — un nuovo passaporto valido per l'espatrio tramite un'ambasciata italiana in un Paese estero). Ai fini del ripristino, l'entità della pena detentiva inflitta, ancorché elemento di imprescindibile valenza, non costituisce l'unico parametro di riferimento, ma si colloca nel quadro di una più complessa valutazione in cui il giudice deve tenere conto anche della natura e della gravità del reato in funzione del giudizio di probabilità che il condannato possa sottrarsi all'esecuzione della sentenza quando essa divenga irrevocabile (Cass. I, n. 5468/2010). Il giudice della cautela — oltre ad avere riguardo alle esigenze connesse al pericolo di fuga che deve profilarsi con ragionevole probabilità, e non solo come mera possibilità, in ragione di attuali e concreti profili comportamentali — deve accertare, ex art. 275, comma 3, se ogni altra misura risulti inadeguata esplorando la possibilità di misure alternative (Cass. V, n. 13080/2011). In sede di impugnazione cautelare, l'ordinanza di ripristino della custodia in carcere, erroneamente adottata dal giudice procedente dopo la pronuncia della sentenza di condanna nonostante l'assenza di pregresso titolo coercitivo per i reati posti a fondamento del provvedimento restrittivo, può essere riqualificata come ordinanza genetica di applicazione della misura custodiale ai sensi dell'art. 275, comma 1 bis, e confermata dal Tribunale in relazione ad esigenze cautelari diverse dal pericolo di fuga, così come l'appello proposto contro di essa deve essere riqualificato come riesame, senza che il mancato rispetto dei termini prescritti per tale rimedio determini la perdita di efficacia della misura (Cass. I, n. 45140/2014). Pericolo di fuga La sussistenza del pericolo di fuga non può essere ritenuta né sulla base della presunzione, ove configurabile, della sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall'art. 275, comma 3, né per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza, che è soltanto uno degli elementi sintomatici per la prognosi da formulare al riguardo, la quale va condotta non in astratto, e quindi in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, e perciò con riferimento a elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce (personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregressa condotta, abitudini di vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente inflitta), senza che sia necessaria l'attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o anche solo a un tentativo di fuga (Cass. I, n. 19519/2010; Cass. II, n. 2840/2013). Deve tenersi presente che pericolo di fuga di cui all'art. 274 comma 1, lett. b), nel testo modificato dalla l. n. 47 del 2015, deve essere non più solo concreto, ma anche attuale. Sussiste il pericolo di fuga, idoneo a giustificare la riemissione del titolo custodiale, qualora sopravvenga la condanna dell'imputato, in altro procedimento, per l'appartenenza ad un'associazione di stampo mafioso, stante la conclamata capacità di tale sodalizio di aiutare i sodali latitanti (Cass. II, n. 42662/2015); è stato, però, precisato che il pericolo di fuga, idoneo a giustificare la riemissione del titolo custodiale, può essere desunto dalla condanna dell'imputato per l'appartenenza ad un'associazione di stampo mafioso, a condizione che siano accertati l'attuale esistenza del sodalizio criminale ed il concreto interesse dello stesso a garantire la sottrazione alla cattura dell'imputato, avuto riguardo anche al ruolo svolto dal predetto all'interno del sodalizio medesimo (Cass. V, n. 52633/2016. Sul requisito dell’”attualità” con riferimento all’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso v. art. 274, § 4.2 dove si espongono i diversi contrastanti orientamenti giurisprudenziali. Il fermo della polizia giudiziariaA sensi del comma 4 dell'art. 307, modificato dall'art. 2, comma 7, d.l. n. 341/2000, conv. con modif. in l. n. 4/2001, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo dell'imputato che stia per darsi alla fuga, mentre l'originaria previsione faceva riferimento all'imputato “che si è dato alla fuga”. Il fermo è possibile sia nel caso in cui siano state violate le prescrizioni imposte a seguito di scarcerazione per decorrenza dei termini sia nell'ipotesi di pronuncia di una sentenza di condanna, quando si imponga un intervento di urgenza, la cui legittimità dovrà essere valutata dal giudice territorialmente competente in base al luogo in cui si è proceduto al fermo. Del fermo è data notizia senza ritardo, e comunque entro le ventiquattro ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo dove il fermo è stato eseguito. Con il provvedimento di convalida, il giudice per le indagini preliminari, se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente. L'ordinanza che dispone la misura custodiale ha carattere provvisorio. Infatti, ai sensi del comma 5, se il giudice competente non provvede a norma del comma 2 lett. a) entro 20 giorni, la misura cautelare disposta, perde efficacia. ImpugnazioneIl provvedimento che ripristina la custodia cautelare in carcere a norma dell'art. 307, comma 2, lettera b), facendo rivivere quello originario, è impugnabile dall'interessato non già mediante il riesame — rimedio proponibile solo contro le ordinanze genetiche delle misure coercitive — bensì con l'appello ex art. 310, che costituisce impugnazione di carattere generale e residuale la quale trova applicazione in tutti i casi in cui, per i provvedimenti de libertate, non possa esperirsi il riesame (Cass. VI, n. 4072/2000; Cass. IV, n. 5740/2008; Cass. V, n. 32852/2011; Cass. VI, n. 27459/2017). L'ordinanza di custodia cautelare emessa contestualmente alla sentenza di condanna dal giudice di secondo grado, sulla base di un erroneo richiamo all'art. 307, nel caso in cui l'imputato sia stato scarcerato per ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari e non per decorrenza dei termini ovvero nel caso di assenza di pregresso titolo coercitivo per i reati posti a fondamento del provvedimento restrittivo, deve essere considerata come un nuovo provvedimento cautelare ai sensi dell'art. 275 comma 1 bis, soggetto come tale al riesame. Qualora il Tribunale abbia qualificato come riesame l'appello proposto dal difensore avverso la predetta ordinanza, la diversa qualificazione giuridica dell'impugnazione non determina la perdita di efficacia della misura coercitiva per effetto dell'inutile decorso del termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti per la decisione ex art. 309 comma 9 (Cass. I, n. 43814/2008; Cass. I, n. 45140/2014). Ugualmente impugnabile con appello ex art. 310 l'ordinanza che ripristina la custodia cautelare ai sensi dell'art. 307 comma 4, in quanto il richiamo alle norme sulla convalida del fermo non muta il carattere non originario dell'ordinanza di ripristino della custodia in carcere (così Ambrosino, 2632). 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