Codice di Procedura Penale art. 406 - Proroga dei termini 1 21. Il pubblico ministero, prima della scadenza, può richiedere al giudice, quando le indagini sono complesse, la proroga del termine previsto dall'art. 405. La richiesta contiene l'indicazione della notizia di reato e l'esposizione dei motivi che la giustificano3. 2. La proroga può essere autorizzata per una sola volta e per un tempo non superiore a sei mesi4.
2- bis. [Ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a sei mesi.]5 2-ter. [Qualora si proceda per i reati di cui agli articoli 572,589, secondo comma, 589-bis, 590, terzo comma, 590-bis, e 612-bis, del codice penale, la proroga di cui al comma 1 può essere concessa per non più di una volta]6.
3. La richiesta di proroga è notificata, a cura del giudice, con l'avviso della facoltà di presentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione, alla persona sottoposta alle indagini nonché alla persona offesa dal reato che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere esserne informata. Il giudice provvede entro dieci giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie.
4. Il giudice autorizza la proroga del termine con ordinanza emessa in camera di Consiglio senza intervento del pubblico ministero e dei difensori.
5. Qualora ritenga che allo stato degli atti non si debba concedere la proroga, il giudice, entro il termine previsto dal comma 3, secondo periodo, fissa la data dell'udienza in camera di Consiglio e ne fa notificare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini nonché, nella ipotesi prevista dal comma 3, alla persona offesa dal reato. Il procedimento si svolge nelle forme previste dall'art. 127.
5- bis. Le disposizioni dei commi 3, 4 e 5 non si applicano se si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3- bis e nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 4), 7-bis) e 7-ter). In tali casi, il giudice provvede con ordinanza entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta, dandone comunicazione al pubblico ministero7.
6. Se non ritiene di respingere la richiesta di proroga, il giudice autorizza con ordinanza il pubblico ministero a proseguire le indagini. 7. Con l'ordinanza che respinge la richiesta di proroga, il giudice, se il termine per le indagini preliminari è già scaduto, fissa un termine non superiore a dieci giorni per la formulazione delle richieste del pubblico ministero a norma dell'art. 405. 8. Gli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice sono comunque utilizzabili, sempre che, nel caso di provvedimento negativo, non siano successivi alla data di scadenza del termine originariamente previsto per le indagini.
[1] Rubrica modificata dall'art. 22, comma 1, lett. b), n. 3 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 che ha sostituito le parole «dei termini» alle parole «del termine». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [2] Articolo modificato dall'art.1, comma 1, lett. a) e b) d.lgs. 22 giugno 1990, n. 161. La Corte cost. , con sentenza 15 aprile 1992, n. 174 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 406, primo comma, nelle parti in cui prevedeva che il giudice possa prorogare il termine per le indagini preliminari solo "prima della scadenza" del termine stesso. Da ultimo sostituito dall'art. 6, comma 2, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., l. 7 agosto 1992, n. 356. [3] Comma modificato dall'art. 22, comma 1, lett. b), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 che ha sostituito alle parole «quando le indagini sono complesse» alle parole «per giusta causa». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [4] Comma sostituito dall'art. 22, comma 1, lett. b), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 . Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [5] Comma inserito dall'art. 4, comma 1, l. 21 febbraio 2006, n. 102 e successivamente abrogato dall'art. 98, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 150/2022. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199; v. anche art. 88-bis, comma 2, d.lgs. n. 150 cit. [6] Comma inserito dall'art. 4, comma 1, l. 21 febbraio 2006, n. 102 ; successivamente modificato dall'art. 2, comma 2, lett. f) d.l. 14 agosto 2013, n. 93, con., con modif., in l. 15 ottobre 2013, n. 119 e dall'art. 1, comma 5, lett. c) l. 23 marzo 2016, n. 41 e da ultimo abrogato dall'art. 98, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 150/2022. [7] Comma modificato dall'art. 3, comma 1, d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv., con modif., l.19 gennaio 2001, n. 4 ; successivamente dall'art. 1, comma 1, d.l. 5 aprile 2001, n. 98, conv. in l. 14 maggio 2001, n. 196 e, da ultimo, dall'art. 17, comma 1, lett. b) l. 28 giugno 2024, n. 90 che ha sostituito le parole «numeri 4), 7-bis) e 7-ter)» alle parole «numeri 4 e 7-bis». InquadramentoL'art. 406 fissa il regime della proroga ai termini per le indagini preliminari che il P.M. può chiedere in presenza di determinate condizioni. La regola è che il P.M., prima della scadenza, può richiedere al giudice “per la complessità delle indagini”, la proroga del termine (semestrale, annuale o di un anno e sei mesi) indicato dall'art. 405. Il p.m. deve non solo indicare la notizia di reato, ma anche, e soprattutto, esporre i motivi che la giustificano. Non è più consentito al P.M. chiedere al giudice “ulteriori proroghe” (che tuttavia erano consentite solo in due ipotesi: a) casi di particolare complessità delle indagini; b) oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato). La proroga può essere autorizzata dal giudice er un tempo non superiore a sei mesi e per una sola volta. Quanto alle modalità procedurali, la richiesta di proroga è notificata, a cura del giudice, con l'avviso della facoltà di presentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione, all'indagato nonché alla p.o. che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere esserne informata. Il giudice provvede entro dieci giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie e autorizza la proroga del termine con ordinanza emessa in camera di consiglio senza intervento del pubblico ministero e dei difensori. Solo nel caso in cui il giudice ritenga che, allo stato degli atti, non si debba concedere la proroga, entro dieci giorni fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa notificare avviso al P.M., all'indagato nonché alla p.o. che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere esserne informata. Detta udienza si svolge nelle forme della camera di consiglio. Detta disciplina non trova, però, applicazione se si procede per taluni delitti (artt. 416, commi 6 e 7; 416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui all'art. 12, commi 3 e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al d.lgs. n. 286/1998;416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli art. 473,474,600,601,602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies e 630 c.p., per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti associativi previsti dall'art. 74 t.u. approvato con d.P.R. n. 309/1990, in materia di stupefacenti, art. 291-quaterdel testo unico approvato con d.P.R. n. 43/1973, in materia di contrabbando doganale; delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale; delitti previsti dagli artt. 600, art. 600-bis, comma 1, 600-ter, comma 1 e 2, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'art. 609-ter, 609-quater, 609-octies c.p., nonché delitti previsti dall'art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286/1998). In tali casi, il giudice provvede con ordinanza entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta, dandone comunicazione al pubblico ministero. Se non ritiene di respingere la richiesta di proroga, il giudice autorizza con ordinanza il pubblico ministero a proseguire le indagini. Con l'ordinanza che respinge la richiesta di proroga, il giudice, se il termine per le indagini preliminari è già scaduto, fissa un termine non superiore a dieci giorni per la formulazione delle richieste del pubblico ministero (archiviazione o esercizio dell'azione penale). Gli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice sono comunque utilizzabili, sempre che, nel caso di provvedimento negativo, non siano successivi alla data di scadenza del termine originariamente previsto per le indagini. GeneralitàLa proroga delle indagini preliminari, l’interpretazione della Consulta e la posizione della Corte EDU La previsione del termine di sei mesi entro i quali deve essere contenuta la fase delle indagini preliminari è diretta al soddisfacimento della duplice esigenza di imprimere tempestività alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato. La ratio che sorregge la disciplina in questione trova dunque piena realizzazione nel fatto che entro quel termine la richiesta di proroga sia presentata; che debba anche intervenire la decisione del giudice entro il termine stesso è regola diversa, assente dalle previsioni della legge di delega (cfr. art. 2, n. 48, l. n. 81/1987) e suscettibile di condizionare irragionevolmente l'esercizio dell'azione penale subordinando la concessione della proroga ad evenienze imponderabili ed accidentali. Per tale ragione il Giudice delle Leggi (Corte cost. n. 174/1992) ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost., degli artt. 406, comma 1, e 553, comma 2, nella parte in cui entrambi prevedono che il giudice possa prorogare il termine stabilito per la durata delle indagini preliminari solo «prima della scadenza». Conseguentemente, caducata tale norma, mentre il pubblico ministero resta obbligato a formulare la sua istanza entro il medesimo termine, il giudice provvederà nel termine generale previsto dall'art. 121, comma 2, e quindi entro quindici giorni decorrenti dalla scadenza dei cinque giorni concessi alle parti dal comma 3 dell'art. 406 per la presentazione di memorie. La declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dei predetti articoli, peraltro, comportò come conseguenza, ai sensi dell'art. 27 l. n. 87/1953, la dichiarazione di illegittimità costituzionale anche dell'art. 406, comma 2, nella parte in cui parimenti prevede che il giudice possa autorizzare ulteriori proroghe «prima della scadenza del termine prorogato». Da qui, dunque, la sostituzione dell'art. 406 operata con l'art. 6, comma 2, d.l. n. 306/1992, convertito, con modificazioni, in l. n. 356/1992. Sempre la Corte costituzionale, nel chiarire la ratio sottesa alla norma processuale in esame, ribadì (Corte cost. n. 190/1993 che ebbe a dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 406, commi 1 e 2, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost.) che la previsione di specifici limiti temporali per lo svolgimento delle indagini preliminari, frutto di una precisa scelta del legislatore, soddisfa, da un lato, la necessità di imprimere tempestività alle investigazioni e, dall'altro, di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato, né contraddice il precetto dell'art. 112 Cost., non potendo il termine in questione, di per sé, essere considerato come un fattore idoneo a turbare le determinazioni da assumersi, al suo spirare, dal pubblico ministero. Pertanto la previsione, di una proroga del termine e della concessione di una ulteriore proroga, da parte del G.I.P., anche se richieste dal P.M. dopo la loro scadenza, porterebbe ad affidare alle incontrollate scelte del pubblico ministero il potere di stabilire il momento in cui formulare la richiesta di proroga del termine, determinando la sostanziale vanificazione dell'intera disciplina e la possibile stasi del procedimento per un tempo indefinito. Analogamente, si aggiunse che l'eventuale necessità di svolgere ulteriori atti di indagine costituisce ipotesi di mero fatto che non incide sulle determinazioni del P.M. e comunque può trovare eventuale soddisfacimento con altri mezzi processuali, restando d'altronde riservata alle discrezionali scelte del legislatore l'individuazione degli opportuni strumenti processuali in base ai quali consentire la prosecuzione delle indagini, nelle eccezionali ipotesi in cui sia risultato impossibile portarle a compimento entro il termine massimo previsto dalla legge (Corte cost. n. 239/1994, che dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 405, commi 2, 3 e 4, 406 e 407, sollevata in riferimento agli artt. 112 e 25, comma 2, Cost.). Si noti, peraltro, che secondo la giurisprudenza disciplinare delle Sezioni Unite della Cassazione, alla stregua dei principi costituzionali che presiedono all'interpretazione delle disposizioni in materia, della specifica disciplina processuale circa le modalità e i termini della fase delle indagini preliminari e dell'esercizio dell'azione penale, nonché del criterio di tassatività e tipicità che disciplina la responsabilità in parola, sussiste l'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lett. q, del d.lgs. n. 109 del 2006 (anche con riguardo alla disciplina processuale anteriore all'introduzione del comma 3 bis nell'art. 407 c.p.p. da parte della l. n. 103 del 2017, che ha sancito il dovere di esercitare l'azione penale o di richiedere l'archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all'art. 415 bis c.p.c.), nel comportamento del pubblico ministero che, scaduti i termini delle indagini preliminari, ritardi in maniera reiterata, grave ed ingiustificata la definizione dei procedimenti assegnatigli, non procedendo all'esercizio dell'azione penale o alla richiesta di archiviazione (Cass. S.U. n. 37017/2021). Di recente, la Corte di Strasburgo è poi intervenuta su un particolare aspetto del problema, ritenendo che integri una violazione del diritto all'equo processo l'eccessiva durata delle indagini preliminari relative ad un procedimento penale archiviato per prescrizione del reato in conseguenza dell'inerzia dell'autorità procedente, senza che la persona offesa abbia potuto far valere il suo diritto al risarcimento dei danni attraverso la costituzione di parte civile nel processo penale, irrilevante dovendosi ritenere al riguardo la possibilità di iniziare un'azione in sede civile per conseguire l'attuazione delle medesime pretese in seguito alla intervenuta declaratoria di prescrizione (Corte eur. dir. uomo, sez. I, 18/03/2021, n.24340). Soppressione della limitazione della proroga per alcune fattispecie di reato La previsione di termini “prorogabili” (sei mesi, ulteriormente prorogabili di sei mesi) costituisce la regola della disciplina vigente. Recentemente, tuttavia, il legislatore era intervenuto introducendo un limite alla durata delle indagini preliminari in relazione a determinate fattispecie di reato. In particolare, si era stabilito che per determinati reati (maltrattamenti contro familiari e conviventi; omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; omicidio stradale (l. n. 41/2016); lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale; atti persecutori) il termine ordinario semestrale non potesse essere prorogato più di una volta. Trattavasi di scelta opinabile, soprattutto laddove si consideri che si trattava, per alcune fattispecie (come per la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; l'omicidio stradale; le lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale) di reati che richiedono indagini sovente complesse e che impongono l'ausilio di consulenti tecnici, spesso in veste collegiale (si pensi agli incidenti stradali o a quelli in materia antinfortunistica) mentre per altri (lo stalking) proprio la natura abituale impone di regola al p.m. la verifica della serialità dei comportamenti integranti la fattispecie di atti persecutori, ciò che avrebbe potuto determinare anche una dilatazione dei termini, rendendo non sufficiente l'unica proroga consentita dalla legge processuale. L'art. 22, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma “Cartabia”), ha tuttavia abrogato il co. 2-ter dell'art. 406, c.p.p., così uniformando la proroga del termine di indagine per tali reati a quello ormai fissato, per tutti, in sei mesi, prorogabili una sola volta. Le condizioni per la “prima” prorogaCome già anticipato, la Corte costituzionale (Corte Cost. n. 174/1992), aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 406, comma 1, nella parte in cui disponeva che il giudice potesse concedere dilazioni del termine previsto o prorogato solo prima della scadenza del termine stesso. A seguito della declaratoria di incostituzionalità, intervenne il d.l. n. 306/1992, che attribuì al P.M. la possibilità di ottenere ulteriori proroghe inoltrando la richiesta anteriormente alla scadenza dei termini. La richiesta di proroga è subordinata alla presenza della complessità delle indagini. Come anticipato, l'art. 22, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma “Cartabia”), ha soppresso la previsione dell'originario co. 2-bis dell'art. 406, c.p.p., che prevedeva la possibilità di eventuali successive richieste di proroga, che, invece, presupponevano la ricorrenza di condizioni maggiormente stringenti e verificabili da parte del giudice: a) la «particolare complessità delle indagini»; b) «l'oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine». La richiesta di proroga del termine per la conclusione delle indagini preliminari, da notificare all'indagato per consentirgli di « controdedurre », deve contenere, ai sensi dell'art. 406, l'indicazione della notizia di reato e l'esposizione dei motivi che giustificano la proroga. Quanto al requisito dell'indicazione della « notizia di reato », lo stesso è assolto con l'indicazione delle ipotesi di reato per le quali vengono svolte le indagini, senza che siano necessarie indicazioni temporali e spaziali del fatto, requisiti che sono invece previsti per l'informazione di garanzia. Ciò in quanto l'informazione di garanzia è prevista per consentire all'indagato di approntare difese « di merito », mentre la notizia di reato deve essere indicata nella richiesta di proroga ex art. 406 soltanto quale « punto di riferimento » del vero oggetto del contraddittorio, che riguarda essenzialmente i motivi addotti dal P.M. per giustificare la sua richiesta (Cass. VI, n. 3027/1992; Cass. V, n. 5782/2012; Cass. II, n. 30228/2014). Secondo la giurisprudenza, il significato della locuzione normativa «accertamenti particolarmente complessi», contenuta nell'art. 305, comma 2, sulla proroga dei termini della custodia cautelare, non può essere limitato agli accertamenti ancora da compiere, ma deve estendersi a quelle attività necessarie per rendere utilizzabili nel successivo giudizio le prove già raccolte, che non rientrano nella ricerca ulteriore di nuovi dati probatori, a cui si riferisce l'art. 406 (Cass. I, n. 1613/1993).
Si noti che, secondo la giurisprudenza, le prove acquisite dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, ma in relazione alle quali risulta tempestivamente richiesta la proroga dal P.M., autorizzata dopo la chiusura delle indagini e durante la pendenza del procedimento innanzi al G.u.p., sono utilizzabili, atteso che ciò che rileva è il controllo da parte del G.i.p sull'operato del P.M. e sulle ragioni che rendono legittima la proroga, con l'unico limite della assenza di una pronuncia decisoria da parte del giudice in relazione al procedimento (Cass. III, n. 28124/2004; Cass. III, n. 146/1997). Si è ancora aggiunto che non è abnorme il provvedimento con il quale il G.i.p. concede la proroga del termine delle indagini preliminari per un tempo già scaduto al momento dell'autorizzazione, poiché una tale limitazione rientra nella discrezionalità del giudice e realizza la ratio dell'art. 406, comma 2-bis. rendendo utilizzabili gli atti eventualmente compiuti nel tempo intermedio (Cass. V, n. 659/1996, fattispecie nella quale l'istanza di proroga era stata presentata in prossimità della scadenza del termine di cui all'art. 405). Peraltro, nel caso in cui, dopo nuove indagini ed emergenze, si sia proceduto legittimamente a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, è dalla data relativa a quest'ultima che decorre il termine semestrale per il compimento delle indagini preliminari, previsto dall'art. 405, comma 2, e, conseguentemente, è a tale data che occorre fare riferimento al fine di valutare la tempestività (o non) della eventuale richiesta di proroga del suddetto termine ex art. 406, comma 1, stesso codice, essendo la precedente iscrizione superata dalle successive vicende processuali (Cass. V, n. 1152/1992; Cass. III, n. 32998/2015, che ha peraltro aggiunto che il termine per le indagini preliminari, previsto dall'art. 405 decorre in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione nell'apposito registro, senza che possa essere posto alcun limite all'utilizzazione di elementi emersi prima della detta iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti). Si è inoltre esclusa l'abnormità del provvedimento del G.I.P. il quale dichiari non luogo a provvedere in ordine alla richiesta di proroga delle indagini inoltrata dal P.M. successivamente all'invio da parte dello stesso P.M. dell'avviso della loro conclusione ai sensi dell'art. 415 bis, sul presupposto che, una volta chiuse le indagini, la norma prevede solo il termine di trenta giorni per l'espletamento di nuove indagini conseguenti alla richiesta dell'indagato, atteso che non si tratta di un provvedimento che si pone al di fuori dell'ordinamento processuale o che determina una stasi processuale (Cass. V, n. 37760/2001). Consolidato è poi in giurisprudenza che deve considerarsi illegittima l'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari rigetti per tardività la richiesta del pubblico ministero di proroga del termine di durata delle indagini preliminari, in quanto proposta oltre il termine di sei mesi dall'iscrizione della notizia di reato, qualora non si tenga conto dell'ulteriore periodo di quarantacinque giorni correlato alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (Cass. V, n. 1514/1992, fattispecie relativa ad annullamento dell'ordinanza, in quanto, nel momento in cui il P.M. avanzava la richiesta di proroga, il termine delle indagini non era ancora decorso; Cass. IV, n. 32976/2009). Vale solo la pena di ricordare che attualmente il termine di sospensione per il periodo feriale è di giorni 30 e non più di 45 giorni per effetto delle modifiche introdotte alla l. n. 742/1969 dal d.l. n. 132/2014 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile), conv. con modif. in l. n. 162/2014 (art. 16). Diversamente, il deposito della richiesta di proroga delle indagini da parte del P.M. nella cancelleria del G.i.p. effettuato oltre l'orario di ufficio, ma comunque prima della scadenza del termine, non costituisce ragione di nullità, per il principio di tassatività di cui all'art. 177 ed attenendo il termine di cui all'art. 172, comma 6 esclusivamente all'istituto processuale della decadenza (Cass. V, n. 4591/1994). La disciplina transitoria della riforma “Cartabia”Per quanto concerne la disciplina transitoria della riforma “Cartabia”, l'immediata applicazione, nei procedimenti pendenti, delle nuove disposizioni in materia di termini di durata delle indagini preliminari e di termini per l'esercizio dell'azione penale, nonché delle disposizioni concernenti i rimedi introdotti al fine di garantire l'effettivo rispetto dei termini suddetti, è suscettibile di sollevare consistenti problematiche sia in sede interpretativa sia sotto il profilo pratico-operativo. Infatti, in più sedi sono stati sollevati dubbi in merito alla possibilità di considerare immediatamente operative le nuove regole sulla durata delle indagini preliminari, tanto in relazione alla (asserita) novità della definizione di notizia di reato, quanto con riferimento alla più breve durata del termine per i reati contravvenzionali e alla limitazione ad una soltanto delle proroghe assentibili dal GIP. Allo stesso modo, appare oggettivamente opinabile che i nuovi rimedi alla stasi del procedimento possano immediatamente operare nei procedimenti in cui i termini di indagine (o, addirittura, i termini per l'assunzione delle determinazioni inerenti l'azione penale) siano già scaduti alla data di entrata in vigore del d.lg. 150/2022: ciò anche e soprattutto in quanto, da un lato, il funzionamento di detti rimedi si fonda pure su flussi comunicativi, intercorrenti tra le segreterie dei pubblici ministeri e le procure generali, che hanno ad oggetto dati da acquisirsi, elaborarsi e trasmettersi in forma automatizzata; dall'altro, occorre scongiurare la possibilità che il pubblico ministero procedente si trovi costretto alla discovery degli atti senza averne potuto ottenere il differimento in presenza di esigenze ostative. Al fine di risolvere le incertezze interpretative e le altre problematiche prospettate è intervenuto l'art. 88-bis (Disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari), d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv. con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199, con cui si è ritenuto opportuno escludere dall'applicazione delle disposizioni in tema di indagini preliminari, dettate dagli articoli 335-quater, 407-bis e 415-ter, c.p.p. Il co. 2 dell'art. 88-bis, in particolare, ha previsto che “Nei procedimenti di cui al comma 1 continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 405,406,407,412 e 415-bis del codice di procedura penale e dell'articolo 127 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto”. Nel senso di una circoscritta ultrattività delle norme vigenti, hanno avuto rilievo dirimente sia la necessità di scongiurare le evidenti complicazioni di natura pratica derivanti dalla contestuale applicazione di regimi diversi nell'ambito d'un medesimo procedimento, sia la considerazione delle possibili ricadute negative sulle indagini in corso dell 'attivazione – rispetto alle notitiae criminis connesse o collegate – dei nuovi rimedi introdotti e, segnatamente, dei meccanismi di discovery forzosa degli atti di indagine. L'intervento sulla materia de qua, rigorosamente circoscritto alla risoluzione delle problematiche di diritto transitorio, prescinde dagli esiti delle verifiche in corso circa eventuali correzioni da apportarsi al contenuto delle nuove norme in tema di indagini preliminari, anche con riferimento all'assetto delle competenze previste dalla riforma per l'adozione dei provvedimenti di autorizzazione al differimento del deposito di atti e delle connesse notifiche, alla conclusione delle indagini. L'avvenuta sterilizzazione di alcuni effetti problematici della riforma sui procedimenti di indagine in corso consente, nell'ottica del Legislatore, di portare a compimento le verifiche su menzionate ed elaborare eventuali modifiche della novella normativa entro un orizzonte temporale adeguato alla complessità e alla delicatezza delle tematiche che ne sono oggetto. La disciplina procedimentale ordinariaIl p.m. deve presentare al g.i.p. la richiesta di proroga. Quest’ultimo provvede alla notifica all’indagato (e non anche al difensore: App. L'Aquila, 15 maggio 2018, n.1209) e alla p.o. che, nella notizia di reato o anche successivamente, abbia dichiarato di volerne essere informata. Costoro, ricevuta la notifica, hanno cinque giorni di tempo per presentare delle memorie, così contro deducendo sulla richiesta. La norma non prevede il deposito degli atti di indagine da parte del p.m. richiedente la proroga. Tuttavia, va menzionata quella giurisprudenza secondo cui nel procedimento di camera di consiglio disciplinato dall'art. 127, pur non prevedendosi espressamente l'obbligo di deposito dei relativi atti, prima dell'udienza di discussione (come invece previsto, ad esempio, dagli artt. 309, comma 8, 416, comma 2, 466), detto obbligo può agevolmente dedursi dal complesso della disciplina in questione, sol che si consideri come una diversa interpretazione renderebbe pressoché inutile sul piano fattuale la comunicazione anticipata della data d'udienza, peraltro prevista a pena di nullità, volta che a tale comunicazione non fosse correlato il corrispondente diritto della parte di prendere cognizione degli atti del procedimento; diritto che peraltro non comprende anche quello di estrarre copia dei detti atti, operando invece, a tale ultimo riguardo, la disciplina dettata dall'art. 116 (Cass. I, n. 5678/1997). In caso di accoglimento della richiesta di proroga, il giudice non è tenuto a fissare l'udienza camerale, ben potendo provvedere de plano con ordinanza emessa in camera di consiglio, autorizzando il P.M. a proseguire le indagini per un periodo non superiore a sei mesi. Diversamente, se ritiene di dover respingere la richiesta, entro dieci giorni deve fissare la data dell'udienza camerale, dandone avviso agli stessi soggetti cui viene notificata l'istanza di proroga. Applicandosi la disciplina dettata in generale dall'art. 127, gli interessati possono chiedere di essere sentiti dal giudice. La Corte costituzionale ha chiarito che la scelta di conferire al giudice per le indagini preliminari la competenza a procedere alla notificazione della richiesta del pubblico ministero di proroga delle indagini appartiene alla discrezionalità del legislatore, esercitata non irragionevolmente, tenuto conto che il compito di provvedere a far notificare alla persona sottoposta alle indagini ed all'offeso dal reato la predetta richiesta appare predisposto al fine di consentire al giudice di verificare, in relazione alla fattispecie di reato ipotizzata dal pubblico ministero, se la notifica debba essere disposta, restando essa preclusa, ai sensi dell'art. 406, comma 5-bis, quando si procede per uno dei delitti indicati nell'art. 51 comma 3-bis dello stesso codice (Corte cost. n. 216/1999). In giurisprudenza si è considerato abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, richiesto della proroga del termine per il compimento delle indagini nei confronti di alcuni indagati, restituisce gli atti al pubblico ministero astenendosi dal provvedere sull'istanza ed ordinando la retrodatazione della iscrizione nel registro previsto dall'art. 335 di altro soggetto, a proposito del quale il titolare dell'azione penale non aveva sollecitato alcuna decisione; tale provvedimento, infatti, si pone in contrasto con il principio generale espresso dall'art. 328, in forza del quale il giudice per le indagini preliminari è tenuto a provvedere sulle richieste delle parti, non essendogli consentito né di omettere di decidere sulla domanda ritualmente rivoltagli né, al di fuori dei casi specificamente previsti dalla legge, di provvedere d'ufficio su materia non devolutagli dalle parti; e nessuna norma, inoltre, al di fuori della particolare ipotesi di cui all'art. 415, comma 2 (relativa all'ordine di iscrivere a carico di una persona identificata un reato già attribuito ad ignoti dal pubblico ministero), abilita il giudice per le indagini preliminari ad ordinare iscrizioni od annotazioni di sorta, nemmeno sotto la forma della retrodatazione, nel registro delle notizie di reato la cui tenuta formale dipende esclusivamente dalle determinazioni del procuratore della Repubblica presso il cui ufficio il registro medesimo è custodito (Cass. II, n. 654/1996). È parimenti abnorme il provvedimento col quale il G.I.P., richiesto di prorogare il termine delle indagini preliminari, rigetta la richiesta ed assegna al p.m. il termine di cui all'art. 406, comma 7, non già per la formulazione delle richieste a norme dell'art. 405, bensì per l'emissione del decreto di citazione a giudizio (Cass. V, n. 2726/1996). La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 2, Cost., dell'art. 406, comma 1 — nella parte in cui prevede che la richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari (termine fissato, in via ordinaria, dall'art. 405, comma 2, in sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito un reato è iscritto nel registro delle notizie di reato) debba contenere la mera indicazione delle norme sostanziali violate e non anche la comunicazione delle iscrizioni prescritte dall'art. 335 —, in quanto il giudice rimettente muoveva da una nozione di contenuto della notizia di reato, quale delineata dalla norma sottoposta al vaglio di legittimità, che per la Consulta non può essere condivisa. Infatti, pur dovendosi riconoscere che tale nozione è la risultante di un indirizzo interpretativo, evocato dal giudice a quo, alla stregua del quale la richiesta dall'art. 406, comma 1, è assolta con l'indicazione delle ipotesi di reato per le quali vengono svolte le indagini, senza che siano necessarie precisazioni temporali o spaziali del fatto, che sono, invece, prescritte per l'informazione di garanzia, è altresì vero che la mancanza di uniforme determinazione da parte del legislatore del contenuto della notizia di reato è funzionale alle finalità, definibili sulla base del necessario rispetto della parità delle parti; in un regime in cui il dovere di compiere ogni attività necessaria per l'esercizio dell'azione penale va contemperato con il dovere, gravante sul pubblico ministero, di esercitare ogni sua iniziativa in modo tale da consentire all'indagato di conoscere le ragioni dell'iniziativa medesima: solo così, infatti, sarà reso possibile all'interessato contraddire le ragioni addotte dal titolare dell'azione penale. Pertanto, nel caso della richiesta di proroga del termine per condurre le indagini preliminari, è inevitabile concludere che la stessa apparente genericità delle condizioni richieste per la proroga presuppone che la notitia criminis rechi quelle indicazioni di spazio e di tempo necessarie perché l'indagato possa effettivamente esercitare il diritto di difesa garantitogli dall'art. 406, comma 3, secondo quel modello che è indicato dall'art. 369; modello che, considerato il complessivo assetto disciplinante la materia, risulta conforme al dettato costituzionale (Corte cost. n. 182/1999). Si osserva in giurisprudenza che soltanto se la richiesta di proroga è pervenuta al G.i.p. prima che il termine sia scaduto, questi è tenuto o a concedere la proroga ovvero, qualora ritenga che allo stato degli atti non si debba concederla, a provvedere a norma del comma 5 dell'art. 406. Nel caso in cui, invece, la richiesta pervenga al G.i.p. quando il termine è già scaduto, detto giudice, atteso in chiaro disposto del comma settimo del succitato articolo, non può che fissare un termine non superiore a dieci giorni per la formulazione delle richieste del P.M. a norma dell'art. 405 (Cass. I, n. 1036/1992). La notificazione della richiesta di proroga delle indagini di cui all'art. 406 mira a realizzare il contraddittorio cartolare fra le parti, che il p.m. non deve impedire qualora l'organo dell'accusa sia in possesso, oltre che delle generalità, anche della indicazione del domicilio della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, indicazione eventualmente già comunicata dalla polizia giudiziaria (art. 347) ovvero altrimenti acquisita direttamente dallo stesso P.M. (art. 330): pertanto, tale indicazione deve, se già emergente dagli atti dell'indagine, essere precisata nella richiesta, formulata ai sensi della seconda parte del primo comma dell'art. 406. Ne consegue ulteriormente che, in presenza di istanza del p.m. di proroga del termine delle indagini preliminari, che non contenga anche l'indicazione di almeno alcuno dei luoghi riferibili alla persona nei cui confronti si procede né altra indicazione sulla impossibilità di acquisizione del dato in questione, non è abnorme il provvedimento con il quale il G.i.p., investito della istanza, richieda all'organo dell'accusa di fornire, eventualmente, il dato mancante, necessario per la notificazione ex art. 406, comma 3 (Cass. VI, n. 3446/1998). La disciplina procedimentale specialeLa procedura ordinaria non trova, però, applicazione se si procede per taluni delitti. In particolare, la norma prevede che per alcuni reati individuati dall'art. 51, comma 3-bis (artt. 416, commi 6 e 7; 416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui all'art. 12, commi 3 e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al d.lgs. n. 286/1998; 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli art. 473, 474 , 600, 601, 602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies e 630 c.p., per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti associativi previsti dall'art. 74 t.u. approvato con d.P.R. n. 309/1990, in materia di stupefacenti, art. 291-quater del testo unico approvato con d.P.R. n. 43/1973, in materia di contrabbando doganale; delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale; delitti previsti dagli artt. 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, comma 1 e 2, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'art.609-ter, 609-quater, 609-octies c.p., nonché delitti previsti dall'art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286/1998), il G.i.p. è legittimato a non attivare alcuna forma di contraddittorio, decidendo dunque inaudita altera parte entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta, dandone comunicazione al solo P.M. (art. 406, comma 5-bis). L'assenza di qualsiasi forma di contraddittorio tra le parti in queste ipotesi è stata contestata dalla dottrina, soprattutto laddove si consideri che l'adozione della procedura de plano riguarda proprio i reati che destano maggior allarme sociale. Deve, tuttavia, ritenersi che non sussista alcuna disparità di trattamento delle parti in relazione a dette ipotesi in relazione al contraddittorio (art. 3 Cost.), poiché questo presuppone un contrasto fra interessi privato e pubblico, che in tal caso non sussiste, poiché gli interessi dell'imputato e della persona offesa sono correlati all'esercizio dell'azione penale e non ai termini delle indagini del pubblico ministero, che rivestono carattere strumentale. L'esercizio dell'azione penale (art. 112 Cost.), poi, è sempre garantito, ferma restando la sua esplicazione nei termini e nei modi di legge, sotto il controllo del giudice. Dubbi, invece, si pongono quanto alla effettività dell'esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.), in quanto, come è stato osservato da parte della dottrina, le indagini possono svolgersi all'insaputa dell'interessato anche per l'intera durata massima delle stesse, con la conseguenza di precludergli la possibilità di reperire elementi di prova a proprio favore, nonché di farli anticipatamente acquisire attraverso l'incidente probatorio, qualora si tratti di materiale suscettibile di dispersione. L'inoppugnabilità dell'ordinanza conclusivaL'art. 406 prevede, poi, che: “Se non ritiene di respingere la richiesta di proroga, il giudice autorizza con ordinanza il pubblico ministero a proseguire le indagini” (comma 6); diversamente, si stabilisce che: “Con l'ordinanza che respinge la richiesta di proroga, il giudice, se il termine per le indagini preliminari è già scaduto, fissa un termine non superiore a dieci giorni per la formulazione delle richieste del pubblico ministero a norma dell'articolo 405” (comma 7). Sia in caso di accoglimento che di rigetto della richiesta di proroga il giudice decide con ordinanza. Si è discusso circa l'impugnabilità della medesima. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che l'ordinanza del G.i.p. che decide sulla richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari è inoppugnabile, non essendo esperibile avverso di essa neppure il ricorso per cassazione (Cass. S.U., n. 17/1992; da ultimo: Cass. VI, n. 18540/2012; in senso difforme, Cass. I, n. 3239/1992, aveva invece sostenuto che l'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari in tema di proroga delle indagini — nella specie di concessione di proroga — è ricorribile per cassazione anche nel caso che sia stata emessa de plano a norma dell'art. 406 comma 4). La Cassazione ha peraltro evidenziato che l'enunciato principio, da un lato, non pregiudica il diritto dell'indagato di far valere gli eventuali vizi verificatisi nel procedimento relativo alla proroga, potendo gli stessi essere comunque eccepiti nell'udienza preliminare al fine di far dichiarare l'inutilizzabilità degli atti di indagine effettuati nel termine prorogato, e, dall'altro, non implica che rimanga senza tutela l'interesse pubblico al promovimento dell'azione penale, potendo tale interesse essere perseguito o a norma dell'art. 409, comma 4, attraverso l'indicazione da parte del G.i.p., investito dalla richiesta di archiviazione, di un termine indispensabile per lo svolgimento di ulteriori indagini, o a norma dell'art. 414 stesso codice, attraverso la riapertura delle indagini. L'inoppugnabilità dell'ordinanza in questione, in particolare, si spiega, secondo i Supremi Giudici, in quanto il rinvio all'art. 127 operato in altre norme dello stesso codice con la formula «secondo le forme previste» o con altre equivalenti riguarda le regole di svolgimento dell'udienza camerale, ma non implica, di per sé, la ricezione completa del modello procedimentale descritto in questa norma, ivi compreso il ricorso in sede di legittimità, tanto che per diverse disposizioni contenenti tale rinvio il legislatore ha previsto espressamente quel rimedio. Né tantomeno, può dirsi che sia affetta da abnormità l'ordinanza con cui il G.i.p. decide, senza fissare l'udienza camerale, sulla richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari, ciò in quanto tale provvedimento non può dirsi emesso in difetto di potere (Cass. III, n. 18540/2010). In applicazione del principio fissato dalle Sezioni Unite, si è poi ritenuta inoppugnabile anche l'ordinanza del giudice che, ai sensi dell'art. 406, comma 5, decide negativamente sulla richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari (Cass. VI, n. 2468/1996). Infine, non si è mancato di precisare che non è prevista la revoca della relativa ordinanza di concessione della proroga medesima. Ne deriva che il provvedimento con il quale il giudice rigetta l'istanza di revoca, per il principio di tassatività delle impugnazioni, non è ricorribile in cassazione (Cass. III, n. 128/1992). L'incidenza del regime delle proroghe sulle misure cautelariLa proroga del termine di durata delle indagini preliminari può avere riflessi anche sulle misure cautelari in atto. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha osservato che la nullità del provvedimento di autorizzazione della proroga del termine per la conclusione delle indagini preliminari determina la situazione di cui al comma 3 dell'art. 407, e cioè la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine (non prorogato o invalidamente prorogato), ma non toglie al G.I.P. la legittimazione in ordine all'emissione di provvedimenti cautelari (come degli altri provvedimenti di sua competenza), per la quale, peraltro, non potranno essere utilizzati i risultati degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine (Cass. VI, n. 3025/1992; Cass. VI, n. 3027/1992). Trattasi di principio applicabile non solo per le misure cautelari personali ma anche per quelle reali, essendo infatti affermato che il pubblico ministero può chiedere al giudice l'applicazione del sequestro preventivo anche dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari, purché tale richiesta non sia fondata sul risultato di atti di indagine compiuti dopo la scadenza del medesimo termine, in quanto la sanzione di inutilizzabilità di cui all'art. 407, comma 3, concerne solo gli atti di indagine aventi efficacia probatoria, nel cui ambito non sono compresi i sequestri preventivi che mirano ad impedire la prosecuzione della condotta vietata (Cass. III, n. 27153/2003). Nello stesso senso si è aggiunto che il decorso dei termini delle indagini preliminari non impedisce l'esercizio del potere cautelare, in particolare non preclude l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca di cui all'art. 12 sexies, d.l. n. 306/1992 (Cass. II, n. 45988/2007). Per quanto, invece, concerne il sequestro probatorio, a fronte di decisioni che ritengono che il Pubblico Ministero è legittimato, dopo la chiusura delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio, formulata nei termini stabiliti dall'art. 407 a compiere ulteriori indagini allo scopo di acquisire fonti di prova, come si evince dall'art. 419, comma 3, (che stabilisce che l'avviso della data dell'udienza preliminare contenga anche l`invito a trasmettere la documentazione relativa alle «indagini espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio», e dall'407, comma 3, che prevede, nel caso in cui il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, la sanzione dell'inutilizzabilità per i soli «atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine»), conseguendone che non è precluso al pubblico ministero di disporre il sequestro ex art. 253, se pur nel periodo precedente l'emissione del decreto che dispone il giudizio, stante il limite stabilito dall'art. 430 per gli atti garantiti (Cass. IV, n. 25404/2003), altre decisioni invece ritengono che dopo la scadenza dei termini massimi per lo svolgimento delle indagini preliminari non è possibile disporre il sequestro ai sensi dell'art. 253, atteso che la scadenza del termine stabilito per le indagini inibisce il compimento di quegli atti che, per il contenuto e la funzione, riguardano l'acquisizione delle prove (Cass. III, n. 35060/2003). In posizione intermedia, invece, si pone quella giurisprudenza che afferma la legittimità dell'atto di indagine (nella specie, l'emissione del decreto di sequestro probatorio) compiuto successivamente alla spedizione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, a condizione che non sia scaduto il termine per la conclusione delle indagini e che del deposito del relativo provvedimento sia data comunicazione all'interessato sì che possa esercitare le facoltà riconosciutegli per legge (Cass. III, n. 35311/2011). Uniforme, invece, è l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale gli atti di indagine assunti nell'ambito di un altro procedimento ed acquisiti ai sensi dell'art. 238 sono utilizzabili, ai fini dell'emissione di una misura cautelare personale, anche se intervenuti dopo la scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari (Cass. I, n. 21367/2003; Cass. II, n. 7055/2014), essendo comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all'approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti (Cass. I, n. 36327/2015). Si noti, tuttavia, che ai fini della concessione della proroga dei termini di custodia cautelare, non è sufficiente l'implicito e generico riferimento alla richiesta avanzata dal Pubblico Ministero per ottenere dal Giudice per le indagini preliminari altri sei mesi di proroga per le indagini, ove i motivi indicati in quest'ultima istanza non siano stati riportati anche in quella relativa alla proroga della custodia cautelare e nella relativa ordinanza del G.I.P., sulla quale deve intervenire, nel contraddittorio delle parti, il riesame del tribunale (Cass. III, n. 2491/1994). Inoltre, ai fini della legittimità della proroga del termine per il completamento delle indagini preliminari, ai sensi dell'art. 406, è necessario soltanto che la relativa richiesta, da parte del pubblico ministero, sia anteriore alla scadenza del termine anzidetto, mentre l'ordinanza con la quale la stessa proroga è disposta può essere anche successiva a quella scadenza, avendo essa poi un effetto retroattivo sanante sugli atti d'indagine nel frattempo effettuati (Cass. I, n. 2219/1994; Cass. III, n. 28124/2004). Infine, si è chiarito che in materia di proroga delle misure cautelari, per evidenti ragioni di speditezza nella decisione in prossimità della scadenza dei termini, non trova applicazione le procedura prevista dall'art. 127. La detta norma, considerata la sua portata generale — desumibile dalla collocazione di essa nel titolo II del libro II del codice, riguardante gli atti — è applicabile in tutti i casi in cui si debba procedere in camera di consiglio, ad eccezione di quelli in ordine ai quali è prevista una deroga espressa (art. 611 per il procedimento in cassazione) o il richiamo all'art. 127 è chiaramente omesso (art. 325, comma 3, in riferimento all'art. 311, commi 3 e 4, dello stesso codice per le impugnazioni in tema di sequestri: v. anche, di recente, Cass. S.U., n. 51207/2015, che ha ribadito che il procedimento in camera di consiglio innanzi alla Corte di cassazione avente ad oggetto i ricorsi ex art. 325 in materia di sequestri deve svolgersi nelle forme del rito «non partecipato» previsto dall'art. 611 e non in quelle di cui all'art. 127), ovvero il provvedimento debba essere pronunciato previa audizione delle parti ma senza la particolare forma dell'udienza camerale (art. 406, comma 4) (Cass. VI, n. 416/1992, la quale ha precisato che la deroga all'art. 127 nella subiecta materia è riconducibile a tale ultima categoria). CasisticaLa proroga del termine di durata delle indagini preliminari Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 406, la stessa può così sintetizzarsi: a ) fissa il regime delle proroghe ai termini per le indagini preliminari che il p.m. può chiedere in presenza di determinate condizioni; b ) la regola è che il p.m., prima della scadenza, può richiedere al giudice “quando le indagini sono complesse “, la proroga del termine semestrale indicato dall'art. 405; c ) il p.m. deve non solo indicare la notizia di reato, ma anche, e soprattutto, esporre i motivi che la giustificano; d ) non è più consentito al p.m. chiedere al giudice “ulteriori proroghe”; e ) la proroga successiva alla prima può essere autorizzata dal giudice per una sola volta e per un tempo non superiore a sei mesi; f ) la richiesta di proroga è notificata, a cura del giudice, con l'avviso della facoltà di presentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione, all'indagato nonché alla p.o. che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere esserne informata; g) il giudice provvede entro dieci giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie e autorizza la proroga del termine con ordinanza emessa in camera di consiglio senza intervento del pubblico ministero e dei difensori; h ) solo nel caso in cui il giudice ritenga che, allo stato degli atti, non si debba concedere la proroga, entro dieci giorni fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa notificare avviso al p.m., all'indagato nonché alla p.o. che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere esserne informata; i ) detta udienza si svolge nelle forme della camera di consiglio; l ) la predetta disciplina non trova applicazione se si procede per taluni delitti (artt. 416, commi 6 e 7; 416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui all'art. 12, commi 3 e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al d.lgs. n. 286/1998; 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli art. 473,474,600,601,602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies e 630 c.p., per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti associativi previsti dall'art. 74 t.u. approvato con d.P.R. n. 309/1990, in materia di stupefacenti, art. 291-quater del testo unico approvato con d.P.R. n. 43/1973, in materia di contrabbando doganale; delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale; delitti previsti dagli artt. 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, comma 1 e 2, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'art. 609-ter, 609-quater, 609-octies c.p., nonché delitti previsti dall'art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286/1998); m ) in tali casi, il giudice provvede con ordinanza entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta, dandone comunicazione al pubblico ministero; n ) se non ritiene di respingere la richiesta di proroga, il giudice autorizza con ordinanza il pubblico ministero a proseguire le indagini; o ) con l'ordinanza che respinge la richiesta di proroga, il giudice, se il termine per le indagini preliminari è già scaduto, fissa un termine non superiore a dieci giorni per la formulazione delle richieste del pubblico ministero (archiviazione o esercizio dell'azione penale); p ) gli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice sono comunque utilizzabili, sempre che, nel caso di provvedimento negativo, non siano successivi alla data di scadenza del termine originariamente previsto per le indagini; q ) l'ordinanza che accoglie o respinge la richiesta di proroga non è impugnabile. 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