Codice di Procedura Penale art. 491 - Questioni preliminari.

Sergio Beltrani

Questioni preliminari.

1. Le questioni concernenti la competenza [21, 23] per territorio o per connessione, le nullità indicate nell'articolo 181, commi 2 e 3, la costituzione di parte civile [76, 80], la citazione o l'intervento del responsabile civile [83, 85, 86] e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria [89] e l'intervento degli enti e delle associazioni previsti dall'articolo 91 sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti [484 s.] e sono decise immediatamente [478].

2. La disposizione del comma 1 si applica anche alle questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento [431, 450, 457] e la riunione [17] o la separazione [18] dei giudizi, salvo che la possibilità di proporle sorga soltanto nel corso del dibattimento.

3. Le questioni preliminari sono discusse dal pubblico ministero e da un difensore per ogni parte privata. La discussione deve essere contenuta nei limiti di tempo strettamente necessari alla illustrazione delle questioni. Non sono ammesse repliche.

4. Il giudice provvede in merito agli atti che devono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento ovvero eliminati da esso [148 att.].

5. Sulle questioni preliminari il giudice decide con ordinanza [586].

Inquadramento

L'art. 491 disciplina la deducibilità delle questioni preliminari, e si applica, in quanto compatibile, anche al dibattimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica, in forza del rinvio contenuto dall'art. 559, comma 1: come si vedrà nelle rispettive sedes materiarum, la disciplina della deducibilità di alcune questioni preliminari (in particolare, di quelle concernenti la competenza per territorio o per connessione, e delle nullità di cui all'art. 181, commi 2 e 3) dinanzi al giudice monocratico è strettamente collegata alle diverse, possibili modalità di instaurazione del giudizio (con citazione diretta del p.m., ovvero all'esito dell'udienza preliminare).

La disposizione stabilisce, in generale, che le questioni preliminari devono essere proposte « subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti », poiché altrimenti sono precluse: le parti interessate hanno, pertanto, l'onere di eccepire dette questioni nell'attimo che segue la verifica della costituzione delle parti, e questo termine non può, di norma, essere superato neppure quando i presupposti per proporre la questione siano emersi nel corso del dibattimento (Cass. I, n. 6485/1999).

Il comma 2 consente la possibilità di una trattazione differita ad un momento successivo rispetto alla fase predibattimentale, qualora l'esigenza di proporre una questione preliminare sorga soltanto nel corso del giudizio, ma solo per le questioni che riguardano il contenuto del fascicolo del dibattimento (ex art. 431) e la riunione o la separazione dei giudizi (ex artt. 17-19).

Qualora la prima udienza si concluda con l'ordine di prosecuzione del dibattimento ad altra udienza fissa, dopo che la parte che aveva l'onere di sollevare la questione preliminare (nella specie, dell'inammissibilità della costituzione di parte civile) abbia, comunque, svolto una qualsiasi attività processuale senza avere sollevato la questione medesima, rimane preclusa, alla parte stessa, la possibilità di sollevare detta questione oltre il limite temporale segnato dalla conclusione della prima udienza (Cass. VI, n. 809/1999 e Cass. I, n. 34686/2011).

La preclusione in oggetto è riferita alla prima udienza nella quale la costituzione delle parti sia validamente avvenuta (emendati eventuali vizi di citazione e/o notificazione, e superati eventuali impedimenti a comparire); il rigore della disciplina va temperato, nei casi in cui il numero delle parti e/o delle questioni, e la complessità di queste ultime, richiedano una trattazione laboriosa: per motivi organizzativi (e previo accordo delle parti), deve ritenersi possibile posticipare e, comunque, quantomeno protrarre (ove strettamente necessario), la trattazione di questioni preliminari a una o più udienze successive (Trib. Milano III, 4 marzo 1997,Arch. nuova proc. pen. 1998, 95).

Il subprocedimento

Le questioni preliminari devono essere:

a) sollevate contestualmente, in modo da poter essere decise con unica ordinanza; sarebbe, pertanto, tardiva la deduzione di una questione preliminare ex art. 491 dopo che sia intervenuta la decisione di altre questioni preliminari previste dalla medesima disposizione (Cass. V, n. 4431/1998: fattispecie nella quale è stata ritenuta tardiva una questione di nullità eccepita dopo la decisione di altre questioni preliminari relative alla costituzione di parte civile);

b) discusse dal p.m. e da un solo difensore per ciascuna parte privata (art. 491, comma 3): la discussione deve essere contenuta nei limiti di tempo strettamente necessari all'illustrazione della questione, senza repliche (espressamente considerate inammissibili);

c) decise dal giudice « immediatamente » (art. 491, comma 1), con ordinanza (comma 5) motivata a pena di nullità (argomenta ex art. 125, comma 3). L'obbligo di immediata decisione delle questioni preliminari impone al giudice la decisione delle stesse nell'attimo che segue la verifica della costituzione delle parti (Cass. VI, n. 809/1999) e, conseguentemente, dovrebbe rendere:

c.1) impossibile utilizzare lo strumento dell'ordinanza riservata o, comunque, differire la decisione;

c.2) necessario che la decisione abbia luogo allo stato degli atti, con irrilevanza di eventuali sopravvenienze in corso di giudizio, che non potrebbero, pertanto, legittimare la revoca dell'ordinanza.

Appare dunque evidente la volontà del legislatore di veder risolte le questioni preliminari in limine litis, senza altri strascichi all'interno del grado.

La giurisprudenza ritiene che, quando la questione preliminare sia stata tempestivamente proposta, il giudice rimane investito dal potere-dovere di decidere su di essa anche nel caso in cui egli non abbia deciso "immediatamente": si è osservato che la disposizione di cui all'art. 491, comma 5, la quale prescrive che sulle questioni preliminari il giudice decide con ordinanza, non prevede una sanzione di nullità in caso di sua inosservanza, cosicché, ove il giudice del dibattimento decida la questione preliminare insieme al merito, l'imputato non può dolersene, sia perché nessun danno gli deriva e sia perché, comunque, l'ordinanza che risolve questioni preliminari è impugnabile solo con la sentenza che definisce il dibattimento (Cass. VI, n. 43962/2013: fattispecie nella quale la S.C. ha escluso la configurabilità di una nullità nel caso in cui il giudice del dibattimento non aveva trattato con autonoma ordinanza l'eccepita nullità del decreto di latitanza; Cass. V, n. 31974/2019, quanto alla possibilità di decidere le questioni in un’udienza successiva a quella in cui esse furono proposte, purché prima della dichiarazione di apertura del dibattimento).

Quanto all'ordine in cui le questioni preliminari vanno decise, e ai loro rapporti con le questioni rilevabili anche d'ufficio, si è ritenuto che la dichiarazione di incompetenza per materia può essere emessa dal giudice del dibattimento prima di ogni altra decisione e, in particolare, anche prima della decisione sulle altre questioni preliminari, delle quali essa costituisce antecedente logico: l'opposta soluzione realizzerebbe, infatti, un risultato inammissibile, nel senso che le predette questioni verrebbero risolte da un giudice incompetente per materia (Cass. II, n. 2662/1999).

Successivamente, per identità di ratio, vanno esaminate le questioni (anch'esse proponibili entro il termine di cui all'art. 491, comma 1 C.P.P.) attinenti all'inosservanza dei criteri di riparto tra composizione collegiale e monocratica (ex art. 33-quinquies: Cass. II, n. 7090/2012), oltre che ad eventuali vizi nel procedimento di citazione a giudizio. Anche le questioni inerenti ai rapporti tra sede centrale e sezioni distaccate del tribunale possono essere proposte fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento (cfr. art. 163-bis disp. att.).

La dichiarazione di ricusazione fondata su causa nota può essere presentata nel giudizio, secondo la previsione di cui all'art. 38, comma 1, fino alla scadenza del termine per la proposizione delle questioni preliminari e, quindi, fino al momento immediatamente successivo al compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti; la dichiarazione di ricusazione proposta subito dopo che sia stato compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti è tempestiva anche se tra la data di conoscenza della causa addotta a fondamento dell'istanza e la presentazione di quest'ultima sia trascorso un tempo superiore ai tre giorni, poiché tale termine di decadenza, previsto dall'art. 38, comma 2, opera solo quando è decorso il termine di cui all'art. 491, comma 1, che è richiamato dall'art. 38, comma 1 (Cass.  V, n. 8131/2014).

L'ordinanza che decide le questioni preliminari di per sé non può essere rimessa in discussione attraverso un autonomo strumento impugnatorio, ma va impugnata congiuntamente alla sentenza, ex art. 586 (Cass. V, n. 1557/1996).

La competenza

 

Competenza per materia

A norma dell'art. 38 l. n. 287/1951, di riordinamento dei giudizi di assise, quando nelle leggi di procedura penale si fa riferimento a giudice di competenza superiore o a giudice superiore, la Corte di assise si considera giudice di competenza superiore agli altri giudici di primo grado. L'art. 23 dispone che, se nel dibattimento di primo grado il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza e se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l'incompetenza è rilevata ed eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dal primo comma del successivo art. 491. Dal combinato disposto di tali norme consegue l'inapplicabilità della preclusione , posta dall'art. 491 nella fase di giudizio che si sia svolta dinanzi al tribunale, essendo la Corte di assise giudice considerato superiore dall'art. 38 cit. (Cass. II, n. 25657/2003); ne consegue che la Corte d'Assise, giudice superiore rispetto agli altri giudici di primo grado, una volta verificata la regolare costituzione delle parti, non può più spogliarsi della competenza investendo il Tribunale in composizione collegiale (Cass. I, n. 25076/2012: fattispecie relativa ad un conflitto fra Corte d'Assise e Tribunale in composizione collegiale, nella quale la S.C. ha chiarito che l'avvenuto mutamento del collegio di Assise per incompatibilità del giudice a latere non comporta la regressione del processo alla fase che precede l'apertura del dibattimento).

L'incompetenza del Tribunale a conoscere di reati appartenenti alla competenza del giudice di pace deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall'art. 491, comma 1, richiamato dall'art. 23, comma 2; né, a tal fine, rileva il disposto di cui all'art. 48 d.lgs. n. 274/2000, che non deroga al regime della non rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per materia del tribunale a favore del giudice di pace, limitandosi a stabilire che il giudice, qualora debba dichiarare l'incompetenza per materia a favore del giudice di pace, la dichiara con sentenza e trasmettendo gli atti al P.M. e non direttamente al giudice di pace (Cass. V, n. 25499/2015). L'incompetenza del Tribunale a conoscere alcuni dei reati ascritti all'imputato in quanto di competenza del giudice di pace, se non abbia costituito oggetto di eccezione di parte, tempestivamente proposta, nel termine, stabilito a pena di decadenza, dall'art. 491, comma 1, non può essere rilevata d'ufficio dal giudice di legittimità, non sussistendo alcuna nullità e stante la tassatività della previsione normativa in materia (Cass. V, n. 15727/2014).

Le Sezioni Unite hanno successivamente ritenuto che l'incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo ex art. 48 d. lgs. n. 274 del 2000, in deroga al regime ordinario di cui agli artt. 23, comma 2, e 24, comma 2, c.p.p.:

- fermo restando che la sopravvenuta mancanza del vincolo di connessione, giustificativo della competenza del giudice togato anche per il reato minore, non determina, in applicazione del criterio della perpetuatio iurisdictionis, il venir meno di quest'ultima, purché ab origine correttamente individuata (Cass. S.U., n. 28909/2019);

- ferma restando, in caso di riqualificazione del fatto in un reato di competenza del giudice di pace, la competenza del giudice togato in applicazione del criterio della perpetuatio iurisdictionis purché il reato gli sia stato correttamente attribuito ab origine e la riqualificazione sia dovuta ad acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo (Cass. S.U., n. 28908/2019).

Competenza per territorio e per connessione

Ai sensi dell'art. 21, commi 2 e 3, l'incompetenza per territorio (nel cui ambito rientrano anche le questioni di nullità delle intercettazioni telefoniche asseritamente autorizzate da magistrato incompetente per territorio: Cass. VI, 12 /07/1993, in Guariniello, 333) o derivante da connessione (che, rispetto alla competenza per materia e per territorio, costituisce un tertium genus, autonomamente disciplinato dagli artt. 12 ss.), è rilevata (d'ufficio dal giudice) o eccepita (dalle parti) prima della conclusione dell'udienza preliminare, anche nell'ipotesi in cui quest'ultima si sia tenuta dinanzi al g.u.p. distrettuale, ai sensi dell'art. 328, comma 1-bis ovvero, quando questa manchi (poiché si procede con citazione diretta, o con giudizio immediato), entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1: l'accertamento per la prima volta della costituzione delle parti determina, nel giudizio, il momento oltre il quale le questioni di competenza territoriale non possono più essere rilevate, neppure se i presupposti per porre le stesse emergono nel corso del dibattimento, fatta eccezione per il solo caso in cui la questione, ritualmente proposta o rilevata, non sia stata ancora decisa (Cass. II, n. 24736/2010). Entro il medesimo termine, deve essere riproposta l'eccezione già respinta in udienza preliminare: una volta superato il suddetto momento, l'incompetenza per territorio o per connessione non è più rilevabile, neanche d'ufficio (Cass. I, n. 242/1995), e neanche quando l'individuazione di un diverso locus commissi delicti consegua ad un mutamento dell'imputazione intervenuto nel corso del dibattimento. Pertanto, « restano privi di rilievo eventuali, successivi, eventi istruttori o decisori, di significato diverso rispetto ai dati prima valutati ai fini della fissazione della competenza per territorio », poiché il legislatore ha inteso normalmente escludere, per ragioni di economia processuale, il mutamento del giudice a dibattimento iniziato (Cass. VI, n. 33435/2006).

L'eccezione di incompetenza per territorio o per connessione non può, conseguentemente, essere sollevata per la prima volta in sede di formulazione delle conclusioni (Cass. I, n. 3217/1992) e, una volta che sia stata ritualmente prospettata nel termine di cui all'art. 491e respinta dal giudice, può essere riproposta con i motivi di impugnazione senza, però, poter introdurre argomentazioni ulteriori rispetto a quelle originarie, anche se queste ultime potrebbero giustificare uno spostamento della competenza (Cass. II, n. 1415/2013). Il decorso del termine per la proposizione dell'eccezione di incompetenza per territorio comporta — come previsto dall'art. 21, comma 2 — la decadenza dal diritto anche nell'ipotesi in cui l'eccezione medesima sia stata già sollevata precedentemente davanti al tribunale del riesame, atteso che la natura incidentale ed autonoma del procedimento de libertate rispetto al procedimento di cognizione impone di ritenere quanto avviene davanti al giudice della libertà non equivalente a quanto avviene davanti al giudice del merito (Cass. IV, n. 28764/2002).

La ratio della preclusione può essere individuata nella volontà di evitare che il dibattimento sia inizialmente celebrato da giudice sfornito di competenza, e anzi di assicurare l'immediata trasmissione degli atti al giudice competente; nondimeno, "diversamente dalla competenza per materia, quella territoriale attiene piuttosto alla distribuzione del lavoro tra i vari giudici dello stesso stato e grado del processo, e non anche alla loro capacità funzionale", con la conseguenza che "il dibattimento celebrato dal giudice incompetente territorialmente è pur sempre svolto da un giudice abilitato a conoscere della materia, e quindi è valido se non impedito tempestivamente" (Cass. IV, 16/10/1992, Velotti, in Guariniello, 332). Si comprende, pertanto, la ragione per la quale, sia con riguardo alla competenza per territorio sia con riguardo alla competenza derivante da connessione, risultino privi di rilievo gli eventuali elementi sopravvenuti, acquisiti nel corso dell'istruzione dibattimentale (Beltrani, 259).

Quanto alla eccepibilità dell'incompetenza territoriale in sede di giudizio abbreviato, le Sezioni Unite hanno definitivamente risolto il contrasto giurisprudenziale da tempo in corso sul punto, affermando che l'eccezione di incompetenza territoriale è proponibile in limine al giudizio abbreviato non preceduto dall'udienza preliminare, mentre, qualora il rito alternativo venga instaurato nella stessa udienza, l'incidente di competenza può essere sollevato, sempre in limine a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare: in motivazione la Corte ha precisato che, pur in assenza nel giudizio speciale di una fase dedicata alla soluzione delle questioni preliminari, l'eccezione può essere proposta in quella dedicata alla verifica della costituzione delle parti (Cass. S.U., n. 27996/2012).

Con riguardo alla competenza per connessione, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, nei procedimenti con udienza preliminare, la questione dell'incompetenza derivante da connessione, anche quando la connessione incida sulla competenza per materia affidando tutti i procedimenti connessi alla cognizione del giudice superiore, può essere proposta o rilevata d'ufficio subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, a condizione che la parte abbia già formulato, senza successo, la relativa eccezione dinanzi al giudice dell'udienza preliminare (Cass. I, n. 31845/2011 e Cass. II, n. 2662/2013).

L'incompetenza per materia del Tribunale, determinata da ragioni di connessione, ai sensi dell'art. 15, deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro i termini previsti dall'art. 21, commi 2 e 3, e, pertanto, entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1 (Cass. V, n. 12764/2017: fattispecie in cui, in sede di udienza preliminare, era stata disposta a carico dei medesimi imputati la separazione delle posizioni, sulla base della competenza per materia dei reati loro ascritti in connessione teleologica, rinviandoli a giudizio contemporaneamente dinanzi alla Corte d'Assise e innanzi al Tribunale).

Si è successivamente ribadito che, nei procedimenti con udienza preliminare, la questione dell'incompetenza derivante da connessione, anche quando questa incida sulla competenza per materia, può essere proposta o rilevata d'ufficio subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, a condizione che la parte abbia già formulato senza successo la relativa eccezione dinnanzi al giudice dell'udienza preliminare (Cass. I, n. 14988/2019: fattispecie in cui, successivamente all'emissione di una sentenza di incompetenza per territorio per ragioni di connessione, il giudice del dibattimento aveva sollevato conflitto negativo di competenza, dichiarato inammissibile dalla S.C., senza che la questione fosse mai stata eccepita o rilevata nel corso dell'udienza preliminare).  

L'eccezione di incompetenza territoriale, ritualmente prospettata dalle parti nel termine di cui all'art. 491 e respinta dal giudice, può essere riproposta con i motivi d'impugnazione senza però introdurre argomentazioni ulteriori e diverse da quelle originarie; ne consegue che, in sede di legittimità, sono insindacabili gli aspetti relativi alla competenza territoriale non ritualmente sottoposti dalla parte entro i termini dell'art. 491, neppure se questi siano collegati a sopravvenienze istruttorie e potrebbero giustificare, in astratto, uno spostamento della competenza (Cass. II, n. 4876/2017); peraltro, l'eccezione di incompetenza territoriale prospettata con l'indicazione di fori alternativi e accolta dal giudice in relazione al foro indicato in via subordinata, non può essere riproposta con i motivi di impugnazione per far valere il foro indicato in via principale, essendo possibile subordinare una richiesta ad un'altra esclusivamente nel caso in cui la decisione sia rimessa alla discrezionalità del giudice in ordine ad un provvedimento più o meno favorevole nei confronti della parte e non anche allorquando si tratti di procedere alla corretta applicazione di una norma (Cass. II, n. 10126/2016: nella specie, essendo l'istanza finalizzata all'individuazione del giudice naturale precostituito per legge, la S.C. ha escluso la possibilità di individuazione di diverse soluzioni più o meno gradite all'imputato).

Sarebbe inammissibile per genericità l'eccezione di incompetenza territoriale, che non contenga l'indicazione del giudice, diverso rispetto a quello procedente, che si prospetta essere competente (Cass. II, n. 12071/2015).

La disciplina di cui agli artt. 51, comma 3-bis, e 328, comma 1-bis, c.p.p. integra un'ipotesi di competenza territoriale e non di competenza funzionale o per materia, sicché l'eccezione relativa alla sua violazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro il limite ultimo costituito dall'espletamento, per la prima volta, delle formalità di apertura del dibattimento ai sensi dell'art. 491, comma 1 (Cass. III, n. 16500/2019: fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto tardiva l'eccezione di incompetenza formulata per la prima volta con i motivi di gravame avverso la sentenza di primo grado).

Questioni di costituzionalità

La Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata, in relazione all'art. 25, comma 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 491, comma 1, nella parte in cui impone la decisione immediata sull'eccezione di incompetenza territoriale e vieta di ritornare sulla questione nel corso del dibattimento: "la competenza territoriale del giudice penale è disciplinata dalla legge in considerazione del luogo ove il reato è stato commesso, con finalità che attengono in modo prevalente all'economia processuale, sì da consentire che ivi si dia luogo alla miglior concentrazione delle attività del processo; l'imposizione di una disciplina particolarmente rigorosa per la proposizione dell'eccezione di incompetenza territoriale corrisponde alla suddetta peculiare natura della competenza in esame, per cui il legislatore può legittimamente ritenere, nella sua discrezionalità, di limitare la possibilità di rilevarne i vizi a vantaggio dell'interesse generale all'ordine e alla speditezza del processo." (Corte cost., n. 521/1991); per la conformità della disciplina di cui all'art. 491 al principio del giudice naturale sancito dall'art. 25 Cost., cfr. anche Cass. VI, n. 8587/2000, che ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento all'art. 25 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 491, in quanto il legislatore ben può, nella sua discrezionalità, limitare la possibilità di rilevare il difetto di competenza territoriale a vantaggio dell'ordine e della speditezza del processo senza che ciò vulneri il principio del giudice naturale, sicché tale possibilità opera solo con riguardo alla fase che precede immediatamente l'apertura del dibattimento e si pone come regola a garanzia di tutte le parti.

Le conseguenze delle modifiche dell’imputazione

Premesso che la valutazione della competenza territoriale deve essere svolta con riferimento al momento della proposizione della relativa eccezione, e cioè, al più tardi, nella fase di cui all'art. 491, comma 1, la giurisprudenza ha ritenuto che non assume rilievo, ai fini della determinazione preliminare della competenza per territorio, l'eventuale diversità del fatto contestato emersa nel corso del giudizio e sfociata in una modifica dell'imputazione ex artt. 516 ss.: ad esempio, se nel corso dell'istruzione dibattimentale dinanzi al giudice monocratico il fatto descritto nel decreto di citazione a giudizio come ricettazione risulti, invece, integrare il delitto di furto commesso in diversa circoscrizione, il giudice non può spogliarsi del processo per incompetenza, ma deve procedere, previa contestazione da parte del p.m., a norma dell'art. 516 (Cass. V, n. 7826/1997 e Cass. V,  n. 30834/2003); se, nel corso del dibattimento, l'imputato confessa di aver commesso il furto in un luogo diverso, il giudice non può spogliarsi del processo per incompetenza, ma deve procedere, previa contestazione del P.M., a norma dell'art. 516 (Cass. IV, n. 41991/2003).

La speciale competenza per i procedimenti riguardanti magistrati

L'orientamento attualmente dominante, ritiene che la speciale competenza stabilita dall'art. 11 c.p.p. per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, abbia natura funzionale, e non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche d'ufficio, del relativo vizio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell'art. 21, comma 1  (Cass. S.U., n. 292/2005 e Cass. VI, n. 13182/2012). Tuttavia, ai fini della determinazione della competenza relativa a procedimenti connessi a quelli riguardanti magistrati, si applicano le regole ordinarie, e non invece la disposizione di cui all'art. 11, comma 3, quando il procedimento connesso è ancora in fase di indagini, e quello relativo ad appartenenti all'ordine giudiziario è stato definito con archiviazione, perché tale vicenda determina il venir meno del rapporto di connessione (Cass. V, n. 42584/2014; in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che, una volta intervenuta l'archiviazione del procedimento riguardante magistrati, il procedimento connesso doveva essere trattato dall'autorità giudiziaria competente secondo le regole ordinarie).

Gli elementi utilizzabili ai fini della decisione

Per quanto riguarda gli elementi utilizzabili ai fini della decisione, la scelta legislativa di confinare la deduzione e la trattazione di tali questioni entro il termine di cui all'art. 491, comma 1, induce a ritenere che il giudice dovrà decidere allo stato degli atti, considerando soltanto quelli che, ai sensi dell'art. 431, fanno parte del fascicolo per il dibattimento (Beltrani, 261 s.).

Il giudice non deve tener conto di elementi non legittimamente contenuti nel fascicolo dibattimentale, dovendo disporne l'eliminazione immediata ai sensi degli artt. 491, comma 4, e 148 disp. att. c.p.p. (Pret. Salerno 4/12/1997, Arch. nuova proc. pen. 1998, 251: nel caso di specie, la difesa degli imputati aveva eccepito l'incompetenza territoriale del pretore per il reato di truffa, argomentandola dalla fotocopia di un assegno negoziato in una città appartenente a una circoscrizione diversa da quella del suddetto pretore, fotocopia tratta da un promemoria difensivo allegato alla richiesta di sequestro conservativo avanzata in precedenza dalla persona offesa).

Secondo la giurisprudenza, andrebbe, inoltre, esclusa l'ammissibilità di qualsiasi previa attività di istruzione od allegazione di prove a sostegno della proposta eccezione (Cass. I, n. 5230/1995). Quest'ultima affermazione non viene, peraltro, condivisa da parte della dottrina (Beltrani, 262), per il rilievo che nessuna disposizione vieta che le parti possano allegare gli elementi (magari facenti parte del fascicolo del p.m., e quindi immediatamente verificabili, anche se soltanto con riguardo al subprocedimento incidentale preliminare finalizzato alla determinazione della competenza per territorio o per connessione) addotti a fondamento dell'eccezione, e anzi l'art. 187, comma 2, dispone espressamente che costituiscono oggetto di prova «i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali», tra i quali ben possono rientrare quelli addotti a sostegno della deduzione di una questione preliminare. Un'autorevole conferma della bontà di tale argomentazione viene dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 491, comma 1, sollevata, in riferimento agli artt. 3,24, comma 2, e 25, comma 1, Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice possa prendere visione del fascicolo del p.m. ai soli fini della valutazione della fondatezza dell'eccezione d'incompetenza per territorio, specificando che, tuttavia, l'imputato ha la possibilità di documentare ogni eccezione (egli ha, infatti, conoscenza del contenuto del fascicolo del p.m., e può estrarne copia), proprio in adempimento dell'onere previsto dall'art. 187, comma 2 (Corte cost., n. 130/1995).

La competenza per territorio non può essere determinata sulla base delle sopravvenute prove assunte in dibattimento circa il luogo della commissione del reato, atteso che la legge processuale, stabilendo all'art. 21, comma 2, c.p.p., che l'incompetenza territoriale è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, al più tardi entro il termine di cui all'art. 491, comma 1, ed inserendo la trattazione e decisione delle relative problematiche tra le “questioni preliminari”, ha chiaramente inteso vincolare le statuizioni sul punto allo stato degli atti, precludendo qualsiasi previa istruzione od allegazione di prove a sostegno della proposta eccezione (Cass. IV, n. 27252/2020).

Rapporti giurisdizionali con autorità straniere

La giurisprudenza ha ritenuto che, in tema di estradizione per l’estero, la questione sulla competenza ratione loci della Corte di appello chiamata a decidere sulla domanda di estradizione avanzata da uno Stato straniero, non può essere avanzata la prima volta in sede di giudizio di legittimità, ricorrendo l’eadem ratio di cui all’art. 491, comma 1  (Cass. VI, n. 26902/2004); analogamente, si è ritenuto che, in tema di mandato di arresto europeo emesso all’estero, la questione sulla competenza ratione loci della Corte di appello chiamata a decidere sulla richiesta di consegna non può essere avanzata la prima volta in sede di giudizio di legittimità, per la stessa ragione (Cass. VI, n. 42666/2007 e Cass. fer., n. 30046/2010).

Le nullità indicate nell’art. 181, commi 2 e 3, c.p.p.

Devono essere eccepite, entro il termine indicato dall'art. 491, comma 1,  le nullità relative previste dall'art. 181, commi 2 e 3, e cioè quelle riguardanti:

a) gli atti delle indagini preliminari;

b) gli atti compiuti in sede di incidente probatorio;

c) gli atti dell'udienza preliminare, ove questa si sia svolta;

d) il decreto che dispone il giudizio;

e) gli atti preliminari al dibattimento.

Assume rilievo, quanto alla deducibilità delle nullità previste dall'art. 181, comma 2 (le prime tre fattispecie), la medesima distinzione già esaminata in relazione all'incompetenza per territorio o per connessione, a seconda che si sia proceduto con citazione diretta a giudizio da parte del p.m. (ovvero con giudizio immediato), oppure all'esito dell'udienza preliminare: nel secondo caso, infatti, l'eccezione deve essere inizialmente sollevata, a pena di decadenza, prima del provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare, emesso ai sensi dell'art. 424, commi 1 e 2 (ovvero prima dell'emissione del decreto che dispone il giudizio, o della sentenza di non luogo a procedere: anche in tal caso, infatti, la questione potrebbe assumere rilevanza in un futuro dibattimento in ipotesi instaurato a seguito di impugnazione del p.m. accolta dalla corte d'appello, con conseguente emissione del decreto che dispone il giudizio); soltanto nel caso in cui l'eccezione di nullità sia stata tempestivamente sollevata, ma la nullità eccepita non sia stata dichiarata dal g.u.p., l'eccezione potrà essere riproposta in dibattimento.

Questioni di costituzionalità

È stata dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di costituzionalità dell'art. 491, sollevata per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (in riferimento all'asserita violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa), nella parte in cui non prevede che il giudice possa acquisire e visionare gli atti contenuti nel fascicolo del p.m., qualora ciò sia necessario per pronunciarsi su un'eccezione preliminare di nullità di un atto compiuto nella fase delle indagini preliminari: la Corte costituzionale ha evidenziato l'irrilevanza della questione, « essendo previsti dall'ordinamento mezzi ordinari e sufficienti (artt. 496 ss. c.p.p.) a compiere, nel caso, il richiesto accertamento » (Corte cost., n. 375/1994).

Nel procedimento dinanzi al giudice di pace, la nullità della citazione a giudizio per insufficiente determinazione del fatto non è di ordine generale, a norma dell'art. 178 c.p.p., ma rientra tra quelle relative di cui all'art. 181 c.p.p., con la conseguenza che essa non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 491 (Cass. V, n. 29933/2006).

Nel caso in cui l'imputato, dopo aver nominato due difensori, si sia in concreto avvalso di uno solo di essi, affidandogli la propria difesa in ogni atto, adempimento o fase del procedimento, deve ritenersi che egli abbia inteso affidare le attività defensionali al difensore che lo ha effettivamente assistito, senza che ciò comporti la revoca della nomina al codifensore; ne consegue che la nullità derivante dagli omessi avvisi a quest'ultimo del deposito della sentenza di primo grado e della fissazione dell'udienza davanti al giudice d'appello configura ipotesi di nullità relative, che devono essere eccepite nel termine di cui all'art. 491, espressamente richiamato dall'art. 181, comma 3 (Cass. III, n. 42922/2002).

In materia di reati concernenti l'immigrazione, la violazione da parte del P.M. del termine massimo di quindici giorni per la presentazione immediata dell'imputato al giudice di pace, previsto dall'art. 20-bis d.lgs. n. 274/2000, determina una nullità relativa, che deve essere eccepita entro il termine di cui all'art. 491, comma 1 (Cass. I, n. 1520/2019).

Casistica

La nullità del decreto di citazione a giudizio per mancata enunciazione del fatto oggetto dell'imputazione, prevista dall'art. 429, comma 2, c.p.p., deve ritenersi sanata qualora non sia stata dedotta entro il termine stabilito, a pena di decadenza, dall'art. 491, comma 1: "poiché, infatti, la predetta omissione non attiene né all'intervento dell'imputato né alla sua assistenza o rappresentanza, la nullità che ne deriva non può ricomprendersi fra quelle di ordine generale, di cui all'art. 178, C.P.P.   lett. c, bensì tra quelle relative, previste dall'art. 181 c.p.p., con la conseguenza che deve essere eccepita — a pena di preclusione — nella fase degli atti introduttivi, subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti" (Cass. II, n. 16817/2008; conforme, con riguardo all'insufficiente enunciazione dell'imputazione, Cass. V, n. 20739/2010  Cass. V, n. 712/2010, nonché, con riguardo alla generica enunciazione del fatto, Cass. I, n. 342/1999).

Sarebbe, pertanto, abnorme il provvedimento con il quale il Tribunale all'udienza dibattimentale (nella fattispecie, nel corso dell'esame testimoniale) dichiari di ufficio la nullità del decreto ai sensi dell'art. 552, comma 2 e disponga la restituzione degli atti al p.m., poiché tale atto determinerebbe un'inammissibile regressione del procedimento (Cass. V, n. 28512/2014). Diversamente, è stato ritenuto non abnorme, e quindi non immediatamente ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio per insufficiente enunciazione del fatto oggetto dell'imputazione — ritualmente eccepita dalle parti nella trattazione delle questioni preliminari e rigettata — in quanto il giudice può rilevare il difetto dell'imputazione anche successivamente, non operando, in questo caso, la preclusione ex art. 491, comma 1 (Cass. VI, n. 17238/2009: nella specie, si procedeva a citazione diretta, e il giudice, dopo aver preliminarmente rigettato l'eccezione di cui all'art. 552, comma 2,  nel corso del dibattimento aveva revocato la precedente ordinanza e, rilevata l'effettivamente insufficiente enunciazione del fatto oggetto dell'imputazione, aveva dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio, ordinando la trasmissione degli atti al p.m.).

La nullità della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza e genericità dell'imputazione ha natura relativa e, in quanto tale, è non rilevabile d'ufficio e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 491 (Cass. III, n. 19649/2019).

Nel giudizio di opposizione al decreto penale di condanna, nel caso manchi un'enunciazione chiara e precisa del fatto, che è quella risultante dall'imputazione contenuta nel decreto penale, si verifica un'ipotesi di nullità relativa che attiene non al decreto penale, ormai revocato, ma alla contestazione, e che deve essere dedotta nel termine di cui all'art. 491,  comma 1, subito dopo il compimento delle formalità relative alla costituzione delle parti (Cass. III, n. 40935/2005).

Nel procedimento dinanzi al giudice di pace, la nullità della citazione a giudizio per insufficiente determinazione del fatto non è di ordine generale, a norma dell'art. 178 c.p.p., ma rientra tra quelle relative di cui all'art. 181 c.p.p., con la conseguenza che essa non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 491 (Cass. V, n. 29933/2006).

Nel caso in cui l'imputato, dopo aver nominato due difensori, si sia in concreto avvalso di uno solo di essi, affidandogli la propria difesa in ogni atto, adempimento o fase del procedimento, deve ritenersi che egli abbia inteso affidare le attività defensionali al difensore che lo ha effettivamente assistito, senza che ciò comporti la revoca della nomina al codifensore; ne consegue che la nullità derivante dagli omessi avvisi a quest'ultimo del deposito della sentenza di primo grado e della fissazione dell'udienza davanti al giudice d'appello configura ipotesi di nullità relative, che devono essere eccepite nel termine di cui all'art. 491 C.P.P.  , espressamente richiamato dall'art. 181, comma 3 (Cass. III, n. 42922/2002).

In materia di reati concernenti l'immigrazione, la violazione da parte del P.M. del termine massimo di quindici giorni per la presentazione immediata dell'imputato al giudice di pace, previsto dall'art. 20-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, determina una nullità relativa, che deve essere eccepita entro il termine di cui all'art. 491, comma 1 (Cass. I, n. 1520/2019).

Costituzione di parte civile; citazione o intervento del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, degli enti e delle associazioni ex art. 91 c.p.p.

La preclusione stabilita dall'art. 491, comma 1, per la deduzione delle questioni riguardanti la citazione e l'intervento del responsabile civile, “ha la finalità di stabilire un preciso sbarramento temporale per la proposizione delle questioni relative all'individuazione del soggetto nei cui confronti possono validamente essere pronunciate, ai sensi dell'art. 538 c.p.p., le statuizioni civili con la sentenza che definisce il procedimento; ne consegue che le diverse questioni relative alla ritualità e regolarità della costituzione del responsabile civile possono essere dedotte successivamente, anche ai fini della valutazione dell'ammissibilità dell'impugnazione da questi proposta” (Cass. IV, n. 1603/2002).

Con riguardo al termine entro il quale è consentita la costituzione di parte civile, si rinvia sub art. 484. 

Le questioni preliminari relative alla costituzione di parte civile vanno poste, ai sensi dell'art. 491, subito dopo che sia stato compiuto, per la prima volta, l'accertamento della regolare costituzione delle parti, e vanno decise immediatamente: ciò impone alle parti processuali interessate il rilievo immediato delle questioni, ed al giudice l'altrettanto immediata decisione delle stesse, nell'istante che segue la verifica della regolare costituzione delle parti (Cass. III, n. 24677/2015). Anche nel caso di costituzione di parte civile per l'udienza preliminare, la richiesta di esclusione della stessa può essere proposta dall'imputato, a pena di decadenza, fino al momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nel dibattimento (Cass. S.U. , n. 12/1999 ), pur se analoga richiesta sia già stata avanzata e respinta dal g.u.p. (Cass. VI, n. 37593/2013).

Qualora la prima udienza – compiuto il predetto accertamento – si concluda senza che sia stata sollevata la questione, la proposizione di quest'ultima deve ritenersi preclusa nelle successive udienze, e l'ammissione della costituzione di parte civile non può essere in seguito contestata, neppure in sede di impugnazione (Cass. III, n. 24677/2015; Cass. V, n. 57092/2018).

È stata ritenuta legittima e tempestiva la costituzione di parte civile avvenuta:

– nell'udienza successiva a quella cd. di “mero smistamento”, all'esito della quale il procedimento è stato semplicemente rinviato dinanzi al giudice designato per la trattazione del giudizio, poiché, in tal caso, gli adempimenti in ordine alla regolare costituzione delle parti non devono considerarsi ancora conclusi, né sono state compiute le formalità di apertura del dibattimento (Cass. III, n. 46036/2018);

– in sede di udienza di rinvio disposto dal giudice di pace, su richiesta dell'imputato e della persona offesa, per tentare la conciliazione, prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento, poiché, in tal caso, gli adempimenti in ordine alla regolare costituzione delle parti devono considerarsi non ancora conclusi (Cass. V, n. 29208/2018).

È stata ritenuta intempestiva la costituzione di parte civile riproposta nell'udienza successiva a quella nella quale il giudice aveva proceduto alla verifica della costituzione delle parti e, su eccezione della difesa dell'imputato, aveva pronunciato provvedimento di esclusione della parte civile (Cass. V, n. 29394/2019).

L'ordinanza d'inammissibilità o di rigetto della richiesta di esclusione della parte civile è impugnabile, da parte dell'imputato, unitamente alla sentenza; al contrario, l'ordinanza dibattimentale di esclusione della parte civile è sempre e definitivamente inoppugnabile, perché il soggetto danneggiato, una volta estromesso dal processo, perde la qualità di parte e non è più legittimato a impugnare l'eventuale sentenza assolutoria dell'imputato che non contiene alcuna statuizione decisoria che lo riguardi (Cass. S.U., n. 12/1999Cass. II, n. 30045/2003; Cass. I, n. 4060/2008Cass. VI, n. 2329/2015). È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità, per violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di diritto alla difesa (artt. 3, 24 e 111 Cost.), delle disposizioni che prevedono la non impugnabilità dell'ordinanza reiettiva della richiesta di costituzione della parte civile (artt. 491 e 568), anche alla luce della disposizione introdotta dal nuovo codice di rito con l'art. 652, che esclude, per la persona danneggiata, la possibilità di subire nel giudizio civile qualsiasi pregiudizio dall'esito del processo penale cui la stessa non ha preso parte (Cass. II, n. 43248/2001).

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 79,80,484 e 491 c.p.p., la richiesta motivata di esclusione della parte civile (Cass. III, n. 15768/2020):

– nel caso di costituzione avvenuta nella, o per la, udienza preliminare, deve essere proposta dal pubblico ministero, dall'imputato o dal responsabile civile, a pena di decadenza, nella fase degli atti introduttivi al dibattimento, subito dopo la verifica per la prima volta della regolare costituzione del rapporto processuale;

– se la costituzione della parte civile avviene nel corso degli atti preliminari al dibattimento o introduttivi dello stesso, la richiesta deve essere proposta immediatamente dopo la costituzione, nella medesima fase delle questioni preliminari.

Il contenuto del fascicolo per il dibattimento

Le disposizioni di cui all'art. 491, comma 1, si applicano, in virtù del rinvio contenuto nel comma 2 della disposizione, anche alle questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento, "la cui proponibilità non è, peraltro, preclusa ove la possibilità di proporle sorga soltanto nel corso del dibattimento: si pensi al caso della ritenuta irripetibilità di un atto smentita da successive acquisizioni istruttorie" (BELTRANI, 264).

L'art. 431stabilisce che, nei casi in cui è previsto lo svolgimento dell'udienza preliminare, il g.u.p. forma il fascicolo per il dibattimento in udienza, e quindi in contraddittorio, "immediatamente dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio", oppure, su richiesta di una delle parti, sempre in contraddittorio, ma in altra udienza ad hoc, destinata a celebrarsi non oltre il termine (ordinatorio) di quindici giorni dall'udienza preliminare; diversamente, ove si proceda con citazione diretta a giudizio, il fascicolo per il dibattimento è formato dal p.m., inaudita altera parte, con contraddittorio differito alla fase degli atti introduttivi, ex art. 491. E proprio la previsione di poteri di controllo (pur se attivati dall'eccezione della parte interessata) del giudice sulla formazione del fascicolo del dibattimento, neutralizza le perplessità di ordine costituzionale che sarebbe possibile nutrire sull'attribuzione al pubblico ministero-parte, ex art. 553, della competenza funzionale alla formazione del predetto fascicolo (BELTRANI, 264 s.).

Questa disciplina va raccordata con l'art. 491, comma 2, il quale prevede che le questioni sulla formazione del fascicolo del dibattimento sono decise dal giudice del dibattimento (cioè, dal giudice che dovrà decidere il processo).

La dottrina ha osservato che quest'ultima disposizione evidenzia l'inutilità del macchinoso procedimento previsto dal legislatore per la formazione del fascicolo, poiché le decisioni del g.u.p., in caso di contrasti tra le parti, sono comunque destinate a cedere al cospetto delle decisioni del giudice del dibattimento, cui la parte soccombente non mancherà di riproporre la questione di volta in volta controversa (BELTRANI, 71 s); si è anche ritenuto (ANDREAZZA, 208) che le parti, essendo responsabili nella gestione del processo (principio enucleato dalle sezioni unite, sia pur a diverso proposito: cfr. Cass. S.U., n. 1021/2002), oltre che in virtù del principio di razionale andamento del processo (che non consentirebbe di rimettere in discussione quanto anticipatamente stabilito in sede di formazione in contraddittorio del fascicolo per il dibattimento), non potrebbero riproporre, ex art. 491, eccezioni già esaminate in contraddittorio, o questioni nuove, in precedenza non proposte.

In giurisprudenza si è, inoltre, ritenuto che la formazione del fascicolo per il dibattimento in assenza del contraddittorio delle parti non comporta alcuna nullità, trattandosi di mera irregolarità sanabile con la proposizione delle relative questioni nella fase preliminare del dibattimento, ex art. 491, e, comunque, non preclude l'eventuale eccezione di inutilizzabilità di atti indebitamente inseriti nel fascicolo (Cass. V, n. 32406/2015). D'altro canto, l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di un atto irripetibile (nel caso di specie: un verbale di sequestro) non è soggetta a preclusioni o decadenze e può avvenire anche nel giudizio di appello, se il g.u.p. non la abbia erroneamente disposta, ovvero, pur avendola disposta, ciò non sia materialmente avvenuto, in quanto non rientra nel potere dispositivo delle parti restringere l'ambito degli atti che per legge devono essere raccolti nell'incartamento processuale (Cass. II, n. 25688/2014; conforme, Cass. III, n. 12795/2016, in fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto legittima l'utilizzazione, da parte del giudice d'appello, degli atti dell'incidente probatorio non acquisiti nel corso del giudizio di primo grado).

L'ordinanza con la quale il giudice abbia omesso di provvedere su alcune delle eccezioni sollevate dalle parti in ordine alla formazione del fascicolo del dibattimento non è atto abnorme (e, dunque, autonomamente ricorribile per cassazione), atteso che essa costituisce, comunque, espressione del legittimo potere del giudice di decidere in ordine alle questioni poste ex art. 491, comma 2, e non comporta alcuna stasi del processo, potendo solo, eventualmente, determinare la dichiarazione di utilizzabilità di atti erroneamente inseriti in detto fascicolo: ne consegue che tale ordinanza può essere impugnata unicamente con la sentenza che definisce la relativa fase del giudizio (Cass. V, n. 28607/2001).

Le questioni preliminari inerenti alla formazione del fascicolo per il dibattimento pongono due problemi:

a) se sia consentita l'acquisizione tardiva al fascicolo del dibattimento di atti che sin dall'inizio avrebbero dovuto farne parte;

b) se gli atti indebitamente inseriti nel fascicolo del dibattimento siano, in difetto dell'eccezione di parte, utilizzabili ai fini della decisione.

L’acquisizione tardiva al fascicolo del dibattimento di atti che sin dall’inizio avrebbero dovuto farne parte

Quanto al primo problema, la giurisprudenza costituzionale, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 491, comma 2, sollevata (con riguardo alla ritenuta impossibilità di acquisire tardivamente atti relativi alla procedibilità dell'azione penale) in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., nella parte in cui, attraverso il richiamo al comma 1, prevede che le questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti, ha osservato che tra gli atti destinati ad essere raccolti nel fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 431 c.p.p. vanno distinti atti a contenuto probatorio (verbali degli atti non ripetibili e degli atti assunti nell'incidente probatorio o per rogatoria) e atti a contenuto non probatorio (quelli relativi alla procedibilità), e che la ratio dell'art. 491, coerentemente con il principio ispiratore del sistema del c.d. "doppio fascicolo", è di garantire che il giudice del dibattimento non sia "pregiudicato" dalla conoscenza degli atti raccolti durante le indagini preliminari. Ciò premesso, appare evidente che la preclusione relativa ai termini di proposizione delle questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento « ha ragion d'essere solo con riguardo agli atti a contenuto probatorio inseriti in detto fascicolo, dei quali sia opinabile, ad esempio, la natura di atti non ripetibili, cioè di atti la cui conoscenza materiale potrebbe orientare i comportamenti del giudice già nel corso dell'acquisizione probatoria dibattimentale », e che, al contrario, non può ritenersi operante alcun effetto preclusivo "con riguardo agli atti non aventi contenuto probatorio [...] originariamente destinati ad essere allegati al fascicolo per il dibattimento ed erroneamente non inseriti nello stesso, quali, appunto, quelli relativi alle condizioni di procedibilità" (Corte cost. n. 248/1998).

Il principio risulta successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la preclusione ex art. 491 non trova applicazione in tema di condizioni di procedibilità, sicchè il giudice d'appello ha l'obbligo di disporre, anche d'ufficio, l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento dell'atto di querela, nel caso in cui sorgano questioni sull'accertamento della sua proposizione, e non risultino dagli atti elementi decisivi tali da farla ritenere omessa (Cass. II, n. 3187/2013).

In conclusione , gli atti a contenuto non probatorio, nel senso innanzi precisato, possono essere in ogni momento inseriti, anche a richiesta di parte, nel fascicolo per il dibattimento; lo stesso non può dirsi per gli atti a contenuto probatorio, per i quali, tuttavia, dopo che sia maturata la preclusione, soccorrono la facoltà delle parti di chiedere l'ammissione delle prove a norma dell'art. 493, ed il potere del giudice di disporne d'ufficio l'assunzione a norma dell'art. 507: "l'ammissione in dibattimento di [...] mezzi di prova, che pure avrebbero potuto essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento già nella fase predibattimentale, non è preclusa dalla scadenza del termine posto dall'art. 491 c.p.p. per la risoluzione delle questioni concernenti i contenuti del fascicolo": in realtà, "le questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento [...] sono soltanto quelle intese ad ottenere l'esclusione di atti o documenti che si assumono erroneamente inseriti nel fascicolo; mentre le questioni concernenti l'eventuale inclusione nel fascicolo di altri atti o documenti non rimangono in alcun modo precluse" (Nappi, 766).

Dal canto suo, la giurisprudenza ha chiarito, in tema di atti relativi alla procedibilità, che la mancata acquisizione, ab initio, al fascicolo delle indagini preliminari, della prova dell'effettiva sussistenza della querela non comporta l'invalidità o l'inutilizzabilità degli atti compiuti e del conseguente esercizio dell'azione penale, in quanto i documenti necessari alla verifica della procedibilità possono essere acquisiti in ogni stato e grado del giudizio di merito, senza che ne derivi un nocumento al diritto di difesa, potendo l'imputato chiedere l'immediata declaratoria di improcedibilità ai sensi dell'art. 129, comma 1, c.p.p., e dovendo il giudice verificare, in tal caso, se la condizione di procedibilità sussista effettivamente (Cass. III, n. 16470/2020).

L’utilizzabilità o meno, in difetto dell’eccezione di parte, degli atti indebitamente inseriti nel fascicolo del dibattimento

Quanto al secondo problema, deve ritenersi che l'illegittima acquisizione di atti al fascicolo per il dibattimento non si esaurisca nell'ambito delle questioni preliminari, e che nessun termine preclusivo sia previsto per eccepire l'illegittimità della lettura dell'atto inserito contra legem.

A parere della dottrina, peraltro, non sembra possibile ritenere che, stante l'inerzia delle parti, l'atto illegittimamente inserito nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431, e non espunto entro il termine di cui all'art. 491, possa comunque essere utilizzato ai fini della decisione (interpretandosi la mancata eccezione di parte come acquiescenza all'utilizzazione): le prove acquisite in violazione dei divieti (quale appare indubbiamente quello di accludere al fascicolo per il dibattimento, ex art. 431, atti che non rientrano tra quelli tassativamente elencati da detta norma) stabiliti dalla legge non possono essere (ex art. 526 c.p.p.) utilizzate ai fini della decisione, e l'inutilizzabilità è rilevabile anche dal giudice, d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (Beltrani, 267). Conseguentemente, ai sensi degli artt. 191 e 526, il giudice può (rectius, deve) in ogni momento, espungere dal fascicolo per il dibattimento gli atti che vi siano illegittimamente confluiti, e, comunque, all'esito del dibattimento, dichiarare la non utilizzabilità degli stessi, ove tuttora presenti nel detto fascicolo, ai fini della decisione. La mancata eccezione inerente all'erroneo inserimento di atti nel fascicolo del dibattimento può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta priva di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere garante della legalità del procedimento probatorio.

Ne consegue che saranno utilizzabili gli atti affetti da inutilizzabilità c.d. « fisiologica » della prova (cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l'art. 526, con i correlati divieti di lettura di cui all'art. 514, in quanto, in tal caso, il vizio-sanzione dell'atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), o da inutilizzabilità "relativa", sanzioni stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale. Al contrario, non sono utilizzabili, perché il giudice conserva il potere-dovere di rilevarne (anche su eccezione di parte) il vizio, gli atti affetti dall'inutilizzabilità c.d. « patologica », inerente, cioè, agli atti probatori assunti contra legem, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, nonché delle procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito (principio affermato con riguardo all'utilizzazione, nel giudizio abbreviato, di dichiarazioni autoindizianti rese da soggetto sentito in veste di persona informata dei fatti, da Cass. S.U., n. 16/2000).

Casistica

Fra gli atti relativi alla procedibilità che, ai sensi dell'art. 431, lett. a, c.p.p., vanno inseriti nel fascicolo per il dibattimento, rientra anche l'attestazione, prevista dall'art. 337, comma 4, c.p.p. della data e del luogo di presentazione della querela, come pure quella dell'avvenuta identificazione del querelante: ne consegue che, ove tali attestazioni, per errore, non siano state di fatto inserite in detto fascicolo, la relativa questione può essere sollevata nella fase degli atti introduttivi al dibattimento, ai sensi dell'art. 491, comma 2, e può essere chiesto che l'inserimento abbia luogo in tale sede. Ove neppure ciò sia stato fatto, rimanendo insoddisfatto l'onere probatorio circa la dimostrazione del fatto processuale da parte di chi ne aveva interesse, nessun equipollente può sostituire le formalità mancanti, onde, correttamente, il giudice del merito dichiara di non doversi procedere per difetto di querela (Cass. VI, n. 299/2000; conf., con riguardo alla procura speciale di cui al comma 3 dell'art. 337, Cass. II, n. 5066/2006; più in generale, con riguardo a fattispecie nella quale la ricorrente parte civile — sia in primo grado che in appello — non aveva prodotto copia della querela, e non ne aveva sollecitato l'acquisizione d'ufficio dal fascicolo del P.M., cfr. Cass. IV, n. 37867/2009, la quale ha ritenuto che "la parte che ha interesse all'acquisizione al fascicolo per il dibattimento degli atti relativi alla procedibilità ha l'onere di produrne copia o chiederne l'acquisizione".

L'eccezione relativa all'assenza dei decreti autorizzativi delle intercettazioni rientra tra le questioni concernenti la formazione del fascicolo del dibattimento, che, stante la preclusione di cui all'art. 491, commi 1 e 2, deve essere proposta subito dopo che siano state compiute per la prima volta le attività relative all'accertamento della costituzione delle parti, e non è deducibile per la prima volta in sede di legittimità (Cass. V, n. 7591/2011).

In tema di intercettazioni di conversazioni telefoniche o ambientali, la perizia trascrittiva disposta ex art. 268, comma 7, c.p.p. ed espletata successivamente all'udienza fissata per la formazione del fascicolo per il dibattimento ex art. 431 c.p.p. può essere legittimamente depositata nel corso del dibattimento, mediante inserimento nel relativo fascicolo, con conseguente piena utilizzabilità della stessa, senza alcuna violazione del contradditorio attesa la possibilità per il difensore ex art. 491, comma 2, di dedurre, anche tardivamente, le questioni sull'inserimento della perizia nel fascicolo per il dibattimento (Cass. II, n. 14948/2014).

La riunione e/o la separazione di giudizi

L'art. 491, comma 2, prevede, anche con riferimento alle questioni relative alla riunione o separazione di giudizi, l'onere di deduzione entro i tempi indicati dal comma 1 della disposizione, facendo, peraltro, salvo il caso in cui la possibilità di proporre tali questioni sorga soltanto nel corso del dibattimento.

La giurisprudenza ha precisato che i giudizi pendenti nel medesimo stato e grado possono essere riuniti nel corso di tutto il grado nel quale essi si trovano, anche successivamente al compimento delle formalità di apertura del dibattimento: "gli artt. 17 e 19, al di fuori della regola della pendenza di entrambi i procedimenti nel medesimo stato e grado, non prevedono ulteriori e diversi limiti, per cui, una volta accertata l'esistenza delle sole condizioni previste dai citati articoli, la riunione o la separazione dei giudizi può essere disposta nel corso di tutto il grado nel quale il processo si trova. Depone in tal senso la lettura dell'art. 491, ove: il comma 1 elenca le questioni che possono e debbono essere trattate con priorità (a pena di decadenza) subito dopo la verifica dell'accertamento della costituzione delle parti; il comma 2 indica, fra le questioni suscettibili di trattazione preliminare, quelle attinenti al contenuto del fascicolo del dibattimento (ex art. 431) e quelle riguardanti la 'riunione' o la 'separazione' dei giudizi, prevedendo, peraltro, la possibilità di una loro trattazione differita a un momento successivo alla fase predibattimentale, qualora l'esigenza sorga nel corso del giudizio. Di qui consegue che la riunione o separazione dei procedimenti, fermi i soli limiti previsti dall'art. 17, può essere disposta anche successivamente al compimento delle formalità di apertura del dibattimento" (Cass. II, n. 983/2011).  

Le conseguenze della rinnovazione del dibattimento per mutamento della composizione del giudicante

Quando, a seguito del mutamento della composizione del collegio giudicante, il procedimento regredisce nella fase degli atti preliminari al dibattimento (che precede la nuova dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 c.p.p.), ferma restando (secondo quanto stabilito dall'art. 491, comma 1, c.p.p.) l'improponibilità di questioni preliminari in precedenza non sollevate, il giudice, nella composizione sopravvenuta, ha il potere di valutare ex novo le questioni tempestivamente proposte dalle parti e decise dal giudice diversamente composto (Cass. VI, n. 3746/1999; Cass. I, n. 36032/2018), entrambe in tema di competenza per territorio; nel medesimo senso, successivamente, Cass. S.U., n. 41736/2019, in motivazione).

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