Codice di Procedura Penale art. 423 - Modificazione dell'imputazione.

Alessio Scarcella

Modificazione dell'imputazione.

1. Se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso [516] da come è descritto nell'imputazione [417] ovvero emerge un reato connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera b), o una circostanza aggravante [517], il pubblico ministero modifica l'imputazione [e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione]1.

1-bis. Se rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell'imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni. Se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d'ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero2.

1-ter. Nei casi di modifica dell'imputazione ai sensi dei commi 1 e 1-bis, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 421, comma 1-bis3.

2. Se risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio [518], il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato 4.

 

[1] Comma modificato dall'articolo 23, comma 1, lett. i) num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 che ha soppresso le parole: «e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione».

[4] La Corte cost., con ordinanza 18 aprile 1991, n. 166 ha ritenuto che la disposizione dell'art. 4232, che subordina la contestazione del «fatto nuovo», tra l'altro, alla richiesta del pubblico ministero, «non viola il principio di obbligatorietà dell'azione penale sancito dall'art. 112 della Costituzione, poiché il pubblico ministero - quando nel corso dell'udienza preliminare risulti a carico dell'imputato un fatto nuovo che configuri un reato perseguibile d'ufficio - è obbligato ad esercitare tale azione e ad iscrivere la nuova notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 del codice di rito, potendo solo scegliere se esercitare per tale fatto un'azione separata o procedere, con il consenso dell'imputato, alla nuova contestazione nell'ambito del processo già in corso, con conseguente trattazione unitaria delle due imputazioni». V. anche Corte cost., ord. 10 gennaio 1991, n. 11 e 30 dicembre 1991, n. 515.

Inquadramento

L'art. 423, considerando le ipotesi di modificazione dell'imputazione, è informata ad una ratio di economia processuale. La norma prevede che se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso (art. 12, comma 1, lett. b), ossia quando i reati sono stati commessi dall'imputato con una sola azione od omissione o con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso) o una circostanza aggravante, il pubblico ministero provvede a modificare l'imputazione e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione. Se il giudice rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell'imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni. Se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d'ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero. Nei casi di modifica dell'imputazione, la stessa viene inserita - secondo il nuovo modulo procedimentale di cui all'art. 421, comma 1-bis, c.p.p.-, nel verbale di udienza e contestata all'imputato se presente in aula, anche mediante collegamento a distanza. In caso contrario, il giudice sospende il processo e rinvia a una nuova udienza e dispone che il verbale sia notificato all'imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza.

Generalità

Modificazione dell'imputazione: sintesi

A fronte di un fatto diverso o di un reato connesso ai sensi dell'art. 12 comma 1 lett. b) o di una circostanza aggravante il pubblico ministero modifica l'imputazione.La norma predispone una regola di condotta ovvero implica un facere obbligatorio del pubblico ministero strumentale all'aggiornamento dell'originaria imputazione. Nell'incipit si rinviene l'espressione “nel corso dell'udienza preliminare” comprensiva del primo momento di filtro svoltosi in sede di discussione ex art. 421, ciò significa che l'esigenza modificativa può emergere dalla valutazione, questa volta triadica, degli stessi elementi posti a base della richiesta.

Va osservato che il problema della emendatio dell'imputazione non si pone quando dagli atti del procedimento non emergono elementi concreti che consentano di colmare la sua genericità, essendo in tal caso ovvio che il giudice sia semplicemente tenuto ad emettere sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione.

I rimedi ai vizi dell’imputazione dopo la riforma “Cartabia”

L'art. 23, comma 1, lett. i), del d.lg. n. 150/2022, in conformità al criterio di delega n. 134/2021 (art. 1, comma 9, lett. n): «prevedere che, in caso di violazione della disposizione dell'articolo 417, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, il giudice, sentite le parti, quando il pubblico ministero non provvede alla riformulazione dell'imputazione, dichiari, anche d'ufficio, la nullità e restituisca gli atti; prevedere che, al fine di consentire che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, nonché i relativi articoli di legge, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, sentite le parti, ove il pubblico ministero non provveda alle necessarie modifiche, restituisca, anche d'ufficio, gli atti al pubblico ministero»),

In particolare, quanto al secondo intervento richiesto dalla norma di delega, come specifica la relazione illustrativa della riforma Cartabia, la disciplina relativa alla mancata corrispondenza tra le risultanze degli atti e l'imputazione è stata inserita nell'art. 423 c.p.p., dedicato alle modifiche della contestazione.

Al comma 1, è rimasto invariato l'autonomo potere del pubblico ministero di provvedere alla modifica dell'imputazione o alla contestazione di reato connesso ex art. 12, lett. b), c.p.p.

Sono state invece trasferite al comma 1-ter le regole sulla contestazione della nuova imputazione, individuate attraverso un rinvio all'art. 417, comma 1-bis, c.p.p. In tal modo, la diversa disciplina ora prevista per l'imputato «non ... fisicamente presente» è stata estesa anche all'ipotesi in cui alla modifica dell'imputazione si pervenga a seguito dell'esercizio del potere sollecitatorio del giudice, previsto dal criterio di delega. Ovviamente, nella prima fase, l'interlocuzione può essere rimessa al concreto svolgersi della dialettica processuale, mentre solo qualora il pubblico ministero non provveda a sanare la discrepanza segnalatagli, il giudice sarà tenuto a disporre la restituzione degli atti con un provvedimento a questo punto formale, motivato, in cui saranno i profili di non corrispondenza tra le risultanze degli atti e l'imputazione.

Quanto al contenuto del controllo rimesso in questo caso al giudice, la locuzione della delega intendeva coprire sia lo spazio relativo a carenze attinenti alla descrizione del fatto, comprese le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, sia la qualificazione giuridica, come reso esplicito dal riferimento a possibili incongruenze nell'indicazione degli “articoli di legge”. Per questa ragione la norma articolata declina in termini più tecnicamente corretto il duplice spazio di intervento, facendo espressamente riferimento, accanto al controllo sui fatti, anche il controllo sulla «definizione giuridica».

L'intervento in questione, al pari di quello attuato sull'art. 421, c.p.p., come chiarisce la relazione illustrativa, risponde all'esigenza di celere definizione dei procedimenti, in quanto la completezza dell'imputazione e la sua correttezza (in punto di fatto e di diritto), per di più realizzata (salvo contrasti) senza retrocessione degli atti e nel contraddittorio con le parti, per un verso, consente il più rapido superamento dei casi problematici, per altro verso, facilita l'accesso ai riti alternativi, soprattutto se preclusi proprio dalla qualificazione giuridica o, in ogni caso, scoraggiati da fatti mal descritti o qualificazioni errate. La soluzione adottata, oltre a impedire il verificarsi dell'evento anomalo per cui è solo con il decreto di rinvio a giudizio che emerge la qualificazione ritenuta dal giudice, consente altresì di svolgere il dibattimento su un oggetto (in fatto e in diritto) corretto, riducendo il rischio tanto di istruttorie inutili quanto di modifiche (ex art. 516 ss. c.p.p.) o retrocessioni (art. 521 c.p.p.) in corso di dibattimento o, addirittura, in esito ad esso. Il tutto senza contare che proprio il tema dei rapporti tra giudice e pubblico ministero rispetto all'imputazione intesa in senso lato ha provocato numerose complicazioni, con soluzioni giurisprudenziali controverse e non soddisfacenti, da ritenersi superate dalla nuova norma.

Per completezza, si segnala che i nuovi poteri attribuiti al giudice dell'udienza preliminare in ordine al controllo sulla corretta descrizione del fatto e sulla sua rispondenza alle risultanze delle indagini preliminari hanno reso peraltro superflua la previsione dell'art. 429, comma 2-bis, che disciplina una situazione non più suscettibile di verificarsi (la norma, infatti, recita: «Se si procede per delitto punito con la pena dell'ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l'avviso che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione. Si applicano le disposizioni dell'art. 485»). L'abrogazione in parola consentirà, oltre tutto, di concentrare la celebrazione del rito abbreviato per tutti i reati per i quali è prevista l'udienza preliminare innanzi al GUP, poiché l'imputazione dovrà essere in ogni caso modificata in udienza preliminare dal pubblico ministero e non potrà essere disposta autonomamente dal giudice in sede di decreto di rinvio a giudizio.

In dottrina (Filocamo) si è evidenziato come l'intervento riformatore sembra aver recepito le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., n. 88/1994; Corte cost., n. 131/1995; Corte cost., n. 265/1994; Corte cost., n. 384/2006; Corte cost., n. 347/1991; Corte cost., n. 112/1994) e di legittimità (Cass. S.U., n. 5307/2008; Cass. S.U., n. 39915/2002; Cass. S.U., n. 17/1998Cass. S.U., n. 16/1996; Cass. I, n. 3375/2000; Cass. V, n. 7292/2015), pur senza che nella relazione illustrativa, come rilevato altrove, si faccia cenno agli interventi nomofilattici intervenuti con particolare riguardo a S.UBattistella”.

Il problema della genericità dell'imputazione e le Sezioni Unite

Il problema si pone invece quando l'imputazione si presenti imprecisa o generica rispetto agli elementi acquisiti a carico dell'imputato, come emergenti dagli atti, di modo che è possibile colmare la detta genericità. In proposito, nella giurisprudenza di legittimità, era emerso un contrasto tra alcune pronunce che affermavano che il giudice dell'udienza preliminare doveva limitarsi ad un rimedio «interno» alla fase, consistente nell'invitare il pubblico ministero ad integrare 'imputazione, dovendo poi lo stesso giudice, nel caso di persistente inerzia dell'organo requirente, adottare una pronuncia secondo l'alternativa delineata dall'art. 424 (emissione di sentenza di non luogo a procedere o di decreto che dispone il giudizio); e altre pronunce che puntavano su un rimedio «esterno» alla fase, ossia sulla trasmissione degli atti al pubblico ministero per un nuovo esercizio dell'azione penale, in applicazione analogica dell'art. 521, comma 2.

Le Sezioni unite (sulla scia delle pronunzie della Corte cost. n. 88/1994 e Corte cost. n. 131/1995) hanno tracciato una chiara sequenza procedimentale, che privilegia, in prima battuta, l'emendatio delle lacune dell'imputazione attraverso gli strumenti di adeguamento previsti dall'art. 423, comma 1, all'interno della medesima fase processuale, essendo il giudice dell'udienza preliminare tenuto a rappresentare, con ordinanza motivata e interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche del vizio d'imputazione e a richiedere espressamente al Pubblico Ministero di provvedere alle opportune precisazioni e integrazioni. Solo successivamente e in caso di mancato adeguamento dell'imputazione da parte del Pubblico Ministero nei termini indicati dall'ordinanza del giudice, quest'ultimo può emettere il provvedimento conclusivo di restituzione degli atti al Pubblico Ministero, che determina la regressione del procedimento, sulla falsariga del disposto dell'art. 521, comma 2, onde consentire il nuovo esercizio dell'azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d'indagine (Cass. S.U. , n. 5307/2008).

Seguendo tale ragionamento, dunque, si è esclusa l'abnormità del provvedimento con cui il GUP, dopo aver invano sollecitato il pubblico ministero a precisare l'imputazione, determini la regressione del procedimento per consentire il nuovo esercizio dell'azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d'indagine (Cass. III, n. 8078/2019, la quale ha precisato che è legittima la restituzione degli atti al pubblico ministero, attesa l'inerzia di quest'ultimo rispetto alla richiesta di "emendatio libelli" di cui all'art. 423, comma 1, in virtù dell'applicazione analogica dell'art. 521, comma 2). Si è inoltre escluso che, in caso di genericità o indeterminatezza del capo d'imputazione, il GUP possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere, dovendo egli invece chiedere al pubblico ministero di precisare o integrare l'atto imputativo nonché, ove quest'ultimo non vi provveda, deve disporre la restituzione degli atti al P.M., in virtù dell'applicazione analogica dell'art. 521, secondo 2 (Cass. VI, n. 53968/2016).

La regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, che certamente si verifica per il fatto che il giudice dell'udienza preliminare si spoglia definitivamente del procedimento per investirne l'ufficio requirente, fa sì che quest'ultimo possa svolgere nuove indagini, a condizione però che il termine (originario o prorogato) non sia ancora scaduto. Il Pubblico Ministero è comunque reintegrato nelle sue ordinarie prerogative in ordine all'esercizio dell'azione penale; deve rivalutare gli atti del procedimento e tener conto di quanto sopravvenuto rispetto al primo esercizio dell'azione penale, degli elementi di prova acquisiti durante la fase processuale (udienza preliminare o dibattimento) e, a maggior ragione, dell'eventuale sopravvenienza di cause di estinzione del reato (morte del reo, prescrizione, amnistia, ecc.) o di abolitio criminis. Alla fine, dovrà decidere se permangano le condizioni richieste dalla legge per un nuovo esercizio dell'azione penale o se vada invece richiesta l'archiviazione del procedimento.

Gli interventi della Corte costituzionale

Limitando l'attenzione alle sole decisioni successive alla novella del 1999, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della q.l.c. dell'art. 423, nella parte in cui non prevede che, in caso di modifica del capo di imputazione operata nel corso dell'udienza preliminare, il p.m. chieda che la modificata contestazione sia inserita nel verbale d'udienza e il verbale sia notificato per estratto all'imputato contumace. Il giudice rimettente, infatti, si fonda sull'erroneo presupposto secondo cui sarebbero tra loro comparabili norme dettate per fasi processuali del tutto eterogenee, quali l'udienza preliminare ed il dibattimento di primo grado (Corte cost. n. 185/2001). La Corte ha osservato che le deduzioni svolte dal giudice «a quo» si fondano sull'erronea premessa di ritenere fra loro comparabili disposizioni iscritte all'interno di fasi del tutto eterogenee quali sono da un lato, l'udienza preliminare, e, dall'altro, il dibattimento di primo grado, sicché è ben possibile che il mutamento del quadro di accusa nella udienza preliminare possa ricevere, quanto a modalità di contestazione, una disciplina difforme e più snella rispetto a quella dettata per il dibattimento.

L'individuazione del momento temporale della modifica

La norma individua un momento temporale ben definito nel quale deve intervenire la modifica dell'imputazione: “nel corso dell'udienza”.

Secondo la Cassazione, qualora nel corso dell'udienza preliminare il fatto addebitato risulti diverso, ai sensi del comma 1 dell'art. 423 rispetto a quello riportato nell'originaria imputazione, il P.M. ha la facoltà di modificare il capo d'imputazione in ogni momento fino a quando non abbia presentato al Gip le proprie conclusioni, a nulla rilevando che sin dall'apertura dell'udienza l'imputato abbia chiesto l'immediato proscioglimento a norma dell'art. 129 stesso codice (Cass. VI, n. 33819/2001). Ciò comporta, quindi, che la modifica dell'imputazione ad opera del pubblico ministero può essere validamente compiuta fino alla formale dichiarazione di chiusura della discussione (Cass. VI, n. 29313/2015; Cass. V, n. 53701/2018).

Sul punto si sono espresse in senso conforme anche le Sezioni Unite, sebbene con riguardo alla disciplina delle contestazioni suppletive in dibattimento. Le Sezioni Unite hanno infatti affermato che la modifica dell'imputazione di cui all'art. 516 e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all'art. 517 possono essere effettuate dopo l'avvenuta apertura del dibattimento e prima dell'espletamento dell'istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (Cass. S.U., n. 4/1999).

Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, la contestazione suppletiva effettuata dal P.M. in sede di udienza preliminare, ai sensi dell'art. 423 non implica la necessità di rinnovare l'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari previsto dall'art. 415-bis. È pertanto stata ritenuta affetta da abnormità, provocando un'indebita regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, l'ordinanza del giudice del dibattimento che dichiara la nullità del decreto di citazione, emesso di seguito alla contestazione suppletiva, asseritamente derivata dalla nullità della richiesta di rinvio a giudizio, formulata in udienza dal P.M. senza reiterazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (Cass. V, n. 21703/2003; Cass. I, n. 16714/2014).

Si noti, peraltro, che l'eventuale modifica dell'imputazione nel corso dell'udienza preliminare, non toglie efficacia al mandato conferito ai fini della richiesta di rito abbreviato, laddove questo non preveda una esplicita limitazione (Cass. VI, n. 39926/2018).

La locuzione “il fatto risulta diverso o nuovo”

L'art. 423, nella sua originaria formulazione, antecedente alle modifiche introdotte dalla c.d. riforma Cartabia (v. supra § 2.2.), consentiva la modifica dell'imputazione sei il «fatto» risulta diverso da come è descritto nell'imputazione o nuovo in quanto non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio.

Secondo la Cassazione la nozione di «fatto diverso» differenziata da quella di «fatto nuovo» comprende non solo un fatto che integri una diversa imputazione restando storicamente invariato, ma anche quello che abbia connotati materiali difformi da quelli descritti nel decreto che dispone il giudizio. Questa interpretazione deriva dall'art. 521 che, contrapponendo la «definizione giuridica diversa» al «fatto diverso», evidenzia il valore di diversità materiale racchiuso nella seconda espressione, ed è confermata dagli artt. 423 comma 1 e 521 comma 2, giacché la prima disposizione prevede la contestazione suppletiva perché «il fatto risulta diverso da come è descritto nell'imputazione» e la seconda prescrive la trasmissione degli atti al P.M., quando, in sede di delibazione, accerta che il fatto da lui riconosciuto è diverso anche «da quello descritto nella contestazione effettuata a norma dell'art. 516», sicché in entrambe le fattispecie il «fatto diverso» è difforme da quello dell'imputazione ed ha connotati materiali differenti. Pertanto, si affermò, rientra nella nozione di fatto diverso di cui all'art. 516 la contestazione della edificazione di box-garages invece della primitiva costruzione abusiva di una delimitazione con serrande dello stesso spazio per creare nuovi volumi (Cass. III, n. 3253/1996, in cui il P.M. aveva proposto ricorso deducendo la violazione dell'art. 606 lett. b) in relazione agli artt.516 , 518 e 522 stesso codice, in quanto la dichiarata nullità non sussisteva, perché non era stato contestato un fatto nuovo, ma un fatto diverso).

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'«iter» del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Cass. S.U., n. 36551/2010).

Si noti che l'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di «fatto» contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Cass. IV, n. 10103/2007). Nello stesso senso, si è ribadito che l'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza è violato non da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di «fatto» va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Cass. I, n. 35574/2013).

Si è, da ultimo, chiarito che la richiesta di giudizio abbreviato successiva alla contestazione di un fatto nuovo formulata dal P.M. nel corso dell'udienza preliminare non può essere ritenuta espressione tacita del consenso dell'imputato, necessario ai sensi dell'art. 423, comma 2; ne consegue che anche in sede di abbreviato il giudice deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521, comma 3 (Cass. I, n. 55359/2016).

La diversità del fatto e le circostanze aggravanti

L'art. 423, comma 1, nel prevedere la modificabilità dell'imputazione mediante contestazione suppletiva non prevede che l'elemento posto a base della modifica sia venuto a conoscenza del P.M. solo nel corso dell'udienza preliminare, dovendosi comprendere anche l'eventualità che l'elemento in questione sia stato già acquisito nel corso delle indagini preliminari, ma non sia stato ancora valutato nelle sue implicazioni sulla formulazione dell'imputazione. Infatti l'art 2 della legge delega n. 81/1987 prevede genericamente il potere del P.M. «di modificare l'imputazione e di procedere a nuove contestazioni», non assoggettando tale potere a particolari limitazioni o condizioni (Cass. III, n. 1506/1998; Cass. I, n. 13349/2013).

In giurisprudenza si sostiene che non può essere considerata modifica dell'imputazione, ma ricorre invece l'ipotesi della contestazione di un fatto nuovo ed autonomo se, in presenza della sopraggiunta modificazione della rubrica, quanto alle circostanze di tempo e/o di luogo in essa inizialmente descritte, possa ragionevolmente prospettarsi, per il variare di dette circostanze, il concorso di due imputazioni distinte concernenti, in concreto fatti entrambi ascrivibili all'imputato (Cass. III, n. 972/1995).

Per tale ragione si è affermato che si ha mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza — o nullità della sentenza per difetto di contestazione — quando vi sia stata una immutazione tale da determinare uno «stravolgimento» dell'imputazione originaria: quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi cioè, rispetto a quello contestato, in rapporto di ontologica eterogeneità o incompatibilità, nel senso che viene a realizzarsi una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato posto in tal modo di fronte ad un fatto «nuovo», rispetto al quale non ha alcuna possibilità di effettiva difesa. La modifica dell'imputazione di cui all'art.516 presuppone, invece, un fatto in relazione al quale le emergenze dibattimentali rendano necessaria soltanto una puntualizzazione della ricostruzione degli elementi essenziali del reato o dei suoi riferimenti spazio-temporali. La nozione di fatto «diverso», adottata nella citata norma, deve essere intesa in senso materiale e naturalistico, con riferimento non solo al fatto storico che, pur integrando una diversa imputazione, resti invariato, ma anche al fatto che abbia connotati materiali parzialmente difformi da quelli descritti nel decreto che dispone il giudizio; mentre la locuzione «fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio», di cui al successivo art.518, concerne un accadimento del tutto difforme ed autonomo, per le modalità essenziali dell'azione o per l'evento, rispetto a quello originariamente contestato (Cass. I, n. 9958/1997).

Il fatto, dunque, non è che il complesso di quegli accadimenti che integrano il reato nella sua giuridica configurazione di elementi costitutivi e circostanziali di cui esso consta, di tal che, quando si operi non una modifica di tali elementi ma soltanto una diversa loro valutazione, si è al di fuori della ipotesi in cui si rende necessaria, ai sensi dell'art. 516, la modifica del capo di imputazione (Cass. VI, n. 12800/1991).

Da un punto di vista applicativo, la Cassazione ha chiarito che non si ha insufficiente indicazione dell'enunciazione del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, qualora si abbia l'individuazione dei tratti essenziali del fatto di reato attribuito dotata di adeguata specificità sicché l'imputato possa apprestare la sua difesa. Infatti, in considerazione della centralità del dibattimento, dei poteri conferiti al giudice sia in materia di integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante ex art. 507 sia in tema di ammissione di prove, e della possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a modificazione dell' imputazione ex art. 516 sicché l'imputazione appare magmatica e suscettibile sempre di precisazioni, non sembra necessaria una dettagliata imputazione in aderenza con le novità del nuovo sistema processuale, disancorato da visioni formalistiche e da valori epistemologici delle radici letterale e teso a considerare l'imputazione nel suo complesso ed il fondamentale principio «iura novit curia» (Cass. III, n. 2853/1995). Del resto, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (artt. 516522). hanno lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa: e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato. Ne consegue che le dette norme non devono essere interpretate in senso rigorosamente formale ma con riferimento alle finalità alle quali sono dirette; e, quindi, le dette norme non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato (Cass. I, n. 7476/1994). Tuttavia, ad esempio, si è affermato che nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (Cass. I, n. 11538/1997).

Novità del fatto e reato connesso

L'art. 423 autorizza il P.M. a modificare l'imputazione anche se nel corso dell'udienza preliminare emerge un fatto nuovo che integra gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio.

Se il fatto nuovo è connesso rispetto a quello per cui si procede a norma dell'art. 12, comma 1, lett. b), vale a dire se ha in comune con quest'ultimo fatto la condotta ovvero il disegno criminoso perseguito dal soggetto agente, il P.M. deve riformulare l'imputazione, includendovi il fatto connesso. Se il giudice rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell'imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni. Se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d'ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero. Nei casi di modifica dell'imputazione, la stessa viene inserita - secondo il nuovo modulo procedimentale di cui all'art. 421, comma 1-bis, c.p.p.-, nel verbale di udienza e contestata all'imputato se presente in aula, anche mediante collegamento a distanza. In caso contrario, il giudice sospende il processo e rinvia a una nuova udienza e dispone che il verbale sia notificato all'imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza .

Sul punto, la Cassazione ha affermato che non è abnorme l'ordinanza con la quale il giudice dell'udienza preliminare, erroneamente qualificando come «fatto nuovo» un reato legato dal vincolo della continuazione a quelli già contestati, neghi al pubblico ministero la possibilità di effettuarne la contestazione in udienza ai sensi dell'art. 423, trattandosi di provvedimento che rientra comunque nel potere del Gup di autorizzare le contestazioni suppletive e che non provoca, sotto l'aspetto funzionale, alcuna stasi processuale (Cass. II, n. 10069/2015).

Non rientra però nei poteri del Gup disporre la restituzione degli atti al P.M. qualora nel corso dell'udienza preliminare risulti un fatto nuovo, ossia un reato ulteriore rispetto a quello per il quale è stata esercitata l'azione penale (Cass. I, n. 19331/2008).

Non è nemmeno abnorme, e non è conseguentemente ricorribile per cassazione, l'ordinanza con cui il G.u.p., decidendo in sede di rinvio all'esito della rinnovata udienza preliminare, inviti il P.M. ad effettuare una precisazione o modifica della contestazione, ritenendo esclusa l'ipotesi del «fatto nuovo» di cui all'art. 423, comma 2 (Cass. VI, n. 7922/2011; Cass. V, n. 22990/2015).

Pur se relativa al giudizio abbreviato, merita peraltro di essere segnalata la recente decisione delle Sezioni Unite che ha affermato il principio secondo cui nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell'art. 438, comma 5, o nel quale l'integrazione probatoria sia stata disposta a norma dell'art. 441, comma 5, dello stesso codice è possibile la modifica dell'imputazione solo per i fatti emergenti dai predetti esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall'art. 423 (Cass. S.U., n. 5788/2020).

I poteri del G.u.p. sulla correlazione tra imputazione ed accusa

Il G.U.P. non è legittimato, «sua sponte», a modificare l'imputazione o a contestare un fatto ritenuto diverso, spettando tale potere esclusivamente al P.M. di udienza, preposto per legge all'esercizio dell'azione penale. Ciò, però, non toglie che il G.U.P., come del resto qualsiasi giudice di merito, possa dare al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica più favorevole all'imputato, senza ledere i diritti della difesa, entro i limiti della sua competenza (Cass. IV, n. 9616/1996).

Come del resto chiarito dalla Corte Costituzionale, nell'ambito del sistema del codice di rito vigente il giudice non esercita poteri istruttori, rivestendo un «ruolo» cui resta estraneo ogni intervento sull'imputazione che non sia il giudizio rivolto a delibarne la fondatezza (Corte cost. n. 305/1993).

Alla stregua di quanto sopra, si è sostenuto che a norma dell'art. 423, la modificazione, l'integrazione dell'imputazione e perfino l'introduzione di un fatto nuovo nel corso dell'udienza preliminare si effettua in forma orale, con semplice comunicazione al difensore qualora l'imputato sia assente e senza che ciò comporti neppure la concessione di un termine a difesa (Cass. V, n. 1827/1993; Cass. III, n. 15927/2009).

Si registra un contrasto, tuttavia, sul fatto se il giudice dell'udienza preliminare, accertata la diversità del fatto, debba pronunciare decreto che dispone il giudizio ovvero sentenza di non luogo a procedere. Mentre infatti alcune decisione ritengono che nel corso delle indagini preliminari ovvero all'udienza preliminare, spetta soltanto al pubblico ministero, titolare esclusivo dell' esercizio dell'azione penale, la possibilità di modificare la qualificazione giuridica del fatto, entro i limiti stabiliti dall'art. 423 Per contro, il codice di procedura penale non conferisce al giudice per le indagini preliminari un autonomo potere correttivo, analogo a quello che l'art. 521 comma 1 attribuisce con la sentenza al giudice del dibattimento. Al giudice delle indagini preliminari, infatti, sono consentite due vie alternative di decisione; il decreto che dispone il giudizio secondo l'enunciazione del fatto, delle circostanze e degli articoli di legge indicati dal P.M. ovvero la sentenza di non luogo a procedere. Tale sistema comporta il rischio per il P.M., che ha erroneamente formulata l'imputazione, che il giudice emetta sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, anche nel caso in cui il fatto può integrare diversa ipotesi criminosa. Tuttavia, entro i limiti del «ne bis in idem» (art. 649 comma 2), il P.M. può promuovere una nuova azione penale (Cass. VI, n. 2826/1994; Cass. IV, n. 766/1992). Diversamente, un altro orientamento sostiene che in un ordinamento fondato sul principio di legalità, il potere del giudice di definire correttamente il fatto sul quale è chiamato a pronunciarsi è connaturale allo stesso esercizio della giurisdizione, che non tollera limitazioni in ordine all'inquadramento giuridico dei fatti sottopostigli, derivanti dalla richiesta delle parti. Anche il giudice dell'udienza preliminare, pur in mancanza di specifica previsione, può modificare la qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale il pubblico ministero ha richiesto il rinvio a giudizio. Ne consegue che rientra nei poteri del G.I.P. — una volta esclusa la configurabilità, in fatto o in diritto, di una circostanza aggravante — quello di eliminare ogni riferimento ad essa nell'imputazione, anche per gli evidenti riflessi, se ad effetto speciale, che può avere sui termini di durata di eventuali misure coercitive in atto ovvero di operare quegli emendamenti che, nell'immodificabilità del nucleo centrale del fatto, conseguano ad una diversa qualificazione giuridica dello stesso (Cass. VI, n. 548/1996).

Le Sezioni Unite sono poi intervenute, come anticipato supra, affermando che è abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell'imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla. È invece rituale il provvedimento con cui il medesimo giudice, dopo aver sollecitato il pubblico ministero nel corso dell'udienza preliminare ad integrare l'atto imputativo senza che quest'ultimo abbia adempiuto al dovere di provvedervi, determini la regressione del procedimento onde consentire il nuovo esercizio dell'azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d'indagine (Cass. S.U., n. 5307/2008).

Si noti, peraltro, che la Corte costituzionale (Corte Cost. n. 103/2010), ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 24, 111, comma 3, e 117, comma 1, Cost., degli artt. 424, 429 e 521, comma 1, nella parte in cui consentono al G.U.P. di disporre il rinvio a giudizio dell'imputato in relazione ad un fatto qualificato, di ufficio, giuridicamente in maniera diversa, senza consentire il previo ed effettivo sviluppo del contraddittorio sul punto, chiedendo al P.M. di modificare la qualificazione giuridica del fatto e, in caso di inerzia dell'organo d'accusa, disponendo la trasmissione degli atti al medesimo P.M. Premesso che il principio della necessaria correlazione tra imputazione contestata e sentenza deve trovare applicazione, in via analogica, anche con riferimento al giudice dell'udienza preliminare il quale, se accerta che il fatto è diverso da quello enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, deve disporre la trasmissione degli atti all'organo dell'accusa, il rimettente ha insufficientemente motivato la rilevanza della questione, avendo trascurato di precisare perché, nella fattispecie sottoposta al suo giudizio, il fatto debba ritenersi diversamente qualificato e non si tratti, piuttosto, di un fatto diverso rispetto a quello originariamente contestato; sollecita una pronunzia additiva, non avente carattere di soluzione costituzionalmente obbligata, ma rientrante nell'ambito di scelte discrezionali riservate al legislatore; tende ad ottenere la parificazione di situazioni processuali tra loro non omogenee, quali l'accertamento che un fatto debba essere diversamente qualificato e la constatazione che il fatto è differente da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio.

La Cassazione, in sintonia con quanto sopra, ha affermato che non è abnorme, né illegittimo il provvedimento con il quale il giudice dell'udienza preliminare, ravvisato nel fatto un reato diverso da quello contestato, dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e disponga la contestuale restituzione degli atti al P.M. (V. Corte cost. n. 378/1997; Cass. VI, n. 14374/2003).

È poi stato ritenuto abnorme il provvedimento del giudice della udienza preliminare che disponga la restituzione degli atti al P.M. senza rilevare, né dichiarare alcuna invalidità dell'esercizio dell'azione penale (Cass. V, n. 4145/2000, fattispecie in cui il G.U.P., disposta la separazione degli atti relativi alla contestazione suppletiva eseguita, ai sensi dell'art 423, dal P.M., ne ha ordinato la restituzione all'ufficio di quest'ultimo, in quanto relativi ad altri procedimenti pendenti «sul medesimo tema» in fase di indagini preliminari).

Il Gup, all'esito dell'udienza, nell'esercizio del potere di cognizione attribuitogli dalla legge, può escludere la sussistenza delle circostanze aggravanti eventualmente contestate e disporre il rinvio a giudizio per il reato semplice residuato (Cass. VI, n. 21840/2012).

La riqualificazione giuridica del fatto da parte del g.u.p.

Nel corso delle indagini preliminari ovvero all'udienza preliminare, spetta di regola soltanto al pubblico ministero, titolare esclusivo dell'esercizio dell'azione penale, la possibilità di modificare la qualificazione giuridica del fatto, entro i limiti stabiliti dall'art. 423. A seguito della riforma Cartabia è stato ampliato il potere di intervento del giudice. In particolare, quanto al contenuto del controllo rimesso al giudice, la locuzione della legge delega n. 134/2021 intendeva coprire sia lo spazio relativo a carenze attinenti alla descrizione del fatto, comprese le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, sia la qualificazione giuridica, come reso esplicito dal riferimento a possibili incongruenze nell'indicazione degli “articoli di legge”. Per questa ragione la nuova disciplina (art. 423, commi 1-bis e 1-ter), declina in termini più tecnicamente corretti il duplice spazio di intervento, facendo espressamente riferimento, accanto al controllo sui fatti, anche il controllo sulla «definizione giuridica».

Per contro, secondo un orientamento della Cassazione, il codice di procedura penale non conferisce al giudice per le indagini preliminari un autonomo potere correttivo, analogo a quello che l'art. 521 comma 1 attribuisce con la sentenza al giudice del dibattimento. Al giudice delle indagini preliminari, infatti, sono consentite due vie alternative di decisione; il decreto che dispone il giudizio secondo l'enunciazione del fatto, delle circostanze e degli articoli di legge indicati dal P.M. ovvero la sentenza di non luogo a procedere. Tale sistema comporta il rischio per il P.M., che ha erroneamente formulata l'imputazione, che il giudice emetta sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, anche nel caso in cui il fatto può integrare diversa ipotesi criminosa. Tuttavia, entro i limiti del «ne bis in idem» (art. 649 comma 2), il P.M. può promuovere una nuova azione penale (Cass. VI, n. 2826/1994).

Di diverso avviso la più recente giurisprudenza, secondo cui in un ordinamento fondato sul principio di legalità, il potere del giudice di definire correttamente il fatto sul quale è chiamato a pronunciarsi è connaturale allo stesso esercizio della giurisdizione, che non tollera limitazioni in ordine all'inquadramento giuridico dei fatti sottopostigli, derivanti dalla richiesta delle parti. Anche il giudice dell'udienza preliminare, pur in mancanza di specifica previsione, può modificare la qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale il pubblico ministero ha richiesto il rinvio a giudizio. Ne consegue che rientra nei poteri del G.I.P. — una volta esclusa la configurabilità, in fatto o in diritto, di una circostanza aggravante — quello di eliminare ogni riferimento ad essa nell'imputazione, anche per gli evidenti riflessi, se ad effetto speciale, che può avere sui termini di durata di eventuali misure coercitive in atto ovvero di operare quegli emendamenti che, nell'immodificabilità del nucleo centrale del fatto, conseguano ad una diversa qualificazione giuridica dello stesso (Cass. VI, n. 548/1996; Cass. VI, n. 3658/1998). Il giudice dell'udienza preliminare, anche in mancanza di specifica previsione dunque può modificare la qualificazione giuridica del fatto per il quale il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, disponendo la «vocatio in ius» innanzi al giudice competente in relazione al fatto così come diversamente qualificato (Cass. III, n. 51424/2014).

Sulla scia di tale ultima decisione, si è quindi esclusa l'abnormità, sotto il duplice profilo strutturale e funzionale, e l'eccesso di potere nel caso del decreto con cui il GUP dispone il giudizio modificando la qualificazione giuridica del fatto posta dal pubblico ministero nella propria richiesta, atteso che lo "ius variandi" in punto di diritto è potere tipico attribuito al giudice in ogni fase e grado del procedimento, il cui esercizio non incide sull'autonomo potere - riservato in via esclusiva al pubblico ministero - di modificare il fatto contestato e di procedere a nuova contestazione qualora esso risulti diverso da come è descritto nell'imputazione (Cass. VI, n. 28262/2017).

Più di recente, la Corte ha affermato che la qualificazione del fatto - reato come omicidio colposo, aggravato dalla previsione dell'evento, anziché come omicidio volontario, sorretto da dolo diretto o eventuale, operata dal giudice dell'udienza preliminare con la sentenza di proscioglimento dell'imputato ex art. 425 c.p.p., non viola le disposizioni di cui all'art. 423 c.p.p., perché non realizza la modificazione dell'imputazione originaria elevata dal pubblico ministero all'atto dell'esercizio dell'azione penale, non alterando i tratti essenziali dell'addebito inteso quale episodio naturalistico e concreto, che viene soltanto rapportato alla fattispecie astratta, ritenuta giuridicamente più corretta (Cass. I, n. 21732/2018).

Per la Cassazione, però, va annullata senza rinvio la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal G.u.p. all'esito dell'udienza preliminare con riferimento all'imputazione elevata dal pubblico ministero, qualora i medesimi fatti siano diversamente qualificabili in altra ipotesi di reato per la quale disporre direttamente il rinvio a giudizio (Cass. VI, n. 35806/2008).

La riqualificazione del fatto in imputazione, a differenza degli interventi di modifica, non è infine preclusa al pubblico ministero nel corso del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria (Cass. II, n. 35350/2010 ; Cass. II, n. 44574/2019).

Casistica

Modificazione dell'imputazione

Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 423, la stessa può così sintetizzarsi:

a) se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso (art. 12, comma 1, lett. b), ossia quando i reati sono stati commessi dall'imputato con una sola azione od omissione o con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso) o una circostanza aggravante, il pubblico ministero provvede a modificare l'imputazione;

b ) se il giudice rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell'imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni;

c) se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d'ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero;

d ) nei casi di modifica dell'imputazione, la stessa viene inserita nel verbale di udienza e contestata all'imputato se presente in aula, anche mediante collegamento a distanza. In caso contrario, il giudice sospende il processo e rinvia a una nuova udienza e dispone che il verbale sia notificato all'imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza;

e ) se invece risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato.

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